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posted by Fabio Lugano
RIFLETTERE SULLE PROSPETTIVE (di Marco Santero)






Riflettere sulle prospettive

Https://vimeo.com/81588513

Il demone neoliberista ha ipnotizzato e corrotto le menti e fatto dimenticare i principi su cui si basava la costituzione, mai applicata completamente e ora ripudiata nei suoi principi cardine.

I politici ancora asserragliati dei posti di potere trasformano il loro pietoso fallimento generazionale (salvo per i ca….cavoli loro) in spocchia intellettuale talebana, una generazione che si e’ fatta abbindolare da pochi pifferai magici a libro paga della grande finanza internazionale, ma che ha indubbiamente vissuto una vita “alla grande”, senza fare nulla e ipotecando senza ritegno il futuro a livello sociale, economico, finanziario e ambientale delle generazioni presenti e future. in sostanza ripudiano anche la speranza di un cambiamento al grido “ormai le cose stanno cosi’ e basta”!!

Cosi facendo tengono ferme le forze sociali residue mentre la belva neoliberista sbrana le masse supine e indifese.

Questi vicere’ decerebrati sono quindi l’anestetico, l’oppio delle masse, in sostanza i chierichetti e sacerdoti della teologia neoliberista che celebrano la “messa” quotidiana sui media per far passare il mantra del 21° secolo:

Liberta’ assoluta a livello individuale = schiavitu’ assoluta a livello collettivo!!

Priorita’: reagire a questo inganno, a questo diabolico progetto di finanziarizzazione totale e schiavizzazione della societa’.

Il sistema di potere che ha cannibalizzato il paese ha reagito ad un potenziale cambiamento (irruzione dirompente m5s sullo scenario politico) con il cesarismo, cioe’ col dittatore, cioe’ renzi & c.: controllo ferreo dei media, distruzione del residuo potere sindacale con il job act (nome inglese in.cool.8 assicurata = teorema scientifico italiano), ricatti elettorali (se non votate noi il vostro comune/regione perde finanziamenti), riforma elettorale e costituzionale sul modello leggi fascistissime:

Https://it.wikipedia.org/wiki/leggi_fascistissime

Notare il capitolo su leggi sulla stampa (media) e sindacato!!!

La grande differenza fra l’esordio del fascismo e del cesarismo renziano risiede nel fatto che a mussolini vennero affiancati macroeconomisti del calibro di beneduce, menichella e saracino che crearono le premesse per un netto miglioramento delle condizioni di vita medie del cittadino (per rendere piu’ stabile il regime) e comunque le elites che finanziarono il fascismo lavoravano per far sviluppare il paese e quindi guadagnare di piu’ anche loro.

Quindi lo stato intervenne pesantemente, con la creazione dell’i.r.i. nell’economia, finanza, industria, sistema bancario (legge Menichella del 36 che in sostanza rimase in essere fino a Ciampi) e monetario.

Al contrario a renzi sono state affiancate persone di bassa conoscenza e competenza e vicere’ dei potentati internazionali e tedeschi che ci vogliono spolpare l’intero risparmio mobiliare e immobiliare accumulato nelle 2 generazioni che hanno vissuto con la tanto debole e vituperata lira!!

Quindi l’Italia sta subendo l’attacco coloniale piu’ massiccio e spietato della sua storia moderna e la sintesi, se non ci sara’ una forte reazione popolare, e’ “eravamo poveri, per non farci diventare comunisti ci hanno permesso di avere un ampio benessere, poi caduto il comunismo russo e finito il “pericolo” tutto questo benessere lo rivogliono indietro”.

Si puo’ invertire la rotta, con conoscenza e competenza, unita a onesta’ e buon senso, con una “spruzzata” di “sano” nazionalismo, come i francesi stanno dimostrando sul loi travail (col cavolo che gli hanno dato un nome inglese) e gli inglesi col referendum brexit, che dal 23 giugno potrebbe essere l’inizio della nostra fine, perche’ devastare l’italia, nell’ottica della nazifinanza tedesca, potrebbe essere l’unico modo per spaventare gli altri membri dell’eurozona e fargli chinare la testa!

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mototopo

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Massimiliano Di Benedetto

“(…) il singolo non occupa più nella società il posto che l’albero occupa nel bosco: egli ricorda invece il passeggero di una veloce imbarcazione che potrebbe chiamarsi Titanic”. Ernst Junger “Trattato del Ribelle”

I segnali di declino del sistema Italia sono evidenti ormai da molto tempo, tutte le fonti statistiche ed economiche ufficiali delineano uno scenario sociale gravissimo: nel 2016, la crescita del PIL italiano non dovrebbe superare l’1,1% (poco rispetto alla previsione del 3,3% per gli USA e al 2,4 per le economie avanzate); il debito aggregato di Stato, famiglie, imprese e banche è pari al 400% del PIL; il debito pubblico a marzo 2016 è cresciuto ancora ed ha sfiorato i 2228 miliardi di euro, oltre il 130% del PIL; quello privato non è da meno, secondo le stime supererà quota 190% del PIL. Poco più di 3.000 miliardi di euro.

La disoccupazione, a marzo 2016, si attesta all’11,7%, tra i dati peggiori dal 1977; la disoccupazione giovanile, nel segmento 15-24 anni, è pari al 37,9%. Dal sso di crescita delle imprese manufatturiere (ovvero il saldo tra nuove imprese e cessazioni di attività) è stato sempre molto modesto, quasi mai superiore all’1%. Nel caso delle imprese artigiane (un tempo colonna portante del sistema Italia) il saldo è stato invece negativo: – 20319 nel 2012, -27893 nel 2013, – 20393 nel 2014. Dal 2009 al 2015 hanno cessato di esistere oltre 60.000 imprese manufatturiere (Dati Unioncamere), di cui, ad esempio, oltre 3.000 nel settore dei mobili, 400 nel settore dei prodotti alimentari, 4.900 in quello dell’abbigliamento, oltre 1.900 nel settore dei computer e prodotti per ufficio, 9.000 nel settore dei prodotti di metallo. Con riferimento al solo settore manifatturiero, nel corso delle due recenti recessioni si è avuta una profonda riduzione del prodotto potenziale, il cui livello nel primo trimestre 2013 era equivalente a quello raggiunto agli inizi del 1990; rispetto ai valori massimi pre-crisi (2008) è inferiore del 15,3%.

