NON RIESCO AD ESSERE NEMMENO COME VORREI IO, FIGURIAMOCI SE RIESCO AD

Quello che non sapete, ma chi l'ha scritta lo sa. In Lombardia votiamo con 2 metodi diversi
ed il gioco è per un solo partito

A ogni elezione per il rinnovo del Parlamento c'è un nuovo sistema elettorale da conoscere,
una nuova scheda diversa da quella di qualche anno prima, nomi, simboli e crocette da mettere in una sorta di rebus capestro.
Il rischio è di fare un pasticcio e rendere nullo il voto, grazie alle complicazioni che solo la politica italiana sa crearsi da sola.

La confusione è più che legittima per l'elettore medio, per ogni tipo di votazione c'è un sistema diverso e la consultazione dle 4 marzo non farà eccezione.

Se per le elezioni regionali da anni è valido il principio del voto disgiunto,
si può votare quindi un candidato presidente e un consigliere di uno schieramento diverso,
per il rinnovo del Parlamento questa possibilità non c'è, ma non tutti lo sanno.

Anzi, secondo lo studio della Lorien consulting svolto lo scorso 15 febbraio, riportato dal Fatto,
almeno il 4% degli italiani con diritto di voto non ha ben capito dove potrà e dove non potrà mettere le crocette sulla scheda.
 
Mi meraviglio che dei giornalai diano risalto a dei dementi.

Fiorella Mannoia contro Vittorio Sgarbi:
"Non le dico Capra per non offendere l’intelligenza di questi innocenti animali. Posso solo dire: Si vergogni!...se ancora riesce a farlo".

La Mannoia attacca Sgarbi per le sue parole sulla figlia di Gino Strada, che aveva invitato la gente a non "scopare" i fascisti per non farli riprodurre:

"La Strada può stare tranquilla", aveva scritto Sgarbi,
"non troverà fascista che voglia fare sesso con lei, e tanto meno riprodursi in lei; non vorranno darle una gioia, sacrificandosi".

"La figa è un’altra cosa, e non ha orientamento politico", ha concluso Sgarbi,
"Per questo faticherà a trovare anche comunisti disposti a fare sesso con lei. Diciamo che la questione non è politica, e finirei qui".
 
Da secoli ci sono lotte dove non ci dovrebbero essere.
Si predica - non so se bene - ma si razzola male, molto male.

Su Il Tempo, Alessandro Meluzzi la definisce "la strategia della pensione" di Papa Francesco.
Per capire di cosa si parla bisogna partire da Paolo VI, il quale stabilì un'età di messa a riposo dei titolari delle sedi diocesiane, fissando la soglia a 75 anni.
Raggiunta quell'età, il titolare di una diocesi avrebbe dovuto diventare vescovo emerito e cedere il passo a un nuovo pastore locale.

Una decisione che fece scalpore e che, nei fatti, ha resistito fino ad oggi.

Già, perché ora Bergoglio ha stabilito che quella soglia non è più oggettiva:
non è tanto l'età, la senescenza, l'efficienza o il giudizio dei fedeli a stabilire se un 75enne può rimanere nella propria sede o se, al contrario, deve mollare.

Al tempo di Francesco, scrive Meluzzi, "è un non ben meglio precisato giudizio sul bene della comunità locale
che viene delegato esclusivamente e interamente al vescovo di Roma" a decidere le sorti dei Vescovi.

E dopo questa importante premessa, Meluzzi sottolinea come sia "perfettamente comprensibile"
perché anche nelle recenti vicende dell'episcopato "lo sgraditissimo vescovo di Ferrara, monsignor Negri,
non ha resistito nemmeno un minuto dopo il tempo della sua messa a riposo,
soprattutto dopo quella infelicissima battuta che riguardava la Madonna e l'attuale pontefice rispetto al bene futuro della Chiesa".

Eppure, sottolinea sempre Meluzzi, si nota come monsignor Bagnasco, già presidente della Cei,
è stato subito riconfermato nella sede genovese perché quella diocesi, insomma, non può fare a meno di lui.

Il sospetto di Meluzzi è chiarissimo:
"Insieme alla possibilità di comporre il nuovo collegio dei cardinali che eleggerà il suo successore,
il Papa progressista e sinodale si riserva con un centralismo degno di Pio IX la possibilità di stabilire
quali vescovi invecchiati sono assolutamente insostituibili e quali invece possono essere rimossi,
forse più perché sgraditi a lui piuttosto che all'opinione delle sedi locali e del gregge".

Parole - e accuse - pesantissime, a cui Meluzzi aggiunge:
"Anche in questo caso sinodalità, progressismo e atteggiamento democratico collimano con una visione centralista" del Papa.
 

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