mototopo
Forumer storico
potere" tende a perpetuarsi, forzando le regole che, nello Stato "democratico di diritto" ne
13. Dovrebbe ormai essere intuitiva la ragione per la quale risulta tanto importante quanto tragicamente inattuale nel nostro Paese anche la nozione di “ordine pubblico costituzionale”, dal momento che la stessa, operando un rimando dinamico ai principi fondamentali della Carta fondamentale, avrebbe potuto (e dovuto) fungere innumerevoli volte da strumento, nella mani delle classi dirigenti italiane e della Corte Costituzionale, per porre un argine alle altrettante situazioni di “emergenza” eurocostruite, e con le quali il nostro Paese ormai da quarant’anni si trova puntualmente costretto a convivere.
Tale limite, ed a prescindere dall’applicazione dell’autonomia riconosciuta all’Italia dall’art. 79 del TFUE, avrebbe potuto ovviamente essere opposto, da ultimo, anche nell’attuale emergenza dei migranti, che solo uno sprovvedutto tele-suddito potrebbe ormai percepire come fenomeno diverso rispetto a quello che è, ovvero un ulteriore mezzo di equalizzazione sociale in vista dell’immiserimento generalizzato.
14. Tant’è, nell’allucinazione mondialista tecno-pop in salsa €uropeista, oramai secondo M. LUCIANI “… quello costituzionale appare come un ben singolare tipo di Stato, nel quale tutti gli elementi caratterizzanti dello Stato come forma politica moderna risulterebbero interamente trasformati.
Così, il TERRITORIO non costituirebbe più un dominio riservato sul quale esercitare lo ius excludendi (visto che non è mancato chi ha teorizzato un illimitabile diritto umano all’immigrazione e all’accoglienza, almeno in capo all’evanescente categoria dei “migranti per necessità), ma nemmeno la sfera del monopolio dell’uso legittimo della forza (visto che lo si dichiara permeabile a interventi militari esterni, anche unilaterali, specie se di tipo “umanitario”).
Quanto al POPOLO, esso “cesserebbe d’essere distinguibile dalla popolazione, visto che i filosofi politici che hanno pensato di addossare agli Stati uno specifico onere motivazionale nell’ipotesi in cui la loro legislazione negasse la cittadinanza agli stranieri stabilmente residenti sul loro territorio sono stati scavalcati dai giuristi che hanno sostenuto che a quegli stranieri anche i diritti politici (compreso il diritto di voto per le assemblee parlamentari) dovrebbero essere garantiti come autentici diritti fondamentali.
La SOVRANITÀ, infine, cesserebbe d’essere imputabile a un solo, più o meno preciso, soggetto storico (lo Stato, il popolo, la nazione), ma si diluirebbe in plurimi livelli di gestione, anche sovranazionali o internazionali, tanto da qualificarsi come “sovranità condivisa”, o cesserebbe d’essere imputabile a chicchessia, configurandosi come astratta “sovranità dei valori”” [34].
Ecco perché “… anche in tal caso, considerando l'attivazione della CLAUSOLA DI ORDINE PUBBLICO il "sintomo" di esistenza minima di uno Stato sovrano e agente nell'interesse della sua comunità di cittadini, manca ogni traccia dei prerequisiti istituzionali indispensabili per far valere questa modalità/contenuto, sia in proiezione interna che esterna, della sovranità…” (così Quarantotto nei commenti).
15. L’ordine privato comunitario, tra l’altro, come nemesi della vecchia scienza dell’800, ha di fatto integralmente sostituito, in un sol colpo, non solo i principi fondamentali della Costituzione italiana (immodificabili), ma anche principi fondamentali del diritto internazionale, ovvero norme di jus cogens, “… nel senso che il loro rispetto rappresent[a] la condicio sine qua non della pace e della sicurezza internazionale” (F. LATTANZI) [35].
