Parliamo di libri

"Il dominio maschile"
(P. Bourdieu - Feltrinelli)

Il dominio maschile è uno dei testi più noti di Pierre Bourdieu, sociologo francese formato tra filosofia e scienze sociali, e rappresenta un tentativo rigoroso di spiegare scientificamente perché la dominazione maschile sia così pervasiva e duratura nelle società umane. Il fondamento del libro è chiaramente empirico: Bourdieu combina osservazioni etnografiche (in particolare sul mondo cabilo) con strumenti concettuali della sociologia, dell’antropologia e della teoria dei campi per mostrare come il potere maschile venga interiorizzato e riprodotto attraverso habitus, schemi percettivi e strutture simboliche.

La formazione dell’autore – filosofa all’origine, poi evoluta in una sociologia fortemente ancorata alla ricerca sul campo – si riflette nella tessitura del libro: denso di concetti, ma continuamente radicato in dati, comparazioni culturali e analisi storiche. Per comprenderlo pienamente serve una buona padronanza della sociologia critica, dell’antropologia strutturale e almeno una familiarità di base con la filosofia (soprattutto fenomenologia e strutturalismo), poiché Bourdieu intreccia livelli diversi: pratiche quotidiane, simboli, linguaggio, istituzioni.

In sintesi, Il dominio maschile è un testo teoricamente impegnativo ma illuminante, che utilizza un impianto scientifico solido per mostrare come i rapporti di genere non siano “naturali”, bensì costruiti e perpetuati da dispositivi sociali profondamente radicati. Una lettura fondamentale per chi vuole capire la logica nascosta delle disuguaglianze di genere.
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"Il piacere della lettura"
(M. Proust - Feltrinelli)

Ne "Il piacere della lettura" — la raffinata prefazione che Proust compose per la traduzione di "Sésame et les lys" di Ruskin — l’autore mette a fuoco uno dei nuclei essenziali della propria poetica: la lettura come pratica interiore, come esercizio della coscienza su se stessa. Ma sin dalle prime pagine Proust prende le distanze da Ruskin, contestandone l’accostamento fra lettura e conversazione. Per Proust non è affatto vero che i libri ci parlino come un interlocutore vivo: la lettura non è un dialogo, bensì una solitudine feconda, un’esperienza in cui la voce dell’altro serve soltanto da specchio per ritrovare la nostra. La conversazione ci trascina fuori di noi; la lettura, invece, ci restituisce al nostro nucleo più segreto.

È proprio questo scarto — questo rifiuto dell’analogia ruskiniana — a dare al saggio la sua forza teorica. Proust scrive "Il piacere della lettura" per mostrare che il vero valore dei libri non risiede nella loro capacità di guidarci, ma in quella di provocare in noi un movimento interiore autonomo, di risvegliare zone addormentate della sensibilità. La lettura, lungi dall’essere un surrogato della conversazione, è il luogo in cui si prepara la voce unica e irripetibile dell’individuo.

Il testo acquista un significato ancora più profondo se messo in relazione con "À la recherche du temps perdu". Lì la lettura appare come una delle prime forme di “esperienza estetica” del narratore: un’anticipazione di quella futura arte della memoria involontaria che darà vita all’intera Recherche. Ciò che in questo breve saggio è ancora un’intuizione — la lettura come risveglio dell’interiorità — si dilata nel romanzo in un metodo conoscitivo: riconquistare il tempo perduto attraverso il riattivarsi di impressioni sepolte.

Così Il piacere della lettura non è semplicemente un omaggio all’atto del leggere, ma un piccolo manifesto della futura estetica proustiana. Mostra perché Proust l’abbia scritto: per affermare che la vera conversazione non è quella con gli altri, ma quella, silenziosa e profonda, che ciascuno di noi intrattiene con la propria memoria, e che la lettura — e solo la lettura — sa risvegliare.
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Ultima modifica:
quando lo strumento di lettura primario, gli occhi, diventano inadeguati, il piacere della lettura va a farsi benedire.

E pure qui faccio fatica.
 

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