NON PER METTERVI ANSIA, MA TRA 2 DPCM E' NATALE.

Dopo le proteste seguite alla notizia di un possibile nuovo lockdown
che causerebbe la chiusura di un numero enorme di aziende
i governi europei stanno cercando di gettare acqua sul fuoco e di sedare gli animi.

Ma la stessa Commissione Europea ha parlato di non meno di un milione di aziende che chiuderanno

e non riapriranno più (solo il gruppo Zara ha chiuso ben 1.200 negozi).



Numeri impressionanti cui i governi stanno cercando di porre un freno
varando misure e aiuti a pioggia per le micro e piccole imprese (che è bene ricordarlo sono oltre il 90% del totale).

In Italia, il governo ha previsto
due mensilità di bonus 600 Euro per gli autonomi,
altre due di bonus da mille Euro (ma con molti limiti),
contributi a fondo perduto di mille Euro per le persone fisiche
e 2mila per le società versati dall’Agenzia delle Entrate in base al calo del fatturato e prestiti con garanzia statale.

A questi aiuti si aggiungono quelli “automatici” promessi ad alcune categorie
secondo il governo particolarmente compite dalle chiusure anticipate e serali.

Analoghe le misure introdotte negli altri paesi europei:
ai lavoratori autonomi francesi e spagnoli verranno concessi sussidi mensili fino a 1.500 Euro
(ai quali si aggiunge un aiuto fino a 10mila Euro in base alla riduzione del fatturato),
ai loro colleghi tedeschi un sussidio una tantum fino a 9mila Euro a fondo perduto (sempre in funzione del danno subito).



Tutte decisioni contenute in DPCM o in microfinanziarie scritte in fretta e furia.

Nessuno, né i vari capi di stato né i loro ministri né l’opposizione
(che, in teoria, dovrebbe essere molto attenta a questi particolari)
ha spiegato ai cittadini dove i governi prenderanno questi soldi (le “risorse”).


A Marzo scorso, dopo aver finalmente capito che non era un problema che riguardava solo l’Italia
e che al lockdown sarebbe seguita una crisi economica senza precedenti,
la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, rassicurò tutti annunciando aiuti per oltre mille miliardi
(sono ancora vive nella memoria le immagini della proiezione alle sue spalle con questa cifra scritta a caratteri cubitali).

Una somma poi scesa a 750 miliardi.

A Giugno, nello “Strumento di ripresa e resilienza” (sembra quasi che in certi uffici si spenda di più in consulenti di marketing che in economisti),
questa somma era diventata 560 miliardi di Euro, di cui 310 miliardi in sovvenzioni e 250 miliardi in prestiti.

Comunque tanti soldi.

Eppure, anche in questo caso, nessuno si è preso la briga di chiedere da dove dovevano arrivare.


Gli “aiuti” che dovrebbero permettere di arginare, almeno in parte (vedremo tra un attimo perché),
i danni causati dalla pandemia dovrebbero provenire dal PEPP, il Pandemic emergency purchase programme,
un programma di acquisto di attività lanciato dalla BCE.


“Tempi straordinari richiedono azioni straordinarie. Non ci sono limiti al nostro impegno per l’Euro”, ha scritto via Twitter la Lagarde.


Uno strumento per cercare di contenere l’impatto della pandemia sui mercati e sui bond

che prevede che a fornire gli aiuti per i cittadini Europei siano ….gli stessi cittadini europei.



Il PEPP è detto anche “QE pandemico”.

Per comprendere le conseguenze della decisione di ricorrere ad un PEPP di centinaia di miliardi di Euro
è necessario fare un passo indietro e capire bene cos’è il QE.


Se un paese attraversa un momento di crisi, lo stato, per sostenere la spesa maggiore
che comporta più debiti per finanziare opere pubbliche e interventi, può immettere nuova valuta sul mercato.

Ciò dovrebbe fare da volano per far ripartire consumi, gli investimenti, la produzione e, quindi, creare nuovo lavoro e benessere.

Ed è quello che fanno alcuni paesi che ancora conservano la propria indipendenza e sovranità monetaria.


Questo modo di fare, però, ha anche un aspetto negativo a lungo andare: produce un aumento del debito del paese e fa aumentare l’inflazione.

