OGNI ERRORE, PRIMA DI ESSERLO, E' STATA UNA SCELTA. MAI SCORDARLO

17 giugno: il torrente Tidone
Il 17 giugno alle ore 8 i francesi attaccarono le postazioni di Ott lungo il torrente Tidone.
Le truppe comandate da Victor erano schierate sulla destra, quelle comandate da Rusca al centro,
mentre sulla sinistra erano presenti quelle comandate da Dombrowski.
A causa delle ferite riportate a Modena il generale MacDonald non poté essere presente sul campo
e fu costretto a rifugiarsi a S.Antonio, poco ad ovest della città di Piacenza
. Il comando fu quindi preso da Victor che però preferì rimanere a Piacenza, con conseguenti problemi di coordinamento.
Nonostante questo l'attacco francese fu un successo: alle 3 le truppe di Victor riuscirono a conquistare Sarmato costringendo le truppe di Ott ad una ritirata su Castel San Giovanni[18].

Qui le truppe di Ott furono rinforzate dall'arrivo di tre battaglioni soldati austriaci comandati dal generale Melas
e dalle avanguardie dell'esercito austro-russo comandate dal generale Chasteler.

Nonostante questo i francesi continuarono nella loro offensiva su Castel San Giovanni,
tuttavia venutisi a trovare in inferiorità numerica furono costretti a ritirarsi oltre a Sarmato che veniva così riconquistato dagli alleati.
La battaglia si concluse alle 21 con la ritirata ordinata dei francesi coperti dalle truppe di Salme[19].
I francesi patirono più di mille tra feriti e caduti e circa 1200 catturati, mentre le perdite alleate non sono note[20].

18 e 19 giugno: il fiume Trebbia
Trovatosi in inferiorità numerica rispetto agli alleati, MacDonald decise di resistere confidando in un arrivo delle truppe di Moreau
che avrebbero potuto colpire gli alleati da ovest, e sulla presenza delle truppe comandate da Jean François Cornu de La Poype
che avrebbero potuto attaccare da sud[17], tuttavia il 18 le truppe di Veletsky li sorpresero nei pressi di Bobbio costringendoli a ritirarsi su Genova[13].
La mattina del 18 MacDonald ispezionò il suo esercito, giudicandolo pronto a combattere gli alleati, in apparenza inattivi[17].

Nel frattempo gli austro-russi decisero di attaccare i francesi dividendosi in tre colonne:
la forza principale schierata sulla destra per colpire il fianco dell'armata francese era guidata dal generale Bagration,
la seconda al centro era composta dalle divisioni guidate da Forster,
mentre la terza colonna era composta dalle truppe comandate da Ott e da Fröhlich,
con i granatieri comandati da quest'ultimo che avrebbero poi dovuto rafforzare il fianco destro per dare più peso all'attacco[21].

L'attacco scattò alle 11, nonostante Suvorov avesse voluto inizialmente farlo partire alle 7.
Gli esploratori riportarono che i francesi difendevano la Trebbia da nord a sud lungo la linea San Nicolò-Gragnano Trebbiense-Casaliggio.
Le truppe di Bagration guadarono il Tidone e attaccarono le truppe polacche di Dombrowski a sud di Casaliggio alle due del pomeriggio, cogliendole di sorpresa.

Le truppe di Bagration furono poi fermate solo con l'arrivo delle divisioni di Rusca e Victor[21].

Per superare queste resistenza Suvorov inviò la divisione di Schveikovsky contro Rusca:
la lotta fu furiosa, ma gli austro-russi riuscirono a costringere Rusca a riparare ad est della Trebbia.

A partire dalle 17 Forster iniziò a premere l'ala destra della divisione di Victor: i francesi dovettero quindi evacuare Gragnano ritirandosi verso est[22].

A nord le forze guidate da Salme, schieratesi nella zona di Sant'Imento rimasero quasi tutta la giornata senza combattere:
verso le 14:30 le divisioni di Montrichard e Olivier attraversarono la Trebbia per dare supporto a Salme:
vedendo questa concentrazione di truppe francesi Melas decise di non spostare verso sud i granatieri di Fröhlich.
Le truppe di Ott attaccarono alle 18 e riuscirono a sconfiggere i francesi in netta inferiorità numerica:
le divisioni di Montrichard e Victor furono respinte aldilà della Trebbia in serata.
Durante la notte Rosenberg con due battaglioni di granatieri russi attraversarono la Trebbia a sud di Gossolengo,
penetrarono tra le linee nemiche raggiungendo la località di Settima dove attaccarono un distaccamento francese liberando alcuni prigionieri[22].

