Mi ricorda una frase scritta su un muro nel film Lisbon Story, ma non sono sicuro. Forse Fernando Pessoa?
Forse. Non ricordo dove l'ho letta. O sentita.
"La vita è per noi ciò che immaginiamo in essa. Per il contadino per il quale il campicello è tutto, quel campo è un impero. Per il Cesare al quale non basta un impero, quell'Impero è il suo campo. Il povero possiede un impero, il grande possiede un campo. Ma in verità non possediamo altro che le nostre sensazioni [...].
Ma i Cesari che io fui non sono Cesari reali. Sono stato davvero imperiale mentre sognavo, e dunque non sono mai stato nulla".
[Pessoa, il libro dell'inquietudine].
Xò Fernando correva dietro alle sue sensazioni dandogli sostanza:
"in verità non possediamo altro che le nostre sensazioni; in esse, dunque, e non in ciò che essere credono, noi dobbiamo basare la realtà della nostra vita[...]
Il fatto di essere arrivato tardi per il pranzo, il fatto che i fiammiferi fossero finiti, il fatto che io abbia personalmente lanciato la scatola nella strada, il fatto che fosse domenica, il preannuncio nell'aria di un brutto tramonto, il fatto di non essere nessuno al mondo - è tutta la metafisica"
Non ha fatto il "salto". Ed è rimasto nell'inquietudine di sé stesso.
E' corso dietro un pensiero.
Anzi, di un sogno, come lui stesso dice:
"Ho sempre sognato molto. Sono stanco di aver sognato, ma non sono stanco di sognare. Nessuno si stanca di sognare perché sognare è dimenticare e il dimenticare non pesa ed è un sonno senza sogni fatto in stato di veglia. In sogno ho raggiunto tutti gli scopi".
Si è fatto trascinare verso il basso.