NON PER METTERVI ANSIA, MA TRA 2 DPCM E' NATALE.

«Non dobbiamo aver paura».

Alberto Zangrillo lo ribadisce e spiega il perché.

«Come detto più volte, non dobbiamo confondere il positivo al coronavirus

con il contagiato potenzialmente infettante e soprattutto ammalato».



Secondo il medico «è difficile dire le cose in modo giusto ed essere creduti
perché ho paura che in questo momento abbia vinto chi ha avuto come obiettivo quello di terrorizzare e spaventare».

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«Le persone sono sconcertate, terrorizzate e spaventate. Hanno interpretato male il concetto di tampone.

Per cui c’è una corsa ad eseguire il tampone come se fosse una misura terapeutica.

In realtà adesso il problema sono i pronto soccorso.

Abbiamo fiumane di persone che arrivano al pronto soccorso e non riusciamo a controllarle.

Di queste il 40% potrebbero stare tranquillamente a casa se assistite, se rincuorate, se informate».



Da qui il consiglio di «mantenere tutti i nervi saldi» e di

«cercare di non comportarci in maniera irrazionale.

Noi clinici dobbiamo abituarci a un uso appropriato delle risorse

e mettere in terapia intensiva chi ne ha veramente bisogno. Non sono sicuro che accada».



Pochi giorni fa Zangrillo era stato chiaro.

«Ho cercato di non sovraespormi. Ho sentito la necessità di tutelarmi.
Siamo davanti ad un numero di contagiati molto elevato,
con i miei collaboratori cerchiamo di affrontare la situazione sempre nello stesso modo analizzando i dati».
 
Quel che appare strano è che, ad aprile prima e a settembre poi, Speranza negherà di aver mai avuto sotto mano un “Piano”.

“Solo un semplice studio”, è la sintesi.

In una nota di aprile il ministero sostiene di aver presentato la ricerca il 12 febbraio al Cts e poi di averla aggiornata fino al 4 marzo.

Niente di più.

Le domande però a questo punto si sprecano.

I componenti della task force, infatti, in quanto membri anche del Cts,
erano ben consapevoli che il Comitato stava predisponendo un vero e proprio “Piano operativo”.


Perché allora quando il Copasir ne chiederà conto, Speranza dirà di avere solo uno “studio”?


E perché quando i cronisti domandano il documento, fornirà loro solo lo studio di Merler?

I due documenti sono simili ?

Forse uno ispira l’altro ?

Ma sono due atti distinti.


E poi: se il 2 marzo il Cts dice di averglielo presentato ufficialmente, perché Speranza sostiene che non esista alcun “Piano”?


Nel verbale del 4 marzo, il Comitato scrive testualmente che il “Piano” è stato “redatto dall’Iss d’intesa con il ministero della Salute e l’ospedale Spallanzani”.


Possibile che Speranza non sapesse che i suoi uffici stavano realizzando un “Piano” con misure e indicazioni specifiche?


Un po’ di chiarezza in più, dicono i parenti delle vittime di Bergamo, potrebbe arrivare dalla desecretazione totale dei verbali.
Non solo quelli del Cts, resi ormai pubblici. Ma anche quelli della task force.
O magari basetrebbe condividere ufficialmente quel maledetto “Piano”.


Perché ad oggi, per quanto governo e Cts insistano che non v’è nulla di segreto,

né lo studio di Merler né le bozze del “Piano” sono state rese pubbliche.


Almeno non ufficialmente.
 
O coglione. A 65 anni - oggi - uno può essere più in gamba di un 40enne.
E deve ancora lavorare, perchè in pensione si va a 67 anni.


Lo si potrebbe chiamare lockdown "mirato", "generazionale" o, ancora, "over 65".

Il nome della misura restrittiva, però, poco importanza.

Quel che più conta, infatti, è la sostanza.


Se il coronavirus colpisce in maniera più pesante, fino alle estreme conseguenze,
persone anziane e con patologie allora proprio queste devono essere tutelate maggiormente.

Come?

Con lockdown "personalizzati".

In pratica, quelli che possono essere inclusi nella categoria dei soggetti fragili devono restare a casa.