Nel frattempo alle 21:30 tre battaglioni francesi attaccarono un battaglione austriaco dopo aver sentito dei colpi sparati
da quella che ritenevano essere l'artiglieria dell'armata di Moreau. In seguito a questo le artiglierie di entrambe le parti aprirono il fuoco
causando molti morti per fuoco amico. Questo combattimento si protrasse fino alle 23[23].

L'indomani Chasteler diede l'ordine di iniziare l'attacco alle 6 di mattina, tuttavia il piano non venne consegnato a Melas fino alle 11,
nel frattempo notando la presenza di ingenti forze francesi sul lato nord vi aveva inviato contro 12 pezzi di artiglieria per far saltare le loro posizioni:
due battaglioni francesi tentarono di avanzare per neutralizzare l'artiglieria, ma furono costretti a desistere dal fuoco dei cannoni nemici.

Nel corso della mattinata i francesi installarono delle batterie di cannoni prendendo di mira le posizioni di Forster,
apparentemente per coprire uno spostamento verso sud delle truppe francesi[23].
Nonostante l'inferiorità numerica MacDonald comandò un nuovo attacco, confidando nel morale delle sue truppe.

Rusca e Victor iniziarono un attacco nella zona di Casaliggio, con il sostegno di Dombrowski che cercava di aggirare gli alleati da Rivalta-Trebbia.
A Montrichard e Olivier fu ordinato di attraversare la Trebbia rispettivamente a Gragnano e San Nicolò,
infine a nord Watrin e Salme tentarono di colpire il fianco sinistro degli alleati a Calendasco[24].


Battaglia della Trebbia - La sera del terzo giorno

Chasteler intuì il tentativo di aggiramento operato da Dombrowsky ed inviò contro di esso le truppe di Bagration.

Dombrowsky riuscì a prendere Rivalta e ad avanzare fino alla località Canneto prima di essere fermato dai russi
che, sotto lo sguardo di Suvorov presente in prima persona, costrinserò i francesi a riattraversare il fiume.

L'avanzata di Rusca fu fermata dal fuoco dei cannoni della divisione di Schveikovsky,
il cui fianco sinistro, insieme alla divisione di Förster, respinse l'assalto di Victor.
Gli uomini di Rusca riuscirono però ad approfittare di una falla nella linea alleata a Casaliggio
causata dallo spostamento verso sud delle truppe di Bagration che avevano contrastato l'attacco di Dombrowsky a Rivalta:
la fanteria francese riattraversò la Trebbia, mentre la cavalleria attaccò il reggimento di granatieri di Rosenberg[24].

L'attacco di Rusca fu però bloccato con i francesi costretti a tornare sulla sponda orientale grazie al ritorno verso nord degli uomini di Bagration
che attaccarono i francesi da sud e da quattro battaglioni delle truppe di Förster. Questi combattimenti cessarono per le 19[25].

L'assalto al centro fu invece posticipato a causa del ritardato arrivo della divisione di Montrichard.
Una volta arrivato il 5º fanteria leggera attraversò il fiume, ma fu colpito dalle raffiche di un battaglione di granatieri austriaci.
Le altre unità di Montrichard avanzarono, ma una volta trovatesi davanti il contrattacco delle divisioni di Forster e Fröhlich si sciolsero dandosi alla fuga.

L'attacco di Olivier iniziò con la cavalleria, ben presto seguita dalla fanteria che riuscì a raggiungere San Nicolò catturando due cannoni.

Giovanni I Giuseppe del Liechtenstein
trovando le truppe in rotta dopo l'assalto di Olivier, condusse alcuni squadroni all'attacco del fianco sud delle truppe di Olivier.
Contro queste ultime si concentrarono anche le altre truppe alleate favorite dalla rotta della divisione di Montrichard.

Olivier fu quindi obbligato a tornare ad est della Trebbia e i cannoni austriaci furono recuperati[25].

Nello stesso tempo a nord attraversarono il fiume anche la Guardia di Salme e la divisione di Watrin.

Divisi in due i francesi riuscirono ad evitare gli avamposti austriaci: Salme raggiunse Ca' Pernici sulla sponda sud del Po,
mentre Watrin si spinse fino alle porte di Calendasco dove si arrestò a causa dei poco incoraggianti rumori provenienti dalla zona occupata dalle truppe di Olivier.

Una batteria di artiglieria austriaca, guidata dal colonnello Kinsky e proveniente da Mantova, aveva, nel frattempo,
raggiunto la sponda nord del Po e da lì iniziò ad attaccare i francesi spingendoli a tornare sull'altra riva della Trebbia.
I combattimenti in questo settore si conclusero alle 21[25].