Tra questi spicca il c.d. principio di autodeterminazione dei popoli previsto dalla Carta delle Nazioni Unite, l’osservanza del quale è collegato sì alla pace internazionale dall'art. 1 che, tra i fini delle Nazioni Unite, enuncia al par. II quello di “sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto del principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'autodeterminazione dei popoli”.
Il rispetto dell'autodeterminazione dei popoli è altresì richiamato nel quadro della disposizione della Carta relativa all'azione dei membri dell'Organizzazione per creare condizioni di stabilità e benessere di tutti i popoli attraverso una cooperazione internazionale nel campo economico, sociale e culturale: “Il miglioramento del tenore di vita, il pieno impiego della mano d'opera e condizioni di progresso e sviluppo economico e sociale” (art. 55, par. a).
15.1. E’ nella richiamata disposizione, secondo la dottrina (F. LATTANZI) [36], che in particolare “… va cercato il fondamento dell'autodeterminazione nel suo aspetto economico, sia come diritto alle proprie risorse naturali - successivamente evolutosi nel diritto allo sviluppo e cioè nel diritto a una equa distribuzione delle ricchezze a livello internazionale - sia come diritto di tutti i popoli governati a godere di una effettiva uguale distribuzione delle risorse economiche a livello interno”.
15.2. La constatazione che l’autodeterminazione è proclamata dalla Carta a beneficio di tutti i popoli trova difatti sostegno anche nel Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966. Particolarmente significativi si rivelano l’art. 1, par. 1, il quale prevede che “Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale….”, nonché l’art. 4, secondo cui “Gli Stati parte del presente Patto riconoscono che, nell’assicurare il godimento dei diritti in conformità del presente Patto, lo Stato potrà assoggettarli esclusivamente a quei limiti che siano stabiliti per legge, soltanto nella misura in cui ciò sia compatibile con la natura di tali diritti e unicamente allo scopo di promuovere il benessere generale in una società democratica”.
Come ci ricorda L. BASSO, in sintesi, “… questo “sviluppo economico, sociale e culturale” implica necessariamente [per il popolo, NdR] la libertà permanente di determinare in ogni campo il proprio futuro e quindi la libertà permanente di disporre delle proprie risorse e di sottrarsi a coazioni esterne, e i governi hanno il dovere di garantire ai loro popoli questa libertà. E difatti l’art. I, comma 2, del Patto internazionale relativo ai economici sociali e culturali dice esplicitamente che “gli Stati contraenti del presente Patto.... sono tenuti a facilitare la realizzazione del diritto dei popoli a disporre di se stessi” [37].
15.3 In ambito internazionale, infine, è necessario richiamare anche l’Atto finale di Helsinki del 1975, ed in particolare l’ottavo principio secondo cui “… In virtù del principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'autodeterminazione dei popoli, tutti i popoli hanno sempre il diritto, in piena libertà, di stabilire quando e come desiderano il loro regime politico interno ed esterno, senza ingerenza esterna, e di perseguire come desiderano il loro sviluppo politico, economico, sociale e culturale…”.
Autorevole dottrina (G. ARANGIO RUIZ) [38], al riguardo, ha affermato che “… il diritto di un popolo di autodeterminarsi include non solo il diritto di conseguire e mantenere l’indipendenza politica, economica e sociale nei confronti degli altri Stati, ma anche il diritto di scegliere in libertà il proprio regime politico, economico e sociale rispetto all’interno: vale a dire - in primo luogo - nei confronti di qualsiasi governo”, sottolineando, in ordine alla dimesione interna dell’autoderminazione, “il carattere permanente e l’inalienabilità del diritto dei popoli a disporre di sé stessi”.
Ciò in quanto, sempre secondo L. BASSO, se “prendiamo questo concetto dell’autoderminazione in tutte le sue implicite logiche, un popolo ha il diritto di autodeterminarsi non solo contro un governo straniero, contro un regime coloniale, ma il principio dell’autodeterminazione vale anche per autodeterminarsi contro il proprio governo” [39].