Inoltre, più lo stato è indebitato, maggiore è il rischio e di conseguenza il tasso di interesse che lo stato (ovvero i contribuenti)
dovrà pagare per invogliare gli investitori ad acquistare titoli pubblici.

Tutto questo rischia di generare un processo a catena quasi inarrestabile.


Per evitare questo fenomeno, un governo può decidere di chiedere aiuto ad un soggetto terzo, una banca,
che accetta di aiutarlo accontentandosi di interessi molto più bassi.

In cambio, però, la banca ha la possibilità di utilizzare questi investimenti come base certa per fondi che contengono titoli ben più rischiosi.

Ma non basta dato che sono le banche a controllare la Banca d’Italia e, indirettamente, della BCE,
emettere la valuta per acquistare questi titoli è già un guadagno non indifferente.


Anche in questo caso, esistono aspetti negativi:

il primo è che si tratta di uno strumento che non può durare all’infinito
(se i conti pubblici non vengono sistemati velocemente, il rischio è che si finisca a trovarsi nell’assurdità che a comprare i titoli pubblici
è lo stesso stato, tramite la Banca centrale che, per farlo, utilizza i soldi stampati dalla stessa banca).

E poi la “dipendenza” di uno stato dalle banche.


É questo il Quantitative Easing, o “alleggerimento quantitativo” (altro eufemismo da marketing di basso livello).

La BCE acquista titoli di stato (in genere obbligazioni a breve e medio termine).

Ma, per farlo, emette nuova moneta (direttamente o tramite le banche nazionali).

In questo modo, il prezzo dei titoli sale e il loro rendimento scende.

Grazie a questo denaro (virtuale e no messo in circolazione), i governi pagano meno in interessi,
ma, per contro, la moneta si svaluta (effetto importante specie per i mercati esteri e gli scambi internazionali ) e aumenta l’inflazione.

Il principio su cui si basa questo strumento sarebbe che limitando la circolazione di moneta
(che rimane nel circuito finanziario come moneta virtuale), gli effetti collaterali dovrebbero essere limitati.

Uno strumento che partito da teorie keynesiane (sostenere i mercati mediante l’emissione di moneta)
giunge a conclusioni esattamente opposte (non far circolare moneta)!


L’impatto sull’inflazione e sulla svalutazione di questo strumento potrebbe essere rilevante e difficile da controllare.

É per questo motivo che, negli ultimi anni, le emissioni di QE sono state estremamente contenute: 20/30 miliardi di Euro al mese.

Non di più.

E ogni volta solo dopo pesanti pressioni sulla BCE (guidata da Draghi).


Ora, però, con il PEPP la BCE (guidata dalla Lagarde) dovrebbe emettere in soli sei mesi il doppio delle emissioni degli ultimi due anni.

Una manovra che potrebbe avere effetti devastanti.


Ma non basta.

Quando si parla di “emissione di moneta” (reale o virtuale che sia) e di “titoli di stato”, spesso si dimentica che costituisce un debito per le casse dello stato.

Un debito che dovrà essere ripagato grazie alle entrate.

Ma in un momento in cui la parola d’ordine è “chiudete pure le vostre attività, tanto vi daremo qualcosa con cui sopravvivere (e non lamentarvi scendendo in piazza)”,
le previsioni per i prossimi anni sono assolutamente negative.

La stessa Germania, ieri, ha dovuto rivedere le proprie stime portando la crescita del PIL quasi a zero.

In Italia, la situazione è ben peggiore: se tutto andrà bene (e le previsioni dicono che non è così) il PIL non raggiungerà la doppia cifra…negativa!


Qualche giorno fa, durante l’audizione sulla nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (Nadef)
davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, Eugenio Gaiotti, capo del dipartimento di economia e statistica della Banca d’Italia (Bankitalia s.p.a.),
ha detto semplicemente e semplicisticamente che una banca centrale (come la BCE), può creare moneta “dal nulla”:

“come qualsiasi banca centrale la BCE acquista titoli e crea moneta, crea proprie passività per sostenere l’economia. Tutto qua”.

La verità è che non è “tutto qua”.

Se così fosse, nessun paese avrebbe bisogno di misure di austerità,
di sacrifici e aumento del carico fiscale perché “mancano i soldi” nei bilanci di fine anno.

Sacrifici e sprechi che sono una delle cause della crisi attuale e della incapacità di far fronte ad un periodo di crisi.

