Val
Torniamo alla LIRA
Nel caso della Brotto si arriva ad un perfezionamento delle prassi, ad un virtuosismo:
poiché il patteggiamento evita il processo e poiché la prova dell’eventuale reato (in questo caso la corruzione) si esibisce e testa nel processo,
mancando il processo, manca la prova quindi svanisce la corruzione.
Il magistrato del lavoro voleva, come fosse giudice penale, la prova della corruzione.
Non avendola, si rimette il cappello da giudice civile e risarcisce il licenziato. Un capolavoro.
Che non è unico da quando (ed è da molto, è appunto tradizione) la magistratura del lavoro ha deciso
e scelto di applicare nei confronti di ogni tipologia di lavoro dipendente le garanzie e tutele giustamente pensate
e fatte legge a tutela e garanzia di vaste categorie di lavoratori deboli e vulnerabili nei confronti del rispettivo datore di lavoro.
Insomma la magistratura del lavoro usa nei confronti dei professionisti, manager e ad esempio giornalisti, le stesse categorie di garanzie e tutela per l’operaio, il bracciante, il garzone.
Reintegrare o risarcire un operaio che ha patteggiato di fronte all’accusa di aver sottratto una chiave inglese in officina non è,
non dovrebbe essere la stessa cosa che risarcire una manager al vertice dell’azienda che gestiva il Mose.
Impedire lo spostamento punitivo da reparto a reparto di un operaio in fabbrica non è,
non dovrebbe essere la stessa cosa dell’impedire a ad un telegiornale di spostare un conduttore dalla sedia.
Ma così non è: la magistratura del lavoro, quasi tutta, ha in testa un articolo 18 tutto suo
e solo con la convinta applicazione di questo articolo si spiega davvero il “grottesco” della licenziata per corruzione risarcita con più di un milione.
poiché il patteggiamento evita il processo e poiché la prova dell’eventuale reato (in questo caso la corruzione) si esibisce e testa nel processo,
mancando il processo, manca la prova quindi svanisce la corruzione.
Il magistrato del lavoro voleva, come fosse giudice penale, la prova della corruzione.
Non avendola, si rimette il cappello da giudice civile e risarcisce il licenziato. Un capolavoro.
Che non è unico da quando (ed è da molto, è appunto tradizione) la magistratura del lavoro ha deciso
e scelto di applicare nei confronti di ogni tipologia di lavoro dipendente le garanzie e tutele giustamente pensate
e fatte legge a tutela e garanzia di vaste categorie di lavoratori deboli e vulnerabili nei confronti del rispettivo datore di lavoro.
Insomma la magistratura del lavoro usa nei confronti dei professionisti, manager e ad esempio giornalisti, le stesse categorie di garanzie e tutela per l’operaio, il bracciante, il garzone.
Reintegrare o risarcire un operaio che ha patteggiato di fronte all’accusa di aver sottratto una chiave inglese in officina non è,
non dovrebbe essere la stessa cosa che risarcire una manager al vertice dell’azienda che gestiva il Mose.
Impedire lo spostamento punitivo da reparto a reparto di un operaio in fabbrica non è,
non dovrebbe essere la stessa cosa dell’impedire a ad un telegiornale di spostare un conduttore dalla sedia.
Ma così non è: la magistratura del lavoro, quasi tutta, ha in testa un articolo 18 tutto suo
e solo con la convinta applicazione di questo articolo si spiega davvero il “grottesco” della licenziata per corruzione risarcita con più di un milione.