16. Ebbene, quell’ordine privato comunitario – “governato dai rapporti di forza affermati dalle Nazioni politicamente ed economicamente prevalenti” (v. p.5) – costituisce senz’altro una “coazione esterna” ad effetti neo-colonizzanti, attuata per mezzo di Trattati free-trade e surrogatasi ad ogni sovranità democratica nonché ad ogni diritto di autodeterminazione dei popoli. In questo senso L. BASSO [39] ci rammenta che:
“… Dopo la euforia della decolonizzazione degli anni ‘60 non è stato difficile constatare che l’indipendenza politica rischiava di rimanere poco più che una facciata se non si assicurava ai popoli un’indipendenza effettiva, una possibilità di autodeterminazione reale per programmare il proprio futuro non soltanto politico, ma ECONOMICO SOCIALE E CULTURALE. Ma per l’imperialismo di oggi e per le sue manifestazioni più vistose, le grandi società multinazionali, il mondo costituisce un unico mercato mondiale dal quale attingere liberamente materie prime e, se occorra, ANCHE MANODOPERA, e nel quale vendere i propri prodotti o esportare i propri capitali, fissando in ogni caso prezzi e condizioni vantaggiosi per le multinazionali stesse.
E ciò richiede di poter esercitare sui paesi che maggiormente interessano anche un dominio politico. Dovendosi abbandonare il sistema coloniale perché troppo in contrasto con principi universalmente proclamati, è necessario perlomeno assicurarsi governi sottomessi e ubbidienti, ed è appunto nella strategia da adoperare a tal fine che si sono venuti perfezionando in questo dopoguerra degli strumenti nuovi d’intervento”.
17. Perciò in frangenti storici come quello attuale, anche per evitare il rischio di apparire persino ingenui nell’algida elencazione di principi come quelli sopra richiamati, sarebbe necessario far tesoro ancora delle parole di L. BASSO, il quale ammoniva che il diritto è:
“… una sovrastruttura sociale che tende a riflettere e fondamentalmente a garantire, a mantenere e condizioni esistenti. Tuttavia, siccome è la espressione di una società contraddittoria, anche il diritto è contraddittorio…lo Stato, le leggi dello Stato, in questo caso anche la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, proclamano una serie di diritti che in realtà non esistono, non sono applicativi.
In questo senso credo che il diritto assolva veramente alla funzione ideologica in senso negativo, cioè mistificatrice, quella di far credere alla massa dei cittadini, che gode di una infinità di diritti di cui in realtà non gode…questo si può applicare in generale a qualsiasi diritto, anche a quelli enunciati nella nostra Carta Costituzionale…Tutti questi diritti in realtà sulla Carta ci sono, ma non è che siano proprio rispettati; quindi in questo senso il diritto ha una funzione mistificatrice.
PERÒ AL TEMPO STESSO, affermando questi diritti, mette in moto un processo nella coscienza dell’uomo; così ad un certo momento egli si accorge che ogni giorno è frodato dei diritti che gli sono riconosciuti. Ora questo suscita UNO SVILUPPO DI COSCIENZA DEMOCRATICA, una richiesta di vedere applicati questi diritti e quindi da arma delle classi dominanti per ingannare il popolo, diventa viceversa un’arma nelle mani del popolo che vuole vedere realizzati questi diritti che gli sono proclamati e garantiti” [40].
18. Mutuando il pensiero di U. Romagnoli espresso in un suo risalente scritto, bisognerebbe in definitiva prendere coscienza che da tanto, troppo tempo “… i vertici dell’organizzazione economica dello Stato passano nelle mani degli uomini politici “più spiccatamente filocapitalistici”, in quanto assumono come criterio d’azione quello per cui il regime deve essere aiutato, orientato, perfezionato, in modo da… rendere più stabile il sistema…” [41].
Quando e se tutto ciò apparirà sufficientemente chiaro al Popolo italiano, allora forse si potrà tentare di approntare una reazione per ricominciare a parlare in concreto di sovranità democratica e di diritti fondamentali.
