Parliamo di libri

"Il cognome delle donne"
(A. Tamigio - Feltrinelli)

All'inizio c'è Rosa, nata nella Sicilia di inizio novecento. Rosa nata in povertà, col padre che la picchia, impara a curare i malanni con le erbe, sposa per amore un uomo buono, Sebastiano Quaranta. Lavora tutta la vita e racimola denaro per la figlia, Selma, la ricamatrice. Selma sposa un uomo inetto, ladro, viscido e lazzarone, violento e irrispettoso, contro il parere di Rosa.
Con lui farà tre figlie che il padre, Santi, tratterà sempre con freddezza e crudeltà.
Patrizia e Lavinia vicine di età ma tanto diverse e Marinella, dopo diversi anni.
Tra tutte queste donne, legami famigliari e di amore, responsabilità, cure e lezioni di vita tramandate di madre in figlia.
I legami al femminile e la storia delle donne narrati da Aurora Tamigio hanno un'allure di epopea, un'aria di riscatto, una concretezza realistica (tutte le protagoniste vivono vite assolutamente verosimili), personaggi resi alla perfezione, atmosfere, ambienti ed epoche ben rappresentati.
I personaggi maschili, anch'essi verosimili, sia quelli negativi, sia quelli positivi e molto aderenti al vero le dinamiche comportamentali, gli abusi, i rapporti tra i due sessi.
Un bel romanzo, scritto bene.
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Uso il flash una o due volte all'anno, in modalità completamente automatica o con un po' di "flash compensation" rispetto a quanto calcolato dalla macchina.
Questo libro fa venire voglia di provare a sperimentare la modalità completamente manuale.

E credo che sperimentare dopo aver aver letto il libro aiuti a sprecare molta meno pellicola... ops, molti meno byte, per arrivare ad un buon risultato.


In ogni caso, si parla anche di illuminazione naturale o comunque ambientale, non solo di flash.


A parte fenomeni fisici quali "La luce decade d'intensità con il quadrato della distanza" e "La morbidezza della luce dipende dalla dimensione della stessa rispetto al soggetto", la pagina più importante è quella di maggiore aiuto per uno che prova senza basi tecniche.

In particolare: nel decidere quanto debba essere buio o illuminato l'ambiente, i tre parametri sacri sono Tempo di Scatto, ISO e Apertura Diaframma; per l'illuminazione (con il flash) del soggetto invece i tre parametri sono Potenza del flash, ISO e Apertura Diaframma.

Quindi, per esempio, se voglio "tutto" più luminoso apro il diaframma o alzo gli ISO; ma se lo sfondo è OK ed il soggetto è buio, non serve passare da 1/200esimo a 1/100esimo, anzi è controproducente.
Probabilmente ci sarei arrivato anche empiricamente, ma siccome di prove empiriche, come detto, ne faccio poche, il testo è utile.

Stefano Tealdi è anche un cortese ed autorevole membro del mio forum fotografico abituale.
 
"Stupro a pagamento".
(Rachel Moran - Round Robin)

"Stupro a pagamento" è un libro che non concede al lettore vie di fuga. Rachel Moran, nata a Dublino nel 1976, racconta gli anni trascorsi nella prostituzione (di strada, da bordello, da escort, da ballerina di locali a luce rossa) con una voce sorprendentemente limpida, più vicina alla precisione dello sguardo che alla ricerca dell’effetto. La sua storia personale non viene mai esibita come tragedia, ma come materia da comprendere e trascendere. Proprio questa sobrietà rende la narrazione ancora più potente: Moran non vuole scandalizzare né commuovere. Vuole chiarire. Vuole nominare, con esattezza quasi clinica, una realtà che ha visto e abitato, e a cui la società preferisce non guardare.

Il cuore del libro è il confronto tra il modo in cui la prostituzione viene raccontata da chi la considera un lavoro come un altro — autonomia, scelta, controllo — e ciò che effettivamente produce. Moran smonta con pazienza il linguaggio della “libera decisione” e mostra come l’ingresso in quel mondo sia spesso la conseguenza di vulnerabilità accumulate, di ferite sociali e familiari che lasciano poco margine alle alternative. Nel suo racconto, la parola consenso assume un significato diverso dal suo uso corrente: non è un sì pieno e voluto, ma un gesto di sopravvivenza dentro la costrizione economica e psicologica. È questo, forse, l’aspetto più perturbante del libro: la capacità di far vedere come la violenza possa travestirsi da transazione neutra, come l’atto sessuale possa diventare un luogo di disumanizzazione anche quando viene pagato e, tecnicamente, considerato “volontario”.

Quando Moran analizza il sistema della prostituzione, si avverte la distanza tra la ragazza che è stata e la donna che è diventata. Dopo essere riuscita a ricostruirsi una vita — completando gli studi universitari, dedicandosi alla scrittura e trasformandosi in un’attivista di rilievo internazionale, cofondatrice di SPACE International — la sua voce ha assunto una lucidità morale che attraversa tutto il libro. La testimonianza personale non resta confinata nel dolore privato: diventa analisi politica, visione, tentativo di dare un nome alle dinamiche di potere che consumano le persone più vulnerabili. Non c’è ideologia astratta; c’è l’elaborazione duramente conquistata di un’esperienza che le permette di vedere la prostituzione non come un fenomeno individuale, ma come un sistema che prospera nello squilibrio tra chi compra e chi viene comprata.

La scrittura di Moran è sobria, quasi severa. In alcuni passaggi sembra trattenersi per evitare che l’orrore diventi spettacolo, e proprio questa misura rende la lettura più incisiva. Non cerca di scioccare, ma di far comprendere; non invoca compassione, ma responsabilità. La rabbia che emerge di tanto in tanto è una rabbia lucida, adulta, simile a quella di chi ha finalmente trovato le parole per raccontare ciò che allora non poteva essere detto.