Alla sera i francesi erano ancora saldi sulla sponda orientale della Trebbia, tuttavia l'incapacità di stimare le forze residue,
i numerosi morti e feriti, il fuoco della guarnigione austriaca di Piacenza e la certezza che né Moreau né La Poype sarebbero potuti accorrere in suo aiuto
spinsero MacDonald ad ordinare la ritirata alle 22: a mettersi in marcia per prima fu l'artiglieria seguita dalla fanteria che partì intorno a mezzanotte[26].

20 giugno: il torrente Nure
Alle 4 del mattino del 20 Suvorov ordinò un nuovo attacco: tuttavia, quando le forze alleate giunserò al campo francese lo trovarono ormai già evacuato.

Durante la fuga 7183 soldati feriti furono lasciati a Piacenza; le perdite totali francesi tra morti, feriti e catturati ammontarono a circa 12.000 uomini.

Sul fronte alleato secondo lo storico Christopher Duffy i russi lamentarono 681 morti e 2083 feriti,
mentre gli austriaci 254 morti, 1903 feriti e 500 dispersi, per un totale di circa 6000 uomini[26].

Cifre simili sono riportate anche da Digby Smith che riporta anche il ferimento di tre generali russi,
che, riguardo ai francesi, stima 2000 morti, 7500 feriti, molti dei quali poi catturati, e 7000 presi prigionieri[27]

Gunther Rothenberg stima le perdite alleate in 5000 tra morti e feriti e 500 prigionieri
e quelle francesi in 9500 tra morti e feriti e 7000 presi prigionieri[28].

Ernest e Trevor Dupuy stimano in 7000 le perdite alleate
e 10.000 per quanto riguarda i francesi, alle quali vanno però aggiunti 5000 soldati catturati durante la ritirata[29].

Il generale di divisione francese Alexis Aimé Pierre Cambray fu mortalmente ferito durante la battaglia e morì il 2 luglio seguente[30].

Gli austriaci avanzarono fino a Piacenza dove trovarono i feriti francesi tra cui i generali Olivier, Rusca e Salme.

Melas assegnò la divisione di Fröhlich alla difesa della città, mentre inviò le truppe di Ott all'inseguimento dei francesi.

Ott fu bloccato nei pressi del torrente Nure da una divisione francese.

Più a sud, a San Giorgio Piacentino, i dragoni del reggimento Karaczay attaccarono il 17º fanteria leggera,
venendo però da questi respinti e subendo anche la distruzione di due cannoni da parte dell'artiglieria francese.

Sopraggiunsero allora Bagration e Chasteler e, con le loro truppe, fu attaccato di nuovo il paese,
per arrivare alla sconfitta definitiva dei francesi Suvorov fu costretto a ricorrere anche a parte delle divisioni di Förster e Schveikovsky.

Un totale di 1099 soldati francesi si arrese così agli austriaci[31].

Conseguenze
L'esercito francese si ritirò verso Parma dove furono abbandonati altri 200 feriti[26].

Il 21 giugno gli alleati proseguirono nell'inseguimento dei francesi raggiungendo Fiorenzuola d'Arda dove riposarono per tutto il giorno successivo.

Non rappresentando più un pericolo l'armata di MacDonald, il 23 Suvorov decise di marciare verso ovest,
mentre l'inseguimento dell'armata di MacDonald fu portato avanti da Ott con 7000 fanti, 2000 cavalieri e 15 cannoni.

Il 24 un battaglione di Grenzer tentò di bloccare la ritirata dei francesi a Sassuolo, venendo però da questi sconfitto.

L'esercito raggiunse Pistoia il 28 rimanendovi per qualche giorno prima di riprendere la marcia verso sud agli inizi di luglio.

MacDonald invece tornò in Francia venendo sostituito al comando dal generale Laurent de Gouvion-Saint-Cyr.
 
Al confronto, questi è un co........

Cos’è il MES? Il Meccanismo Europeo di Stabilità, detto originariamente “fondo salva-Stati”,
è una organizzazione intergovernativa similare al FMI (Fondo Monetario Internazionale).

Nato nel 2010 per far fronte soprattutto alla crisi greca, ha poi visto una ristrutturazione normativa nel 2011,
sfociata in un Trattato ratificato dal Parlamento italiano nel 2012 (maggioranza Pd-PdL-Udc, governo Monti).

Come funziona? Ciascuno Stato dell’Unione vi partecipa pro-quota e vi sottoscrive una garanzia.
L’Italia ha versato sinora quasi 15 miliardi di euro, cioè poco meno di quattro punti di Iva, il valore di quasi quattro Imu.