Una separazione della popolazione su base anagrafica così da poter controllare l’epidemia senza danneggiare l’economia.


L’idea, in realtà non nuova, è stata rilanciata da Giovanni Toti,
presidente della Liguria che a La Stampa ha affermato di essere convinto che sia necessario adottare misure
per proteggere o lasciare a casa le persone gli anziani e chi ha altri seri problemi di salute.

Non che gli altri siano immuni dal coronavirus.

Toti spiega che è vero che anche i giovani si contagiano "ma dopo due o tre giorni di ospedale tornano a casa".

Non è detto che gli "over 65" debbano restare bloccati in casa.

Il governatore della Liguria pensa a fasce dedicate nei negozi esclusivamente a chi ha più di 70 anni.

O, ancora, a tariffe super agevolate per i taxi per gli spostamenti.

Del resto anche i trasporti pubblici possono essere luoghi dove avviene un possibile contagio.

Basti guardare foto e video di metro, bus e tram affollati dove non esiste il distanzi manto di un metro.


Ma questa strada è percorribile?

Circa un mese fa nel Regno Unito i consiglieri scientifici del governo britannico avevano lanciato l’idea di un lockdown per gli over 45.
I documenti del Sage, Scientific advisory group for emergencies, secondo il Daily Mail facevano riferimento ad un piano
per isolare chi aveva oltre 45 anni ed era considerato a rischio. Inizialmente, la misura sarebbe stata bocciata.

Poi qualcuno si è mostrato possibilista a condizione che la soglia d'età dei soggetti si alzi.
"Circa due terzi della popolazione del Regno Unito vive in abitazioni nelle quali sono presenti uno o più individui di almeno 45 anni.
Ogni segmentazione basata su questo criterio anagrafico avrebbe quindi un impatto su molti nuclei familiari",
è un passaggio del verbale redatto dopo il meeting del Sage dello scorso 23 luglio.

Al momento, però non sono stati compitui passi in questa direzione a
nche se nelle ultime settimane anche il Regno Unito ha visto incrementare considerevolmente il numero di persone colpite dal coronavirus.


Toti, però, ammette che la sua è solo una proposta e con il governo non si è discusso di questo argomento.

"Siamo riusciti a mitigare alcune delle limitazioni più dure, l’apertura domenicale dei ristoranti un po’ di respiro lo può dare,
abbiamo perplessità sullo stop agli spettacoli, ai cinema, alle palestre e alle piscine".


Paradossalmente vi è un’alternativa che va in direzione opposta suggerita dallo stesso Toti.

Una sorta di apertura di tutto 24 ore al giorno.

"Diluire la giornata sull’arco temporale più lungo possibile", ha spiegato il governatore che, però, ammette come sia
"difficile spalmare la vita delle persone sulle 24 ore, sono incastri complessi.
Bisogna allineare il sistema, far dialogare aziende private, pubblico impiego, il sistema dell’educazione, riprogrammare le abitudini di vita.
Ma è un modo per resistere".

Il problema ora è assistere i cittadini che non possono lavorare.

Sarà difficile assistere milioni di italiani rimasti senza la possibilità di guadagnare.


"L’approccio di questo governo sconta il presupposto, il pantheon ideologico, del reddito di cittadinanza che diventa reddito di emergenza.
Così si uccide lo spirito stesso dell’economia di un Paese",

ha spiegato il governatore che invita quanti non capiscono che bisogna trovare un equilibrio tra sicurezza sanitaria
e tenuta dell’economia a tenere come monito quanto accaduto a Napoli.

Ma segnali di disagio sociale non arrivano solo dal capoluogo campano.

Manifestazioni di cittadini esasperati per lockdown e coprifuoco si segnalano anche a Roma e Palermo.


Se il governo non interviene subito il rischio di violenze come accaduto davanti al palazzo della Regione a Napoli non possono essere escluse.
 
Facile previsione: a breve, Giuseppe Conte chiuderà tutto,
ben di più di quanto abbia già fatto con il decreto in vigore da oggi,
come e più di quanto accadde nel marzo scorso.

Lo chiedono molti cosiddetti “scienziati”, sottoscrittori di un documento destinato a Conte
e Conte se ne farà solerte e fedele esecutore nei prossimi due o tre giorni.