___________________________
13. Dovrebbe ormai essere intuitiva la ragione per la quale risulta tanto importante quanto tragicamente inattuale nel nostro Paese anche la nozione di “ordine pubblico costituzionale”, dal momento che la stessa, operando un rimando dinamico ai principi fondamentali della Carta fondamentale, avrebbe potuto (e dovuto) fungere innumerevoli volte da strumento, nella mani delle classi dirigenti italiane e della Corte Costituzionale, per porre un argine alle altrettante situazioni di “emergenza” eurocostruite, e con le quali il nostro Paese ormai da quarant’anni si trova puntualmente costretto a convivere.
Tale limite, ed a prescindere dall’applicazione dell’autonomia riconosciuta all’Italia dall’art. 79 del TFUE, avrebbe potuto ovviamente essere opposto, da ultimo, anche nell’attuale emergenza dei migranti, che solo uno sprovvedutto tele-suddito potrebbe ormai percepire come fenomeno diverso rispetto a quello che è, ovvero un ulteriore mezzo di equalizzazione sociale in vista dell’immiserimento generalizzato.
14. Tant’è, nell’allucinazione mondialista tecno-pop in salsa €uropeista, oramai secondo M. LUCIANI “… quello costituzionale appare come un ben singolare tipo di Stato, nel quale tutti gli elementi caratterizzanti dello Stato come forma politica moderna risulterebbero interamente trasformati.
Così, il TERRITORIO non costituirebbe più un dominio riservato sul quale esercitare lo ius excludendi (visto che non è mancato chi ha teorizzato un illimitabile diritto umano all’immigrazione e all’accoglienza, almeno in capo all’evanescente categoria dei “migranti per necessità), ma nemmeno la sfera del monopolio dell’uso legittimo della forza (visto che lo si dichiara permeabile a interventi militari esterni, anche unilaterali, specie se di tipo “umanitario”).
Quanto al POPOLO, esso “cesserebbe d’essere distinguibile dalla popolazione, visto che i filosofi politici che hanno pensato di addossare agli Stati uno specifico onere motivazionale nell’ipotesi in cui la loro legislazione negasse la cittadinanza agli stranieri stabilmente residenti sul loro territorio sono stati scavalcati dai giuristi che hanno sostenuto che a quegli stranieri anche i diritti politici (compreso il diritto di voto per le assemblee parlamentari) dovrebbero essere garantiti come autentici diritti fondamentali.
La SOVRANITÀ, infine, cesserebbe d’essere imputabile a un solo, più o meno preciso, soggetto storico (lo Stato, il popolo, la nazione), ma si diluirebbe in plurimi livelli di gestione, anche sovranazionali o internazionali, tanto da qualificarsi come “sovranità condivisa”, o cesserebbe d’essere imputabile a chicchessia, configurandosi come astratta “sovranità dei valori”” [34].
Ecco perché “… anche in tal caso, considerando l'attivazione della CLAUSOLA DI ORDINE PUBBLICO il "sintomo" di esistenza minima di uno Stato sovrano e agente nell'interesse della sua comunità di cittadini, manca ogni traccia dei prerequisiti istituzionali indispensabili per far valere questa modalità/contenuto, sia in proiezione interna che esterna, della sovranità…” (così Quarantotto nei commenti).
15. L’ordine privato comunitario, tra l’altro, come nemesi della vecchia scienza dell’800, ha di fatto integralmente sostituito, in un sol colpo, non solo i principi fondamentali della Costituzione italiana (immodificabili), ma anche principi fondamentali del diritto internazionale, ovvero norme di jus cogens, “… nel senso che il loro rispetto rappresent[a] la condicio sine qua non della pace e della sicurezza internazionale” (F. LATTANZI) [35].