Lo Stato che ne facesse richiesta (perché sotto attacco speculativo e quindi col pericolo di default del debito sovrano)
deve offrire importanti garanzie: dalla ristrutturazione del debito pubblico all’ipoteca sugli asset pubblici,
cioè dare in pegno i “gioielli di famiglia” (riserve auree, porti, aeroporti, beni culturali, etc).

Gli accordi vengono presi a tavolino tra lo Stato richiedente, la Commissione europea e il MES, riunioni a cui partecipa anche l’Eurogruppo,
cioè l’insieme dei ministri delle finanze dei Paesi dell’area euro. In pratica ciascuno Stato mette i soldi,
ma se poi gli servono per calmierare i mercati deve prima fare “macelleria sociale”.

E il ricorso al MES muta anche la giurisdizione sul debito sovrano, che – per la quota cui si fa ricorso – viene totalmente sottratta alla giurisdizione nazionale.

Ma non è solo questo. La riforma del MES prevede anche un altro problema: la riduzione del valore nominale dei titoli del debito pubblico.

Ci spieghiamo meglio.

Se l’investiore ha acquistato un titolo di Stato del valore di 100, nel caso in cui lo Stato facesse ricorso al MES,
questo potrà autonomamente provvedere alla riduzione del valore del titolo, con una perdita significativa per il risparmiatore.


Insomma, un sistema di strozzinaggio legalizzato.

Come cambierà? Giuseppe Conte e Giovanni Tria, all’epoca rispettivamente Presidente del Consiglio e Ministro dell’economia del governo giallo-verde,
sia nel giugno 2018 che nel giugno 2019 hanno concordato in seno all’Eurogruppo la riforma del MES voluta da Francia e Germania.

Il tutto senza informare i due partiti che componevano quel governo (M5s e Lega), ovvero senza dare spiegazioni in merito agli accordi specifici intrapresi.

In parole semplici la riforma franco-tedesca, a cui l’Italia ha in linea di massima aderito, prevede il “pilota automatico”.

Lo Stato mette i soldi, se poi gli servono perché in difficoltà non passerà più da una discussione “politica” con Commissione, MES ed Eurogruppo,
ma da un sistema automatico che prevede l’obbligo di ristrutturazione del debito pubblico nella misura di una riduzione fino al 60% del Pil,
ovvero del 5% annuo (circa 40 miliardi di tagli alla spesa pubblica ogni anno!).

Quello che, in sostanza, prevede il Fiscal Compact.

L’Italia ha oggi un rapporto debito pubblico/Pil di circa il 134%.

Si immagini cosa accadrebbe se facesse ricorso al MES dopo la riforma.

Salvo rinvii, a dicembre di quest’anno inizierà l’iter di ratifica del nuovo Trattato sul MES.

L’augurio è quello di un sussulto di indipendenza e quindi di un arresto di questo percorso perverso.

Giuseppe Conte, che al momento si è difeso di non aver ancora firmato nulla, ha svenduto l’Italia per accreditarsi presso Bruxelles ed ottenere il via-libera al Conte bis?

Probabile che sia andata così.

Visto che si è sempre definito l’ “avvocato del popolo”, Conte dovrebbe sapere che il codice penale, all’art. 264
(rientrante nella rubrica dei delitti contro la personalità dello Stato), prevede che :

chiunque, incaricato dal Governo italiano di trattare all’estero affari di Stato, si rende infedele al mandato è punito,
se dal fatto possa derivare nocumento all’interesse nazionale, con la reclusione non inferiore a cinque anni
”.

Conte ha agito in modo “infedele”, anche perché – quale elemento oggettivo del reato secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza e della dottrina –
è sufficiente la sussistenza del “nocumento all’interesse nazionale”, che ci pare evidente.

Giampaolo Galli
, membro dell’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani presso Università Cattolica a Roma e deputato del Pd nella passata Legislatura,
nell’audizione del 6 novembre 2019 presso le Commissioni riunite Va e XIVa della Camera dei deputati, ha definito la riforma del MES


un colpo di pistola a sangue freddo alla tempia dei risparmiatori, una sorta di bail-in applicato a milioni di persone che hanno dato fiducia allo Stato comprando titoli del debito pubblico”.

È proprio così.


La Magistratura al momento è impegnata a perseguitare Salvini sul caso Savoini e i porti chiusi,
ma se il Parlamento, come auspicabile, alla fine respingesse la ratifica del nuovo Trattato,
la Magistratura dovrebbe aprire un fascicolo nei confronti di Giuseppe Conte e Giovanni Tria,
iscrivendo la notizia di reato per “infedeltà in affari di Stato”.

E subito dopo Conte dovrebbe dare le dimissioni.
 
