L'umanità è definitivamente fottuta

Comunque "proferire" ha una sola F.
:-o

Il resto merita il solito velo pietoso.

Proferire

Alcuni lettori mostrano perplessità riguardo all'uso di profferire al posto di proferire e ci chiedono quale delle due forme sia più corretta.

Risposta​

«In un libro leggo: "Non riuscì a profferire parola"», scrive S. D. da Cagliari. E prosegue: «Mi risulta che abbia un significato diverso e che dovrebbe essere corretto "non riuscì a proferire parola". È così?». Se il libro da cui è tratta la citazione è un testo non letterario o un testo letterario molto recente, allora quel profferire può rappresentare una scelta arcaizzante; se invece la citazione proviene da un testo letterario risalente anche a pochi decenni fa, allora il fatto che vi compaia il tipo profferire è da considerare normale.

Profferire, infatti, è una variante di proferire che, secondo vocabolari più che autorevoli (come per esempio lo nell’uso italiano attuale ricorre in particolare con il significato di ‘offrire’ (un verbo che ha influito sia sulla sua grafia sia sulla sua flessione) più che con quello di ‘pronunciare’. Nell’italiano antico e in quello della tradizione letteraria, invece, il verbo di cui ci stiamo occupando si è presentato in molte forme diverse: oltre a proferire, che nei vocabolari rappresenta la voce d’entrata, e a profferire, che ne è la variante numericamente più rilevante, possiamo citare proferare, proferére, profferare, profferére e anche profirire. Il Grande dizionario della lingua Italiana diretto prima da Salvatore Battaglia e poi da Giorgio Bàrberi Squarotti (GDLI), nei molti esempi che produce, le inventaria quasi tutte: dal proferere che occorre nella Rettorica di Brunetto Latini al profferere che s’incontra nel volgarizzamento del De amore di Andrea Cappellano; dal proferir presente nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo al profferendo che compare in uno dei Racconti lunghi e romanzi brevi raccolti nel Taglio del bosco di Carlo Cassola. Estendendo la ricerca ai testi archiviati nella Letteratura Italiana Zanichelli (un CD-Rom che comprende testi letterari italiani che vanno dal Duecento al primo Novecento; e a quelli presenti nel Primo Tesoro della Lingua Letteraria Italiana del Novecento (che raccoglie le 60 opere vincitrici del Premio Strega dal 1947 al 2006 e altri 40 romanzi che hanno concorso allo stesso premio nello stesso periodo, si rileva che i due tipi proferire e profferire sono attestati in opere in prosa e in versi che attraversano l’intera tradizione dell’italiano scritto, e che profferire, che si fa progressivamente più raro rispetto a proferire, continua ad affacciarsi, certo sporadicamente, anche in testi letterari in prosa che si collocano in questo millennio, come per esempio Il dolore perfetto di Ugo Riccarelli, del 2004: “L’uomo accolse la decisione del figlio senza profferire verbo”; “si guardava bene da profferire qualsiasi lamento o urlo”. Dunque la formula “profferire parola” non può essere considerata scorretta, ma solo molto più rara di quella parallela “proferire parola”, e certamente marcata, rispetto a questa, in direzione letteraria e alta.

Giuseppe Patota
storico della letteratura e grammatico italiano, professore ordinario di Storia della lingua italiana presso l'Università degli Studi di Siena
 

Proferire

Alcuni lettori mostrano perplessità riguardo all'uso di profferire al posto di proferire e ci chiedono quale delle due forme sia più corretta.

Risposta​

«In un libro leggo: "Non riuscì a profferire parola"», scrive S. D. da Cagliari. E prosegue: «Mi risulta che abbia un significato diverso e che dovrebbe essere corretto "non riuscì a proferire parola". È così?». Se il libro da cui è tratta la citazione è un testo non letterario o un testo letterario molto recente, allora quel profferire può rappresentare una scelta arcaizzante; se invece la citazione proviene da un testo letterario risalente anche a pochi decenni fa, allora il fatto che vi compaia il tipo profferire è da considerare normale.

Profferire, infatti, è una variante di proferire che, secondo vocabolari più che autorevoli (come per esempio lo nell’uso italiano attuale ricorre in particolare con il significato di ‘offrire’ (un verbo che ha influito sia sulla sua grafia sia sulla sua flessione) più che con quello di ‘pronunciare’. Nell’italiano antico e in quello della tradizione letteraria, invece, il verbo di cui ci stiamo occupando si è presentato in molte forme diverse: oltre a proferire, che nei vocabolari rappresenta la voce d’entrata, e a profferire, che ne è la variante numericamente più rilevante, possiamo citare proferare, proferére, profferare, profferére e anche profirire. Il Grande dizionario della lingua Italiana diretto prima da Salvatore Battaglia e poi da Giorgio Bàrberi Squarotti (GDLI), nei molti esempi che produce, le inventaria quasi tutte: dal proferere che occorre nella Rettorica di Brunetto Latini al profferere che s’incontra nel volgarizzamento del De amore di Andrea Cappellano; dal proferir presente nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo al profferendo che compare in uno dei Racconti lunghi e romanzi brevi raccolti nel Taglio del bosco di Carlo Cassola. Estendendo la ricerca ai testi archiviati nella Letteratura Italiana Zanichelli (un CD-Rom che comprende testi letterari italiani che vanno dal Duecento al primo Novecento; e a quelli presenti nel Primo Tesoro della Lingua Letteraria Italiana del Novecento (che raccoglie le 60 opere vincitrici del Premio Strega dal 1947 al 2006 e altri 40 romanzi che hanno concorso allo stesso premio nello stesso periodo, si rileva che i due tipi proferire e profferire sono attestati in opere in prosa e in versi che attraversano l’intera tradizione dell’italiano scritto, e che profferire, che si fa progressivamente più raro rispetto a proferire, continua ad affacciarsi, certo sporadicamente, anche in testi letterari in prosa che si collocano in questo millennio, come per esempio Il dolore perfetto di Ugo Riccarelli, del 2004: “L’uomo accolse la decisione del figlio senza profferire verbo”; “si guardava bene da profferire qualsiasi lamento o urlo”. Dunque la formula “profferire parola” non può essere considerata scorretta, ma solo molto più rara di quella parallela “proferire parola”, e certamente marcata, rispetto a questa, in direzione letteraria e alta.

Giuseppe Patota
storico della letteratura e grammatico italiano, professore ordinario di Storia della lingua italiana presso l'Università degli Studi di Siena

tu quoque? :eek:

Non bastava Cler per proferire pipponi? :corna:
 
Ahahahahahhh
:pollicione:


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Ma dove vogliono andare questi mentecatti?
 

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