Questo è il risultato di un calo dell’attività manifatturiera del 24,5% e di una riduzione del grado di utilizzo degli impianti di circa 8 punti (dal 76,1% al 68,0%), solo nel quinquennio 2008-2013. Il ritorno sui livelli di prodotto potenziale pre-crisi, nell’ipotesi ottimistica che gli impianti produttivi lavorino di nuovo a pieno ritmo, richiederebbe un incremento della produzione industriale di circa il 37%. È realistico supporre che, data la profondità della caduta di attività, il conseguente restringimento della base imprenditoriale, la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro e, soprattutto, il forte arretramento della domanda interna, una parte della riduzione del prodotto potenziale sia permanente.

In Italia il maggior calo di potenziale si è avuto nei settori di produzione di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi (-41,2% al primo trimestre 2013 rispetto al picco pre-crisi), legno (-36,9%), tessile (-30,3%) e minerali non metalliferi (-29,3%). La riduzione più contenuta è stata registrata negli alimentari (-4,4%) e nella farmaceutica (-6,7%).
Il drammatico scenario economico non riguarda solo il manifatturiero. Le aziende agricole presenti nel 2000 in Italia erano 2.396.274; nel 2010, 1.620.884, ben il 32,4% in meno, con punte di meno 40% in toscana, meno 45% in Liguria, meno 48% nel Lazio! Dal 2008 nel settore dell’edilizia si sono persi 690 mila posti di lavoro e sonofallite oltre 11 mila imprese (fonte Ance). Oltre ad un’imposizione fiscale altissima – per pagare le tasse un imprenditore italiano deve lavorare 269 giorni, un austriaco 170 ed uno svizzero solo 63 – un altro freno alla rinascita industriale viene da una burocrazia inadeguata ai tempi moderni: per avviare un’impresa in Italia servono 78 adempimenti e 40 giorni. Secondo la CGIA di Mestre il costo della burocrazia a carico delle imprese è pari a 31 miliardi di euro all’anno. I tanti vincoli derivanti dai trattati europei e dalle varie Basilea, insieme ai mancati pagamenti delle pubbliche amministrazioni, stanno spazzando via l’offerta delle piccole e medie imprese italiane e mettendo in discussione la sopravvivenza di interi distretti industriali dallo scenario competitivo internazionale. Si ricorda che solo alla fine degli anni 80 si contavano nel centro nord ben 60 distretti industriali principali, dell’ingegneria o dell’elettronica, dell’abbigliamento e delle calzature, delle piastrelle e delle macchine utensili. Questi distretti davano vita ad un modello denominato del terzo capitalismo e venivano elogiati come punto più alto dell’esperienza industriale italiana e portati ad esempio da Clinton nel vertice del G7 di Detroit.
A questo quadro, con tinte fortemente scure, si deve aggiungere la progressiva perdita di fiducia dei consumatori e degli imprenditori, con conseguente diminuzione della propensione a consumare e ad investire, che a sua volta innesca un circuito vizioso ancora più declinante, favorito da una incredibile ed improvvida stretta creditizia. I governi tecnici e politici, anche composti da accademici che conoscono molto bene i principi dell’economia, hanno incredibilmente applicato in una fase recessiva misure restrittive, della domanda e dell’offerta, senza ridurre la spesa pubblica primaria né, ancor più grave, individuare meccanismi di miglioramento qualitativo della pubblica amministrazione.
Di conseguenza: più pressione fiscale, compreso lo straordinario aumento dell’iva, taglio degli incentivi, guerra scenografica al consumo – come dimenticare i finanzieri a Cortina e, ancor più emblematico, tra gli ombrelloni – alle partite iva – imprenditore quindi presunto evasore – con la costruzione di strumenti di controllo, il redditometro, da una parte utili a stanare parte dell’evasione ma dall’altra inibenti la crescita dei consumi. E senza crescita della domanda, il rapporto PIL/debito non può che peggiorare. In più senza alcuna direzione sul sistema creditizio, che, pur ricevendo liquidità dalla Banca Centrale Europea, si è ben guardato dall’immetterla nel sistema delle famiglie e delle imprese, preferendo comprare titoli di Stato e quindi finanziando la spesa ed il debito pubblico anziché i consumi delle famiglie e gli investimenti delle imprese, oppure continuando ad investire nel più rischioso ma più redditizio mercato finanziario internazionale. A tal proposito si legge nel recente (1983) “Il colpo di Stato di banche e governi” diLuciano Gallino: “La pratica di concedere fiumi di liquidità alla banche europee senza richiedere alcun impegno circa gli impieghi che ne avrebbero fatto a favore dell’economia reale è proseguita da parte della Bce anche negli anni successivi. Ne sono prova gli oltre 1.000 miliardi di euro prestati a esse tra fine 2011 e inizio 2012. Le sue azioni hanno manifestamente privilegiato gli interessi del sistema finanziario rispetto a quelli dell’economia reale. Contribuendo in tal modo ad accrescere il numero di disoccupati della Ue“.

Siamo insomma passati dall’essere la V potenza economica mondiale nel 1992 ad essere definiti Piigs(Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) dalla stampa internazionale. Un Paese dove, secondo l’Istat, il 55% delle famiglie vive in uno stato di deprivazione relativa, ovvero non arriva a fine mese. Il rischio che si creino maggiori disuguaglianza economiche e sociali è elevato. Una grossa fetta della popolazione ha ormai rinunciato alla ricerca di un impiego lavorativo regolare.
Il foro economico mondiale (wef) ha nel 2014 pubblicato, come ogni anno, un’analisi approfondita della competitività delle economie di ogni paese: l’Italia occupa un triste 43esimo posto, dietro la Lituania , il Portogallo , la Slovenia e l’Indonesia (44°), ma soprattutto è lontanissima dalla Svizzera (primo posto), dalla Svezia (2°) o dalla Germania (5°). Il nostro paese è solo al 73° nel “Doing Business Index”, all’84° nello “Starting Business Index”, al 104° nel “Getting Credit index” e al 131° nel “Paying taxes index”, tutti indicatori elaborati dalla World Bank.