Sacrifici che hanno portato molti cittadini a non potersi curare a causa dell’inserimento di molti farmaci in fascia B o C.

Sacrifici che hanno portato i governi a tagliare migliaia di posti letto negli ospedali.

Strutture che, oggi, avrebbero consentito di evitare spese improvvise (e molto maggiori) per adattare strutture precarie.

E poi sprechi.

Come quelli per armi e armamenti.

In un momento critico come quello attuale lascia a bocca aperta leggere nel Documento Programmatico pluriennale della Difesa
per il triennio 2020-2022 che il Ministero della Difesa prevede, 800 milioni di Euro per il 2020, altri 747 per il 2021, e 700 per il 2022,
per l’acquisto dei tanto criticati F-35.

Quanti pazienti sarebbe possibile curare con quei miliardi di Euro?

Quanti posti letto di terapia intensiva sarebbe stato possibile attivare (o non chiudere frettolosamente)?


E quante aziende sarebbe stato possibile salvare rilanciando davvero l’economia del paese:

nessuno dei grandi e saccenti economisti e dottori della finanza (sia Europei che nazionali)

ha detto che la vera ricchezza per un paese non la si crea gettando aiuti a pioggia (pagati dagli stessi cittadini)

né creando debiti insolvibili; la si crea promuovendo il lavoro e la produzione di beni.



É da questo che deriva quel valore aggiunto che permette di stimolare il mercato e favorire gli acquisti
(proprio il contrario di quello che è stato fatto negli ultimi mesi chiudendo i negozi).

Quel valore aggiunto che permette due cose intanto di generare ricchezza per lo stato.

E poi, aspetto tutt’altro che secondario, di distribuirla più equamente abbassando l’indice di Gini a livelli accettabili.


Parlare di patrimoniale o di vendita di pezzi dello stato (come fatto negli ultimi anni da Monti in poi) non serve a nulla:
serve solo a impoverire lo stato e privare i cittadini di parte del loro patrimonio storico e culturale
(ma anche immobiliare: la differenza tra l’Italia e gli altri paesi Europei in termini di proprietari di prime case è enorme).

Un patrimonio che non è illimitato e che quindi non può essere venduto per sempre.


Ma per allora forse non ci saranno più nemmeno gli italiani:

le previsioni dell’Istat parlano di un calo esponenziale della popolazione e di un aumento dell’età media.


Chi pagherà le centinaia di miliardi di debiti oggi sbandierati al vento come “aiuti”?

Un argomento del quale nessuno sembra voler parlare.
 
Abbiamo a che fare con dei dementi al quadrato.
Se mi chiudi bar, ristoranti e via discorrendo, dove sono i punti di aggregazione ?

I TRASPORTI

E' lampante.
E chi viene colpito da questo virus ? Il 6% dei positivi. E soprattutto, ANZIANI
E sempre su dati farlocchi.


Il problema non è il se, ma il come e il quando.

Il governo è pienamente avviato verso un nuovo giro di restrizioni per arginare la marea dei contagi.

Oggi 31.084, in cinque giorni, da lunedì, quasi 122 mila, per un trend in continua ascesa e che non vede segnali di inversione,
con la prospettiva di arrivare venerdì prossimo a sfiorare una cifra doppia.

E’ per questo che al governo si ragiona non più sull’opportunità o meno di procedere a un ulteriore giro di vite, ma come farlo.


Le strade aperte davanti a Giuseppe Conte sono tre.

La prima prevede il lockdown, probabilmente non tetragono come quello della scorsa primavera, ma poco ci manca.
Le misure sono quelle previste dal quarto scenario dello studio dell’Istituto superiore di sanità:

chiusura delle scuole,
ulteriori limitazioni se non chiusura di bar e ristoranti,
chiusura di altre categorie di attività commerciali,
possibili limiti alla mobilità regionale,
limitazione di contatti sociali.

La seconda un massiccio intervento per determinare zone rosse locali, a livello comunale, provinciale e in extrema ratio regionale.
Zone limitate a cui applicare un dispositivo di norme da lockdown,
dalle quali non si potrebbe uscire se non per comprovate esigenze di necessità.

La terza prevede un mix delle prime due: un’ulteriore stretta, ma più morbida, nell’intero Paese unita alla creazione di zone rosse territoriali.


