Basta barare truccando le carte a partita in corso.
L’idea che chi si sia trovato a gestire l’emergenza pandemica abbia guadagnato il diritto divino
a guidare la fase della ricostruzione post-Covid-19 è una pericolosa menzogna.
Tra i due momenti deve esserci soluzione di continuità.
Serve un time-out per consentire alla comunità nazionale, rimasta letteralmente alla finestra
a subire i divieti del Governo investitosi del potere assoluto col pretesto dello stato d’eccezione,
di rientrare nel gioco democratico e compiere le proprie scelte.
Già, perché un conto sono le misure straordinarie adottate in via eccezionale e temporanea,
altro è ridefinire il profilo produttivo e sociale di un Paese travolto dalla crisi sanitaria.
Per la seconda fase è indispensabile che siano i cittadini, attraverso l’esercizio della sovranità,
a decidere quale futuro vogliano per se stessi e per la nazione.
Non può essere una maggioranza parlamentare, largamente minoritaria nel Paese, a dettare nuovi indirizzi alla società.
Lo scollamento che c’è tra la classe dirigente che governa e le istanze dei ceti produttivi e dei territori
si è reso evidente nelle scorse settimane con lo scontro tra Palazzo Chigi
e la maggior parte delle regioni amministrate da politici di opposto segno rispetto alla maggioranza parlamentare.
Già al momento della nascita del Conte-bis denunciammo la discrasia che si sarebbe determinata tra le regioni del Nord,
che rappresentano la parte più popolosa e produttiva del Paese, governate dalla destra
e il Governo centrale penta-demo-renziano. I fatti di queste settimane ci danno ragione.
Adesso però si esagera.
La combriccola male assortita dei grillini e dei “dem” prova a dare una sterzata in senso iper-statalista al futuro del Paese.
Hanno ragione da vendere i professori Giulio Sapelli e Luca Ricolfi che, in alcune recenti uscite pubbliche, hanno duramente stigmatizzato tale tentativo.
Dichiara
Ricolfi nell’intervista rilasciata lo scorso 8 maggio all’Huffington Post:
“Questo governo è il primo governo esplicitamente e risolutamente iper-statalista della storia della Repubblica.
In esso, infatti, le peggiori pulsioni del mondo comunista ed ex comunista, rappresentato da Pd e Leu,
confluiscono e si saldano con l’ideologia della decrescita felice propria dei Cinque Stelle”.
È dunque questo il futuro che ci attende?
Il sistema delle Piccole e Medie imprese strangolato dai provvedimenti di un Governo che le disprezza e una minaccia:
l’ingresso dello Stato nel capitale delle aziende, magari per azzerarne il valore e venderle più agevolmente ai padrini esteri del Conte bis.
Lo denuncia senza giri di parole Giulio Sapelli :
“...vedo compagnie di ventura aggirarsi e portare via i grandi asset italiani. Rischiamo di perdere imprese strategiche.
Si sta tornando al Seicento. La finanza in mano francese, il Nord-Est nelle mani tedesche e i porti alla Cina”.
E noi gli crediamo.
Non sono chiacchiere ma fatti.
Intendiamoci, siamo stati e siamo convinti assertori dell’intervento dello Stato nella difesa della proprietà delle grandi aziende strategiche.
Ma riaprire il mercato delle vacche per svendere il Made in Italy è tutt’altro affare.
Dopo due mesi di crisi totale del sistema produttivo, le imprese non hanno ricevuto un soldo dalla mano pubblica.
L’emergenza coronavirus sarebbe stata il grimaldello giusto per scardinare il fortilizio della burocrazia
che impedisce all’economia di rimettersi in movimento.
Invece, siamo ancora in attesa di un decreto legge omnibus per le misure di sostegno alle imprese e alle famiglie.
Sono settimane che è in procinto di essere varato, sarà oggi la giornata giusta?
L’unica cosa che è data di sapere è che quando vedrà la luce sarà di almeno 434 pagine e 258 articoli.