Tra questi spicca il c.d. principio di autodeterminazione dei popoli previsto dalla Carta delle Nazioni Unite, l’osservanza del quale è collegato sì alla pace internazionale dall'art. 1 che, tra i fini delle Nazioni Unite, enuncia al par. II quello di “sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto del principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'autodeterminazione dei popoli”.
Il rispetto dell'autodeterminazione dei popoli è altresì richiamato nel quadro della disposizione della Carta relativa all'azione dei membri dell'Organizzazione per creare condizioni di stabilità e benessere di tutti i popoli attraverso una cooperazione internazionale nel campo economico, sociale e culturale: “Il miglioramento del tenore di vita, il pieno impiego della mano d'opera e condizioni di progresso e sviluppo economico e sociale” (art. 55, par. a).
15.1. E’ nella richiamata disposizione, secondo la dottrina (F. LATTANZI) [36], che in particolare “… va cercato il fondamento dell'autodeterminazione nel suo aspetto economico, sia come diritto alle proprie risorse naturali - successivamente evolutosi nel diritto allo sviluppo e cioè nel diritto a una equa distribuzione delle ricchezze a livello internazionale - sia come diritto di tutti i popoli governati a godere di una effettiva uguale distribuzione delle risorse economiche a livello interno”.
15.2. La constatazione che l’autodeterminazione è proclamata dalla Carta a beneficio di tutti i popoli trova difatti sostegno anche nel Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966. Particolarmente significativi si rivelano l’art. 1, par. 1, il quale prevede che “Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale….”, nonché l’art. 4, secondo cui “Gli Stati parte del presente Patto riconoscono che, nell’assicurare il godimento dei diritti in conformità del presente Patto, lo Stato potrà assoggettarli esclusivamente a quei limiti che siano stabiliti per legge, soltanto nella misura in cui ciò sia compatibile con la natura di tali diritti e unicamente allo scopo di promuovere il benessere generale in una società democratica”.
Come ci ricorda L. BASSO, in sintesi, “… questo “sviluppo economico, sociale e culturale” implica necessariamente [per il popolo, NdR] la libertà permanente di determinare in ogni campo il proprio futuro e quindi la libertà permanente di disporre delle proprie risorse e di sottrarsi a coazioni esterne, e i governi hanno il dovere di garantire ai loro popoli questa libertà. E difatti l’art. I, comma 2, del Patto internazionale relativo ai economici sociali e culturali dice esplicitamente che “gli Stati contraenti del presente Patto.... sono tenuti a facilitare la realizzazione del diritto dei popoli a disporre di se stessi” [37].
15.3 In ambito internazionale, infine, è necessario richiamare anche l’Atto finale di Helsinki del 1975, ed in particolare l’ottavo principio secondo cui “… In virtù del principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'autodeterminazione dei popoli, tutti i popoli hanno sempre il diritto, in piena libertà, di stabilire quando e come desiderano il loro regime politico interno ed esterno, senza ingerenza esterna, e di perseguire come desiderano il loro sviluppo politico, economico, sociale e culturale…”.
Autorevole dottrina (G. ARANGIO RUIZ) [38], al riguardo, ha affermato che “… il diritto di un popolo di autodeterminarsi include non solo il diritto di conseguire e mantenere l’indipendenza politica, economica e sociale nei confronti degli altri Stati, ma anche il diritto di scegliere in libertà il proprio regime politico, economico e sociale rispetto all’interno: vale a dire - in primo luogo - nei confronti di qualsiasi governo”, sottolineando, in ordine alla dimesione interna dell’autoderminazione, “il carattere permanente e l’inalienabilità del diritto dei popoli a disporre di sé stessi”.
Ciò in quanto, sempre secondo L. BASSO, se “prendiamo questo concetto dell’autoderminazione in tutte le sue implicite logiche, un popolo ha il diritto di autodeterminarsi non solo contro un governo straniero, contro un regime coloniale, ma il principio dell’autodeterminazione vale anche per autodeterminarsi contro il proprio governo” [39].