Nel governo la situazione è accesa.


Conte è stato costretto a convocare un vertice con i capidelegazione e Lucia Azzolina dedicato alle scuole.

Mentre la ministra dell’Istruzione, supportata dal Movimento 5 stelle e da Italia viva,
impugnerebbe senza esitare le ordinanze regionali ulteriormente restrittive sulle classi poste in didattica a distanza
e non vuol sentir parlare di uno stop a livello nazionale, per il Partito democratico e per Roberto Speranza
l’asticella è stata ormai superata, e andrebbero al contrario incentivati i governatori delle Regioni più a rischio a procedere in tal senso.


E’ solo uno dei tasselli che compone il puzzle di una situazione intricatissima,
nella quale si innestano i problemi di una maggioranza litigiosa e sfilacciata.

Conte prende tempo, si fa forte di una serie di ragioni.

La prima è quella che gli effetti dell’ultimo dpcm non hanno avuto ancora impatto sulla curva dei contagi.

“Servono minimo dieci giorni”, spiega una fonte che lavora al dossier,
e dunque prime di mercoledì o giovedì prossimi un rallentamento della crescita non si vedrà.

“Ma a quel punto sarà troppo tardi, saremo totalmente fuori controllo”, obiettano dal ministero della Salute,
da sempre guida dell’ala rigorista dell’esecutivo, che spinge per una serie di misure ancora più dure già dalla settimana prossima.


Il secondo dato che conforta l’attesa del premier è quello sulla natura dei contagi:
attualmente le terapie intensive occupate sono 1740 su potenziali 10.300, circa l′80% dei casi è asintomatico, il 94% è gestito da casa.

Certo, alcune zone del paese (Lombardia, Piemonte, Campania, Lazio) sono più in sofferenza di altre,
ma un margine per vedere i potenziali effetti dell’ultimo dpcm, è parere di una parte dell’esecutivo, c’è.


Il governo si sta nei fatti preparando a mesi difficili.

Conte ha incontrato oggi i leader sindacali, assicurando la proroga del blocco dei licenziamenti fino a marzo.

Dall’altra ha promesso alle aziende che verranno stanziati ulteriori quattro miliardi affinché sia lo stato, e non le aziende, a pagare la cassa integrazione.


Il quadro è in rapidissima evoluzione.

Solo il 12 ottobre scorso il commissario Domenico Arcuri rassicurava: “La situazione non è drammatica”.

Dodici giorni dopo il mondo si era capovolto: “Siamo in un momento per certi versi drammatico”, a spiegare le ulteriori misure.

E, probabilmente, le prossime: la settimana che verrà porterà una nuova stretta, cambierà ancora il modo in cui viviamo.

Resta solo da capire come, e quando.
 
I casi di ieri sono 25.600 positivi.

perchè 5800 sono "guarite" - NON POSITIVE - E' l'esatto contrario.

E' vergognoso che nessuno dica nulla per questa mistificazione dei dati.

Ci trattano come bambini o meglio "dementi".
 
E quelli con sintomi covid - sulla base delle statistiche reali -

saranno sì e no 1.300, cioè lo 0,002% della popolazione.

Che corrispondono ad 1 caso ogni 3000 abitanti.
 
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Questi dati su 10.200.000 abitanti.
 
Ragazi miei, con il kulo degli altri è sempre bello parlare.........


Nelle difficoltà come quelle che viviamo,
il Papa invoca la solidarietà,
il capo dello Stato chiede la solidarietà;
il capo del Governo raccomanda la solidarietà.

Solo attraverso la solidarietà in tutte le sue forme, è possibile tentare seriamente di superare le strettoie del tempo presente,
devastato non tanto dalla pandemia, quanto dall’uso terroristico delle informazioni rese sulla pandemia.

Basti pensare che ogni giorno si urla da giornali e da televisioni

– riprendendo cupi allarmi di Giuseppe Conte o del ministro della Salute, Roberto Speranza –

che la curva dei contagi non fa che salire.


Sciocchezza sesquipedale, questa,


dal momento che a crescere non è mai la curva dei contagi,

ma quella delle rilevazioni fatte attraverso i tamponi sui milioni di contagiati che già ci sono in Italia da mesi e mesi:

più tamponi si fanno e più cresce il numero dei rilevati contagiati.