Alla faccia della semplificazione!
Regole che si aggiungono ad altre regole in una superfetazione normativa che sembra non avere fine.
Lacci che serviranno a soffocare soprattutto i piccoli imprenditori, già spinti dalle circostanze eccezionali sull’orlo del baratro.
A completare l’opera demolitoria penserà il nuovo provvedimento che annuncerà misure mirabolanti prese dal Governo
che però non raggiungeranno mai i destinatari per le farraginosità dei suoi criteri applicativi.
Come è accaduto con i prestiti garantiti al 100 per cento o al 90 per cento dallo Stato.
Sulla carta tutte le imprese avrebbero dovuto tempestivamente beneficiare dello strumento.
Invece, i dati reali raccontano di un flop spaventoso.
Confindustria, sotto la nuova guida di Carlo Bonomi, è passata all’attacco contro il Governo.
Niente passi felpati e bon ton ma scontro a viso aperto.
E per muoversi in tal modo Confindustria, che è filogovernativa per statuto,
a prescindere da quale colore politico abbia l’Esecutivo in carica, significa che la situazione è catastrofica.
Qual è allora l’obiettivo di questa miscela avvelenata di sinistra e grillismo che ci governa?
Trasformare il Paese in quella che Ricolfi definisce “società parassita di massa”, dove la maggioranza fatta di disoccupati e inoccupati
vivrà in una perenne condizione di semi-indigenza, mantenuta dall’assistenza pubblica nell’appagamento dei bisogni primari.
Non occorre un’indagine scientifica per rilevare la contrarietà degli italiani, popolo da sempre laborioso e creativo,
a finire da pezzente a chiedere l’elemosina allo Stato o alle lobby straniere che si stanno preparando a fare shopping in casa nostra.
Decidere del futuro di una comunità nazionale spetta al sovrano che nel caso di una Repubblica democratica è il popolo.
Se finora abbiamo ritenuto che potesse servire un Governo di salute pubblica per affrontare l’emergenza pandemica,
ora siamo graniticamente convinti che prima di compromettere il futuro dell’Italia in via definitiva debbano essere chiamati gli elettori ad esprimersi.
E non si dica che in periodi di crisi la prassi democratica non possa essere agita.
È una sporca menzogna che serve soltanto la causa di chi armeggia per tenere al potere quelle oligarchie
che pretendono di avere per sé il comando indipendentemente dalla volontà del popolo.
Tale anomalia della democrazia non è figlia dell’oggi ma è da un decennio che la sinistra,
perfetta incarnazione della volontà di dominio delle élite sulla comunità nazionale depotenziata dei suoi diritti,
trova il modo di governare il Paese pur restando minoranza nel voto degli italiani.
L’avere sul colle più alto della politica l’ennesimo personaggio proveniente dal campo della sinistra
ha permesso che “l’anomalia” diventasse status quo.
Ma quanto potrà durare la deroga alla regolarità democratica?
Quanto ancora il Quirinale potrà fingere di non sentire la voce della disperazione che si leva potente e minacciosa dalla gente comune?
L’unico rimedio al peggio?
Elezioni politiche entro l’inizio della stagione autunnale.
Occorre che una forza politica o una coalizione organica di partiti, voluta dal popolo,
prenda in mano le sorti della nazione e approvi subito l’unica legge che gli italiani capirebbero:
per ricominciare a vivere niente nuove leggi e niente tasse per un anno e denari pubblici
dati direttamente alle imprese senza il filtro a maglie strette della burocrazia.
Un consiglio non richiesto a colui che dovrebbe rappresentarci tutti: si sbrighi a concedere le elezioni.
Le ribellioni non vanno più di moda nell’Occidente avanzato, perciò evitiamo di provocarne una
solo per tenere al potere una parte politica che per la maggioranza degli italiani non dovrebbe stare dov’è adesso: in plancia, al timone di nave Italia.