NELLE GIORNATE COME QUELLA DI OGGI, AVREI BISOGNO DI PRENDERE QUELLO CHE HA PRESO

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La lettera un ragazzo che si e' suicidato...dovrebbero leggerla i nostri politicanti..

Ho vissuto (male) per trent’anni, qualcuno dirà che è troppo poco. Quel qualcuno non è in grado di stabilire quali sono i limiti di sopportazione, perché sono soggettivi, non oggettivi.

Ho cercato di essere una brava persona, ho commessi molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del malessere un’arte.

Ma le domande non finiscono mai, e io di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità
Tutte balle. Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso riconoscere come mia.

Da questa realtà non si può pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile.
A quest’ultimo proposito, le cose per voi si metteranno talmente male che tra un po’ non potrete pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua corrente, ma ovviamente non è più un mio problema. Il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi se la sente di affrontarlo.

Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche di prospettive.
Non ci sono le condizioni per impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono rappresentato da niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io non c’entro nulla con tutto questo. Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto, cercando di cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione.

Di no come risposta non si vive, di no si muore, e non c’è mai stato posto qui per ciò che volevo, quindi in realtà, non sono mai esistito. Io non ho tradito, io mi sento tradito, da un’epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare.

Lo stato generale delle cose per me è inaccettabile, non intendo più farmene carico e penso che sia giusto che ogni tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste l’alternativa al soffrire: smettere. Se vivere non può essere un piacere, allora non può nemmeno diventare un obbligo, e io l’ho dimostrato. Mi rendo conto di fare del male e di darvi un enorme dolore, ma la mia rabbia ormai è tale che se non faccio questo, finirà ancora peggio, e di altro odio non c’è davvero bisogno.
Sono entrato in questo mondo da persona libera, e da persona libera ne sono uscito, perché non mi piaceva nemmeno un po’. Basta con le ipocrisie.

Non mi faccio ricattare dal fatto che è l’unico possibile, io modello unico non funziona. Siete voi che fate i conti con me, non io con voi. Io sono un anticonformista, da sempre, e ho il diritto di dire ciò che penso, di fare la mia scelta, a qualsiasi costo. Non esiste niente che non si possa separare, la morte è solo lo strumento. Il libero arbitrio obbedisce all’individuo, non ai comodi degli altri.

Io lo so che questa cosa vi sembra una follia, ma non lo è. È solo delusione. Mi è passata la voglia: non qui e non ora. Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza si, e il nulla assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice facendo il tuo destino.

Perdonatemi, mamma e papà, se potete, ma ora sono di nuovo a casa. Sto bene.
Dentro di me non c’era caos. Dentro di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie per i bei momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un insulto alle mie origini, ma un’accusa di alto tradimento.

P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi
Ho resistito finché ho potuto.
 
La lettera un ragazzo che si e' suicidato...dovrebbero leggerla i nostri politicanti..

Ho vissuto (male) per trent’anni, qualcuno dirà che è troppo poco. Quel qualcuno non è in grado di stabilire quali sono i limiti di sopportazione, perché sono soggettivi, non oggettivi.

Ho cercato di essere una brava persona, ho commessi molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del malessere un’arte.

Ma le domande non finiscono mai, e io di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità
Tutte balle. Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso riconoscere come mia.

Da questa realtà non si può pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile.
A quest’ultimo proposito, le cose per voi si metteranno talmente male che tra un po’ non potrete pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua corrente, ma ovviamente non è più un mio problema. Il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi se la sente di affrontarlo.

Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche di prospettive.
Non ci sono le condizioni per impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono rappresentato da niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io non c’entro nulla con tutto questo. Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto, cercando di cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione.

Di no come risposta non si vive, di no si muore, e non c’è mai stato posto qui per ciò che volevo, quindi in realtà, non sono mai esistito. Io non ho tradito, io mi sento tradito, da un’epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare.

Lo stato generale delle cose per me è inaccettabile, non intendo più farmene carico e penso che sia giusto che ogni tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste l’alternativa al soffrire: smettere. Se vivere non può essere un piacere, allora non può nemmeno diventare un obbligo, e io l’ho dimostrato. Mi rendo conto di fare del male e di darvi un enorme dolore, ma la mia rabbia ormai è tale che se non faccio questo, finirà ancora peggio, e di altro odio non c’è davvero bisogno.
Sono entrato in questo mondo da persona libera, e da persona libera ne sono uscito, perché non mi piaceva nemmeno un po’. Basta con le ipocrisie.

