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Le Istituzioni riflettono la società o esse "conformano" la società e ne inducono la struttura? In democrazia, la risposta dovrebbe essere la prima. Ma c’è sempre l'ombra della seconda...il "potere" tende a perpetuarsi, forzando le regole che, nello Stato "democratico di diritto" ne disciplinano la legittimazione. Ultimamente, poi, la seconda si profila piuttosto...ingombrante, nella sintesi "lo vuole l'Europa". Ma non solo. Per capire il fenomeno, useremo la analisi economica del diritto.
domenica 9 dicembre 2018
GLOBAL COMPACT FOR SAFE, ORDERLY AND REGULAR MIGRATION: LA GRANDE PIANIFICAZIONE E IL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATIZZATO [/paste:font]
Post di Francesco Maimone
“Dobbiamo consentire ai migranti di diventare membri a pieno titolo
delle nostre società evidenziando il loro contributo positivo”
(Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration)
1 In questi giorni sta tenendo banco sui Social e nei media il tema riguardante l’approvazione del Global Compact for Safe, Orderly and Regular migration (per brevità, GCSORM), ovvero l’accordo promosso in sede ONU e che sarebbe finalizzato a dare una risposta globale al fenomeno della migrazione. Tra le voci che si sovrappongono a favore e contro detto accordo, sembra soprattutto passare inosservato il fatto che il GCSORM non è una misura estemporanea partorita improvvisamente dal nulla, ma costituisce un documento inserito in una logica e ben congegnata “sequenza procedimentale” per dare specifica attuazione ad un disegno molto più vasto che l’Ordine sopranazionale dei M€rcati ha tracciato già da tempo.
2 In questa sequenza, ed evitando di risalire troppo nel tempo (per esempio, alla International Conference on Population and Development tenutasi nel lontano 1994 al Cairo), bisogna innanzi tutto prendere le mosse dalla distopica volontà di “trasformare il nostro mondo” contenuto in quel capolavoro cosmetico chiamato “Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile” adottata all’unanimità (quindi anche con il contributo del rappresentante italiano pro tempore) dall’Assemblea Generale dell’ONU con Risoluzione del 25 settembre 2015, entrata in vigore il 1° gennaio 2016 e che ha il compito di orientare i successivi sviluppi per i prossimi 15 anni. Come risulta da documenti parlamentari, l’Agenda “ha sostituito i precedenti Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals) che avevano orientato l’azione internazionale di supporto nel periodo 2000-2015”. La nuova Agenda globale si propone, in particolare, di raggiungere i seguenti 17 obiettivi pubblicizzati alla stregua di un nuovo e meraviglioso paese di Bengodi, obiettivi ai quali sono associati “169 traguardi … che sono interconnessi e indivisibili” (così al punto 18, pag. 6, dell’Agenda):
2.1 Non è il caso di addentrarsi in un esame dettagliato di detto documento. Si evidenziano tuttavia alcuni principi generali che sono da considerare i pilastri sui quali è stata congegnata la Road Map elitista:
- “L’attività imprenditoriale privata, gli investimenti e l’innovazione rappresentano i motori principali della produttività, di una crescita economica inclusiva e della creazione di posti di lavoro. Riconosciamo la varietà del settore privato, che varia dalle micro imprese alle cooperative, e alle multinazionali. Promuoveremo un settore imprenditoriale dinamico e ben funzionante, salvaguardando contestualmente i diritti dei lavoratori e le norme ambientali e sanitarie…” (punto 67, pag. 29, dell’Agenda). Lo Stato non è contemplato come “motore della produttività”;
- “Il commercio internazionale è il motore per una crescita economica inclusiva e per la riduzione della povertà, ed esso contribuisce alla promozione dello sviluppo sostenibile. Continueremo a promuovere un sistema multilaterale di commercio che sia universale, basato sulle regole, aperto, trasparente, prevedibile, inclusivo, non discriminatorio ed equo nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, così come una liberalizzazione significativa del commercio…” (punto 68, pag. 29, dell’Agenda). Il Mercato sarà sempre più il nostro pastore;