Nel 2015, un italiano su quattro è a rischio di povertà o esclusione sociale, secondo la definizione adottata nell’ambito della strategia Europa 2020. L’indicatore deriva dalla combinazione del rischio di povertà, della severa deprivazione materiale e della bassa intensità di lavoro. L’indicatore adottato da Europa 2020 viene definito dalla quota di popolazione che sperimenta almeno una delle suddette condizioni. L’aumento della severa deprivazione, è determinato dalla più elevata quota di individui in famiglie che non possono permettersi durante l’anno una settimana di ferie lontano da casa (dal 46,7% al 50,8%), che non hanno potuto riscaldare adeguatamente la propria abitazione (dal 18,0% al 21,2%), che non riescono a sostenere spese impreviste di 800 euro (dal 38,6% al 42,5%) o che, se volessero, non potrebbero permettersi un pasto proteico adeguato ogni due giorni (dal 12,4% al 16,8%). Dunque si è creato nel nostro paese un clima ostile per chi studia, per chi produce e per chi consuma: ed è proprio questo clima il primo fattore di decadenza e di limitazione della libertà. Le categorie produttive italiane, e quindi le piccole e le medie imprese, sono a rischio per una sfrenata concorrenza internazionale, senza alcuna protezione istituzionale, ma al contrario vessati di tasse che incentivano le dismissioni più che gli investimenti. È in moto un cambiamento radicale del nostro sistema sociale: cambiamento che in modo subdolo e permanente ha depresso lo spirito del fare, generando un sistema di paura diffusa, di passività e di rassegnazione e quindi limitando fortemente la libertà di azione, spezzata alla radice dal senso d’impotenza. Un attacco competitivo, che forse inizia nei primi anni 90 per poi rafforzarsi dopo l’introduzione dell’euro, e che è certamente riuscito a smantellare le partecipazioni statali- l’IRI e laStet sono un lontano ricordo – ed è da diversi anni impegnato ad acquisire gran parte del nostro made in Italy, ora in mani estere dalla moda all’alimentare, e sta infine attaccando la classe artigiana, sommergendola di tasse, di debiti e negandogli i crediti. Solo dal 2008 al 2012 sono stati registrati 437 passaggi di proprietà dall’Italia all’estero: i gruppi stranieri hanno speso circa 55 miliardi di euro per ottenere i marchi italiani.
Nell’alimentare la multinazionale anglo-olandese Unilever ha acquistato la Algida, la Sorbetteria Ranieri (chiusa da dieci anni), il Riso Flora, la Bertolli e la Santa Rosa, che però nel 2011 è tornata italiana grazie all’acquisto da parte della Valsoia. Molti anche gli acquisti della Kraft (Invernizzi, Negroni, Simmenthal, Splendid, Saiwa) e della Nestlè (Perugina, Sasso, Gelati Motta, e Alemagna, che però nel 2009 torna italiana con la Bauli). Tra gli elettrodomestici spicca la Zanussi, acquistata nel 1984 dalla svedese Electrolux. Per i mezzi di locomozione ci sono le biciclette Bianchi (amate da grandi campioni del passato come Gimondi e Coppi), adesso della svedese CycleuropeA.B., le biciclette Atala, adesso per il 50% della turca Bianchi Bisiklet, le moto Ducati e le auto Lamborghini, entrambe di aziende del Gruppo Volkswagen. Per la moda sono passate ad aziende straniere Fiorucci, Mila Schon, Conbipel, Sergio Tacchini. Il Gruppo Kering ha acquistato marchi di grande peso, da Gucci a Bottega Veneta a Brioni e Pomellato. Per l’arredamento sono finite in mani estere la Pozzi-Ginori, la Ceramica Dolomite, le Ceramiche Senesi, il Gruppo Marrazzi, leader internazionale nel settore delle piastrelle di ceramiche.

Il risultato della politica dell’austerità è che il ceto medio, vera e propria locomotiva dello sviluppo industriale italiano, dal quale è certamente nato il fenomeno del made in Italy nel mondo, è sempre più povero e timoroso: le imprese chiudono ed il lavoro semplicemente finisce.

Alla luce di quanto sin qui scritto, si può dire che in Italia almeno dal 2008 è in corso una vera e propria guerra economica, che sta minando le fondamenta del welfare state; guerra scoppiata per la concomitante e nefasta sinergia di tre grandi cause, dalle quali sono poi esplosi molteplici negativi effetti:
1. la grande recessione industriale, dovuta all’incontrollata globalizzazione, all’innovazione tecnologica e all’automazione industriale di matrice oligopolistica, alla drammatica diminuzione del reddito disponibile di gran parte della popolazione ed al conseguente crollo dei consumi;
2. la finanziarizzazione del modello di sviluppo, nato anche come errata risposta alla recessione industriale nel tentativo di finanziare la domanda, e l’esplosione dell’indebitamento pubblico e privato;
3. la cessione di sovranità nazionali in materia di politica economica dovuta all’adozione dell’euro, e le conseguenti scelte di austerità, parità del bilancio, spending review, alta pressione fiscale; tutte scelte chiaramente pro-cicliche recessive. Questa guerra ha stremato le forze produttive del nostro paese ed ha fortemente indebolito le forze sociali, riducendo gran parte degli italiani in uno stato di povertà e deprimendo i nostri giovani, ormai privi di speranze lavorative.
Il ceto medio, dal quale è nato il made in Italy ed il fenomeno dei distretti industriali, è oggi molto indebitato, troppo per poter ripartire da solo nella difficile via industriale per i mercati internazionali.

Il sistema produttivo nazionale appare in gran parte alienato dal fenomeno della globalizzazione, dell’informatizzazione e dalla conseguente finanziarizzazione dell’economia e della società, piuttosto lontano dal centro delle innovazioni, tra fattori apparentemente contrapposti – da un lato la concentrazione e la delocalizzazione delle attività industriali, per rincorrere economie di scala e competitività di costo; dall’altro, il decentramento amministrativo e il peso delle burocrazie e delle tenaglie fiscali. Un sistema produttivo sfiancato dalla teoria della stabilità europea, a scapito del lavoro e del risparmio, avvilito dallo spettro del debito e dalla sciagura dell’Europa Incompiuta, nel cui nome crescono tasse che ne limitano potere d’investimento e d’acquisto, e norme che ne limitano l’azione imprenditoriale.

Gian Piero Joime
Fonte: www.ilprimatonazionale.it
 

mototopo

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mototopo

Forumer storico
Dall’Ue al Ttip, l’atroce Europa filo-Usa creata per noi ............................

