Pasta e pomodoro
Le aziende di trasformazione, dunque, si difendono con questi argomenti: è vero, importiamo un 30% in media di materie prime, ma siamo sempre noi a controllare il processo di lavorazione; siamo noi che garantiamo la qualità e la sicurezza degli alimenti. Non siamo dei contraffattori.
Ma c’è qualcosa che stona. Prendiamo pasta e pomodoro: il dna culturale, prima ancora che gastronomico, del nostro Paese.
Eppure gli stabilimenti italiani, fa osservare ancora la Coldiretti ammassano ogni anno 5,7 miliardi di chili di grano provenienti da Francia, Ungheria, Austria, Germania e Canada.
E, nota ancora con perfidia, l’industria di trasformazione importa 72 milioni di chili di salsa in concentrato dalla Cina: l’equivalente di quasi il 20% della produzione italiana di pomodoro fresco.
Si può discutere a lungo sul modello di agricoltura prevalente in Italia.
Il fronte industriale ha buon gioco a sottolineare l’incapacità strutturale di un sistema frazionato come il nostro a coprire il fabbisogno di cereali (ne importiamo quasi il 45%).
Dopodiché, però, nessun imprenditore spiega fino in fondo perché, su tutte le confezioni di pasta si sprechino i tricolori e i richiami, talvolta anche retorici, al Bel Paese.
Come dire: lasciamo ai convegni le cifre sulle importazioni di grano, ma è meglio che il consumatore non sappia che l’anima dello spaghetto, talvolta, può essere francese, ungherese e perfino Canadese.
E non scrivono nulla sui formaggi.
Per un breve periodo - negli anni 60 - ho abitato in Valsassina proprio accanto ad una nota marca produttrice di taleggio.
Non Vi dico i camion di latte che arrivavano dall'olanda.
Ad un certo punto è cambiato il prodotto..............arrivavano i formaggi già fatti, solo da stagionare
ripeto, negli anni '60.