- “… ogni Stato ha la primaria responsabilità della propria economia e del proprio sviluppo sociale e che il ruolo delle politiche interne e delle strategie per lo sviluppo non può essere messo in discussione. Rispetteremo lo spazio politico di ogni Nazione e la loro leadership per implementare politiche per la lotta alla povertà e per lo sviluppo sostenibile, pur rimanendo coerenti con l’importanza delle leggi e dell’impegno internazionali. Allo stesso tempo, gli sforzi per lo sviluppo nazionale necessitano del supporto di un contesto economico internazionale favorevole, attraverso un commercio mondiale coerente e di sostegno reciproco…” (punto 63, pag. 28, dell’Agenda). Nel caso dell’Italia, per esempio, verrebbero “rispettate” le politiche deflazionistiche e di impoverimento derivanti dall’appartenenza all’U€ ed al sistema della moneta unica;
- “… Riconosciamo il bisogno di fornire assistenza ai paesi in via di sviluppo affinché raggiungano la sostenibilità a lungo termine del debito, attraverso politiche coordinate, finalizzate a promuovere, a seconda dei casi, il finanziamento, la remissione, la ristrutturazione e la solida gestione del debito. Molti paesi restano vulnerabili alle crisi del debito e alcuni paesi, ivi inclusi alcuni dei paesi meno sviluppati, alcuni piccoli Stati insulari in via di Sviluppo e alcuni dei paesi sviluppati, sono nel mezzo di una crisi. Ribadiamo che i debitori e i creditori devono lavorare congiuntamente al fine di evitare e allo stesso tempo risolvere le situazioni di debito insostenibile. Mantenere livelli di debito sostenibile è responsabilità dei paesi mutuatari …” (punto 69, pag. 29, dell’Agenda). Detto altrimenti, nel farsi sbranare, l’agnello dovrà cooperare al meglio con il lupo, dal momento che sua è la responsabilità di essere la parte più debole del rapporto obbligatorio.
3. Quanto delineato per sommi capi rappresenta a ben vedere il manifesto di un neoliberismo incrementale, all’interno della cui cornice di “crescita sostenibile”, ovviamente, svolgono un ruolo non indifferente anche le migrazioni di massa. A queste ultime, si badi bene, viene infatti riconosciuto a priori un:
“… contributo positivo [per] una crescita inclusiva e … uno sviluppo sostenibile. Inoltre, [viene riconosciuto] che la migrazione internazionale è una realtà … di grandissima rilevanza per lo sviluppo dei paesi d’origine, di transito e di destinazione, che richiede risposte coerenti e comprensive. [perciò si lavorerà insieme] … a livello internazionale per garantire flussi migratori sicuri, regolari e ordinati, secondo il pieno rispetto dei diritti umani e il trattamento umano dei migranti, a prescindere dallo status di migrante, rifugiato o sfollato...” (punto 29, pag. 8 dell’Agenda). Insomma, viene affermato in modo perentorio e senza possibilità di smentita che le migrazioni sono un bene, una opportunità di crescita e sviluppo globali.
3.1 E’ da sottolineare, quindi, che sin dall’Agenda 2030 è sancito in nuce che la realizzazione degli obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile debbano essere realizzati “all’interno di una struttura di Partnership Globale” (punto 40, pag. 10 dell’Agenda) nell’ambito della quale non poteva mancare il riconoscimento del ruolo svolto dal “variegato settore privato…dalle micro-imprese…[dalle] multinazionali, [dalle] organizzazioni della società civile e… filantropiche [cioè le ONG]” (punto 41, pag. 10 e punto 45, pag. 11 dell’Agenda).
4 Fissata in generale l’Agenda nel 2015, l’oligarchia capitalistica mondiale si è ovviamente mobilitata per dare esecuzione, in particolare, all’obiettivo n. 10 (“ridurre l’ineguaglianza all’interno di e fra le nazioni”), preoccupandosi di dettagliare la disciplina al fine di rendere “… più disciplinate, sicure, regolari e responsabili la migrazione e la mobilità delle persone, anche con l’attuazione di POLITICHE MIGRATORIE PIANIFICATE E BEN GESTITE” (punto 10.7 pag. 21 dell’Agenda).
