Struscia la notiziaCome il discorso di Craxi del luglio ’92 alla Camera, quello del «tutti ladri, nessun colpevole», anche il discorso di Blair contro «la stampa bestia feroce che fa a pezzi persone e reputazioni» suscita la «ola» di uno stuolo di fans pronti a esaltare il suo presunto «coraggio». Naturalmente il discorso di Craxi non aveva nulla di coraggioso: era ricattatorio, qualunquista e soprattutto vile, visto che mirava all’impunità della casta. Idem per il discorso di Blair, che per tutto il mandato ha minacciato, intimidito, condizionato con ogni mezzo la libera informazione (per esempio la Bbc che smascherava le sue balle sulla guerra), mentre si ingraziava questo o quel tabloid dandogli l’esclusiva sui suoi cazzi privati.
I politici, com’è noto, non sono pagati per parlare dei giornalisti, mentre i giornalisti son pagati per parlare dei politici. Blair ha avuto almeno il buongusto di lanciare la sua filippica a fine mandato, mentre i nostri, non conoscendo nemmeno l’espressione «fine mandato», passano le loro giornate in tv o a parlare di tv o a chiamare le tv e i giornali. La tirata blairiana è molto piaciuta a Carlo Rognoni, già ottimo direttore di Panorama e del Secolo XIX, poi deputato Ds, ora consigliere della Rai. All’Unità ha detto di «condividere appieno» le parole di Blair che addirittura «dovrebbero entrare nelle scuole di giornalismo» perché «danno voce a un sentimento molto diffuso tra i politici: “Maledetti giornalisti, sempre a rovistare nella merda”... In Italia un solo politico ha avuto il coraggio di criticare i media: D’Alema».
Per la verità anche Craxi e Berlusconi han dato un valido contributo alla causa. Resta da capire quale coraggio occorra, in questo paese di servi, ad attaccare la stampa. Rognoni parla poi di Tangentopoli quando, a suo dire, l’informazione «perse una grande occasione. Mani Pulite ha sbattuto in galera tutti gli altri: politici e imprenditori. E i giornalisti, invece di emanciparsi,si sono messi a raccogliere le veline della magistratura». Non so chi gli abbia raccontato questa barzelletta, ma occupandomi di giudiziaria da una ventina d’anni posso assicurare che non ho mai visto una «velina della magistratura».
Ho visto tanti verbali (piene confessioni, di solito), avvisi di garanzia, bonifici bancari in Svizzera, miliardi sequestrati, ordinanze di custodia cautelare, sentenze (perlopiù di condanna o di patteggiamento). Atti pubblici, proprio come le intercettazioni di questi giorni: atti che non costituiscono reato per chi lo raccoglie o lo divulga, ma che spesso lo contengono. Conosco la fatica del giornalista per procurarseli, visto che nel nostro sistema bizantino non sono segreti, ma bisogna trovare qualcuno che te li mostri. Chi li trova verifica che siano autentici e interessanti, dopodichè li pubblica. Perché non si chiamano «veleni», «complotti», «attacchi alla democrazia», «aggressioni», «circuito mediatico-giudiziario». Si chiamano «notizie».
I lettori, nel 1992-93, apprezzavano: tant’è che le vendite dei giornali, ferme al palo dal 1934, salirono di un milione e mezzo di copie proprio nel biennio di Mani Pulite. Non perché contenessero «veline della magistratura». Perché contenevano «fatti», e spesso anche delitti, gravissimi commessi da chi faceva le leggi e contemporaneamente le violava. A volte i giornalisti dovevano fare «pool» per proteggere i colleghi dei giornali controllati dai partiti (il Giorno del Psi, il Mattino della Dc etc), come pure della Rai: senza la certezza che una notizia sarebbe uscita dappertutto, certe testate non l’avrebbero mai pubblicata. Dal ’94, con l’arrivo di Berlusconi e il ritorno della partitocrazia polo-ulivista, la stampa riattaccò il cavallo alle solite vecchie greppie. E ricominciò, allora sì, a pubblicare le veline dei potenti (Rognoni apra la porta del suo ufficio in viale Mazzini e si goda lo spettacolo).
Infatti tornò vendere come nel 1934. È grottesco che ora i giornalisti debbano discolparsi per l’unica stagione di cui devono andare fieri. Ed è stravagante che Rognoni, come Blair e qualche blairino de noantri, li accusino di «cercare lo scandalo». Oh bella, e cosa dovrebbero cercare? Il guaio semmai è che a cercare gli scandali sono pochi, essendo gli altri impegnatissimi a reggere il microfono ai politici (vedi l’ultima intervista senza domande del Tg5 a D’Alema). Par di sentire i difensori non richiesti del Vaticano, che un mese fa strillavano perché Santoro voleva parlare dei preti pedofili e non dei preti santi. Come dire che, per raccontare di un tizio caduto dal balcone, bisogna prima raccontare di tutti quelli che non cadono dai balconi.
Marco Travaglio
da l'Unità 16.06.2007
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