MOLTO INTERESSANTE
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Il crepuscolo di un padrone del mondo
Maurizio Blondet
14/04/2007
Paul WolfowitzPaul Wolfowitz è l’autore delle guerre americane all’Iraq e all’Afghanistan, ma di quello nessuno gli chiede conto.
Ora, come presidente della Banca Mondiale, Wolfie rischia la fine della carriera di padrone del mondo per un fatto di sesso e di favoritismo.
Una faccenda degna di Mastella.
Ricordiamo in breve: Wolfowitz è stato al Pentagono, dove era vice-ministro e dove ha affiancato Rumsfeld e gli altri due viceministri sionisti (Duglas Feith e rabbi Dov Zakheim) giusto il tempo per sorvegliare l’esecuzione dell’11 settembre e pilotare l’amministrazione nelle prime due guerre della «lotta mondiale al terrorismo islamico», intesa come «quarta guerra mondiale».
Che sia lui il principale promotore, e forse l’ideatore del grande complotto, è indubbio.
E’ il principale firmatario del documento del think-tank neocon Project for a New American Century, dal titolo «Rebuilding the american defense», dove si auspica «una nuova Pearl Harbor» per indurre il popolo americano a scendere in guerra per Israele, il «fatto traumatico» che poi si verificò grazie ad Osama bin Mossad.
Wolfowitz è anche il più noto allievo del filosofo Leo Strauss, l’ammiratore di Nietszche e di Carl Schmitt riletti alla luce del talmudista Maimonide, il guru dei neocon.
Wolfie è stato tratteggiato da Saul Bellow nella figura di «Ravelstein», nel romanzo omonimo pubblicato nel 2000, come un dottor Stranamore ossesso a tramare guerre e devastazioni per il liberismo e il giudaismo.
E’ intimo di Cheney e di Richard Perle, l’altro ebreo che dietro le quinte del Pentagono ha condotto tutti i preparativi per «la lunga guerra».
E’ infine l’anti-igienico personaggio immortalato da Michael Moore mentre lecca il pettine con cui sta per ravviarsi i capelli, e mentre mostra le calzette bucate, e probabilmente non lavate.
Mentre le guerre andavano di male in peggio, tutti i colpevoli se ne sono andati dal Pentagono, avendo compiuto la missione.Così, mentre Bush e Cheney vengono a poco a poco politicamente demoliti per la conduzione delle guerre, gli ebrei che le hanno volute e architettate sono al sicuri, al disopra di ogni critica.
Bush ha messo Wolfie a capo della Banca Mondiale, sicuramente su richiesta o ordine dello stesso Wolfowitz: perché il leccatore di pettini ha lì la sua amante, un’araba femminista e molti filo-giudaica di nome Shaha Riza.
Una poltrona miliardaria, una potenza globale e, insieme, un nido d’amore: proprio la posizione da padrone del mondo.
I burocrati della Banca cominciano subito a brontolare per i favoritismi e gli autoritarismi di Ravelstein.
Sposta i burocrati dove non vogliono, mette da parte gli ostili, si crea una camarilla di yes men e favoriti (come al Pentagono),
e tradisce - dicono i superburocrati - la «missione» della Banca, che sarebbe quella di favorire lo sviluppo dei Paesi poveri.
Nulla di strano, visto come il Wolfowitz ha gestito lo sviluppo in Iraq quand’era ministro della guerra.
E infatti, su queste critiche nessuno fiata.
Solo una lamentela resta ostinatamente in circolazione: che il fatto che Wolfie sia il capo della sua fidanzata rappresenta un «conflitto d’interessi».
Lui alla fine cede.
E distacca la sua Shaha Riza al Dipartimento di Stato (evidentemente è padrone anche di quello),
mantenendola sempre sui libri-paga della Banca Mondiale.
Con l’occasione, per addolcire all’amata il dolore della separazione d’ufficio, ordina al capo del personale della Banca Mondiale di
aumentarle lo stipendio di 60 mila dollari[.
In tal modo, la luce dei suoi occhi viene a guadagnare 193 mila dollari lanno; più di quanto prenda la stessa Condoleezza Rice, che come ministro degli Esteri (Segretario di Stato) si contenta di 186 mila dollari annui.
Con l’aggravante che su uno stipendio della Banca Mondiale, con lo status diplomatico internazionale,
la bella araba non paga una lira di imposte.
Dai 186 mila dollari del suo emolumento, la Rice vede sparire un bel 25% di prelievi fiscali.
Le resta una miseria, l’equivalente di centomila euro l’anno.
Un terzo di quel che prende la nostra Elisabetta Spitz, moglie di Follini, come direttrice del Demanio.
Si noterà infatti come queste cifre sono, per l’andazzo italiota, ridicole: 190 mila dollari l’anno è un emolumento da dirigente della Regione Sicilia (162 mila euro in media), da sotto-presidente della Regione Lombardia.
In Sicilia c’è un assessore, tale Crosta, addetto alle acque e ai rifiuti, che prende 567 mila euro l’anno: quasi quattro volte di più del segretario di Stato dell’unica superpotenza rimasta, che ha qualche responsabilità in più che acque e spazzatura.
Ma nel mondo anglo-liberista, puritano, certe cose non passano.Tanto più che, alle prime critiche, Wolfowitz cerca di nascondere il fatto, dicendo che il comitato etico della Banca col «consigliere generale» avevano approvato l’aumento alla sua amata: subito smentito dagli interessati.
Ora, per attaccare Wolfie, s’è mosso il Financial Times, la corazzata ideologica del liberismo globale.
Wolfie «è venuto meno ai suoi stessi standard», dice il giornale, ricordando le sue campagne per la «trasparenza» dei governi che chiedono soldi alla Banca Mondiale, e contro la corruzione dei dittatori del Terzo Mondo che si rivolgono a lui col cappello in mano.
Insomma l’annunciatore planetario di una Mani Pulite globale è stato colto, come un qualunque Mastella, a fare favoritismi e a mentire.
Per un affare di cuore (diciamo così), e questo è ancor meno perdonabile:
ricordiamo cosa fecero a Clinton per l’affare Levinsky, e cosa non hanno fatto a Bush per una politica estera criminale e demente.
«Il presidente della Banca Mondiale ha un solo attivo: la sua credibilità. Wolfowitz ha minato la moralità della Banca. Deve dimettersi», tuona il Financial Times.
E al suo seguito, tuonano tutti gli altri media, facendosi coraggio.
«Ho commesso un errore e me ne pento», ha balbettato Wolfie, sperando di evitare l’inevitabile:
le dimissioni da un posto fra i meglio pagati del pianeta, Regione Sicilia esclusa.Ma forse dovrà cedere.
Così tramonta un padrone del mondo: il moralismo angloide non perdona.
Maurizio Blondet