Scritto il 04/6/16 • nella Categoria: idee Condividi


Nel Regno Unito, dove vige maggiore libertà di informazione che da noi, il corrente dibattito sul referendum del 23 giugno sull’uscita dall’Unione Europea ha reso noto all’opinione pubblica il fatto, censurato sul continente europeo, che il progetto dell’unificazione europea è un progetto di Washington varato alla fine degli anni ‘40 per assicurare agli Usa il controllo politico-finanziario del continente a scopi geostrategici ed economici e la sua permanenza nell’impero del dollaro, cioè tra i paesi che continuano ad accettare il dollaro, anche se super-inflazionato e vacillante, e a comperare bonds in dollari anche se spazzatura e a partecipare a guerre e sanzioni volute da Washington anche se contrarie agli interessi nazionali. Notoriamente da decenni gli Usa sono un paese che vive essenzialmente sulle spalle degli altri, comprando a debito beni, materie prime e servizi, e facendo continue guerre per imporre l’accettazione di questo sistema di pagamento. E fra qualche tempo emergerà anche come gli Usa si stanno impegnando per soffocare lo sviluppo e la industrializzazione di fonti alternative e pulite di energia, che soppianterebbero il petrolio, il dollaro come moneta obbligatoria per comprarlo, e le guerre per il petrolio, che sostengono l’elefantiaca industria statunitense degli armamenti.
Il progetto ha visto e vede in azione personaggi presentati come padri dell’Europa ma in realtà pagati e diretti da Washington, innanzi tutti Jean Monnet e Robert Schuman. L’idea di unione europea viene inizialmente proposta come comunità del carbone, dell’acciaio e dell’atomo, allo scopo di ingranare tra di loro le economie di Francia e Germania, così da prevenire fantomatici futuri conflitti tra esse. Poi quel primo organismo sviluppa una rovinosa politica agricola comune, diventa un’area di libero scambio; poi assume poteri legislativi e di controllo sempre più ampli sugli Stati nazionali; poi si fa Schengen, la Bce, l’euro, il Trattato di Lisbona che impegna a una crescente integrazione politico-istituzionale, poi il controllo centralizzato dei bilanci e delle banche, e via discorrendo, verso la creazione di un superstato europeo a direzione non democratica, non trasparente e irresponsabile (“non accountable”), con soppressione delle democrazie nazionali parlamentari in quanto “causa di guerre”.
Il tory Boris Johnson, ex sindaco di Londra, nel suo intervento pro-Brexit, spiega che i due veri padri dell’Unione Europea, Monnet e Schuman, intendevano creare un senso di identità-solidarietà europea con un metodo della psicologia comportamentale, applicando un principio che era già stato osservato come efficace in altri contesti, cioè – nella fattispecie europea – forzando permanentemente e crescentemente i diversi popoli europei a tenere comportamenti simili tra loro attraverso l’imposizione di regolamentazioni comuni, la moneta comune, l’inno comune, la bandiera comune; imporre un agire comune per far nascere un sentire comune. Decenni dopo, constatiamo che questo metodo ha chiaramente fallito, e ha anzi risvegliato contrapposti nazionalismi, poggianti su oggettive contrapposizioni di interessi soprattutto economici. Risorgono le frontiere, le economie divergono, crescono i movimenti anti-Ue. Ma persino davanti a tali fallimenti, l’oligarchia massonico-finanziaria, liberal-cosmopolita, insiste nel suo programma di unificazione forzata, imponendo crescenti cessioni di sovranità e crescenti sacrifici.
Questa evoluzione sta comportando (senza che lo si dica e che si permetta ali popoli di decidere) radicali e surrettizie trasformazioni costituzionali nei vari paesi aderenti, che perdono la loro sovranità a quote crescenti e a vantaggio delle burocrazie centrali, non democratiche e non responsabili, dell’Unione Europea – burocrazie oscenamente strapagate, e tanto corrotte, parassitarie e inefficienti, che da vent’anni l’organismo europeo di revisione dei conti non firma i loro bilanci. L’unica volta che si è fatto un controllo, è scoppiato lo scandalo della Commissione Santer con la commissaria Edith Cresson. Poi hanno deciso che era meglio non controllare più! Incidentalmente: il potere legislativo, come praticamente ogni potere dell’Ue, risiede nella Commissione, non eletta e irresponsabile, che discute e decide in segreto, a porte chiuse, altroché fascismo!
Ogni cessione di sovranità a questa burocrazia viene richiesta come condizione per sviluppo e sicurezza, ma l’Unione Europea è sempre più in crisi e sempre più in fondo alla graduatoria dell’Ocse in fatto di crescita – stanno meglio solo i paesi che non hanno aderito all’euro. Questo il bilancio dell’unione e della sua moneta. Un bilancio che dovrebbe svegliare anche le menti più torbide e sognatrici. Solo gli idioti non riconoscono, a questo punto, che il progetto dell’Unione Europea non è mai stato rivolto al progresso e al benessere delle nazioni europei, bensì ad altri fini, a fini di dominazione, di controllo sociale. Informandoci, scopriamo che esso serviva e serve al dominio degli Stati Uniti sull’Europa attraverso un processo col quale il vassallo Germania è stato posto in una condizione di egemonia in Europa soprattutto mediante gli effetti dell’euro e delle politiche fiscali, che hanno prodotto e stanno producendo un forte e crescente indebitamento dei paesi periferici verso la Germania e hanno dato quindi a questa l’iniziativa politica, il controllo delle istituzioni comunitarie e il diritto di veto.
La Germania impone, col pretesto di prevenire l’inflazione e di risanare i bilanci dei paesi Pigs, misure recessive, che generano un avvitamento fiscale con conseguenti calo del Pil, aumento del debito, accrescimento della sottomissione a Berlino, che diventa sempre più dominante. Invero l’euro non è una moneta unica, con un unico debito pubblico sottostante, ma un sistema di cambi fissi tra le precedenti valute, con debiti pubblici divisi, nel quale il regolamento delle transazioni internazionali si fa sostanzialmente mediante il rilascio di promesse di pagamento, cioè mediante indebitamento, delle singole banche centrali nazionali dei paesi a deficit commerciale verso quelli con attivo commerciale. I cambi fissi, impedendo l’aggiustamento fisiologico, cioè di mercato, dei rapporti valutare tra paesi con deficit e paesi con un surplus di bilancia commerciale, determinano un crescente deficit e un crescente indebitamento dei paesi meno efficienti soprattutto verso la Germania, ma anche una fuga di imprese, di capitali, di lavoratori e tecnici qualificati, così che la Germania si ritrova con enormi crediti che usa per comprarsi i pezzi più interessanti dei patrimoni e delle economie dei paesi indebitati – cioè trasforma i propri interessi attivi in beni reali dei paesi sottomessi. E l’Italia si ritrova non solo sempre più indebitata, ma sempre più deindustrializzata e sempre più abbandonata da giovani qualificati. Il crollo dei brevetti italiani è solo l’ultima riconferma di questo processo ultraventennale e strutturale di declino.
Tale era il disegno europeista reale dietro l’europeismo di facciata concepito dai padri nobili per i figli scemi, dai padri che facevano leva su supposti sentimenti di fratellanza e solidarietà tra i popoli degli Stati europei, quando anche gli idioti sanno che, nella politica, soprattutto quella internazionale, le decisioni vengono prese per convenienza e calcolo, alla ricerca del vantaggio e della sopraffazione. Se teniamo presente questa realtà, non avremo alcuna difficoltà a capire per quale ragione tutte le innovazioni europeiste hanno avuto effetti contrari alle promesse. E per quale ragione ad ogni crisi causata da tali effetti, si è risposto che la cura era “più Europa”, più cessione di sovranità all’Unione, cioè a Berlino. Chi obietta, è estremista e populista, forse pazzo, quindi i suoi argomenti sono invalidi a priori, senza esame del merito, anzi non è nemmeno legittimato a parlare. Stile Stalin.
La prossima innovazione, già in avanzato stadio di elaborazione, è il famoso Ttip, il trattato transatlantico di libero commercio, negoziato in segreto, senza che nemmeno i parlamentari possono fare copie delle bozze, e possono consultarle solo per due ore, sorvegliati dai carabinieri, senza poterne trascrivere brani, come recentemente denunciato dal sen. Tremonti. Perché questa segretezza ultra-dittatoriale? Per coprire gli interessi economici retrostanti e i loro progetti: col Ttip le multinazionali statunitensi potrebbero prendersi larghe fette dei mercati nazionali europei (soprattutto in Italia, ai danni dei milioni di piccole imprese che danno il grosso della ricchezza e dei posti di lavoro, e con vantaggio solo di quelle pochissime imprese, perlopiù grandi, di cui gli Usa importano i prodotti. Ossia: il Ttip sarà tutto a vantaggio delle esportazioni americane verso l’Europa e soprattutto verso l’Italia, e a danno dei piccoli produttori europei dai quali dipende il nostro livello di redditi e di occupazione.
Le multinazionali americane potrebbero imporre la vendita in Europa senza etichette distintive di loro prodotti Ogm e in generale a rischio, potrebbero richiedere risarcimenti agli Stati che ponessero limiti allora affarismo quand’anche detti limiti siano giustificati da esigenze di tutte era della salute pubblica. Col Ttip disporrebbero anche, ciliegina sulla torta, di un tribunale sovranazionale praticamente organizzato da esse stesse, davanti a cui citare gli Stati dalle cui politiche e legislazioni si ritenessero danneggiate, per farli condannare a risarcire i danni da mancato profitto, e far pagare il risarcimento ai contribuenti. Anche quanto resta di libera ricerca e informazione medico-scientifica sarebbe tolto, perché contrario agli interessi del profitto. Molti economisti e giornalisti e politici in carriera, ipocritamente, dichiarano che il Ttip va bene, a condizione che la politica regolamenti l’affarismo. Ma ciò è proprio quel che il Ttip proibisce. E anche se non lo proibisse, la potenza di questo affarismo già controlla la politica.
Se il Ttip passerà, e credo che passerà perché non vi sono in campo dinamiche capaci di contrastarlo, sarà la totale eliminazione, da parte del grande capitale finanziario, di ogni limite e di ogni valore che si opponga ai suoi calcoli e alle sue speculazioni, cioè la fine pratica dell’esistenza del principio politico e del principio legalitario, oltre che dei diritti dell’uomo. Rimarranno solo quelli degli investitori, come li chiama il Ttip, ossia del capitale finanziario. Sarà una riforma non semplicemente dell’economia, ma della società e dello stesso concetto di uomo, il quale sarà ridotto e considerato esclusivamente come componente dei processi finanziari. Il dominio Usa sull’Europa attraverso il processo di unificazione europea sotto il vassallo germanico serve ultimamente a questo.
(Marco Della Luna, “Dall’europeismo al Ttip, un piano degli Usa”, dal blog di Della Luna del 24 maggio 2016).
Nel Regno Unito, dove vige maggiore libertà di informazione che da noi, il corrente dibattito sul referendum del 23 giugno sull’uscita dall’Unione Europea ha reso noto all’opinione pubblica il fatto, censurato sul continente europeo, che il progetto dell’unificazione europea è un progetto di Washington varato alla fine degli anni ‘40 per assicurare agli Usa il controllo politico-finanziario del continente a scopi geostrategici ed economici e la sua permanenza nell’impero del dollaro, cioè tra i paesi che continuano ad accettare il dollaro, anche se super-inflazionato e vacillante, e a comperare bonds in dollari anche se spazzatura e a partecipare a guerre e sanzioni volute da Washington anche se contrarie agli interessi nazionali. Notoriamente da decenni gli Usa sono un paese che vive essenzialmente sulle spalle degli altri, comprando a debito beni, materie prime e servizi, e facendo continue guerre per imporre l’accettazione di questo sistema di pagamento. E fra qualche tempo emergerà anche come gli Usa si stanno impegnando per soffocare lo sviluppo e la industrializzazione di fonti alternative e pulite di energia, che soppianterebbero il petrolio, il dollaro come moneta obbligatoria per comprarlo, e le guerre per il petrolio, che sostengono l’elefantiaca industria statunitense degli armamenti.

