OT: Topic del cazzeggio

Calendario asimmetrico.

La nuova formula
– si legge nella nota ufficiale della Lega Serie A – permetterà una migliore distribuzione degli incontri, non condizionati in questo modo da vincoli presenti all’andata che possono ricadere sulla stessa giornata del ritorno e viceversa. L’unico criterio imposto al sorteggio sarà che una partita non avrà il proprio ritorno prima che siano stati disputati altri 8 incontri

se qualcuno è in grado di riformulare in termini che abbiano un senso il primo periodo glie ne sono grato
 
Ho pensato la stessa cosa ieri quando l'ho letto!! Bisognerebbe capire che cosa sono i vincoli ai quali si riferiscono; prima facie mi vengono in mente eventuali spostamenti di partite dovuti alle coppe europee, molto più frequenti nel girone di andata del campionato stante il maggior numero di partite giocate in europa nel periodo settembre-dicembre. Però questi non mi pare che possono propriamente chiamarsi vincoli
 
Notare la classe. Cappellino con il logo di Louis Vuitton...

Ormai il genere umano sta degenerado. Invoco l'intervento divino per farmare tutto questo.


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Notare la classe. Cappellino con il logo di Louis Vuitton...

Ormai il genere umano sta degenerado. Invoco l'intervento divino per farmare tutto questo.


Vedi l'allegato 611349
Avevo gia' visto su Dagospia il Tizio con il fumogeno nell'ano (c'e' una simpaticissima scena in Kung fu Panda 1 simile) . Mi ero fatto delle domande, forse l'intellettuale inglese voleva citare il cartone animato e vedere se sarebbe, anche lui, decollato.
A me sembra che lo stile british , invece, rimanga intatto. Nessuna degenerazione, solo voglia di scoprire cose nuove.
Chapeau.
 
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dovevo arrivare a quasi 59 anni per sentire parlare per la prima volta di uno straordinario pianista ,Johnny Costa ,nato Jack Costanza ( quindi di origini italiane) in Pennsylvania.E si che mi piccavo di conoscere discretamente il jazz :-o
qui a confronto con altri due colossi (dal minuto 3 ) ,Oscar Peterson e Art Tatum che lo considerava l’unico che potesse avvicinarsi a lui,benché bianco.

 
Per deformazione "professionale" ho avuto anche lo stomaco di andarmi a leggere il mitico nuovo statuto del MoVimento (a loro piace scrivere cosi').
Si discute tanto se ha vinto il Presidente Conte o il Garante Grillo.
Tutti paiono indicare come vincitore l'Avvocato del Popolo.
Il povero Grillo relegato in soffitta.
Sara' sicuramente cosi'.
Ma poi ho letto lo Statuto, oltre a tutti i Comitati etc etc trovo una piccola e insignificante attribuzione devoluta al Garante.

All'articolo 12 si legge che il Garante ha il potere di interpretazione autentica, non sindacabile, delle norme del presente Statuto.
Legibus solutus.

I successisivi punti 3b e 3c blindano Grillo da qualsiasi colpo di Stato interno o sfiducia.
Manco Berlusconi nello Statuto di FI e' cosi' sopra a tutto e sopra a tutti.
Sicuramente Conte avra' recuperato Visione e Capacita' Manageriale, ma qualcuno e' rimasto, a norma di Statuto, Padre Padrone.

Uno vale uno.
 
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L’ex premier Giuseppe Conte fa la faccia cattiva: a sorpresa nel tardo pomeriggio di ieri presenta su Facebook lo statuto e tenta di rilanciare la sua autorevolezza ammaccata, dopo lo scontro con Grillo e nonostante la pace – o la tregua – siglata con il garante del M5s. Vito Crimi, in qualità di presidente del Comitato di garanzia, è costretto all’ennesima piroetta procedurale: revoca («su indicazione del Garante», sottolinea) la precedente assemblea degli iscritti e ne convoca una nuova, per il 2 e 3 agosto (il 5 e 6 in seconda convocazione) per votare la modifica dello statuto. Conte domani alle 11 incontrerà Draghi. Per questo ha deciso di farsi annunciare dai tamburi di guerra. Nel video prova a toccare le corde dell’orgoglio dei resistenti Cinque stelle e fa la voce grossa con il suo successore che sta smontando l’architettura dei governi gialloverdi e giallorossi: gli impegni presi nel 2018, dice, «in parte li abbiamo già mantenuti, realizzando gran parte delle riforme che avevamo promesso. E che oggi non possiamo lasciare che vengano cancellate». L’allusione è alla riforma della prescrizione, e anche al reddito di cittadinanza sul quale Matteo Renzi ha lanciato persino l’idea di un referendum abrogativo.
Conte deve dimostrare di essere tornato, e con forza. «Nello statuto troverete quelle che considero le basi per rilanciare la nostra azione comune: la piena agibilità politica del presidente del Movimento e una chiara separazione fra i ruoli di garanzia e quelli di indirizzo politico». Del resto in giornata Luigi Di Maio aveva già parlato di una soluzione «win-win» della sfida fra il fondatore Beppe Grillo e l’ex premier. In realtà le cose non stanno così, ed è chiaro che il presidente sarà un sorvegliato speciale. Nel nuovo statuto, all’art.12, il garante «è il custode dei valori fondamentali dell’azione politica del Movimento 5 stelle»; ma soprattutto «ha il potere di interpretazione autentica, non sindacabile» delle norme dello statuto. Insomma, è la Cassazione di ogni dubbio interpretativo.
E infine «resta in carica a tempo indeterminato e può essere revocato, in ogni tempo, su proposta deliberata dal Comitato di garanzia all’unanimità e ratificata da una consultazione in rete degli Iscritti, purché prenda parte alla votazione la maggioranza assoluta degli Iscritti aventi diritto al voto». Ma se gli iscritti non confermano, il comitato se ne va a casa «con effetto immediato». Se invece resta vacante il posto da presidente, sarà il capo del comitato di garanzia a sostituirlo. Una carica che è sempre nella disponibilità del garante.
DOMANI/Accardo
 
