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..."De Benedetti ha offerto il posto di ministro delle Finanze a (tenetevi forte) Benjamin Netanyahu.
Lo ha detto lo stesso ministro israeliano a un giornale di laggiù, Yediot Ahronot: «ho avuto non molto tempo fa la proposta di diventare il ministro delle Finanze in Italia, ma ho preferito restare in Israele».
E non aveva l'aria di scherzare."...
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=852¶metro=economia
Maurizio Blondet
21/12/2005
Via uno, prontamente sale un altro: «Maggiordomi di referenti occulti, di casta, fiduciari internazionali»
Ecco subito le losche manovre per la successione a Fazio.
Una girandola di nomi: Padoa Schioppa, Monti, Draghi, Siniscalco, Amato, Desario…
Uno peggio dell'altro.
Maggiordomi di referenti occulti, di casta, fiduciari internazionali.
Ciampi preme dietro le quinte per un suo uomo, e così i capitalisti senza capitale.
Tanti nomi.
Ma silenzio corale sul tema centrale: la necessaria riforma di Bankitalia.
E ne hanno buoni motivi.
Perché sul piano tecnico, Bankitalia può essere sostituita da un direttore generale, due vice, e un centralino con linea fissa sulla BCE, da cui prendere gli ordini.
Bastano una ventina di persone, anziché le centinaia di strapagati funzionari parassiti.
Che costano al contribuente sui 4.500 miliardi di lire l'anno.
Ma se Bankitalia fosse solo un costosissimo ente inutile, non si spiegherebbe la corsa generale ad occuparne il vertice con propri fiduciari.
Fatto è che, persa la responsabilità dell'emissione monetaria, distrutta nella vergogna l'altra funzione istituzionale, il controllo della limpidezza delle banche, la Banca d'Italia solo apparentemente non ha più poteri.
I suoi poteri oggi sono indefiniti, ossia senza confini.
Proprio ciò rende appetibile questo ente sopravvissuto a se stesso.
Non c'è niente di meglio di una burocrazia dai poteri imprecisati per usarla nelle più spregiudicate manovre.
L'uomo giusto a quel vertice del nulla può allargare poteri che non sono limitati da alcuna legge, arrogarsi funzioni di governo e sottogoverno, di pressione e d'influenza palese ed occulta.
Già Fazio ne aveva dato la prova, creando dal nulla la relazione annuale come cerimonia pubblica: dove dava i voti al governo, giudicava i poteri eletti dal popolo.
I giornali, servili, accoglievano le sue banalità come oracoli, come comandi provenienti da un potere «oggettivo»; le spatafiate di Fazio diventavano una specie di contro-programma governativo, un governo-ombra.
Del resto, non è un caso che i disoccupati di lusso di Bankitalia abbiano dilagato nei piani alti della «politica»: da Dini a Ciampi, ma tutti i funzionari dell'ente parassitario sono potenziali «riserve della repubblica».
Beninteso, senza passare mai per quel piccolo, fastidioso dettaglio della democrazia: farsi eleggere dai cittadini.
La cosa è tanto più allarmante oggi, perché va inquadrata nel piano dei cosiddetti, sfiatati, poteri forti italioti di creare il partito «illuminatissimo».
Smantellato il potere democristiano dei Fiorani e dei Fazio, messo alle corde l'asse D'Alema - COOP rosse con le cannonate del loro giornale, Il Corriere, e le sue scandalose «soffiate» di segreti istruttorii, ora gli industriali senza-industrie stanno scegliendo i loro ministri prossimi venturi.
Carlo De Benedetti, autonominatosi «tessera numero uno» del Partito Democratico ancora inesistente, ma che sostituirà l'Ulivo e i suoi cespugli (Prodi è solo un «amministratore straordinario» di transizione), si sta prodigando fino al ridicolo.
Le sue cene all'Harry's bar di Venezia con Massimo Cacciari, un «illuminatissimo», sono solo una parte di questa selezione del personale.
De Benedetti ha offerto il posto di ministro delle Finanze a (tenetevi forte) Benjamin Netanyahu.
Lo ha detto lo stesso ministro israeliano a un giornale di laggiù, Yediot Ahronot: «ho avuto non molto tempo fa la proposta di diventare il ministro delle Finanze in Italia, ma ho preferito restare in Israele».
E non aveva l'aria di scherzare.
Un ingenuo si chiederà: ma non dovrebbe essere il premier a scegliere i ministri?