Non ci sono dubbi in proposito.

Soltanto facendosi guidare dai virologi,
soltanto alimentando un diffuso terrore fra la gente,
soltanto facendo credere ciò che non è,

Conte può infatti sperare di distogliere l’attenzione degli italiani dalle gravissime manchevolezze del suo Governo e della intera maggioranza in questa triste vicenda.



Dico subito ciò che non è e che invece viene giornalmente propinato come vero da tutte le televisioni e da tutti i giornali:

la curva dei contagi non sale affatto, anche se si grida da ogni parte che essa si impenna ogni giorno che passa, cosa, questa, che è una indecorosa menzogna.

Mi spiego:

come ho scritto pochi giorni fa, se oggi – non domani, oggi – si potessero effettuare sessanta milioni di tamponi,
cioè quelli necessari per tutti gli italiani, si troverebbero diversi milioni di positivi, dei quali il 95 per cento del tutto asintomatici.

Infatti, stando ai numeri offerti dal ministero e riportati dai giornali, il rapporto approssimato per eccesso oggi
è di circa dieci trovati positivi al virus ogni cento tamponi effettuati.


Ne viene, per la logica stringente delle proporzioni, che su sessanta milioni di tamponi
– l’intera popolazione italiana – i positivi sarebbero circa sei milioni.

Bene, oggi ci sono già sei milioni di contagiati quasi tutti asintomatici i quali, indisturbati, passeggiano, lavorano,
consumano al bar e si chiudono nelle case con i parenti e i familiari, molti dei quali non contagiati, contagiandoli.

Queste non sono fantasie, ma numeri reali, che però vengono taciuti.


Ecco perché è ridicolo affermare che la curva dei contagi sale:
non sale perché è già oggettivamente altissima e non può salire più di così.

Ed ecco perché affermarlo, con leggerezza pari all’insipienza, è una indecorosa menzogna,
che serve soltanto ad occultare le gravi omissioni del Governo.


Ciò che davvero sale è invece la rilevazione strumentale di una curva di contagi che però già esistono di per sé: e non è affatto la stessa cosa.

Infatti, se si adotta questa prospettiva, che è l’unica vera – secondo la quale i contagiati sono già circa sei milioni, di cui il 95 per cento asintomatico –
allora cambia completamente il modo di vedere le cose.

E valga il vero.


Bisogna smetterla con questa storia che la curva dei contagi sale: è falso.


A salire è soltanto la rilevazione dei contagi, che è direttamente proporzionale al numero dei tamponi effettuati.

Se si parte dai sei milioni di contagiati – già presenti a maggio ed ancora presenti oggi –
la percentuale dei sintomatici non supera il 4 o il 5 per cento del totale.

Di conseguenza, la percentuale dei ricoveri in ospedale è inferiore all’1 per cento del totale dei contagiati.

La percentuale dei ricoverati in terapia intensiva è perciò inferiore allo 0,2 per cento del totale.

Da ultimo, la percentuale dei decessi giornalieri è inferiore allo 0,1 per cento del totale.


Alcuni – e cioè i cosiddetti esperti (microbiologi, infettivologi, virologi) – obiettano che il problema consiste
nel non far crescere oltremodo il numero dei ricoveri in terapia intensiva e, di conseguenza, il numero dei decessi.

Vero.

Ma questa preoccupazione non dipende dal numero dei contagiati, i quali, come già visto,
sono già circa sei milioni (cioè molti ma molti di più di quanto televisioni e giornali dicano),
ma dal numero delle postazioni di terapia intensiva operative nei vari ospedali, che sono del tutto insufficienti.


E qui casca l’asino, anzi casca il Governo.

E spiego perché.


Infatti, non è che i posti di terapia intensiva manchino perché ci sono troppi malati gravi e perciò sono pieni,
ma, proprio al contrario, sono già pieni proprio perché mancano.



A non farli mancare doveva pensare il Governo nazionale – con la collaborazione dei governi regionali –
nel corso dei sei mesi che son decorsi dal maggio scorso, quando ci si attendeva una seconda ondata di epidemia,
puntualmente arrivata in ottobre: ma non lo ha fatto.