Non mi faccio ricattare dal fatto che è l’unico possibile, io modello unico non funziona. Siete voi che fate i conti con me, non io con voi. Io sono un anticonformista, da sempre, e ho il diritto di dire ciò che penso, di fare la mia scelta, a qualsiasi costo. Non esiste niente che non si possa separare, la morte è solo lo strumento. Il libero arbitrio obbedisce all’individuo, non ai comodi degli altri.

Io lo so che questa cosa vi sembra una follia, ma non lo è. È solo delusione. Mi è passata la voglia: non qui e non ora. Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza si, e il nulla assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice facendo il tuo destino.

Perdonatemi, mamma e papà, se potete, ma ora sono di nuovo a casa. Sto bene.
Dentro di me non c’era caos. Dentro di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie per i bei momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un insulto alle mie origini, ma un’accusa di alto tradimento.

P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi
Ho resistito finché ho potuto.
Se è vera è tristissima......
 
Io sono un anticonformista, da sempre, e ho il diritto di dire ciò che penso, di fare la mia scelta, a qualsiasi costo.
 
Ohi ohi ohi son dolori padoan

È Veronica Padoan, figlia del Ministro dell'Economia, che guida il corteo di protesta organizzato assieme agli immigrati «sans papier» della tendopoli abusiva di San Ferdinando,
il Comune della provincia di Reggio Calabria che, con Rosarno, ospita il maggior numero di africani e mediorientali, quasi tutti clandestini e senza documenti,
fra quelli arrivati in gommone fino alle scalette delle navi della nostra Marina Militare (guarda il video).

In molti si sono chiesti cosa ci facesse, fra tanti irregolari, la rampolla di un rappresentante del governo italiano, ma la domanda è rimasta senza risposta.
Veronica Padoan, la giovane accanita manifestante, protetta dai suoi commilitoni del collettivo «Campagna in Lotta», era quasi irriconoscibile,
nascosta dal cappuccio del suo giaccone. Una cosa è certa: è assieme a lei che un gruppo di immigrati è entrato a Palazzo per incontrare le istituzioni.

Il tutto è accaduto nelle prime ore del giorno: i cittadini del piccolo comune pianigiano, usciti di casa per le quotidiane necessità,
si sono trovati davanti un corteo di protesta organizzato, come spesso accade, senza alcun preavviso, dai centri sociali e dai più facinorosi tra gli ospiti della tendopoli.

A preoccupare i sanferdinandesi, i toni sostenuti delle ormai arcinote richieste: «Documenti subito», «migliori trattamenti», «case e lavoro».
Considerando le condizioni precarie di vita (sanità al collasso, trasporti scadenti, servizi sociali inesistenti)
e la mancanza di lavoro anche per i lavoratori calabresi (non bisogna dimenticare che San Ferdinando è, assieme a Gioia Tauro e Rosarno, uno dei tre Comuni sul cui territorio insiste il porto.
Così come non si deve dimenticare che proprio in quel porto si potrebbe consumare, a breve, una delle più gravi tragedie del lavoro degli ultimi anni:
il licenziamento di oltre 400 lavoratori, paventato già parecchie volte negli ultimi mesi, le richieste degli stranieri risultano essere quasi fuori luogo.
 
Mentre dall'altra parte non si ricorda che secondo una stima molto attendibile ( perchè dati certi purtroppo non ci sono)
gli infoibati furono almeno 10.000 Italiani.


Una giovane partigiana con la stella rossa, la stessa dei boia di Tito che hanno scaraventato nelle foibe migliaia di italiani.

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Uno storico che spiegherà agli studenti come «gli infoibati» fossero «una minoranza di poche decine di persone».

E gli esuli che attendono ancora un cenno dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, per un incontro al Quirinale, dopo la sua seconda assenza alle commemorazioni il 10 febbraio.
Non un giorno qualunque, ma il ricordo degli istriani, fiumani e dalmati costretti alla fuga dalle violenze di Tito alla fine della seconda guerra mondiale.

Nel nostro bizzarro Paese il 10 febbraio, che commemora per legge questo dramma, spuntano incontri e manifestazioni patrocinati con soldi pubblici, che negano o riducono i crimini delle foibe.
 
Domenica prossima, non a caso ad Arcore, il Comune e l'Associazione partigiani organizzano un incontro che non lascia dubbi:

«Io ricordo...tutto - Operazione foibe fra storia e mito».

Il «tutto» riguarda ovviamente le nefandezze contro gli slavi compiute dal regime fascista e dall'esercito italiano prima e durante la seconda guerra mondiale.

La relatrice, presentata dall'assessore alal Cultura di Arcore, è Claudia Cernigoi nota «eroina» di chi tende a ridurre, se non a negare il dramma delle foibe.