Che cosa c’è di più grave, per una comunità, del sapere che la metà dei suoi giovani sono dei ritardati? Che a diciotto anni hanno le conoscenze e le competenze di tredici? Che la loro incapacità di scrivere, comprendere un testo, organizzare un discorso, risolvere problemi condizionerà in maniera irreversibile le relazioni personali, la carriera, la stessa vita di una generazione? Niente dovrebbe destare maggiore allarme di un’emergenza educativa come questa, senza precedenti nella storia repubblicana. Eppure l’infausta diagnosi dei test Invalsi sul livello di apprendimento degli studenti italiani non trova più di uno strapuntino sulla prima pagina dei quotidiani. E nei giorni seguenti la notizia non suscita il dibattito che ti aspetteresti, anzi scompare dal radar. Perché?
La risposta è che una buona parte della classe dirigente del Paese, e tra questa non pochi giornalisti, pensa che quei dati siano falsi. Perché i figli di questa «società stretta», di cui già parlava Leopardi nel suo «Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani», sono quasi tutti bravi, frequentano le tre o quattro migliori scuole di Roma e Milano, e mietono successi nelle università straniere, dove approdano con facilità. Da questo circuito di relazioni e didattiche privilegiate, che riguarda il due per cento della popolazione, l’osservazione della realtà offre un quadro tutt’altro che drammatico. E, soprattutto, occulta la vista del disastro che sta a valle. Si aggiunga un’idiosincrasia o, se volete, un pregiudizio ideologico per una rilevazione oggettiva del sapere, quella dell’Invalsi, che viene bollata come una pratica neoliberista, e la frittata è fatta. Il Paese sprofonda, ignaro, nell’analfabetismo.
Se poi dai media il discorso si sposta sulla politica, la rimozione collettiva diventa depistaggio. Sotto accusa finisce la didattica a distanza, rea di ogni gap cognitivo, relazionale, geografico e censitario. Perché, si dice, il computer riduce lo spirito critico, isola, discrimina i più periferici e i meno abbienti. A prova di ciò si adducono le performance migliori dei test nella scuola elementare, dove le lezioni in presenza sono state meglio garantite durante la pandemia. Ma è una lettura parziale e mistificatoria. Per capirlo basta guardare il trend delle prove Invalsi, dall’anno scolastico 2005-2006, in cui furono introdotte, ad oggi. La scuola primaria ha sempre dato risultati migliori: che poi questi derivino da una pedagogia innovativa è un’ipotesi. Ma è una certezza che nella media e nella superiore, dove si assiste da anni a un progressivo decadimento del sapere, la didattica è rimasta ancorata a un modello trasmissivo fondato sulla tradizionale lezione frontale: il professore che spiega, gli studenti che fingono di ascoltarlo.
La tecnologia funziona quando è il mezzo di un insegnamento che punti su un apprendimento interattivo. Vuol dire confrontarsi, produrre contenuti culturali insieme, sviluppare pensiero critico sulla realtà. Senza una pedagogia capace di valorizzare queste opportunità, la Dad enfatizza la tossicità di un metodo che richiede un’autodisciplina incompatibile con le nuove generazioni, produce esclusioni e apre nella società un’emergenza psichica. Ma condannare senz’appello lo smart learning può servire solo a mettere la testa sotto la sabbia e tornare a fare la vecchia e inadeguata scuola di sempre.
È l’impresa a cui si applicano in queste ore quasi tutte le forze politiche. In settima Commissione alla Camera si litiga per intestarsi l’allargamento della platea di precari da immettere. Oltre a quelli abilitati, i cosiddetti di prima fascia, si punta a garantire coloro che non hanno mai vinto un concorso, e che possono esibire come unico titolo il loro stesso precariato. È più facile negare la crisi dei saperi certificata dall’Invalsi, piuttosto che riconoscere che essa dipenda dalla lunghissima eclissi dei concorsi nella scuola italiana.