Ultima modifica:
Se il Premier azzimato Giuseppe Conte leggesse l’ultimo saggio di Nicola Porro sulle tasse,
capirebbe che presto se ne torna a Firenze a studiare per qualche concorso.

A meno che l’Ilva non gli dia ancor prima il colpo di grazia.

È storia che la maggior parte dei governi, e non solo in Italia, cadono per politiche fiscali vessatorie e Porro spiega
ciò che accade ai nostri soldi dietro nomi come Irpef, Imu, Tasu, Iva, Tobin Tax, sugar tax e altre 100 ancora, c’è anche l’imposta di scopo, l’Iscop.

Ma a parte le battute, non c’è niente da ridere.

È una lettura che vi aprirà un mondo. E non si tratta di una sollevazione per non pagare le tasse, anzi!
Perché nel concetto filosofico della contribuzione, Porro, citando Francesco Ferrara (economista del secolo XIX perseguitato dal governo borbonico) dice:

“Nel concetto filosofico lo Stato organizzato è il gran motivo che nobilita l’idea dell’imposta; nel concetto storico, invece, l’imposta è il gran segreto che organizza la tirannia.
Tutto ciò che vi è di volontario nel primo, diviene usurpazione e furto nell’altro; là il soddisfarla è un vantaggio proprio, è un dovere verso i propri simili,
qua pagarla è viltà, è atto da schiavo, è delitto perché chi paga un obolo al despota è per la parte sua responsabile di tutte le lacrime che la mano del despota farà versare all’umanità.
E se nel concetto filosofico la parola contribuzione ci pare più vera e più degna, nel secondo vi invito pure a mutarla, ma sarà solamente per chiamarla flagello”.


Fin dall’inizio più chiaro di così l’autore non poteva essere. Tuttavia le ‘avvertenze’ di Porro per il cittadino-contribuente sono chiare:

“Ogni imposta è infelice a modo suo. Quella sul reddito cura l’ingiustizia delle disuguaglianze, quella sul patrimonio si occupa di rimettere in linea meriti tra generazioni
e quella sull’ambiente è volta a restituire agli uomini che verranno un po’ di quel verde che gli attuali abitanti della Terra avrebbero loro rubato”.

E quando entra nel merito, ad esempio, delle tasse ambientali le cosiddette ‘tasse buone’ sulla necessità di ridurre la CO2,
la famigerata anidride carbonica, il gas serra responsabile principale del riscaldamento del pianeta la prima cosa che scrive è che
“questa imposta buona, come detto, si deve applicare a un fenomeno detestabile come l’inquinamento.
Non è molto importante che i suoi confini siano nettamente definiti. Anzi, al contrario, più vago il confine, più vasto è il potenziale campo d’azione del prelievo.
L’importante è che il principio per cui si deve essere tassati sia giusto. O ritenuto tale.”

Ecco perché Conte, preso tra una passerella e un’altra dovrebbe ricordarsi che le tasse fanno cadere teste e governi,
basta pensare alle rivolte che provocò la tassa sul macinato in Italia alla fine Ottocento.

Attualmente la pressione fiscale è sopra il 40% la ‘Bestia amministrativa’, come la chiama Porro ha sempre fame e vorrebbe tassare anche il nostro respiro,
è così spiegabile perché formule di abbassamento delle imposte e semplificazione della burocrazia fiscale vadano per la maggiore.

E gli italiani, politicamente parlando, il respiro glielo toglieranno presto al nostro Premier con la pochette.
 
L’ex ministro Elisabetta Trenta, al centro delle polemiche per via della casa contestata, può rifugiarsi alla Link, l’università capitolina finita al centro del Russiagate.

L’ultima bordata contro la ex pentastellata è arrivata da Luca Marco Comellini, Segretario generale del Sindacato dei militari,
che in una nota diffusa da Adnkronos, ha sottolineato che “a seguito della notizia diffusa dagli organi di stampa del rilascio spontaneo
da parte dell’ex ministra della Difesa, Elisabetta Trenta, e di suo marito, il maggiore Claudio Passarelli, dell’appartamento demaniale
oggetto del nostro esposto che ieri abbiamo ritenuto di dover presentare alla Procura della Repubblica di Roma,
ho affidato al legale del Sindacato dei Militari, avvocato Giulio Murano del Foro di Roma, l’incarico di valutare ogni ulteriore azione a tutela degli interessi dell’Organizzazione sindacale”.

Nelle prossime ore farà gli scatoloni e traslocherà dall’alloggio che le è stato assegnato quando aveva assunto la guida della Difesa.

La Trenta può però contare sulla Link, l’ateneo romano dove è transitato anche Joseph Mifsud.