Volete che ciò che questi mistificatori chiamano la “curva dei contagi” vada giù in picchiata?


Facciamo appena diecimila tamponi in un giorno e non avremo più di milleduecento o milletrecento contagi.

Potremmo dire che la pandemia sia finita.


Volete che salga a dismisura?


Facciamo un milione di tamponi e in un giorno solo giungeremo a oltre centomila contagi.

Potremmo dire di essere ormai perduti per sempre.


Come si vede, una follia, spacciata ogni giorno per verità,

ma ottima per terrorizzare le persone,

moltissime delle quali sono appunto terrorizzate.


Ed essendo quasi tutti terrorizzati, ecco che ci vuole solidarietà.



Infatti, è inutile farsi illusioni: Conte si appresta a chiudere tutto fra poco più di una decina di giorni
– direi nella notte fra sabato 14 e domenica 15 novembre – perché è preferibilmente nel tempo notturno del fine settimana
che Dario Franceschini, ministro della Cultura e Roberto Speranza, ministro della Salute prediligono recarsi a palazzo Chigi
per dettare a Conte le misure da adottare, allo scopo di risultare osservanti di quello che Bernard Henri Lévy definisce il “catechismo virologico”.

E dunque tutti, come a marzo scorso, agli arresti domiciliari per almeno un mese o forse due.



Non si creda, tuttavia, che gli italiani ne siano tutti disturbati o danneggiati.


Non lo sono, in genere, i dipendenti pubblici: non tutti, certamente,

ma quella parte che mette a tacere troppo facilmente le ragioni della coscienza,

posponendo al proprio interesse personale e familiare quello di tutti gli altri.

Sono coloro – e purtroppo non mancano – che vedono nel blocco sociale completo che il Governo stabilirà a breve, una vera cuccagna:

stare a casa in pantofole,

godersi la famiglia,

uscire a fare la spesa e a comprare il giornale,

condurre il cane a passeggio,

dormicchiare davanti alla televisione,

dedicarsi ai propri passatempi,


mentre lo stipendio atterra puntuale sul conto corrente dedicato…che si vuole di più?

Il telelavoro?



Ma finiamola e siamo seri: tranne qualche eccezione, non funziona,

rappresentando solo una provvidenziale finzione sociale alla quale molti appunto fanno finta di credere.

E ditemi voi perché queste persone – che sono milioni – dovrebbero essere scontente del blocco sociale?

Ne sono invece molto, molto soddisfatte e per ciò che le riguarda potrebbero augurarsi che il blocco durasse mesi, anni.


Tuttavia, per questi che sorridono, ce ne sono molti altri che piangono.


Sono tutti i dipendenti privati – che sono in Italia circa otto milioni – c
he non conoscono il loro destino, sempre in bilico fra il perdere definitivamente il posto di lavoro o conservarlo ma in cassa integrazione:
un ammortizzatore sociale, questo, sempre parziale e comunque perennemente tardivo, incapace di arginare il progressivo dissesto finanziario dei più.


Ma sono anche i cosiddetti “autonomi”, quelli che, da nessuno dipendendo, sono avvezzi a darsi da fare,

a inventare il lavoro con le proprie mani e perciò a non poter contare su nessuno:

artigiani, piccoli imprenditori, ristoratori, baristi, professionisti di ogni tipo.

Tutti, senza eccezione, abbandonati letteralmente al loro pessimo destino,

cioè quello di venir gentilmente accompagnati a patire la fame.



Ecco, allora, la solidarietà che andrebbe offerta da coloro che vengono preservati al cento per cento
anche nel blocco sociale completo a coloro che invece ne sarebbero pesantemente danneggiati.


La proposta solidale è la seguente.

I dipendenti pubblici superprotetti in Italia sono circa 4 milioni.

Supponendo che lo stipendio medio netto di ciascuno sia di circa millecinquecento euro, un terzo, cioè cinquecento euro,
andrebbe trattenuto per le mensilità durante le quali si stabilisca il blocco sociale.


Se ne caverebbero in tal modo circa due miliardi di euro al mese, che andrebbero adoperati
per rimpolpare la cassa integrazione dei dipendenti privati e per garantire agli autonomi un sussidio mensile non puramente simbolico.