E poi, si può fare ministro uno straniero?
Ingenui.
È la globalizzazione, ragazzi.
Ciò che conta è che Netanyahu, come ministro delle Finanze del suo paese, ha attuato una politica brutalmente super-liberista.
E' questo che conta.
I poteri forti italioti, si sa, sono forti solo nel cortile italiano, già in Svizzera nessuno li conosce. Proprio per questo, hanno bisogno di «politici» di loro scelta, che gli garantiscano la sopravvivenza.
Vogliono accaparrarsi altri monopoli da privatizzare, altre Telecom, altre Omnitel, Autostrade e così via: grassi orticelli dove, per diventare ricchi, non c'è bisogno di spremersi il cervello con idee imprenditoriali.
Al riparo dalla competizione cinese, al riparo da tutto.
La mondializzazione competitiva, se la ciuccino gli operai; i padroni si sono messi al sicuro.
Fatto sta che la selezione procede.
Vi partecipa anche Paolo Mieli, il direttore de Il Corriere.
E' stato colto da Dagospia (nell'Italia della commedia dell'arte, è il notiziario meglio informato insieme a Striscia la Notizia) a colloquio con Franco Carraro.
Si dicevano: «ma se ti fanno ministro, che ci fai poi con 100 mila euro l'anno?».
Già.
I ministri sono pagati meno di un dattilografo di Bankitalia.
Stiamo parlando di un mondo dove 100 mila euro sono un salario da fame, ed è vero, se un direttore di ASL sta sui 250, e un direttore generale ministeriale supera i 330.
Dove un Billé della Confcommercio aveva in casa 2 milioni di euro in opere d'arte, frutto di uno storno di 15 milioni di euro l'anno da un ente della Confcommercio finanziato con prelievo sui redditi dei dirigenti di commercio.
Insomma gente che vive di prelievi pubblici e parapubblici, che si arricchisce con le nostre tasche e con i nostri contributi obbligatori.
Di noi per cui 100 mila euro l'anno sono un sogno proibito.
Ma quando si è ricchi, i soldi non bastano mai.
Non arrivano a fine mese, i ricchi di stato.
La vera riforma dovrebbe partire da qui: dal ridurre i parassiti al salario che merita la loro utilità. Ma non si farà mai.
Maurizio Blondet
Lo ha detto lo stesso ministro israeliano a un giornale di laggiù, Yediot Ahronot: «ho avuto non molto tempo fa la proposta di diventare il ministro delle Finanze in Italia, ma ho preferito restare in Israele».
E non aveva l'aria di scherzare."...
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Maurizio Blondet
21/12/2005
Via uno, prontamente sale un altro: «Maggiordomi di referenti occulti, di casta, fiduciari internazionali»
Ecco subito le losche manovre per la successione a Fazio.
Una girandola di nomi: Padoa Schioppa, Monti, Draghi, Siniscalco, Amato, Desario…
Uno peggio dell'altro.
Maggiordomi di referenti occulti, di casta, fiduciari internazionali.
Ciampi preme dietro le quinte per un suo uomo, e così i capitalisti senza capitale.
Tanti nomi.
Ma silenzio corale sul tema centrale: la necessaria riforma di Bankitalia.
E ne hanno buoni motivi.
Perché sul piano tecnico, Bankitalia può essere sostituita da un direttore generale, due vice, e un centralino con linea fissa sulla BCE, da cui prendere gli ordini.
Bastano una ventina di persone, anziché le centinaia di strapagati funzionari parassiti.
Che costano al contribuente sui 4.500 miliardi di lire l'anno.
Ma se Bankitalia fosse solo un costosissimo ente inutile, non si spiegherebbe la corsa generale ad occuparne il vertice con propri fiduciari.
Fatto è che, persa la responsabilità dell'emissione monetaria, distrutta nella vergogna l'altra funzione istituzionale, il controllo della limpidezza delle banche, la Banca d'Italia solo apparentemente non ha più poteri.
I suoi poteri oggi sono indefiniti, ossia senza confini.
Proprio ciò rende appetibile questo ente sopravvissuto a se stesso.
Non c'è niente di meglio di una burocrazia dai poteri imprecisati per usarla nelle più spregiudicate manovre.
L'uomo giusto a quel vertice del nulla può allargare poteri che non sono limitati da alcuna legge, arrogarsi funzioni di governo e sottogoverno, di pressione e d'influenza palese ed occulta.
