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Abituiamoci, questa è la nuova normalità - Il Sole 24 ORE

Abituiamoci, questa è la nuova normalità
di Mohamed El-Erian

Mohamed El-Erian
I prezzi del petrolio sono di nuovo in calo, meno di 42 $ al barile di greggio americano, il minimo storico da marzo 2009, all’apice della crisi finanziaria globale. E se la netta diminuzione dei prezzi dello scorso anno è stata fortemente influenzata da due grosse crisi di offerta, anche il calo attuale è strettamente legato alla domanda.Al tempo stesso, i mercati del petrolio stanno scoprendo cosa significa operare sotto un nuovo swing producer: gli Stati Uniti. Di conseguenza, il processo di regolazione dei prezzi è molto meno preciso oggi, con tempi di aggiustamento più lunghi.Con l’avvento dello shale-oil sul mercato nel 2013 e 2014 sono cambiate radicalmente le dinamiche dei mercati dell’energia. Con l’arrivo di questa nuova fonte per rispondere all’aumento della domanda energetica mondiale, in particolare negli Usa, è venuta meno la dipendenza dall’Opec e da altri produttori petroliferi e anche l’esposizione ai problemi geopolitici.A questi cambiamenti sul fronte dell’offerta, si è aggiunto lo storico annuncio dell’Arabia Saudita di lasciare il suo ruolo di swing producer all’interno dell’Opec: il regolatore che diminuisce la produzione in caso di repentine diminuzioni dei prezzi e la fanno aumentare in caso di grossi aumenti.Una decisione comprensibile e razionale quella dell’Arabia Saudita, il ruolo di swing producer comportava un prezzo sempre più alto per le generazioni attuali e future di cittadini sauditi. I fornitori non tradizionali hanno aumentato la loro influenza sul mercato, i produttori non-Opec hanno continuato a pianificare una produzione elevata e alcuni membri dell’Opec non sono riusciti a sostenere le soglie di produzione. In tutto questo, non ci si poteva più aspettare che l’Arabia Saudita si sobbarcasse i costi a breve e lungo termine della forza stabilizzatrice del mercato qual era stata per decenni.Cambiamenti così importanti nell’offerta del mercato hanno indotto un calo naturale dei prezzi del petrolio, un calo notevole. Lo scorso anno, i prezzi sono precipitati più della metà nel giro di pochi mesi, cogliendo di sorpresa molti trader di petrolio e analisti.I prezzi del petrolio si sono stabilizzati dopo uno sforamento in qualche modo temporaneo, aumentando leggermente sulla scia di due reazioni convenzionali del mercato. Primo, la forte diminuzione dei prezzi ha provocato una massiccia distruzione di offerta, poiché alcuni produttori di energia – sia i settori tradizionali sia quelli non tradizionali – sono diventati non redditizi. Secondo, mentre i consumatori hanno reagito a costi energetici più bassi, la domanda si è aggiustata solo gradualmente.
Ma è presto arrivato un nuovo fattore a perturbare quella stabilità relativa, spingendo i prezzi del petrolio ancora più in basso: una dimostrazione che l’economia globale si stava indebolendo e che molto di quell’indebolimento stava avvenendo in Paesi a consumo energetico relativamente intensivo come Cina, Brasile e Russia .Oggi, gli indicatori di questo rallentamento globale sono ovunque, dai dati deludenti di distribuzione e commercio all’adozione di politiche impreviste, tra cui la svalutazione a sorpresa dello yuan.
L’impatto non si limita alla performance economica e ai movimenti del mercato finanziario. Una crescita globale più lenta sta amplificando le pressioni politiche e, in alcuni Paesi, anche quelle sociali, condizionando in entrambi i casi la risposta politica.Difficile intravedere un cambiamento molto rapido nell’attuale configurazione di domanda e offerta sul mercato globale del petrolio. Quanto al nuovo swing producer, gli Usa hanno una capacità reattiva molto più lenta (e carente) rispetto a quella dell’Arabia Saudita e dell’Opec.
Nei prossimi mesi, gli Usa cambieranno le condizioni dell’offerta e della domanda in modo da mettere una soglia minima ai prezzi del petrolio e permettere una ripresa graduale nel mercato. Ma a differenza del loro predecessore, la ripresa verrà determinata da forze di mercato tradizionali e non da decisioni politiche.Dovremmo infatti aspettarci una reazione ancora più netta nella produzione energetica americana con il persistente calo dei prezzi che aumenta la pressione sui produttori interni: dalla chiusura di nuovi impianti al taglio agli investimenti per lo sfruttamento delle risorse da shale, gli Usa probabilmente registreranno una diminuzione nella produzione energetica totale, oltre che nella loro quota di produzione mondiale.
Ma se la domanda aumenta, l’effetto sui prezzi del petrolio non sarà immediato. Sì, i consumatori americani saranno tentati di acquistare auto e camion più grandi, fare più chilometri e volare di più, ma la creazione di questa domanda sarà molto graduale, soprattutto perché i costi inferiori della produzione energetica non si ripercuoteranno automaticamente sui prezzi del carburante.Alla fin fine, oggi non c’è regolatore che possa controllare l’andamento dei prezzi del petrolio. Una ripresa dei prezzi sostenuta richiede un’economia globale più sana che combini una crescita inclusiva più rapida e una stabilità finanziaria maggiore.
E questo non avverrà rapidamente, specialmente con i difetti di policy dei Paesi avanzati ed emergenti.
Traduzione di Fracesca Novajra
© PROJECT SYNDICATE 2015
 