L’ex ministro, come riporta La Verità, è assunta a tempo indeterminato (part time) dalla “Gem spa Global management education
– società di gestione dell’ università Link campus Roma”, creatura di Vanna Fadini, compagna di Alessandro Zampini,
l’ uomo che ha ospitato il fuggiasco Joseph Mifsud nel suo appartamento di Esanatoglia (Marche) a fine 2017,
nonché ex collaboratrice dell’ex ministro Dc Vincenzo Scotti, presidente dell’ateneo.

Elisabetta Trenta e l’università di Mifsud
L’ex ministra grillina ha lavorato con un’altra società in orbita Link: la Sudgest iad Scarl, amministrata sempre dalla Fadini,
ente no-profit con un capitale sociale di 50.000 euro e sede nello stesso quartier generale dell’università, in Via del Casale di San Pio V, di cui è stata peraltro dirigente.

Come riporta Repubblica in un’inchiesta del 2018, tra le attività finanziate a Sudgest
ci sono corsi per il settore petrolifero riservati agli italiani d’Argentina,
un milione e 800 mila euro per formare la pubblica amministrazione a Nassiriya,
un milione e 350 mila per “uno strategic planning sul Distretto culturale Mediterraneo”,
257 mila euro per migliorare i servizi delle comunità libanesi,
un progetto da 1.249.000 euro per la tracciabilità dei richiedenti asilo nello Yemen,
uno da 2 milioni e 675 mila euro in Perù per aumentare la redditività nel settore della carne,
uno da un milione e mezzo in Tunisia per promuovere le piccole imprese del Sahara. Inoltre,
un programma per rendere più indipendente la magistratura egiziana.

Quel contratto inerente la Libia
Sempre secondo quanto riportato da Repubblica, il contratto più singolare è quello assegnato dalla Farnesina nel 2012,
nel tramonto della stagione scottiana: mezzo milione per “incoraggiare il disarmo dei combattenti libici”.

E qui entrano in scena i contractor, nella fattispecie: Gianpiero Spinelli, che tenne corsi alla Link e arruolò i quattro italiani rapiti in Iraq, vicenda segnata dall’uccisione di Fabrizio Quattrocchi.

A Repubblica, lo stesso Spinelli racconta dei corsi alla Link: “L’ho fatto a titolo gratuito, non sono neanche laureato.
Ho insegnato agli studenti dei master in intelligence e cooperazione internazionale come ci si muove in situazioni di pericolo. Tutto qua”.
 
Poverini. Ridotti male a Milano. Ma è radical-chic.

Anno domini 2019. Ecco come il progressista Comune di Milano, in prima fila per la difesa dei diritti di tutti e di tutte, dipinge le donne.

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Sdraiate sul divano e raggianti perchè

«oggi sono riuscita ad allacciarmi i pantaloni dell'anno scorso e uno passando mi ha detto bella figa!».

O il «bicchiere (è) mezzo vuoto» per una donna dall'aria stralunata e con le borse sotto gli occhi
«perché non sono riuscita ad allacciarmi i pantaloni dello scorso anno e ho finito l'idratante».

Ma il peggio deve ancora venire: un'immagine che raffigura una donna che viene strangolata da un uomo,
che la brandisce con tanto di coltellaccio in mano e sussurra: «È un po' nervoso perché l'ho fatto arrabbiare ma poi gli passa».

Chissà che effetto potrebbe fare se finisse nelle mani sbagliate, per esempio, in quelle tumefatte di una donna vittima di violenza da parte del partner.
Proprio mentre l'illuminato sindaco Beppe Sala si fa ritrarre in foto per la campagna contro la violenza sulle donne.

Invece è finito nel pacco regalo «Benvenuti nella casa delle coccole» che proprio coccole non sono, ma anzi rappresentano
un cazzotto alla sensibilità delle donne: è l'iniziativa che il Comune di Milano organizza da qualche anno a questa parte in collaborazione con Energie sociali Jesorum lab.

Si tratta di un dono, che si ritira nelle farmacie, con prodotti per la cura del bebé, pannolini, creme e detergenti,
assemblato grazie a sponsor privati, un opuscolo con informazioni pratiche sui servizi offerti dall'amministrazione,
uno sconto le proiezioni di film al cinema riservate alle neo mamme con bebè in sala e un libretto.

Peccato che invece del classico libro per bambini e famiglie, molto banalmente una favola, nel pacco destinato a una bambina appena nata sia finito

«Noi ragazze» di Giuliana Maldini, pittrice, scultrice, autrice di libri per bambini, ma soprattutto umorista.
Nel 1978 è la prima donna in Italia a pubblicare un libro di vignette sulla condizione femminile (con prefazione di Natalia Aspesi),
ed è tra le migliori autrici della rivista di satira «Strix». Un'autrice molto amata dal Comune di Milano,
che ha ospitato una sua mostra allo spazio fumetto Wow!, la presentazione nel 2018 del suo ultimo libro
e che appunto adesso lo mette nei pacchi per le neo mamme, che non hanno per nulla apprezzato, pur avendo chiaro che si tratta di satira.