4.1 Tale disciplina è contenuta nel testo della fondamentale Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU del 19 settembre 2016 (“Dichiarazione di New York per i rifugiati ed i migranti”, di cui non è stato possibile reperire il testo in lingua italiana) anch’essa, ovviamente, adottata con il contributo dell’allora rappresentante italiano pro tempore. Secondo quanto previsto al punto 21 della citata Dichiarazione (pag. 5), anche se gli Stati hanno approvato una serie di “impegni” che si applicano indistintamente sia ai rifugiati che ai migranti, il GCSORM darà tuttavia specifica attuazione all’Allegato II con il quale sono state stabilite proprio le “misure per l'adozione nel 2018 di un patto globale per la migrazione sicura, ordinata e regolare”. L’assunzione di un corrispondente patto globale per i rifugiati – oggetto dell’Allegato I – sembra sia stata invece rimandata ad altre sessioni intergovernative.
Ora, al di là delle pletoriche espressioni sparse a piene mani in tutto il testo della Dichiarazione in parola, è necessario passare brevemente in rassegna quelli che sono i principi più importanti in essa sanciti in materia di “migranti economici”. Tali principi sono contenuti nell’Introduzione, nei punti da 41 a 63 (ovviamente in linea con quelli già formalizzati dell’Agenda 2030) e nel citato Allegato II il quale, più specificamente, ha la funzione di anticipare nel dettaglio il contenuto sostanziale e soprattutto organizzativo del GCSORM.
4.2 Ci viene innanzi tutto spiegato che gli uomini si stanno muovendo anche “per cercare … nuove opportunità economiche… per fuggire … da povertà [e] insicurezza alimentare” (punto 1, pag. 1), anche se non viene mai spesa una parola sulle reali cause della povertà. Tale “movimento” di uomini è ribadito dall’ONU come opportunità per una crescita inclusiva ed uno sviluppo sostenibile nonché per la distopica realizzazione di un “mondo migliore”: “… Quando abbiamo adottato un anno fa il programma di sviluppo sostenibile nell’orizzonte 2030, abbiamo evidenziato chiaramente il contributo positivo che i migranti hanno apportato alla crescita inclusiva e allo sviluppo sostenibile. Questo contributo rende il nostro mondo un posto migliore. I vantaggi e le opportunità associati alla migrazione regolare, sicura e ordinata sono considerevoli e generalmente sottovalutati...” (punto 4, pag. 2).
Di conseguenza, “… Il massiccio spostamento di … migranti deve essere pienamente sostenuto… e protetto in conformità con gli obblighi del diritto internazionale”, dovendo gli “… obiettivi di sviluppo sostenibile [essere] realizzati a beneficio di tutte le nazioni, dei popoli e di tutti i componenti della società” (punto 11, pag. 3) e potendo i migranti “… contribuire positivamente e profondamente allo sviluppo economico e sociale delle loro società di accoglienza e alla creazione di ricchezza su scala globale” nonché aiutare ad “… affrontare alcune delle tendenze demografiche, carenza di manodopera e altre sfide che affliggono le società ospitanti e fornire competenze notizie e rinnovato dinamismo nelle economie di questi paesi” (punto 46, pag. 10).
4.3 Considerati tutti questi presunti “benefici” apportati dalle migrazioni economiche di massa, che “tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti [e che] tutti hanno il diritto di essere riconosciuti OVUNQUE come persone di fronte alla legge [a prescindere da motivi di] fortuna, nascita o qualsiasi altra situazione” (punto 13, pag. 3), la conclusione non poteva che essere scontata: “… tutti hanno il diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese” perché “la migrazione dovrebbe essere una scelta” (punto 42, pag. 10). In sostanza, la Dichiarazione di New York, sotto il paravento generalizzato e ipocrita dei “diritti umani”, finisce per riconoscere il pieno diritto dei “migranti economici” a lasciare il proprio Paese e ad essere accolti da un altro, ricevendo un trattamento praticamente uguale a quello dei rifugiati.
Gli Stati firmatari, d’altronde, si sono impegnati ad “adottare le misure necessarie per migliorare la loro integrazione, se del caso, in particolare per quanto riguarda l'accesso all'istruzione, all'assistenza sanitaria, alla giustizia…ai corsi di lingua” (punto 39, pag. 9) ed a tutti i servizi sociali, assicurandosi così di assestare forse la spallata decisiva a quello che è ormai rimasto del loro sistema di Welfare.