La lunga notte del petrolio: prezzi bassi almeno fino al 2018 - Il Sole 24 ORE

12 settembre 2015
La lunga notte del petrolio: prezzi bassi almeno fino al 2018
di Leonardo Maugeri, con un articolo di Sissi Bellomo

Leonardo Maugeri
Molti paesi produttori di petrolio cercano con ansia di intravedere una luce in fondo al tunnel della lunga onda ribassista cominciata a luglio del 2014. Ma aldilà dei temporanei rimbalzi speculativi dei prezzi dell’oro nero, le uniche luci che rischiano di vedere sono quelle di un treno che viaggia contro di loro.La lunga notte del petrolio non solo è arrivata, ma durerà più del previsto. Le ragioni sono facilmente spiegabili alla luce di quanto avvenuto in altri periodi del passato.
Le società che sviluppano materie prime iniziano a investire molto quando i prezzi sono alti e ogni progetto appare remunerativo. Investono in un panorama competitivo in cui ciascuno persegue i suoi interessi e nessuno può esercitare alcun controllo sulla somma finale delle nuove produzioni. Queste ultime richiedono molti anni prima di diventare disponibili, spesso almeno otto-dieci nel caso di un giacimento petrolifero. Il problema è che nessuno sa in partenza quali saranno i livelli di prezzo e domanda dopo dieci anni, cioè quando la nuova capacità produttiva arriverà sul mercato: così, man mano che il tempo passa, l’offerta comincerà a crescere a dispetto della reale situazione di mercato. Al contrario, nello stesso arco di tempo la domanda tende a calare per la stessa ragione che ha favorito i grandi investimenti - i prezzi sempre più alti della materia prima, che di per sé riducono i consumi e spingono a una maggiore efficienza energetica. Ma ormai i buoi sono usciti dalle stalle, cioè la nuova capacità produttiva comincia a rendersi disponibile proprio mentre la domanda non cresce più come dovrebbe e i prezzi calano.
A peggiorare le cose, gli investimenti in via di completamento non possono essere fermati se i prezzi di una singola materia prima collassano, perché chi ha già speso miliardi di dollari per sviluppare un giacimento (o una miniera) perderebbe tutto. I costi già sostenuti, pertanto, sono considerati investimenti “affondati”, e il nuovo giacimento sarà messo comunque in produzione purché remuneri almeno i costi operativi. L’asincronia tra domanda, offerta, prezzi e l’inerzia ineluttabile degli investimenti già avviati sono stati all’origine del collasso petrolifero degli anni Ottanta (il c.d. controshock del 1986) e della caduta dei prezzi che stiamo vivendo oggi.
In termini probabilistici non sono necessarie sfere di cristallo per capire che la fase di petrolio a bassi prezzi potrebbe durare almeno fino al 2017-2018. L’asincronia già sperimentata in passato è ancora in piena attività: il barile sopra i 100 dollari di pochi anni orsono ha alimentato investimenti per sviluppare o ri-sviluppare giacimenti in ogni parte del mondo. Una parte di questi investimenti è stata completata, ma un’altra non lo sarà fino al 2018 e nessun progetto in corso è stato fermato dalle società petrolifere. I tagli annunciati da tutte riguardano investimenti che ancora dovevano essere avviati, o altri settori dell’industria petrolifera.
L’unica parziale eccezione riguarda lo shale oil americano. Ma attenzione. A dispetto dei tagli drastici, la produzione di greggio non convenzionale degli Stati Uniti ha retto bene, registrando il picco a aprile per poi perdere relativamente poco (ad oggi, meno del 2%). Questo perché, nel frattempo, la tecnologia e l’efficienza per sfruttare le formazioni shale si è evoluta con grande rapidità e continua a evolversi, le società si sono concentrati sulle aree più produttive e economiche dei singoli giacimenti, mentre i costi di produzione continuano a cadere. Inoltre, la produzione di shale ha una caratteristica del tutto nuova rispetto a quella di petrolio gas convenzionali. Per motivi che richiederebbero una lunga spiegazione tecnica, un pozzo shale può essere portato in produzione in pochi mesi e nelle prime settimane di attività raggiunge subito il picco produttivo: una rivoluzione copernicana rispetto al mondo conosciuto dai petrolieri tradizionali. La rapidità di interruzione e riavvio delle produzioni shale, infatti, introduce un fattore di instabilità sconosciuto nel mondo petrolifero: non appena i prezzi risalissero, gli investimenti tornerebbero a aumentare immediatamente in modo massiccio, perché il tempo necessario a remunerarli è brevissimo, spingendo di nuovo in alto la produzione. L’esatto opposto della legge bronzea del “vecchio” petrolio.Bastano alcuni numeri per dare il senso del paradosso che sta vivendo il mercato petrolifero. Dall’avvio della caduta dei prezzi del petrolio nel luglio 2014 a oggi, la produzione di greggio è aumentata in tutti i paesi chiave del mondo – fatta eccezione per Cina e Messico. Gli Stati Uniti producono oggi quasi 1 milione di barili al giorno (mbg) in più, nonostante il calo registrato da aprile; stesso incremento per l’Arabia Saudita, mentre l’Iraq ha registrato un balzo di quasi 1.3 mbg, l’Iran di 300.000 bg, il Brasile di 200.000 bg. Perfino il Canada, uno dei paesi con i costi marginali più alti al mondo, produce quasi 300.000 bg. Il Mare del Nord, poi, sembra aver sfidato la legge di gravità. Era in declino da anni, poi in aperta crisi: eppure in un anno la sua produzione è aumentata di 200.000 bg.Nel complesso, la produzione mondiale a agosto a sfiorato i 98 mbg, la capacità produttiva i 102 mbg, la domanda ha probabilmente superato i 95 mbg. Ma quest’ultima tocca il picco proprio tra luglio e agosto, quando i trasporti nel mondo sono più intensi, e poi cala d’autunno e d’inverno.Per questo è lecito aspettarsi una nuova caduta dei prezzi e qualche momento di panico, probabilmente tra novembre e gennaio. Una prospettiva su cui pesano adesso anche i mille dubbi sulla tenuta economica della Cina e di altri paesi asiatici, fino a oggi motori (unici) del sostegno a una domanda mondiale di greggio troppo modesta. Per chi voglia investire nel petrolio, nel gas naturale, o in settori collegati, quindi, è bene agire con grande prudenza. Il momento migliore potrebbe ancora richiedere qualche tempo. Questa significa anche che, per i produttori, il peggio deve ancora venire.
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* BRASIL: Gobierno anunciará plan para recortar gastos por $16.900 millones

