Mi sa tanto che nel panettore - quest'anno - non cimettono le uvette
La prima, far confluire in un fondo gestito da imprese pubbliche e private (innanzitutto la
Cassa depositi e prestiti) molti cespiti pubblici (immobiliari e azionari, penso a
Eni, Enel, Ferrovie, Poste, ecc.) da immettere successivamente e gradualmente sul mercato ma con la possibilità di tagliare fin da subito il debito.
La seconda una qualche forma di patrimoniale. Confesso che quest’ultima ipotesi mi piace assai poco: di patrimoniali, in Italia, più o meno camuffate, ne esistono già molte, dalle varie tasse sugli immobili a quelle sui conti amministrati ad altre ancora, senza contare che la pressione fiscale è già molto elevata.
Solo una patrimoniale su chi sfugge alle patrimoniali, vale a dire i grandi capitali azionari “esterovestiti”, meriterebbe di venire presa in considerazione.
Ma il problema del taglio del debito, anche per rispetto nei confronti delle nuove generazioni a cui ci apprestiamo di lasciarlo in eredità, esige un po’ di fantasia finanziaria, da non confondere con la finanza “creativa” praticata per troppi anni.
Esiste una terza strada che a mio avviso dovrebbe essere percorsa, quella di un prestito forzoso. Si potrebbe stabilire, sulla falsariga di quanto si fece negli anni ’80 per i punti “congelati” della scala mobile, che oltre una certa soglia di reddito – supponiamo 20 o 30 mila euro – tutti gli italiani, e non solo i lavoratori dipendenti, siano chiamati a sottoscrivere buoni del Tesoro decennali pari al cinque per cento del reddito che supera quel livello minimo. Su questi buoni il Tesoro pagherebbe un interesse, supponiamo, del due per cento, pari grosso modo all’inflazione e non troppo lontano dai tassi pagati oggi dalla Germania per finanziare il proprio debito.