C’è l’ok del Ministero dell’Economia a coprire 112mila posti vacanti entro il 31 luglio, dopo l’approvazione del decreto sostegni bis, per poi provvedere in agosto alle supplenze delle cattedre scoperte da trasferimenti e assegnazioni varie, e avere a settembre una copertura stabile degli insegnamenti. È paradossale, ma non troppo, che siano Lega e Pd a spingere con unità d’intenti per scorrere più in basso possibile le graduatorie e stabilizzare tutti coloro che si può, e sia invece il Movimento Cinquestelle a frenare. Lo scollamento grillino dal tessuto sociale del Paese si specchia in una sua ridotta rappresentanza di quegli interessi corporativi che si coagulano attorno a forze politiche più radicate nella società. Ma dalla ricerca del consenso, con cui si regola in Parlamento il futuro della scuola, non potrà che venire un nuovo patto a perdere. La cui utilità marginale sarà sempre inferiore alla quantità di risorse che è necessario distribuire ai gruppi di pressione per raggiungere l’intesa.
Nei due anni della pandemia la scuola italiana ha ricevuto qualcosa come tre miliardi. La giungla di un’autonomia non governata li ha dirottati verso gli usi più disparati: ci sono istituti che hanno cambiato volto e mezzi, altri che sono rimasti al palo. Ma niente è servito a migliorare nel complesso la qualità dell’offerta formativa. E niente di significativo è accaduto dall’arrivo a Viale Trastevere di Patrizio Bianchi, uomo di bellissime idee ma fin qui incapace di mettere a terra un solo progetto concreto, come ormai si sussurra con preoccupazione nelle stanze di Palazzo Chigi.
Nel giorno dell’insediamento, Draghi disse che a scuola era ora di recuperare il tempo perduto, rimodulando il calendario in estate. Ma convincere i sindacati di far lavorare gli insegnanti a luglio era impresa troppo ardua per chiunque. Così la strategia di recupero si è trasformata in un’opera di risocializzazione su base volontaria, che ha visto arrivare 150 milioni di contributi agli istituti ma senza alcun censibile ritorno sulla didattica. Quanto ai concorsi, il ministro ha fin qui varato solo quello per seimila cattedre di scienze, tecnologia, ingegneria e matematica. Ma i candidati promossi all’orale sono appena la metà dei posti banditi, forse anche a riprova di come la carriera e lo stipendio del docente non siano un richiamo per i migliori talenti.
Se i risultati dell’Invalsi passano inosservati, o piuttosto vengono disconosciuti, è perché la priorità della scuola italiana è ancora una volta finita per coincidere con il destino dei precari, cioè con la garanzia di chi aspira a lavorare e non con la tutela dei fruitori del servizio pubblico. Il rischio è che, in attesa della conferenza programmatica che il ministro Bianchi intende organizzare per novembre, il gabinetto Draghi sciupi l’agibilità politica concessale dalla crisi dei partiti. La gravità di un’emergenza, che da formativa si è fatta anche educativa, avrebbe richiesto interventi rapidissimi e procedure speciali, simili a quelli messi in campo nella campagna per i vaccini. Non il disegno politico, ancorché di ampie vedute, di un ministro che politico non è, e che non gode di una vera e propria maggioranza politica.
C’è bisogno di tempo pieno in tutto il Paese, di formazione obbligatoria, non all’uso dei computer ma all’innovazione della didattica, di un piano mirato contro la dispersione e per l’inclusione in tutte le periferie del sistema, riutilizzando le sacche improduttive di insegnanti parcheggiati al Sud nei cosiddetti organici di potenziamento. Ma, a due mesi dall’avvio dalle lezioni, i ritardi, le incompiutezze e le incognite sono le stesse degli anni scorsi. Con in più il disagio maturato nel lungo impasse della pandemia. E ora si scopre che oltre il 15 per cento degli insegnanti non ha ricevuto neanche una dose di vaccino e, a rigor di logica, non potrebbe garantire la didattica in presenza.
Nei risultati dei test Invalsi c’è, in controluce, la fotografia di questo universo condannato al declino. Dalla massa di minorati intellettuali e morali che lo frequenta si stacca ancora qualche studente modello, che finirà a governare il Cern di Ginevra. E che autorizzerà i benpensanti a dire che i nostri ragazzi si fanno valere all’estero, perché l’istruzione italiana è ancora la migliore. Salvo poi svegliarsi un giorno e scoprire che la Polonia ci ha sorpassato.
HUFFPOST/Barbano
 

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