Ci ha pensato il Presidente dell’Inps, in persona, a spiegare che il problema non sta nella mancanza di moneta
(del resto già lo sappiamo che lo Stato i soldi, magari svalutati dall’eventuale uscita dall’euro, in un modo o nell’altro li trova o li crea),
ma nella iniquità distributiva insita nelle pensioni attuali. Iniquità distributiva rispetto a cosa? Ai contributi versati nel corso della vita di lavoro.
Rispetto al parametro dell’equità (tanto versi altrettanto ti do) alcuni, quelli del “retributivo” spesso ci guadagnano,
e gli altri, quelli del “contributivo”, finiscono col rimetterci. Non c’è che dire: un bello straccio rosso da sventolare dinanzi al toro dell’elettorato infuriato.
Perché, sorge allora la domanda, non si provvede subito a togliere a chi ha più del dovuto per dare a chi percepisce meno del possibile?
Posta tempestivamente domanda al consulente del Governo (Nannicini) la risposta, se l’abbiamo ben capita, c’è stata:
“perché quelli che godono (si fa per dire) di una pensione più alta rispetto ai contributi versati sono moltissimi titolari di trattamenti bassi che diverrebbero infimi,
qualora la giustizia contabile prevalesse sulla solidarietà sociale“.
E qui, francamente, noi avremmo desiderato capire qualcosa di più e cioè se, fatto cento il totale delle pensioni erogate
e lasciati da parte i percettori di trattamenti bassi ancorché maggiorati rispetto ai contributi versati,
il recupero delle disparità fra contributivo e retributivo (compresi i vitalizi ereditati dal passato) mobiliti milioni di euro in misura significativa per fornire risorse vere ai “non-privilegiati”
o se si tratti invece di una misura dagli effetti globali sostanzialmente trascurabili. Con cifre precise.
Visto il nostro diritto ad essere informati, a cui teniamo più che ad essere costantemente lisciati per il verso dei nostri cronici malumori.