Il progetto ha visto e vede in azione personaggi presentati come padri dell’Europa ma in realtà pagati e diretti da Washington, innanzi tutti Jean Monnet e Robert Schuman. L’idea di unione europea viene inizialmente proposta come comunità del carbone, dell’acciaio e dell’atomo, allo scopo di ingranare tra di loro le economie di Francia e Germania, così da prevenire fantomatici futuri conflitti tra esse. Poi quel primo organismo sviluppa una rovinosa politica agricola comune, diventa un’area di libero scambio; poi assume poteri legislativi e di controllo sempre più ampli sugli Stati nazionali; poi si fa Schengen, la Bce, l’euro, il Trattato di Lisbona che impegna a una crescente integrazione politico-istituzionale, poi il controllo centralizzato dei bilanci e delle banche, e via discorrendo, verso la creazione di un superstato europeo a direzione non democratica, non trasparente e irresponsabile (“non accountable”), con soppressione delle democrazie nazionali parlamentari in quanto “causa di guerre”.

Il tory Boris Johnson, ex sindaco di Londra, nel suo intervento pro-Brexit, spiega che i due veri padri dell’Unione Europea, Monnet e Schuman, intendevano creare un senso di identità-solidarietà europea con un metodo della psicologia comportamentale, applicando un principio che era già stato osservato come efficace in altri contesti, cioè – nella fattispecie europea – forzando permanentemente e crescentemente i diversi popoli europei a tenere comportamenti simili tra loro attraverso l’imposizione di regolamentazioni comuni, la moneta comune, l’inno comune, la bandiera comune; imporre un agire comune per far nascere un sentire comune. Decenni dopo, constatiamo che questo metodo ha chiaramente fallito, e ha anzi risvegliato contrapposti nazionalismi, poggianti su oggettive contrapposizioni di interessi soprattutto economici. Risorgono le frontiere, le economie divergono, crescono i movimenti anti-Ue. Ma persino davanti a tali fallimenti, l’oligarchia massonico-finanziaria, liberal-cosmopolita, insiste nel suo programma di unificazione forzata, imponendo crescenti cessioni di sovranità e crescenti sacrifici.