E parliamo di una donna di 36 anni, avvocato: «Sono rimasta sconcertata - racconta - mi sono sentita offesa come donna
e non mi piace per nulla l'idea che questo sia il primo libro che riceve mia figlia, per quanto sia evidente che si tratta di vignette umoristiche. A me non hanno fatto ridere per nulla».

La donna ha scritto al sindaco Beppe Sala sul suo profilo instagram per comunicare il suo disappunto, «ma il sindaco è troppo occupato e non ha risposto».

Dopo aver postato alcune delle vignette su facebook invece sembra che abbia attirato una maggior attenzione,
tanto che la responsabile dei pacchi per i nuovi nati le scrive: «I libri inseriti nel pacco dono - su una media di nascite annuali di 12mila bambini e bambine -
sono titoli pensati per le famiglie. Questo in generale. "Noi ragazze" libro per sensibilizzare sulla condizione femminile è stato inserito per errore, e ce ne scusiamo».

Un errore che non si ripara certo con una risata.
 
Presto e bene.

Cosa abbia fatto Conte sul MES ancora non si è capito.
Lui dice di non aver firmato niente, e su questo probabilmente non ha torto.
Il problema è un altro.

Le discussioni generali sulle riforme che riguardano la governance dell’Unione europea avvengono in seno al Consiglio europeo,
vale a dire quell’organismo previsto dai Trattati composto dai Capi di Stato e di Governo degli Stati membri dell’Unione. Il cuore politico della Ue.

Il Consiglio si riunisce regolarmente più volte l’anno, di cui una di queste avviene sempre alla fine di giugno.
Si tratta di una riunione ormai consolidata in cui si parla del futuro della Ue e delle sue Istituzioni politiche, monetarie ed economiche.

Di riformare il Meccanismo Europeo di Stabilità se ne parla sin dal giugno 2018, argomento affrontato anche nel corso del Consiglio di quest’anno.
In entrambi i casi, e nello specifico a giugno del 2019, la risoluzione approvata dal Parlamento prima che Conte si recasse a Bruxelles fu chiara:

nessuna riforma peggiorativa del Mes, come invece è nelle intenzioni di Francia e Germania.

L’indirizzo politico delle Camere, che sempre si riuniscono prima di un Consiglio europeo, era dunque molto chiaro.

Il mandato era quello di non peggiorare i meccanismi del “fondo salva-Stati”, che già ora sono abbastanza forcaioli.
Sta di fatto che Conte è andato a Bruxelles ed ha fatto i fattacci suoi, fregandosene dell’indirizzo politico del Parlamento.
Negli obiettivi del Presidente del Consiglio v’era quello di dare l’ok al MES in cambio di un atteggiamento più morbido
da parte della Commissione europea sui nostri conti pubblici, la cosiddetta “logica del pacchetto
(diamogli la riforma del Mes e loro non ci fanno la procedura di infrazione). Follia.

Ma la malafede di Conte, indipendentemente se abbia o meno firmato alcunché, è dimostrata da un altro aspetto.

Il Presidente del Consiglio ha palesemente violato una legge dello Stato.

Stiamo parlando della Legge 24 dicembre 2012 n. 234, che all’art. 5 (primo comma) prevede che

il Governo informa tempestivamente le Camere di ogni iniziativa volta alla conclusione di accordi tra gli Stati membri dell’Unione europea
che prevedano l’introduzione o il rafforzamento di regole in materia finanziaria o monetaria o comunque producano conseguenze rilevanti sulla finanza pubblica
”.

La riforma del MES rientra dunque in quelle che la legge definisce come accordi circa “l’introduzione o il rafforzamento di regole in materia finanziaria o monetaria”.

Se non fosse per i riscontri che in questi giorni stanno uscendo dalle audizioni alla Camera presso le Commissioni riunite V e XIV, la questione sarebbe passata in cavalleria.

Conte, infatti, non ha informato il Parlamento.

Ma fosse solo questo.

Il secondo comma dell’art. 5
prevede che

il Governo assicura che la posizione rappresentata dall’Italia nella fase di negoziazione degli accordi di cui al comma 1
tenga conto degli atti di indirizzo adottati dalle Camere. Nel caso in cui il Governo non abbia potuto conformarsi agli atti di indirizzo,
il Presidente del Consiglio dei Ministri o un Ministro da lui delegato riferisce tempestivamente alle Camere, fornendo le appropriate motivazioni della posizione assunta
”.