Le Istituzioni riflettono la società o esse "conformano" la società e ne inducono la struttura? In democrazia, la risposta dovrebbe essere la prima. Ma c’è sempre l'ombra della seconda...il "potere" tende a perpetuarsi, forzando le regole che, nello Stato "democratico di diritto" ne disciplinano la legittimazione. Ultimamente, poi, la seconda si profila piuttosto...ingombrante, nella sintesi "lo vuole l'Europa". Ma non solo. Per capire il fenomeno, useremo la analisi economica del diritto.
domenica 9 dicembre 2018
GLOBAL COMPACT FOR SAFE, ORDERLY AND REGULAR MIGRATION: LA GRANDE PIANIFICAZIONE E IL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATIZZATO [/paste:font]
Post di Francesco Maimone
“Dobbiamo consentire ai migranti di diventare membri a pieno titolo
delle nostre società evidenziando il loro contributo positivo”
(Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration)
1 In questi giorni sta tenendo banco sui Social e nei media il tema riguardante l’approvazione del Global Compact for Safe, Orderly and Regular migration (per brevità, GCSORM), ovvero l’accordo promosso in sede ONU e che sarebbe finalizzato a dare una risposta globale al fenomeno della migrazione. Tra le voci che si sovrappongono a favore e contro detto accordo, sembra soprattutto passare inosservato il fatto che il GCSORM non è una misura estemporanea partorita improvvisamente dal nulla, ma costituisce un documento inserito in una logica e ben congegnata “sequenza procedimentale” per dare specifica attuazione ad un disegno molto più vasto che l’Ordine sopranazionale dei M€rcati ha tracciato già da tempo.
2 In questa sequenza, ed evitando di risalire troppo nel tempo (per esempio, alla International Conference on Population and Development tenutasi nel lontano 1994 al Cairo), bisogna innanzi tutto prendere le mosse dalla distopica volontà di “trasformare il nostro mondo” contenuto in quel capolavoro cosmetico chiamato “Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile” adottata all’unanimità (quindi anche con il contributo del rappresentante italiano pro tempore) dall’Assemblea Generale dell’ONU con Risoluzione del 25 settembre 2015, entrata in vigore il 1° gennaio 2016 e che ha il compito di orientare i successivi sviluppi per i prossimi 15 anni. Come risulta da documenti parlamentari, l’Agenda “ha sostituito i precedenti Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals) che avevano orientato l’azione internazionale di supporto nel periodo 2000-2015”. La nuova Agenda globale si propone, in particolare, di raggiungere i seguenti 17 obiettivi pubblicizzati alla stregua di un nuovo e meraviglioso paese di Bengodi, obiettivi ai quali sono associati “169 traguardi … che sono interconnessi e indivisibili” (così al punto 18, pag. 6, dell’Agenda):
2.1 Non è il caso di addentrarsi in un esame dettagliato di detto documento. Si evidenziano tuttavia alcuni principi generali che sono da considerare i pilastri sui quali è stata congegnata la Road Map elitista:
- “L’attività imprenditoriale privata, gli investimenti e l’innovazione rappresentano i motori principali della produttività, di una crescita economica inclusiva e della creazione di posti di lavoro. Riconosciamo la varietà del settore privato, che varia dalle micro imprese alle cooperative, e alle multinazionali. Promuoveremo un settore imprenditoriale dinamico e ben funzionante, salvaguardando contestualmente i diritti dei lavoratori e le norme ambientali e sanitarie…” (punto 67, pag. 29, dell’Agenda). Lo Stato non è contemplato come “motore della produttività”;
- “Il commercio internazionale è il motore per una crescita economica inclusiva e per la riduzione della povertà, ed esso contribuisce alla promozione dello sviluppo sostenibile. Continueremo a promuovere un sistema multilaterale di commercio che sia universale, basato sulle regole, aperto, trasparente, prevedibile, inclusivo, non discriminatorio ed equo nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, così come una liberalizzazione significativa del commercio…” (punto 68, pag. 29, dell’Agenda). Il Mercato sarà sempre più il nostro pastore;