* BRASIL: Real se aprecia 1.43% respecto al dólar y cierra en 3.8154, luego que se anunciaron nuevas iniciativas de corte fiscal.
 
Economistas coinciden que aumento de dólar mejorará competitividad de Brasil


[FONT=&quot] Gobierno brasileño "debe adoptar una política para que las tasas de cambio no vuelvan a niveles anteriores" a los actuales.

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14-09-2015 02:49:11 p.m. | EFE.- Acorralado por una crisis económica cada vez más aguda, Brasil enfrenta el reto de aumentar su competitividad, un objetivo al que puede contribuir la fuerte apreciación del dólar, según expresaron hoy varios economistas durante un foro en Sao Paulo.
El exministro brasileño Carlos Bresser Pereira recordó que Brasil ha experimentado una "violenta desindustrialización" en las últimas décadas y una consecuente pérdida de competitividad, lo que, a su juicio, puede ser revertido con la "neutralización de la enfermedad holandesa".

Según explicó el economista, el mal holandés consiste en la "sobreapreciación crónica causada por la venta de materias primas", de las que Brasil es uno de los grandes exportadores mundiales.

En este sentido, Bresser Pereira subrayó que el Gobierno brasileño "debe adoptar una política para que las tasas de cambio no vuelvan a niveles anteriores" a los actuales.

La moneda estadounidense acumula una apreciación de más del 40 % en lo que va de año y el dólar se encuentra a niveles de 2002, cuando los mercados estaban asustados con la elección como presidente de Luiz Inácio Lula da Silva, entonces considerado por los inversores como un izquierdista radical.