Altri fondi potrebbero cavarsi da un contributo straordinario del 10 per cento da chiedere a chi goda di un reddito superiore a duecentomila euro all’anno:
fatti i conti si otterrebbe un altro miliardo, da destinare agli scopi di cui sopra.

Insomma, la regola aurea della solidarietà: chi può dare, dà; chi non ha, riceve.


Questo è ciò che non faranno mai, per il semplice motivo che chi si riempie la bocca di solidarietà,

è proprio colui che meno è disposto a praticarla nei fatti, col proprio sacrificio.



E, d’altra parte, chi ha mai detto che la solidarietà sia gratuita?

Al contrario, quella vera comporta ed esige sacrificio e sarebbe questo il momento di dimostrarlo.


Dimenticavo: se lo Stato funzionasse non ci sarebbe bisogno di quanto sopra descritto.

Ma, come sappiamo, non funziona. Nonostante ciò, non lo faranno.
 
Oh, come siamo caduti in basso.
Siamo nella mani di 3 pidioti : Boccia - Franceschini - Speranza.

Ritengo che siamo arrivati proprio al lockdown di questo Governo inefficiente,
falso, dove la sinistra con Francescini sguazza con la Speranza di rimanere a governare vita natural durante.

Il terrore che state propagando sta aumentando il disprezzo nei vostri riguardi da parte del popolo.

Ma pensate che il popolo a fronte delle vostre fandonnie sia ancora degli analfabeti gestibili ?

Siamo così certi che la popolazione accoglierà,una nuova chiusura totale o anche solo parziale,
cantando sui balconi ed esponendo striscioni con scritto"tutto andrà bene"?

Non ne sarei così certo:dopo circa 9 mesi di vuote ed inutili parole siamo punto a capo.

Per quanto ancora sopporteremo,in silenzio, di essere prigionieri nelle nostre case?

Per quanto ancora sopporteremo,in silenzio ,il disfacimento della nostra economia?

Per quanto ancora sopporteremo,in silenzio, la morte delle nostre imprese piccole e grandi?

Per quanto ancora assisteremo,in silenzio, alla disgregazione del tessuto sociale?

Per quanto tutto questo?

Un mese?

Due mesi?

Il tempo dell'attesa passiva sta per finire. Non vorrei che poi arrivasse il tempo dell'ira.
 
"Non c'è un minuto da perdere. Tutto quello che dobbiamo fare, con questi numeri, è scritto qui".

Roberto Speranza mette fretta a tutti quelli che non lo hanno voluto ascoltare nelle scorse settimane
e che hanno da sempre voluto sposare la linea più morbida nell'ambito delle restrizioni contro la diffusione del Coronavirus.

E accelera facendo riferimento alla "nuova Bibbia" del governo: il documento

"Prevenzione e risposta a Covid-19: evoluzione della strategia e pianificazione nella fase di transizione autunno-invernale".

Lo studio dell'Istituto superiore di sanità - stilato in estate, rivisto il primo ottobre -
contiene le diverse modulazioni delle possibili misure da adottare in relazione all'evoluzione degli scenari epidemiologici
e pertanto, sostiene il ministro della Salute, davanti a questi numeri non sarà più possibile fare resistenze contro misure drastiche.


Ed è così che l'incubo lockdown torna ad affacciarsi nel nostro Paese.
 
Ho un documento personale che fa rabbrividire nel leggere - toccato con mano - quanto prende un ospedale
per un ricovero di 7 giorni.


Un indennizzo da 2 mila euro al giorno per ogni ricoverato Covid:
questa la somma percepita dagli ospedali, da parte delle Regioni.

Parole pronunciate nel corso di un’intervista rilasciata ai microfoni di Radio Radio e che hanno fatto subito il giro dei social:

“C’è un listino prezzi, una tariffa per ogni patologia. Per il Covid la regione ti riconosce 2 mila euro al giorno”.


Lo stesso Bertolaso ha parlato delle conseguenze di questo schema adottato dalle strutture sanitarie,
suggerendo controlli mirati per evitare che possa dare origine a pericolosi malcostumi.

Anche perché, di fatto, si tratta di soldi che i cittadini tirano fuori di tasca propria al momento di pagare le tasse.