- “… ogni Stato ha la primaria responsabilità della propria economia e del proprio sviluppo sociale e che il ruolo delle politiche interne e delle strategie per lo sviluppo non può essere messo in discussione. Rispetteremo lo spazio politico di ogni Nazione e la loro leadership per implementare politiche per la lotta alla povertà e per lo sviluppo sostenibile, pur rimanendo coerenti con l’importanza delle leggi e dell’impegno internazionali. Allo stesso tempo, gli sforzi per lo sviluppo nazionale necessitano del supporto di un contesto economico internazionale favorevole, attraverso un commercio mondiale coerente e di sostegno reciproco…” (punto 63, pag. 28, dell’Agenda). Nel caso dell’Italia, per esempio, verrebbero “rispettate” le politiche deflazionistiche e di impoverimento derivanti dall’appartenenza all’U€ ed al sistema della moneta unica;
- “… Riconosciamo il bisogno di fornire assistenza ai paesi in via di sviluppo affinché raggiungano la sostenibilità a lungo termine del debito, attraverso politiche coordinate, finalizzate a promuovere, a seconda dei casi, il finanziamento, la remissione, la ristrutturazione e la solida gestione del debito. Molti paesi restano vulnerabili alle crisi del debito e alcuni paesi, ivi inclusi alcuni dei paesi meno sviluppati, alcuni piccoli Stati insulari in via di Sviluppo e alcuni dei paesi sviluppati, sono nel mezzo di una crisi. Ribadiamo che i debitori e i creditori devono lavorare congiuntamente al fine di evitare e allo stesso tempo risolvere le situazioni di debito insostenibile. Mantenere livelli di debito sostenibile è responsabilità dei paesi mutuatari …” (punto 69, pag. 29, dell’Agenda). Detto altrimenti, nel farsi sbranare, l’agnello dovrà cooperare al meglio con il lupo, dal momento che sua è la responsabilità di essere la parte più debole del rapporto obbligatorio.
3. Quanto delineato per sommi capi rappresenta a ben vedere il manifesto di un neoliberismo incrementale, all’interno della cui cornice di “crescita sostenibile”, ovviamente, svolgono un ruolo non indifferente anche le migrazioni di massa. A queste ultime, si badi bene, viene infatti riconosciuto a priori un:
“… contributo positivo [per] una crescita inclusiva e … uno sviluppo sostenibile. Inoltre, [viene riconosciuto] che la migrazione internazionale è una realtà … di grandissima rilevanza per lo sviluppo dei paesi d’origine, di transito e di destinazione, che richiede risposte coerenti e comprensive. [perciò si lavorerà insieme] … a livello internazionale per garantire flussi migratori sicuri, regolari e ordinati, secondo il pieno rispetto dei diritti umani e il trattamento umano dei migranti, a prescindere dallo status di migrante, rifugiato o sfollato...” (punto 29, pag. 8 dell’Agenda). Insomma, viene affermato in modo perentorio e senza possibilità di smentita che le migrazioni sono un bene, una opportunità di crescita e sviluppo globali.
3.1 E’ da sottolineare, quindi, che sin dall’Agenda 2030 è sancito in nuce che la realizzazione degli obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile debbano essere realizzati “all’interno di una struttura di Partnership Globale” (punto 40, pag. 10 dell’Agenda) nell’ambito della quale non poteva mancare il riconoscimento del ruolo svolto dal “variegato settore privato…dalle micro-imprese…[dalle] multinazionali, [dalle] organizzazioni della società civile e… filantropiche [cioè le ONG]” (punto 41, pag. 10 e punto 45, pag. 11 dell’Agenda).
4 Fissata in generale l’Agenda nel 2015, l’oligarchia capitalistica mondiale si è ovviamente mobilitata per dare esecuzione, in particolare, all’obiettivo n. 10 (“ridurre l’ineguaglianza all’interno di e fra le nazioni”), preoccupandosi di dettagliare la disciplina al fine di rendere “… più disciplinate, sicure, regolari e responsabili la migrazione e la mobilità delle persone, anche con l’attuazione di POLITICHE MIGRATORIE PIANIFICATE E BEN GESTITE” (punto 10.7 pag. 21 dell’Agenda).