16. Ebbene, quell’ordine privato comunitario – “governato dai rapporti di forza affermati dalle Nazioni politicamente ed economicamente prevalenti” (v. p.5) – costituisce senz’altro una “coazione esterna” ad effetti neo-colonizzanti, attuata per mezzo di Trattati free-trade e surrogatasi ad ogni sovranità democratica nonché ad ogni diritto di autodeterminazione dei popoli. In questo senso L. BASSO [39] ci rammenta che:
“… Dopo la euforia della decolonizzazione degli anni ‘60 non è stato difficile constatare che l’indipendenza politica rischiava di rimanere poco più che una facciata se non si assicurava ai popoli un’indipendenza effettiva, una possibilità di autodeterminazione reale per programmare il proprio futuro non soltanto politico, ma ECONOMICO SOCIALE E CULTURALE. Ma per l’imperialismo di oggi e per le sue manifestazioni più vistose, le grandi società multinazionali, il mondo costituisce un unico mercato mondiale dal quale attingere liberamente materie prime e, se occorra, ANCHE MANODOPERA, e nel quale vendere i propri prodotti o esportare i propri capitali, fissando in ogni caso prezzi e condizioni vantaggiosi per le multinazionali stesse.
E ciò richiede di poter esercitare sui paesi che maggiormente interessano anche un dominio politico. Dovendosi abbandonare il sistema coloniale perché troppo in contrasto con principi universalmente proclamati, è necessario perlomeno assicurarsi governi sottomessi e ubbidienti, ed è appunto nella strategia da adoperare a tal fine che si sono venuti perfezionando in questo dopoguerra degli strumenti nuovi d’intervento”.
17. Perciò in frangenti storici come quello attuale, anche per evitare il rischio di apparire persino ingenui nell’algida elencazione di principi come quelli sopra richiamati, sarebbe necessario far tesoro ancora delle parole di L. BASSO, il quale ammoniva che il diritto è:
“… una sovrastruttura sociale che tende a riflettere e fondamentalmente a garantire, a mantenere e condizioni esistenti. Tuttavia, siccome è la espressione di una società contraddittoria, anche il diritto è contraddittorio…lo Stato, le leggi dello Stato, in questo caso anche la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, proclamano una serie di diritti che in realtà non esistono, non sono applicativi.
In questo senso credo che il diritto assolva veramente alla funzione ideologica in senso negativo, cioè mistificatrice, quella di far credere alla massa dei cittadini, che gode di una infinità di diritti di cui in realtà non gode…questo si può applicare in generale a qualsiasi diritto, anche a quelli enunciati nella nostra Carta Costituzionale…Tutti questi diritti in realtà sulla Carta ci sono, ma non è che siano proprio rispettati; quindi in questo senso il diritto ha una funzione mistificatrice.
PERÒ AL TEMPO STESSO, affermando questi diritti, mette in moto un processo nella coscienza dell’uomo; così ad un certo momento egli si accorge che ogni giorno è frodato dei diritti che gli sono riconosciuti. Ora questo suscita UNO SVILUPPO DI COSCIENZA DEMOCRATICA, una richiesta di vedere applicati questi diritti e quindi da arma delle classi dominanti per ingannare il popolo, diventa viceversa un’arma nelle mani del popolo che vuole vedere realizzati questi diritti che gli sono proclamati e garantiti” [40].
18. Mutuando il pensiero di U. Romagnoli espresso in un suo risalente scritto, bisognerebbe in definitiva prendere coscienza che da tanto, troppo tempo “… i vertici dell’organizzazione economica dello Stato passano nelle mani degli uomini politici “più spiccatamente filocapitalistici”, in quanto assumono come criterio d’azione quello per cui il regime deve essere aiutato, orientato, perfezionato, in modo da… rendere più stabile il sistema…” [41].
Quando e se tutto ciò apparirà sufficientemente chiaro al Popolo italiano, allora forse si potrà tentare di approntare una reazione per ricominciare a parlare in concreto di sovranità democratica e di diritti fondamentali.
___________________________