In collegamento con il programma, insieme a Ilario Di Giovambattista, Stefano Raucci e il direttore di Tuttosport Xavier Jacobelli,
Bertolaso ha spiegato: “Ci sono i famosi Drg che sono le diarie che si riconoscono agli ospedali da parte delle Regioni, e quindi da parte nostra”.


“Queste diarie che vengono pagate agli ospedali hanno una tariffa per ogni patologia.
Per esempio anche per una epatite o un’appendicite, e per quello che riguarda il Covid,
quando viene ricoverato in terapia intensiva o in rianimazione, la stragrande maggioranza dei casi, la Regione ti riconosce 2 mila euro al giorno”.


“È evidente quindi che nel momento in cui tu costruisci un ospedale che serve per la rianimazione del Covid
dagli altri ospedali sono un po’ reticenti a trasferire i malati agli ospedali dedicati al Covid
perché perdono ovviamente 2 mila euro al giorno per ogni paziente che viene trasferito. Soldi che servono per sistemare bilanci traballanti”.
 
Un’analisi piena di errori e valutazioni poco credibili.

Questo, secondo l’economista Riccardo Realfonzo, il giudizio sul Nadef del governo,
la nota di aggiornamento presentata dal governo alle Camere contenente le previsioni economiche e finanziarie dell’esecutivo.

Un documento preparato come peggio non si poteva, secondo il professore dell’Università del Sannio
che, in un’intervista rilasciata ad Affari Italiani, ha spiegato:

“Quanti errori e banalità nel valutare i dati Istat sul terzo trimestre.
Le previsioni Nadef restano poco credibili.
La caduta del Pil sarà a due cifre (certo non meglio delle previsioni Ocse e Fmi, intorno al -10,5%)
e il debito sarà oltre il 160% del Pil a fine anno".


Secondo Realfonzo, dunque,
“il Nadef è da correggere e nel 2022 si porrà il problema della sostenibilità del nostro debito pubblico”.

I dati, in realtà, ci dicono altro rispetto alle stime giallorosse.

Il +16,1% del Pil fatto registrare nel corso del terzo trimestre raccontano di un Paese che ha fatto di tutto per rimettersi in moto.

Ma l’aumento “è da considerarsi rispetto al trimestre precedente, il secondo, quando il Pil aveva registrato un drammatico calo
(12,4% rispetto al trimestre precedente e del 17,3% in termini tendenziali),
molto più grave di quello che si era verificato negli altri Paesi europei, in quanto l’Italia è stata oggetto di un lockdown totale”.


Vero, quindi, che i numeri sottolineano
“una ripresa significativa, ma il dato statistico tradisce: il confronto viene fatto con un trimestre, in cui si è verificato un tonfo notevole.
Il paragone più corretto invece è quello fra il terzo trimestre di quest’anno e quello del 2019,
confronto che registra ancora un calo del livello di produzione (-4,7%, ndr).
Nella nota di aggiornamento al Def (Nadef) il governo ha previsto una caduta del Pil nel 2020 del 9%,
un dato considerato molto ottimistico alla luce delle previsioni degli altri centri studi internazionali.
Se prendiamo le stime dell’Ocse, del Fmi e della Commissione europea abbiamo per l’Italia un calo di circa il 10,5%.
Ora, questo risultato del terzo trimestre ci fa sperare che non si andrà peggio del 10,5%”.


“Nelle loro previsioni, le stesse organizzazioni internazionali e la Banca d’Italia
avevano elaborato anche dei wort case scenario (scenari peggiori, ndr) legati alla ripresa del Covid-19:

-14% nel 2020 secondo l’Ocse,

-13,5% secondo Via Nazionale

e la stessa Nadef prevede che, in caso di una recrudescenza della pandemia,
la previsione del calo del Pil potrebbe attestarsi attorno al 10,5%.

Le dichiarazioni del ministro Gualtieri mi sembrano incoraggianti, però per noi tecnici sembrano soltanto un voler gettare il cuore al di là dell’ostacolo”.


Realfonzo ha concluso sostenendo che “sfonderemo la soglia del 160% nel rapporto debito-Pil,
una situazione ad oggi gestibile, perché da un lato abbiamo accantonato il Patto di Stabilità europeo
e dall’altro lato possiamo soprattutto giovarci degli effetti delle politiche monetarie espansive della Bce.
In futuro, però, dovremo fare i conti con questa situazione”.
 

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