"Stupro a pagamento" rimane addosso a lungo. Non perché indulga nei dettagli più duri (anche se non mancano esempi forti di come i clienti siano perversi, violenti intrinsecamente e ontologicamente misogini) , ma perché costringe a guardare la prostituzione senza le distorsioni della retorica, senza quella patina di neutralità che spesso avvolge il discorso pubblico. È un libro che chiede attenzione — e forse anche coraggio — ma in cambio offre uno sguardo limpido e definitivo sulla complessità di un’esperienza troppo spesso ridotta a slogan contrapposti.

Più che un memoir, è un atto di responsabilità. Moran non chiede di essere compatita: chiede che la realtà venga vista nella sua verità. E una volta che lo si è fatto, è difficile tornare a guardarla allo stesso modo.

Leggetelo.
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"Stupro a pagamento".
(Rachel Moran - Round Robin)

"Stupro a pagamento" è un libro che non concede al lettore vie di fuga. Rachel Moran, nata a Dublino nel 1976, racconta gli anni trascorsi nella prostituzione (di strada, da bordello, da escort, da ballerina di locali a luce rossa) con una voce sorprendentemente limpida, più vicina alla precisione dello sguardo che alla ricerca dell’effetto. La sua storia personale non viene mai esibita come tragedia, ma come materia da comprendere e trascendere. Proprio questa sobrietà rende la narrazione ancora più potente: Moran non vuole scandalizzare né commuovere. Vuole chiarire. Vuole nominare, con esattezza quasi clinica, una realtà che ha visto e abitato, e a cui la società preferisce non guardare.

Il cuore del libro è il confronto tra il modo in cui la prostituzione viene raccontata da chi la considera un lavoro come un altro — autonomia, scelta, controllo — e ciò che effettivamente produce. Moran smonta con pazienza il linguaggio della “libera decisione” e mostra come l’ingresso in quel mondo sia spesso la conseguenza di vulnerabilità accumulate, di ferite sociali e familiari che lasciano poco margine alle alternative. Nel suo racconto, la parola consenso assume un significato diverso dal suo uso corrente: non è un sì pieno e voluto, ma un gesto di sopravvivenza dentro la costrizione economica e psicologica. È questo, forse, l’aspetto più perturbante del libro: la capacità di far vedere come la violenza possa travestirsi da transazione neutra, come l’atto sessuale possa diventare un luogo di disumanizzazione anche quando viene pagato e, tecnicamente, considerato “volontario”.

Quando Moran analizza il sistema della prostituzione, si avverte la distanza tra la ragazza che è stata e la donna che è diventata. Dopo essere riuscita a ricostruirsi una vita — completando gli studi universitari, dedicandosi alla scrittura e trasformandosi in un’attivista di rilievo internazionale, cofondatrice di SPACE International — la sua voce ha assunto una lucidità morale che attraversa tutto il libro. La testimonianza personale non resta confinata nel dolore privato: diventa analisi politica, visione, tentativo di dare un nome alle dinamiche di potere che consumano le persone più vulnerabili. Non c’è ideologia astratta; c’è l’elaborazione duramente conquistata di un’esperienza che le permette di vedere la prostituzione non come un fenomeno individuale, ma come un sistema che prospera nello squilibrio tra chi compra e chi viene comprata.

La scrittura di Moran è sobria, quasi severa. In alcuni passaggi sembra trattenersi per evitare che l’orrore diventi spettacolo, e proprio questa misura rende la lettura più incisiva. Non cerca di scioccare, ma di far comprendere; non invoca compassione, ma responsabilità. La rabbia che emerge di tanto in tanto è una rabbia lucida, adulta, simile a quella di chi ha finalmente trovato le parole per raccontare ciò che allora non poteva essere detto.

"Stupro a pagamento" rimane addosso a lungo. Non perché indulga nei dettagli più duri (anche se non mancano esempi forti di come i clienti siano perversi, violenti intrinsecamente e ontologicamente misogini) , ma perché costringe a guardare la prostituzione senza le distorsioni della retorica, senza quella patina di neutralità che spesso avvolge il discorso pubblico. È un libro che chiede attenzione — e forse anche coraggio — ma in cambio offre uno sguardo limpido e definitivo sulla complessità di un’esperienza troppo spesso ridotta a slogan contrapposti.

Più che un memoir, è un atto di responsabilità. Moran non chiede di essere compatita: chiede che la realtà venga vista nella sua verità. E una volta che lo si è fatto, è difficile tornare a guardarla allo stesso modo.

Leggetelo.
Vedi l'allegato 774750
fammi capire.
C'è davvero qualcuno/a che pensa davvero che la prostutuzione sia un atto realmente volontario?
 
Annamo bene, leggete libri erotici, frequentate siti porno, immagino anche che usiate strumenti di plastica, (manuali ed elettrici), ma una ciulatina ogni tanto no è.

L’autoerotismo abbassa la vista.

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Libri erotici non mi convincono.
Devo aver letto una vita fa, solo, appunto Anais Nin che non mi è neanche piaciuta.
Altri non so neanche come si intitolino

Siti porno, mi disgusta o solo a immaginarlo.

Gli strumenti 🤣
Abbiamo ben 10 dita e comunque I giochini li usano anche le coppie, mettono un po' di pepe
(cit)dicono tutte così
Gli “strumenti” li usa chi ce lo ha medio piccolo e non conosce il kamasutra.

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Ps: pepe mai provato ma sono certo che meglio i diti del pepe.
 

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