Questa evoluzione sta comportando (senza che lo si dica e che si permetta ali popoli di decidere) radicali e surrettizie trasformazioni costituzionali nei vari paesi aderenti, che perdono la loro sovranità a quote crescenti e a vantaggio delle burocrazie centrali, non democratiche e non responsabili, dell’Unione Europea – burocrazie oscenamente strapagate, e tanto corrotte, parassitarie e inefficienti, che da vent’anni l’organismo europeo di revisione dei conti non firma i loro bilanci. L’unica volta che si è fatto un controllo, è scoppiato lo scandalo della Commissione Santer con la commissaria Edith Cresson. Poi hanno deciso che era meglio non controllare più! Incidentalmente: il potere legislativo, come praticamente ogni potere dell’Ue, risiede nella Commissione, non eletta e irresponsabile, che discute e decide in segreto, a porte chiuse, altroché fascismo!
 

mototopo

Forumer storico
Ogni cessione di sovranità a questa burocrazia viene richiesta come condizione per sviluppo e sicurezza, ma l’Unione Europea è sempre più in crisi e sempre più in fondo alla graduatoria dell’Ocse in fatto di crescita – stanno meglio solo i paesi che non hanno aderito all’euro. Questo il bilancio dell’unione e della sua moneta. Un bilancio che dovrebbe svegliare anche le menti più torbide e sognatrici. Solo gli idioti non riconoscono, a questo punto, che il progetto dell’Unione Europea non è mai stato rivolto al progresso e al benessere delle nazioni europei, bensì ad altri fini, a fini di dominazione, di controllo sociale. Informandoci, scopriamo che esso serviva e serve al dominio degli Stati Uniti sull’Europa attraverso un processo col quale il vassallo Germania è stato posto in una condizione di egemonia in Europa soprattutto mediante gli effetti dell’euro e delle politiche fiscali, che hanno prodotto e stanno producendo un forte e crescente indebitamento dei paesi periferici verso la Germania e hanno dato quindi a questa l’iniziativa politica, il controllo delle istituzioni comunitarie e il diritto di veto.
La Germania impone, col pretesto di prevenire l’inflazione e di risanare i bilanci dei paesi Pigs, misure recessive, che generano un avvitamento fiscale con conseguenti calo del Pil, aumento del debito, accrescimento della sottomissione a Berlino, che diventa sempre più dominante. Invero l’euro non è una moneta unica, con un unico debito pubblico sottostante, ma un sistema di cambi fissi tra le precedenti valute, con debiti pubblici divisi, nel quale il regolamento delle transazioni internazionali si fa sostanzialmente mediante il rilascio di promesse di pagamento, cioè mediante indebitamento, delle singole banche centrali nazionali dei paesi a deficit commerciale verso quelli con attivo commerciale. I cambi fissi, impedendo l’aggiustamento fisiologico, cioè di mercato, dei rapporti valutare tra paesi con deficit e paesi con un surplus di bilancia commerciale, determinano un crescente deficit e un crescente indebitamento dei paesi meno efficienti soprattutto verso la Germania, ma anche una fuga di imprese, di capitali, di lavoratori e tecnici qualificati, così che la Germania si ritrova con enormi crediti che usa per comprarsi i pezzi più interessanti dei patrimoni e delle economie dei paesi indebitati – cioè trasforma i propri interessi attivi in beni reali dei paesi sottomessi. E l’Italia si ritrova non solo sempre più indebitata, ma sempre più deindustrializzata e sempre più abbandonata da giovani qualificati. Il crollo dei brevetti italiani è solo l’ultima riconferma di questo processo ultraventennale e strutturale di declino.
Tale era il disegno europeista reale dietro l’europeismo di facciata concepito dai padri nobili per i figli scemi, dai padri che facevano leva su supposti sentimenti di fratellanza e solidarietà tra i popoli degli Stati europei, quando anche gli idioti sanno che, nella politica, soprattutto quella internazionale, le decisioni vengono prese per convenienza e calcolo, alla ricerca del vantaggio e della sopraffazione. Se teniamo presente questa realtà, non avremo alcuna difficoltà a capire per quale ragione tutte le innovazioni europeiste hanno avuto effetti contrari alle promesse. E per quale ragione ad ogni crisi causata da tali effetti, si è risposto che la cura era “più Europa”, più cessione di sovranità all’Unione, cioè a Berlino. Chi obietta, è estremista e populista, forse pazzo, quindi i suoi argomenti sono invalidi a priori, senza esame del merito, anzi non è nemmeno legittimato a parlare. Stile Stalin.
La prossima innovazione, già in avanzato stadio di elaborazione, è il famoso Ttip, il trattato transatlantico di libero commercio, negoziato in segreto, senza che nemmeno i parlamentari possono fare copie delle bozze, e possono consultarle solo per due ore, sorvegliati dai carabinieri, senza poterne trascrivere brani, come recentemente denunciato dal sen. Tremonti. Perché questa segretezza ultra-dittatoriale? Per coprire gli interessi economici retrostanti e i loro progetti: col Ttip le multinazionali statunitensi potrebbero prendersi larghe fette dei mercati nazionali europei (soprattutto in Italia, ai danni dei milioni di piccole imprese che danno il grosso della ricchezza e dei posti di lavoro, e con vantaggio solo di quelle pochissime imprese, perlopiù grandi, di cui gli Usa importano i prodotti. Ossia: il Ttip sarà tutto a vantaggio delle esportazioni americane verso l’Europa e soprattutto verso l’Italia, e a danno dei piccoli produttori europei dai quali dipende il nostro livello di redditi e di occupazione.
Le multinazionali americane potrebbero imporre la vendita in Europa senza etichette distintive di loro prodotti Ogm e in generale a rischio, potrebbero richiedere risarcimenti agli Stati che ponessero limiti allora affarismo quand’anche detti limiti siano giustificati da esigenze di tutte era della salute pubblica. Col Ttip disporrebbero anche, ciliegina sulla torta, di un tribunale sovranazionale praticamente organizzato da esse stesse, davanti a cui citare gli Stati dalle cui politiche e legislazioni si ritenessero danneggiate, per farli condannare a risarcire i danni da mancato profitto, e far pagare il risarcimento ai contribuenti. Anche quanto resta di libera ricerca e informazione medico-scientifica sarebbe tolto, perché contrario agli interessi del profitto. Molti economisti e giornalisti e politici in carriera, ipocritamente, dichiarano che il Ttip va bene, a condizione che la politica regolamenti l’affarismo. Ma ciò è proprio quel che il Ttip proibisce. E anche se non lo proibisse, la potenza di questo affarismo già controlla la politica.
Se il Ttip passerà, e credo che passerà perché non vi sono in campo dinamiche capaci di contrastarlo, sarà la totale eliminazione, da parte del grande capitale finanziario, di ogni limite e di ogni valore che si opponga ai suoi calcoli e alle sue speculazioni, cioè la fine pratica dell’esistenza del principio politico e del principio legalitario, oltre che dei diritti dell’uomo. Rimarranno solo quelli degli investitori, come li chiama il Ttip, ossia del capitale finanziario. Sarà una riforma non semplicemente dell’economia, ma della società e dello stesso concetto di uomo, il quale sarà ridotto e considerato esclusivamente come componente dei processi finanziari. Il dominio Usa sull’Europa attraverso il processo di unificazione europea sotto il vassallo germanico serve ultimamente a questo.
(Marco Della Luna, “Dall’europeismo al Ttip, un piano degli Usa”, dal blog di Della Luna del 24 maggio 2016).
Nel Regno Unito, dove vige maggiore libertà di informazione che da noi, il corrente dibattito sul referendum del 23 giugno sull’uscita dall’Unione Europea ha reso noto all’opinione pubblica il fatto, censurato sul continente europeo, che il progetto dell’unificazione europea è un progetto di Washington varato alla fine degli anni ‘40 per assicurare agli Usa il controllo politico-finanziario del continente a scopi geostrategici ed economici e la sua permanenza nell’impero del dollaro, cioè tra i paesi che continuano ad accettare il dollaro, anche se super-inflazionato e vacillante, e a comperare bonds in dollari anche se spazzatura e a partecipare a guerre e sanzioni volute da Washington anche se contrarie agli interessi nazionali. Notoriamente da decenni gli Usa sono un paese che vive essenzialmente sulle spalle degli altri, comprando a debito beni, materie prime e servizi, e facendo continue guerre per imporre l’accettazione di questo sistema di pagamento. E fra qualche tempo emergerà anche come gli Usa si stanno impegnando per soffocare lo sviluppo e la industrializzazione di fonti alternative e pulite di energia, che soppianterebbero il petrolio, il dollaro come moneta obbligatoria per comprarlo, e le guerre per il petrolio, che sostengono l’elefantiaca industria statunitense degli armamenti.