Già Fazio ne aveva dato la prova, creando dal nulla la relazione annuale come cerimonia pubblica: dove dava i voti al governo, giudicava i poteri eletti dal popolo.
I giornali, servili, accoglievano le sue banalità come oracoli, come comandi provenienti da un potere «oggettivo»; le spatafiate di Fazio diventavano una specie di contro-programma governativo, un governo-ombra.
Del resto, non è un caso che i disoccupati di lusso di Bankitalia abbiano dilagato nei piani alti della «politica»: da Dini a Ciampi, ma tutti i funzionari dell'ente parassitario sono potenziali «riserve della repubblica».
Beninteso, senza passare mai per quel piccolo, fastidioso dettaglio della democrazia: farsi eleggere dai cittadini.
La cosa è tanto più allarmante oggi, perché va inquadrata nel piano dei cosiddetti, sfiatati, poteri forti italioti di creare il partito «illuminatissimo».
Smantellato il potere democristiano dei Fiorani e dei Fazio, messo alle corde l'asse D'Alema - COOP rosse con le cannonate del loro giornale, Il Corriere, e le sue scandalose «soffiate» di segreti istruttorii, ora gli industriali senza-industrie stanno scegliendo i loro ministri prossimi venturi.
Carlo De Benedetti, autonominatosi «tessera numero uno» del Partito Democratico ancora inesistente, ma che sostituirà l'Ulivo e i suoi cespugli (Prodi è solo un «amministratore straordinario» di transizione), si sta prodigando fino al ridicolo.
Le sue cene all'Harry's bar di Venezia con Massimo Cacciari, un «illuminatissimo», sono solo una parte di questa selezione del personale.
De Benedetti ha offerto il posto di ministro delle Finanze a (tenetevi forte) Benjamin Netanyahu.
Lo ha detto lo stesso ministro israeliano a un giornale di laggiù, Yediot Ahronot: «ho avuto non molto tempo fa la proposta di diventare il ministro delle Finanze in Italia, ma ho preferito restare in Israele».
E non aveva l'aria di scherzare.
Un ingenuo si chiederà: ma non dovrebbe essere il premier a scegliere i ministri?
E poi, si può fare ministro uno straniero?
Ingenui.
È la globalizzazione, ragazzi.
Ciò che conta è che Netanyahu, come ministro delle Finanze del suo paese, ha attuato una politica brutalmente super-liberista.
E' questo che conta.
I poteri forti italioti, si sa, sono forti solo nel cortile italiano, già in Svizzera nessuno li conosce. Proprio per questo, hanno bisogno di «politici» di loro scelta, che gli garantiscano la sopravvivenza.
Vogliono accaparrarsi altri monopoli da privatizzare, altre Telecom, altre Omnitel, Autostrade e così via: grassi orticelli dove, per diventare ricchi, non c'è bisogno di spremersi il cervello con idee imprenditoriali.
Al riparo dalla competizione cinese, al riparo da tutto.
La mondializzazione competitiva, se la ciuccino gli operai; i padroni si sono messi al sicuro.
Fatto sta che la selezione procede.
Vi partecipa anche Paolo Mieli, il direttore de Il Corriere.
E' stato colto da Dagospia (nell'Italia della commedia dell'arte, è il notiziario meglio informato insieme a Striscia la Notizia) a colloquio con Franco Carraro.
Si dicevano: «ma se ti fanno ministro, che ci fai poi con 100 mila euro l'anno?».
Già.
I ministri sono pagati meno di un dattilografo di Bankitalia.
Stiamo parlando di un mondo dove 100 mila euro sono un salario da fame, ed è vero, se un direttore di ASL sta sui 250, e un direttore generale ministeriale supera i 330.
Dove un Billé della Confcommercio aveva in casa 2 milioni di euro in opere d'arte, frutto di uno storno di 15 milioni di euro l'anno da un ente della Confcommercio finanziato con prelievo sui redditi dei dirigenti di commercio.
Insomma gente che vive di prelievi pubblici e parapubblici, che si arricchisce con le nostre tasche e con i nostri contributi obbligatori.
Di noi per cui 100 mila euro l'anno sono un sogno proibito.
Ma quando si è ricchi, i soldi non bastano mai.
Non arrivano a fine mese, i ricchi di stato.
La vera riforma dovrebbe partire da qui: dal ridurre i parassiti al salario che merita la loro utilità. Ma non si farà mai.
Maurizio Blondet