E hanno un bel dire alcuni medici, lamentando che i loro reparti sia ordinari, sia di terapia intensiva, sono già saturi.

Innanzitutto, dovrebbero essere evitati i cosiddetti “ricoveri sociali”,
quelli cioè disposti per accogliere persone sole o nullatenenti, ma senza che si ravvisi una oggettiva esigenza clinica.

Si badi: non mi passa per la testa di esortare ad abbandonare queste persone.

Al contrario, bisogna averne cura: ci mancherebbe!

E tuttavia, qui si evidenzia un altro grande deficit del nostro sistema,
vale a dire l’assoluta mancanza di una sufficiente assistenza domiciliare,
a causa della quale vengono ricoverate persone malate ma non gravi
e che potrebbero benissimo essere assistite a casa loro, senza ingolfare i letti di un ospedale.


In seconda battuta, va detto che se il Governo avesse pensato per tempo – cosa che non ha fatto –
ad aumentare i posti di terapia intensiva, oggi non ne avremmo penuria.



Né si dica che manca il personale per far funzionare le postazioni di tale terapia:

un tecnico operativo si può ben formare in sei mesi, ma il Governo non ha neppure tentato in tal senso.


I contagiati, che appunto sono milioni, non possono essere reputati, se asintomatici come lo è il 95 per cento, dei “malati” in senso tecnico,
proprio in quanto non soffrono di alcun disturbo; e che non tutti i contagiati sono peraltro contagiosi,
perché potrebbero avere cariche virali basse, rilevabili dalla strumentazione, ma inidonee al contagio.

Il virus è certo assai diffusivo, ma, tenendo conto dei numeri reali come vanno letti e capiti, non è particolarmente letale.


“Non è la peste” e dunque “dobbiamo porre un freno a questa isteria”,

che finisce con il rallentare i ricoveri degli altri malati (oncologici, cardiopatici),

favorendone un aggravamento che li conduce alla morte.



Preoccupazioni simili sono state espresse giorni fa dal dottor Vincenzo Panebianco,
primario di Chirurgia oncologica presso il San Vincenzo di Taormina, il quale

ricordando che ogni anno in Italia muoiono ben 180mila malati di tumore, cioè sei volte di più dei decessi dovuti alla pandemia

ha denunciato che i suoi pazienti, visitati nel febbraio scorso, ritornati in ospedale in giugno,
erano a volte ormai inoperabili, in quanto colpiti da diverse metastasi tumorali
sviluppatesi durante il blocco sociale imposto dal Governo per il virus:

in sostanza, ne sono morti di più per tale causa che per la pandemia.

Bello, no? Per salvare alcuni dal virus, ne mandiamo a morte altri, di nulla colpevoli,
se non di essere affetti da un tumore o da altre gravi patologie non curate.


Tranquilli: non vedrete mai Palù o Panebianco su una televisione nazionale,
per il semplice motivo che le loro opinioni non sono collimanti con i desideri del Governo
che invece coincidono con quelli dei mezzi di comunicazione
.


Entrambi, infatti, hanno bisogno di mantenere alto il livello di preoccupazione degli italiani
al limite e oltre il limite della paura – per occultare le proprie omissioni,

i primi per lucrare i riscontri economici di ascolti elevati,

i secondi - e perciò il Governo - per ovviare operativamente alla propria assoluta deficienza politica ed organizzativa.


Ma il danno così prodotto non solo alle tasche, ma alla vita stesse delle persone è enorme e non rimediabile.

E purtroppo ce ne accorgeremo fra qualche mese.



Chiudo con due notazioni.

La prima: sarebbe ora che i virologi e i medici si limitassero a fare il loro mestiere,
senza fare da suggeritori al Governo e senza firmare appelli per adottare misure
della cui gravità non si rendono conto fino in fondo, anche per evitare di offrire alibi ad un governo che non li merita.

Codesti esperti incarnano forse l’immagine coniata da Max Weber, per il quale un esperto è:

“uno che sa sempre più cose su sempre meno cose, fino a sapere tutto di nulla”
;

o, se si preferisce, l’altra equivalente – di cui non rammento la paternità – secondo la quale

“gli esperti sanno tutto, ma non capiscono nulla”.


