Ciascuno di noi nasce in un luogo circoscritto, limitato, talvolta chiuso.
Nel crescere ci si rende conto che il mondo non si conclude con i parenti
ma che vi sono gli altri, la città e non esiste soltanto quella.
Molte città insieme danno un Paese, uno Stato, una Nazione
che a loro volta sono accostati da altre Nazioni e l’insieme di suscita un Continente.
Ma di Continenti ne esistono parecchi, vicini o separati dal mare e tutti formano il Mondo, vasto.
Con miliardi di persone esiste quell’individuo che all’inizio
riteneva la realtà conclusa nel cerchio della sua minima entità familiare e che invece lo pone nel mondo, anzi nell’Universo.
Questa catena di passaggi, inevitabile, è sempre esistita.
Pare che oggi si voglia interrompere, si rende l’individuo un soggetto immediatamente universale,
passando dalla minima identità alla massima senza gli anelli successivi, un individuo-mondo.
Questa è la globalizzazione nel suo connotato sostanziale:
eliminare i passaggi con i quali chi si rendeva soggetto del mondo attraversava punti intermedi,
la città, la regione, il Paese, la Nazione, il Continente e infine il Mondo.
Se questi passaggi non avvengono – e si perviene direttamente alla globalità – l’individuo non c’è, non ha i passaggi nutritivi.
Gli argini appunto dell’individualità, una “sua” lingua, una “sua” tradizione, alimentare, culturale, religiosa, storica.
Se l’individuo raggiunge immediatamente la coscienza globale non si arricchisce dei passaggi intermedi.
È cittadino del mondo ma non è un individuo.
Ma io sono soggetto in quanto ho una mia specificità:
la mia lingua,
una mia religione,
una mia cultura alimentare,
la storia del mio Paese,
l’arte.
Posso ancorarmi ad altre civiltà,
ma se pretendo di perdere ogni connotazione ritenuta limitante io non sono più un io.
Vi è una tragica insanabilità dell’individualità con la globalità.
L’individuo sceglie, argina, rifiuta e accoglie, stabilisce criteri di valutazione,
la globalità pone tutto e tutti su di un piano piatto, non consente barriere, frontiere, specificità.
Per la globalizzazione sono inconcepibili sia la Nazione sia l’individuo come soggetto della soggettività.
Il rischio sconsiderato di questa globalizzazione
sta non soltanto nel sopprimere Storia e Nazioni
ma nel soffocare gli individui e la soggettività,
rendendo l’individuo oggetto globalizzato:
non il mondo in me, ma il mondo senza me.
Prendere coscienza del mondo non significa che l’individuo deve identificarsi e aprirsi totalmente al mondo
senza avere una sua possibilità di scelta, di rifiuto, di preferenza.
Se amo il mare siciliano, gli aranceti, i limoneti, le verdi scure foglie di tali alberi, non sono globalista? Certo, non lo sono.
E perché dovrei porre sullo stesso piano tutti i mari, gli alimenti, gli orientamenti sessuali?
Questo è lo scopo estremo, rabbioso, micidiale della globalizzazione:
sradicare le identità e stabilire un uomo senza connotazioni
adattato a ricevere ogni merce in ogni luogo.
Uomo globale per merce globale
e non deve sussistere rifiuto quindi nessuna tradizione, nessun passato vincolante.
Lo svuotamento e il ricevere tutto, essendo vuoti.
Un popolo mondiale che viene distrutto del suo passato,
e una volta reso senza identità pronto a ricevere ogni suggestione,
indifeso al di là dei localismi che lo delimiterebbero.
Ma purtroppo nel rendersi ricettivo di tutto e di tutto, l’individuo diviene nessuno.
Nel voler essere globale il soggetto sacrifica la sua soggettività, che resta il capolavoro della natura.
Un mondo globalizzato perderebbe le differenze,
sarebbe come parlarsi allo specchio ma io ho bisogno dell’altro da me non di un me stesso allo specchio.
Io voglio restare locale,
siciliano,
romano,
italiano,
non cinese,
non indiano.
Mi interessano, certo, ma voglio amare la Sicilia, Roma, l’Italia: non sono globale pur volendo conoscere il Globo.
Sento di scegliere, non intendo perdere me stesso per farmi globale.
Voglio restare “un” individuo che ama quel che sente di amare
e non ama quel che non sente di amare.
Non accoglierò tutto e tutti.
Sono un individuo,
non uno scarico di fiume che raccoglie ogni detrito
e sfocia nel gran mare nel quale la fogna trascina il cadavere.
Questa mescolanza indifferenziata non l’accetto.
Sono italiano. Mi basta. E, certo, essere umano. Ma come individuo.