"La productividad cayó en los últimos 25 años, porque cuando las empresas dejan de ser competitivas desde el punto de vista cambiario, invierten menos y la productividad técnica cae. Y eso es lo que pasó en Brasil", añadió el extitular de Hacienda.

No obstante, el exministro precisó que primero es necesario solucionar la "crisis fiscal" en la que se encuentra inmersa la mayor economía de Latinoamérica y que ha llevado a la agencia Standard & Poor's a rebajar la nota de crédito del país al llamado "bono basura".

"(Dilma) Rousseff perdió el control de la parte fiscal", señaló Bresser durante el seminario, organizado por la Fundación Getulio Vargas (FGV).

El director y jefe económico del banco Bradesco, Octavio de Barros, por su parte, señalizó que la competitividad "es la consecuencia de una agenda positiva para el aumento de la productividad" y de las tasas de cambio.
 
Brasil recorta más el gasto y crea nuevo impuesto a operaciones financieras


[FONT=&quot] Los recortes del gasto llegarán por primera vez a áreas sociales, como un plan de viviendas populares y salud pública y supondrán en conjunto un ahorro de 6.842 millones de dólares

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14-09-2015 05:42:40 p.m. | EFE.- El Gobierno brasileño anunció hoy una serie de medidas para revertir el déficit fiscal de 0,5% del PIB que prevé para 2016 y pasan por más recortes de gasto, que afectarán planes sociales, y un nuevo tributo a las operaciones financieras.

Las medidas fueron anunciadas días después de que la agencia de riesgo Standard & Poor's (S&P) redujera la nota de Brasil al nivel BB+, considerado como de "bono basura", lo que supuso retirarle el "grado de inversión" que califica a los buenos pagadores.

El paquete presentado hoy pretende revertir el déficit equivalente a 0,5% del producto interno bruto (PIB) previsto en el presupuesto nacional para 2016 y convertirlo en un superávit primario equivalente a 0,7% del PIB, que era la meta inicial del Gobierno, explicaron en rueda de prensa los ministros de Hacienda, Joaquim Levy, y de Planificación, Nelson Barbosa.

Los recortes del gasto llegarán por primera vez a áreas sociales, como un plan de viviendas populares y salud pública, y supondrán en conjunto un ahorro de 26.000 millones de reales (6.842 millones de dólares), dijo Barbosa.

El paquete de ahorro también plantea postergar de enero a agosto del año próximo la aplicación de un alza de salarios que se discute con los empleados del sector público, por lo que Barbosa pidió la "comprensión" de los funcionarios ante el "difícil" momento que vive el país.

En el frente tributario, Levy explicó que una "medida central" será la creación de un nuevo impuesto a las operaciones financieras, con una tasa de 0,2%, destinado "integralmente" a cubrir gastos con el sistema de jubilaciones y pensiones.

Ese nuevo tributo, que igual que casi todas las medidas requerirá de la aprobación del Parlamento, será similar a uno eliminado hace ocho años por presiones de la oposición y que tasaba en 0,25 % cada operación financiera realizada en el país para financiar el sistema de salud.

Además, según indicó Levy, las medidas anunciadas hoy contemplan una eliminación o reducción de beneficios fiscales otorgados al sector exportador y a la industria química, entre otras.

Asimismo, se aumentarán las tasas en el caso de los impuestos a las ganancias de capital por venta de inmuebles, que, según el valor de las transacciones, variarán entre 15 y 30%.


En conjunto, según los cálculos del equipo económico, las nuevas medidas tributarias aumentarán la recaudación en cerca de 40.000 millones de reales (10.526 millones de dólares) que, junto con el recorte del gasto, ayudarán a obtener el superávit fiscal primario de 0,7% que el Gobierno se ha trazado como meta para 2016.

Barbosa admitió que muchas de las medidas previstas en este nuevo plan para enderezar la economía del país dependerán de la aprobación del Congreso, pero explicó que ya han sido discutidas con líderes parlamentarios, empresarios y con el "grueso de la sociedad", por lo cual expresó su convicción de que no encontrarán obstáculos.

Según ambos ministros, estas iniciativas allanarán el camino hacia la recuperación del crecimiento de la economía, que de acuerdo con proyecciones del sector privado divulgadas hoy, este año deberá encogerse 2,55%, una tendencia que se mantendrá en 2016, para cuando se espera una contracción de 0,60%.
 
Ultima modifica:
Per il momento il mercato resta poco reattivo ai nuovi provvedimenti che dovrebbero passare attraverso il Parlamento brasilero.

I prezzi dei Petrobras restano negativi.
 

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