Il progetto ha visto e vede in azione personaggi presentati come padri dell’Europa ma in realtà pagati e diretti da Washington, innanzi tutti Jean Monnet e Robert Schuman. L’idea di unione europea viene inizialmente proposta come comunità del carbone, dell’acciaio e dell’atomo, allo scopo di ingranare tra di loro le economie di Francia e Germania, così da prevenire fantomatici futuri conflitti tra esse. Poi quel primo organismo sviluppa una rovinosa politica agricola comune, diventa un’area di libero scambio; poi assume poteri legislativi e di controllo sempre più ampli sugli Stati nazionali; poi si fa Schengen, la Bce, l’euro, il Trattato di Lisbona che impegna a una crescente integrazione politico-istituzionale, poi il controllo centralizzato dei bilanci e delle banche, e via discorrendo, verso la creazione di un superstato europeo a direzione non democratica, non trasparente e irresponsabile (“non accountable”), con soppressione delle democrazie nazionali parlamentari in quanto “causa di guerre”.

Il tory Boris Johnson, ex sindaco di Londra, nel suo intervento pro-Brexit, spiega che i due veri padri dell’Unione Europea, Monnet e Schuman, intendevano creare un senso di identità-solidarietà europea con un metodo della psicologia comportamentale, applicando un principio che era già stato osservato come efficace in altri contesti, cioè – nella fattispecie europea – forzando permanentemente e crescentemente i diversi popoli europei a tenere comportamenti simili tra loro attraverso l’imposizione di regolamentazioni comuni, la moneta comune, l’inno comune, la bandiera comune; imporre un agire comune per far nascere un sentire comune. Decenni dopo, constatiamo che questo metodo ha chiaramente fallito, e ha anzi risvegliato contrapposti nazionalismi, poggianti su oggettive contrapposizioni di interessi soprattutto economici. Risorgono le frontiere, le economie divergono, crescono i movimenti anti-Ue. Ma persino davanti a tali fallimenti, l’oligarchia massonico-finanziaria, liberal-cosmopolita, insiste nel suo programma di unificazione forzata, imponendo crescenti cessioni di sovranità e crescenti sacrifici.
 

mototopo

Forumer storico
Questa evoluzione sta comportando (senza che lo si dica e che si permetta ali popoli di decidere) radicali e surrettizie trasformazioni costituzionali nei vari paesi aderenti, che perdono la loro sovranità a quote crescenti e a vantaggio delle burocrazie centrali, non democratiche e non responsabili, dell’Unione Europea – burocrazie oscenamente strapagate, e tanto corrotte, parassitarie e inefficienti, che da vent’anni l’organismo europeo di revisione dei conti non firma i loro bilanci. L’unica volta che si è fatto un controllo, è scoppiato lo scandalo della Commissione Santer con la commissaria Edith Cresson. Poi hanno deciso che era meglio non controllare più! Incidentalmente: il potere legislativo, come praticamente ogni potere dell’Ue, risiede nella Commissione, non eletta e irresponsabile, che discute e decide in segreto, a porte chiuse, altroché fascismo!

Ogni cessione di sovranità a questa burocrazia viene richiesta come condizione per sviluppo e sicurezza, ma l’Unione Europea è sempre più in crisi e sempre più in fondo alla graduatoria dell’Ocse in fatto di crescita – stanno meglio solo i paesi che non hanno aderito all’euro. Questo il bilancio dell’unione e della sua moneta. Un bilancio che dovrebbe svegliare anche le menti più torbide e sognatrici. Solo gli idioti non riconoscono, a questo punto, che il progetto dell’Unione Europea non è mai stato rivolto al progresso e al benessere delle nazioni europei, bensì ad altri fini, a fini di dominazione, di controllo sociale. Informandoci, scopriamo che esso serviva e serve al dominio degli Stati Uniti sull’Europa attraverso un processo col quale il vassallo Germania è stato posto in una condizione di egemonia in Europa soprattutto mediante gli effetti dell’euro e delle politiche fiscali, che hanno prodotto e stanno producendo un forte e crescente indebitamento dei paesi periferici verso la Germania e hanno dato quindi a questa l’iniziativa politica, il controllo delle istituzioni comunitarie e il diritto di veto.