Non è l'unico caso. A Firenze gli esuli sono in subbuglio per un evento legato al 10 febbraio gestito dall'Associazione partigiani e rivolto ad un pubblico di studenti.
«hanno appreso che l'11 febbraio le associazioni Resistenza e Antifascismo militante» organizzano «a Costa Volpino, frazione di Corti, (l'evento) dal titolo

"Foibe e che ha, come sottotitolo, ... approfondimento critico...".

Come ha raccontato ieri il Tempo, il protagonista del dotto convegno è lo storico Piero Purini altro riduzionista.
Purini si era scagliato contro lo spettacolo teatrale Magazzino 18 di Simone Cristicchi, che ha portato con grande successo sul palcoscenico il dramma delle foibe e dell'esodo.
Secondo lo storico «gli infoibati furono una minoranza di poche decine di persone».
E «sull'esodo, ha giocato molto di più la paura di un sistema economico e politico demonizzato dal fascismo,
dalla Chiesa e dall'influente DC che di la dal confine spingeva per la partenza del maggior numero di persone».

I senatori chiedono al ministro dell'Istruzione «se non ritenga scandalosa, in occasione delle giornate di commemorazione di un episodio ormai riconosciuto,
dopo anni di oblio, dalla storia ufficiale, che associazioni nostalgiche del comunismo organizzino una conferenza che offende la memoria delle tante vittime italiane».

Ed ancora «se non ritenga incompatibile con le commemorazioni l'assegnazione di crediti formativi per gli studenti partecipanti a questo evento».
 
Il “moto di odio e di furia sanguinaria” [si sta citando una frase di Napolitano – ndr] dovrebbe riferirsi alle 798 vittime ufficialmente ritrovate nelle cosiddette foibe,
cioè le cavità carsiche presenti in territorio giuliano e istriano, fra il 1943 e il 1945.
Infatti, nonostante i numeri sparati a caso di volta in volta dai vari esponenti politici, dall’estrema destra alla sinistra più ossequiosa,
gli unici corpi ritrovati furono quelli che il maresciallo dei Vigili del Fuoco Harzarich ripescò nel biennio ’43-’45 (ribadiamo: fonte ufficiale fascista, quindi interessata ad amplificare l’accaduto).
Poi più nulla. A ben vedere, in un contesto territoriale e temporale in cui morirono 50 milioni di persone, parlare di “moto di odio e di furia sanguinaria” sfiora il controsenso.


La falsificazione è palese. Del resto liquidare il capitolo foibe con la mera contabilità dei corpi effettivamente ritrovati è semplicemente folle.
Primo, per le difficoltà oggettive del compito di riesumazione (del resto una delle ragioni dell’infoibamento è appunto l’occultamento dei corpi).
Secondo, perché l’espressione “foibe” è chiaramente una sineddoche (figura retorica che sta a indicare una parte per il tutto)
in cui vengono convenzionalmente incluse anche le vittime di campi di concentramento, processi sommari etc. che pure non finirono nelle cavità carsiche,
esattamente come nella letteratura sulla sorte degli ebrei nella Seconda guerra mondiale si parla sia delle fucilazioni sul fronte dell’est che dei campi di concentramento.

Quanto al “contesto territoriale e temporale in cui morirono 50 milioni di persone”, definire il ragionamento capzioso è dire poco.
Come se immensi sconvolgimenti durati anni su interi continenti fossero paragonabili a stragi perpetrate in pochi mesi su una minuscola porzione d’Italia.
Come se, in generale, il massacro grande “mangiasse” il massacro piccolo, secondo una logica per cui Hiroshima potrebbe essere liquidata con una nota a pie’ pagina nei libri di storia.

Quanto alla difficoltà di ragionare sui morti effettivamente ritrovati, si consideri solo che nella famigerata foiba di Basovizza si è dovuto,
macabramente, ragionare per “metri cubi di cadaveri” per avere un’idea dell’entità delle uccisioni avvenute in quel luogo.

Scrisse tempo fa il Corriere della Sera:


Un cippo sulla foiba di Basovizza, sulla lastra di pietra che chiude per sempre la voragine in cui furono precipitati i martiri di Trieste e della Venezia Giulia, ne riporta incisi i livelli.
In origine la profondità risultava di 300 metri. Nel 1918 era di 228: la differenza era costituita da depositi di detriti, di carbone e di munizioni gettate là dentro dopo la guerra mondiale.
Nel 1945, all’ultima misurazione, la foiba era profonda 135 metri: la differenza, stavolta, si doveva ai cadaveri degli italiani assassinati precipitandoli, spesso vivi, nell’abisso.
Quanti? Forse 2.000, ma un conto esatto non si potrà mai fare. Fu detto, con brutale espressione, che a Basovizza c’erano 500 metri cubi di morti. Quattro per metro cubo.
 

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