Non a caso, Paul Valéry annotava che “l’esperto è uno che sbaglia, ma secondo le regole”,
come appunto molti dei nostri bravi virologi.

La seconda notazione: non mi si dica che sono “negazionista”.

Rivendico il titolo contrario di “affermazionista”:


ho appena affermato, infatti, e qui lo riaffermo, andando ben oltre i numeri di stampa e televisione,

che in Italia abbiamo ben sei milioni di contagiati. Oggi, non domani.
 
Quella che sembrava solo una surreale disputa burocratica si sta trasformando in un affare di Stato che vede contrapposte Italia e Francia.

Nel 2019 i sindaci dell’Alta Savoia, in Francia, avevano emanato delle ordinanze di divieto di parapendio sul Monte Bianco,
finendo però per uscire dalla competenza territoriale e arrivando quindi a dettare il divieto anche sul versante italiano.

La questione degli esatti confini del Monte Bianco impegna burocrati, storici e cartografi dal 1860,
anno in cui Cavour finì con il cedere al sovrano di Francia, Napoleone III, Nizza e appunto la Savoia.

In realtà nessuno in Francia dice di conoscere i reali dettagli dei confini, perché le cartografie sarebbero state smarrite durante l’occupazione tedesca.

Giustamente, se una mappa viene smarrita perché farsi prendere dagli scrupoli e trattenersi dall’invadere i confini altrui?

E quindi via allo «scippo» della vetta più alta d’Europa.

Sul versante italiano le idee sembrano essere leggermente più chiare.

Alcuni esperti cartografi milanesi, in possesso di una vastissima collezione di mappe che rimonta al 1500,
sostengono invece di poter tracciare la delimitazione che ora sta sollevando un caso diplomatico.


«È inaccettabile che nel 2020 la Francia compia simili atti di prepotenza nonostante la tanto decantata solidarietà europea,
puro miraggio propagandistico dei soli banchi di Bruxelles, così come è inaccettabile avere un capo del governo e un ministro degli esteri
che non hanno proferito parola alcuna su questo vilipendio alla storia d’Italia».

Un’azione forte, con cui si chiede al governo una doverosa attenzione per i confini nazionali,
mortificati dai soprusi subite dai dirimpettai d’Oltralpe e dalla politica dei porti-colabrodo ostaggio di Ong e immigrazione selvaggia.

«Con questa azione eclatante esigiamo una reazione forte dal governo italiano
che, invece di chiudere l’Italia intera e le sue attività commerciali, deve controllare e difendere i confini nazionali di una nazione da troppo tempo umiliata».
 
Tre Dpcm nel giro di nemmeno due settimane.

Il risultato è un'infilata di contraddizioni che spiazzano il Paese e finiscono per penalizzarlo pesantemente a livello economico e sociale.


A leggere l'ultima lenzuolata di restrizioni firmata dal premier Giuseppe Conte non possono sfuggire incongruenze e incoerenze disarmanti.

Per esempio:

Perché sono state chiuse le palestre e le piscine dopo che solo pochi giorni fa
gli era stato chiesto di mettersi a norma per poter continuare l'attività e loro lo avevano fatto mettendo mano, per l'ennesima volta, al portafoglio?

Perché i cinema e i teatri, che comunque hanno sempre rispettato il distanziamento imposto dal Cts,
sono considerati luoghi pericolosi mentre i vagoni delle metropolitane stipati all'inverosimile no?

Perché un ristorante è ritenuto un posto sicuro in pausa pranzo mentre non lo è a cena?


"Io ho sempre pensato che laddove c'è un protocollo e dove il protocollo viene rispettato con rigore e severità il rischio contagio è sicuramente molto basso".


Quello che dovrebbe essere un'ovvietà, oggi è importante sottolinearlo con maggiore vigore.

Per questo le dichiarazioni dal viceministro per la Salute, Pierpaolo Sileri,
risultano ancora più importanti a fronte di un governo che giorno per giorno sta chiudendo il Paese in un altro devastante lockdown.


"Su queste misure io non ero pienamente d'accordo - ha ammesso ad Agorà - non sono, a dire il vero, pienamente d'accordo".


Il punto è che la maggior parte delle scelte prese dall'esecutivo sembrano non aver alcuna evidenza scientifica.

