Viviamo divisi: coloro che si sentono appagati della vita che conducono, e coloro che invece vorrebbero cambiarla radicalmente.
Alcuni hanno molto, altri poco.
Continuamente facciamo confronti. Il più comune è con chi ci sta accanto: a lui va tutto bene. Lavoro, salute, famiglia. A noi no!
Eppure non conosciamo una sola persona che non abbia dei problemi.
Se entriamo in contatto ravvicinato con le persone, le confidenze che raccogliamo sono di critica e di lamentela verso questo o quell'altro.
La società in cui viviamo è immersa in una grande e globale chiacchiera. Un fiume in piena di parole.
Poiché la domanda che stiamo per porci è molto importante per noi stessi, chi non si ritrova non vada avanti nella lettura. Chi non ama la ricerca della verità, non vada oltre. Chi non ha passione per la vita si astenga.
Cosa spinse a gente di allora a volerlo fare? Perché non erano soddisfatti di quello che erano, qualunque cosa fossero?
La religione non avrebbe attecchito se non si fosse stata questa sensazione che, in qualche modo, era attraente diventare qualcosa di più.
Nella nostra ricerca del perché viviamo immersi in una coltre di insoddisfazione e infelicità duratura ci siamo scontrati con il tempo nella sua azione sulla mente: il senso interiore del divenire.
Divenire come migliorarsi.
Divenire come ricerca.
Divenire come essere qualcosa di diverso da quel che si è.
L'uomo di fronte all'annichilante natura ha cercato, con il pensiero, di migliorare la sua condizione e, di conseguenza, di progettare il suo futuro. Questo è intrinseco con la natura del pensiero.
E siamo giunti ad una domanda importante: forse il principio del migliorarsi esteriormente si è spostato nel senso di migliorare interiormente?
E' questa la causa del continuo conflitto in cui siamo immersi quotidianamente?
Interiormente essa (la contraddizione causata dal divenire) costruisce un centro, un centro egoistico