4.1 Tale disciplina è contenuta nel testo della fondamentale Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU del 19 settembre 2016 (“Dichiarazione di New York per i rifugiati ed i migranti”, di cui non è stato possibile reperire il testo in lingua italiana) anch’essa, ovviamente, adottata con il contributo dell’allora rappresentante italiano pro tempore. Secondo quanto previsto al punto 21 della citata Dichiarazione (pag. 5), anche se gli Stati hanno approvato una serie di “impegni” che si applicano indistintamente sia ai rifugiati che ai migranti, il GCSORM darà tuttavia specifica attuazione all’Allegato II con il quale sono state stabilite proprio le “misure per l'adozione nel 2018 di un patto globale per la migrazione sicura, ordinata e regolare”. L’assunzione di un corrispondente patto globale per i rifugiati – oggetto dell’Allegato I – sembra sia stata invece rimandata ad altre sessioni intergovernative.
Ora, al di là delle pletoriche espressioni sparse a piene mani in tutto il testo della Dichiarazione in parola, è necessario passare brevemente in rassegna quelli che sono i principi più importanti in essa sanciti in materia di “migranti economici”. Tali principi sono contenuti nell’Introduzione, nei punti da 41 a 63 (ovviamente in linea con quelli già formalizzati dell’Agenda 2030) e nel citato Allegato II il quale, più specificamente, ha la funzione di anticipare nel dettaglio il contenuto sostanziale e soprattutto organizzativo del GCSORM.
4.2 Ci viene innanzi tutto spiegato che gli uomini si stanno muovendo anche “per cercare … nuove opportunità economiche… per fuggire … da povertà [e] insicurezza alimentare” (punto 1, pag. 1), anche se non viene mai spesa una parola sulle reali cause della povertà. Tale “movimento” di uomini è ribadito dall’ONU come opportunità per una crescita inclusiva ed uno sviluppo sostenibile nonché per la distopica realizzazione di un “mondo migliore”: “… Quando abbiamo adottato un anno fa il programma di sviluppo sostenibile nell’orizzonte 2030, abbiamo evidenziato chiaramente il contributo positivo che i migranti hanno apportato alla crescita inclusiva e allo sviluppo sostenibile. Questo contributo rende il nostro mondo un posto migliore. I vantaggi e le opportunità associati alla migrazione regolare, sicura e ordinata sono considerevoli e generalmente sottovalutati...” (punto 4, pag. 2).
Di conseguenza, “… Il massiccio spostamento di … migranti deve essere pienamente sostenuto… e protetto in conformità con gli obblighi del diritto internazionale”, dovendo gli “… obiettivi di sviluppo sostenibile [essere] realizzati a beneficio di tutte le nazioni, dei popoli e di tutti i componenti della società” (punto 11, pag. 3) e potendo i migranti “… contribuire positivamente e profondamente allo sviluppo economico e sociale delle loro società di accoglienza e alla creazione di ricchezza su scala globale” nonché aiutare ad “… affrontare alcune delle tendenze demografiche, carenza di manodopera e altre sfide che affliggono le società ospitanti e fornire competenze notizie e rinnovato dinamismo nelle economie di questi paesi” (punto 46, pag. 10).
4.3 Considerati tutti questi presunti “benefici” apportati dalle migrazioni economiche di massa, che “tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti [e che] tutti hanno il diritto di essere riconosciuti OVUNQUE come persone di fronte alla legge [a prescindere da motivi di] fortuna, nascita o qualsiasi altra situazione” (punto 13, pag. 3), la conclusione non poteva che essere scontata: “… tutti hanno il diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese” perché “la migrazione dovrebbe essere una scelta” (punto 42, pag. 10). In sostanza, la Dichiarazione di New York, sotto il paravento generalizzato e ipocrita dei “diritti umani”, finisce per riconoscere il pieno diritto dei “migranti economici” a lasciare il proprio Paese e ad essere accolti da un altro, ricevendo un trattamento praticamente uguale a quello dei rifugiati.
Gli Stati firmatari, d’altronde, si sono impegnati ad “adottare le misure necessarie per migliorare la loro integrazione, se del caso, in particolare per quanto riguarda l'accesso all'istruzione, all'assistenza sanitaria, alla giustizia…ai corsi di lingua” (punto 39, pag. 9) ed a tutti i servizi sociali, assicurandosi così di assestare forse la spallata decisiva a quello che è ormai rimasto del loro sistema di Welfare.