Se dunque Conte, pur non avendo firmato nulla, avesse comunque espresso parere favorevole per l’Italia alla riforma del MES
(il cosiddetto broad agreement), ha violato una Legge dello Stato che non solo lo obbliga a rispettare l’indirizzo politico espresso dalle Camere,
che in quel caso era contrario alla riforma, ma, qualora non lo avesse rispettato, era in ogni caso obbligato a riferire in Parlamento.

Cosa che finora non ha fatto.

E non ha scuse, dato che l’ultimo comma dell’art. 5 prevede che la norma si applica
anche in merito ad accordi conclusi al di fuori dei Trattati dell’Ue, visto che il MES è un’organizzazione intergovernativa.

Conte ha commesso un atto gravissimo che può risolversi in un modo solo: dimissioni immediate di uno dei peggiori Presidenti del Consiglio della storia repubblicana.

Le opposizioni presentino quanto prima la mozione di sfiducia.
 
Ultima modifica:
Vi presentiamo l’intervento – domanda del deputato europeo Antonio Maria Rinaldi al presidente dell’eurogruppo Mario Centeno.

Le domande sono semplici:

– non credete che l’abuso di strumenti automatici possa non diminuire, ma far aumentare il rischio di default?

– perché il Parlamento europeo, e con lui la pubblica opinione, non sono stati coinvolti nella discussione?

– quanto è coinvolto il governo italiano?

Sentite come Centeno cerchi di rispondere, ma appaia confuso e poco convincente.
Ad esempio parla di coinvolgimento, ma quando? A modifica avvenuta?? E Conte?
Comunque l’euro gruppo chiederà, pare, un’approvazione parlamentare.

Che faranno i Cinque Stelle?

Buon ascolto

 
Anche nei 5stalle c'è chi ha potere e chi no ....


Delle due l'una: o Danilo Toninelli non ha una florida vita sociale oppure è un grillino che vale poco.

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Meno di Trenta, diciamo. Tertium non datur.

Perché la foto che l'ex ministro ci ha gentilmente e simbolicamente inviato in risposta ai dubbi espressi dal direttore del Giornale Alessandro Sallusti
sarà anche la prova di un privilegio mollato, ma è anche la certificazione che ci sono grillini di differente classe energetica.

Nella classifica virtuale, l'ex titolare del dicastero delle Infrastrutture si autoposiziona all'ultimo posto,
persino dietro al meno conosciuto compagno di partito, il senatore Emanuele Dessì, il quale ha dichiarato di abitare in 50 metri quadri.

Non c'è più religione: l'ascetico Toninelli come l'ultimo piccolo indiano.

Già costretto, peraltro, a vivere in un piano terra (che in realtà sembra più un seminterrato) di 30 (guarda caso) metri quadri alla «modica» cifra di circa mille euro al mese.

Una «reggia» l'ha definita l'ex inquilino, al quale va riconosciuta la dote dell'ironia. E della sdrammatizzazione.

L'umiltà di Toninelli rasenta livelli altissimi se si pensa che la sua ex collega della Difesa vive - ormai per poco visto che trasloca -
in 180 metri quadri in zona San Giovanni, qui sì alla modica cifra di 540 euro al mese.

Pentastellata di altissimo livello, verrebbe da dire.

Ecco, diciamo che il nostro augurio è che la rete sociale di Toninelli possa allargarsi.
Perché immaginarlo seduto a quel tavolo da solo a studiare atti parlamentari, metterebbe tristezza anche al suo peggior nemico.
 
NOTIZIONA

Elisabetta Trenta ha deciso di traslocare prima di essere cacciata dai 5 Stelle.

A convincerla sono state le pressioni dei vertici del Movimento, primi fra tutti Luigi Di Maio e Stefano Buffagni,
ma soprattutto il rischio di essere sbugiardata in Parlamento.

La relazione preparata al ministero della Difesa per rispondere alle interrogazioni di deputati e senatori sull’alloggio di servizio
che aveva ottenuto quando era ministro e poi fatto assegnare al marito, svela infatti nuovi dettagli sulla procedura seguita.

E soprattutto il canone mensile: 141,76 euro.

Una cifra ben inferiore a quella che la stessa Trenta aveva sostenuto di pagare: «Oltre 540 euro, che è tanto».

Si chiude dunque il «caso», ma rimane aperta l’inchiesta e soprattutto la ferita nei rapporti con i Cinque Stelle
che l’avevano sfidata a «chiedere l’assegnazione di un nuovo appartamento, se davvero ha i titoli per averlo».
 

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