Che dire dei quattro commensali che potranno sedersi al tavolo di un ristorante?
Perché quattro? Difficile a dirsi.

Avevamo provato a dare una spiegazione al "sei" usato per inquadrare il numero massimo di persone per una cena in casa e non ci eravamo riusciti.
Persino il Comitato tecnico scientifico alla fine aveva dovuto ammettere che non c'era alcuna evidenza scientifica.

Anche perché, all'interno dello stesso decreto, veniva garantita la possibilità di avere trenta invitati alle cerimonie e ai ricevimenti.

Forse perché qui la situazione è maggiormente sotto controllo?

E che dire dei teatri e dei cinema?

Non c'è stato alcun focolaio degno di nota, eppure la scelta è stata inesorabile.


Leggendo gli ultimi Dpcm appare molto chiaro che il governo stia cercando di tutelarsi
restringendo genericamente le libertà degli italiani anziché prendersi la responsabilità di interventi mirati ed efficaci a contrastare la diffusione del contagio.

Pur essendo infatti ormai chiaro che la fascia debole è quella degli ultrasettantenni
poichè l'età media dei decessi è risalita a 82 anni ed il 62,9% dei morti presentava 3 o più patologie,

viene da chiedersi per quale motivo Conte non si sia prodigato per proteggere gli anziani piuttosto che chiudere in casa i più giovani ?

È vero che il coronavirus circola diffusamente anche tra questi ultimi,
ma è anche vero che ci troviamo a che fare molto spesso con asintomatici o paucisintomatici.


Il risultato dell'ultima stretta è un lockdown mascherato che andrà a indebolire ulteriormente la nostra economia.


Per ristoranti, bar, pizzerie ed enoteche la chiusura alle 18 è una vera e propria mazzata,
soprattutto dopo gli investimenti fatti negli ultimi mesi per adeguarsi alle restrizioni imposte dal governo.

Quando gli è stato chiesto che venissero distanziati i tavoli per garantire il metro di distanza tra un cliente e l'altro, sono corsi ad adeguarsi.

Quando gli hanno imposto una continua igienizzazione dei locali, non hanno battuto ciglio.

Hanno persino piazzato gel in ogni angolo e differenziato porte di entrate e porte di uscita con tanto di linee a terra per evitare il benché minimo contato fortuito.

Quando gli è stato proposto di aumentare i tavoli all'aperto, hanno acquistato i fughi per il riscaldamento da esterno.

Ma non è bastato.

E così è calata su di loro la mannaia.

Con la beffa: possono servire a colazione e a pranzo ma un minuto prima che inizi l'aperitivo giù le serrande.


Eh sì che solo qualche giorno fa i tecnici ci avevano garantito che un coprifuoco alle 23 era quel che bastava per contenere i contagi.

Tutte congetture. Perché a corredo dei vari Dpcm non vengono mai allegati studi scientifici che supportino le misure prese.


Il grande assente è sempre e comunque il trasporto pubblico.


Nelle grandi città i treni, le metropolitane e gli autobus vengono quotidianamente presi d'assalto
da chi deve andare al lavoro e non può permettersi il lusso dello smart working.

Non solo la capienza è stata alzata all'80%, ma non è stato nemmeno incrementato il numero delle corse
né sono stati eliminati i balzelli, come l'Area C, che devono essere pagati per entrare nel centro storico.

E che dire dei vigili?

Sono in giro a dare multe.

Scoraggiato il viaggio in automobile, i lavoratori si riversano tutti sui mezzi pubblici.

Sebbene non ci sia uno solo a muoversi senza la mascherina,
il governo crede davvero che una metropolitana strapiena sia meno rischiosa di un ristorante
i cui tavoli sono ben distanziati o di un campetto da calcio dove alcuni ragazzini
tirano quattro calci al pallone e si allenano per la partita della domenica?

Forse, anziché spaccare il capello in quattro per capire chi fa jogging e chi cammina
o sprecare carta per spiegare cos'è "attività motoria" o cosa non lo è,

qualcuno a Palazzo Chigi dovrebbe concertarsi maggiormente su interventi che contengano davvero il virus senza farci morire di fame.
 

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