La Germania impone, col pretesto di prevenire l’inflazione e di risanare i bilanci dei paesi Pigs, misure recessive, che generano un avvitamento fiscale con conseguenti calo del Pil, aumento del debito, accrescimento della sottomissione a Berlino, che diventa sempre più dominante. Invero l’euro non è una moneta unica, con un unico debito pubblico sottostante, ma un sistema di cambi fissi tra le precedenti valute, con debiti pubblici divisi, nel quale il regolamento delle transazioni internazionali si fa sostanzialmente mediante il rilascio di promesse di pagamento, cioè mediante indebitamento, delle singole banche centrali nazionali dei paesi a deficit commerciale verso quelli con attivo commerciale. I cambi fissi, impedendo l’aggiustamento fisiologico, cioè di mercato, dei rapporti valutare tra paesi con deficit e paesi con un surplus di bilancia commerciale, determinano un crescente deficit e un crescente indebitamento dei paesi meno efficienti soprattutto verso la Germania, ma anche una fuga di imprese, di capitali, di lavoratori e tecnici qualificati, così che la Germania si ritrova con enormi crediti che usa per comprarsi i pezzi più interessanti dei patrimoni e delle economie dei paesi indebitati – cioè trasforma i propri interessi attivi in beni reali dei paesi sottomessi. E l’Italia si ritrova non solo sempre più indebitata, ma sempre più deindustrializzata e sempre più abbandonata da giovani qualificati. Il crollo dei brevetti italiani è solo l’ultima riconferma di questo processo ultraventennale e strutturale di declino.

Tale era il disegno europeista reale dietro l’europeismo di facciata concepito dai padri nobili per i figli scemi, dai padri che facevano leva su supposti sentimenti di fratellanza e solidarietà tra i popoli degli Stati europei, quando anche gli idioti sanno che, nella politica, soprattutto quella internazionale, le decisioni vengono prese per convenienza e calcolo, alla ricerca del vantaggio e della sopraffazione. Se teniamo presente questa realtà, non avremo alcuna difficoltà a capire per quale ragione tutte le innovazioni europeiste hanno avuto effetti contrari alle promesse. E per quale ragione ad ogni crisi causata da tali effetti, si è risposto che la cura era “più Europa”, più cessione di sovranità all’Unione, cioè a Berlino. Chi obietta, è estremista e populista, forse pazzo, quindi i suoi argomenti sono invalidi a priori, senza esame del merito, anzi non è nemmeno legittimato a parlare. Stile Stalin.

La prossima innovazione, già in avanzato stadio di elaborazione, è il famoso Ttip, il trattato transatlantico di libero commercio, negoziato in segreto, senza che nemmeno i parlamentari possono fare copie delle bozze, e possono consultarle solo per due ore, sorvegliati dai carabinieri, senza poterne trascrivere brani, come recentemente denunciato dal sen. Tremonti. Perché questa segretezza ultra-dittatoriale? Per coprire gli interessi economici retrostanti e i loro progetti: col Ttip le multinazionali statunitensi potrebbero prendersi larghe fette dei mercati nazionali europei (soprattutto in Italia, ai danni dei milioni di piccole imprese che danno il grosso della ricchezza e dei posti di lavoro, e con vantaggio solo di quelle pochissime imprese, perlopiù grandi, di cui gli Usa importano i prodotti. Ossia: il Ttip sarà tutto a vantaggio delle esportazioni americane verso l’Europa e soprattutto verso l’Italia, e a danno dei piccoli produttori europei dai quali dipende il nostro livello di redditi e di occupazione.

Le multinazionali americane potrebbero imporre la vendita in Europa senza etichette distintive di loro prodotti Ogm e in generale a rischio, potrebbero richiedere risarcimenti agli Stati che ponessero limiti allora affarismo quand’anche detti limiti siano giustificati da esigenze di tutte era della salute pubblica. Col Ttip disporrebbero anche, ciliegina sulla torta, di un tribunale sovranazionale praticamente organizzato da esse stesse, davanti a cui citare gli Stati dalle cui politiche e legislazioni si ritenessero danneggiate, per farli condannare a risarcire i danni da mancato profitto, e far pagare il risarcimento ai contribuenti. Anche quanto resta di libera ricerca e informazione medico-scientifica sarebbe tolto, perché contrario agli interessi del profitto. Molti economisti e giornalisti e politici in carriera, ipocritamente, dichiarano che il Ttip va bene, a condizione che la politica regolamenti l’affarismo. Ma ciò è proprio quel che il Ttip proibisce. E anche se non lo proibisse, la potenza di questo affarismo già controlla la politica.

Se il Ttip passerà, e credo che passerà perché non vi sono in campo dinamiche capaci di contrastarlo, sarà la totale eliminazione, da parte del grande capitale finanziario, di ogni limite e di ogni valore che si opponga ai suoi calcoli e alle sue speculazioni, cioè la fine pratica dell’esistenza del principio politico e del principio legalitario, oltre che dei diritti dell’uomo. Rimarranno solo quelli degli investitori, come li chiama il Ttip, ossia del capitale finanziario. Sarà una riforma non semplicemente dell’economia, ma della società e dello stesso concetto di uomo, il quale sarà ridotto e considerato esclusivamente come componente dei processi finanziari. Il dominio Usa sull’Europa attraverso il processo di unificazione europea sotto il vassallo germanico serve ultimamente a questo.

(Marco Della Luna, “Dall’europeismo al Ttip, un piano degli Usa”, dal blog di Della Luna del 24 maggio 2016).

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Ranger

Swing Trader
La banche centrali appartengono a privati cittadini e qui si fa ironia sullo stato di salute mentale di chi legge i post di Moto…
Dico “privati cittadini” non ministeri di economia e finanza.


Kirman si rompe il quazzo ma non cambia canale e nemmeno crea un contraddittorio accademico…. semplicemente si rompe il quazzo… tutti lo devono sapere.


Ranger si diverte molto. Ride a crepapelle.
Scommetto una @ di Franzo che tuttora rimpiangi l’operato di Monti…


Iulius invita a ridurre gli insulti non per educazione ma perché il ban farebbe comodo a qualcuno… l’identità del soggetto rimane misteriosa….
Dopo il manoscritto di Voynich questo è il più grande mistero della storia….

Mha.....


ecco è tornato il compare :clap::clap::clap: sentivamo la tua mancanza :D:D
 

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