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1191.La nostra ignoranza è la LORO forza. · NO COMMENT.
 
2017
CAPITALISMO & FASCISMO: TRA LA MARCIA SU ROMA, IL SUD AMERICA E LA GLOBALIZZAZIONE IRENICA [/paste:font]

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Il mondo capital-pop è "a life in technicolor". Cambiano le forme (tecnologiche) ma non la sostanza:
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E la sostanza rimane questa:
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1. Questo post dovrebbe servire (se mai fosse possibile, a questo punto de " lo svuotamento dell’intorno della coscienza umana") a chiarire il punto sulla questione della destra, o del fascismo, come connotazioni attribuibili all'attuale posizione politica di Marie Le Pen.
Il punto non è affatto secondario, perché, con tutta evidenza, si riflette sulla comprensione e sull'orientamento politico dell'opinione, pubblica e di massa, italiana, sospesa (approssimativamente, perché la casistica, si limita a presupporre un certo livello di buona fede e di conoscenze...schematiche: quelle che spiegano, molto bene, "Perché ESSI VIVONO"), tra:
a) persone che credono che la sinistra sia ormai estranea alla risoluzione del conflitto distributivo scatenato dal capitalismo, senza ormai (voler) conoscere le più importanti circostanze storiche che diedero vita al fascismo istituzionale (cioè al governo, a dettare le leggi), e
b) persone che credono che queste circostanze non debbano più essere prese in considerazione, perché ora il capitalismo sarebbe "diverso". Senza saper collegare la natura della "globalizzazione" con il modo di essere costante e immutabile del capitalismo stesso.

2. E perché poi dovrebbe cambiare questo modo di essere, se lo stesso meccanismo di dominio, mediante impadronimento dello Stato pluriclasse e di diritto (in precedenza), funziona sempre, sia come dittatura emergenziale sia come desovranizzazione statuale in nome della "pace"? Anzi, il meccanismo è stato perfezionato nella sua estrema versione "pop", e mai come oggi incontra resistenze poco organizzate e neutralizzabili mediaticamente con un'abile cosmesi.
Non a caso, rispetto alla neo-versione del capitalismo sfrenato, che prende la via del tecnicismo pop, parlammo di autoingano e collaborazionismo involontario (nella migliore delle ipotesi...). Formule che in quella versione ulteriormente perfezionata del tecnicismo-pop, cioè sfrenato ma cosmetizzato al massimo grado, che è L€uropa, si concretizzano nella proiezione identificativa degli oppressi negli interessi degli oppressori.
Un fenomeno reso possibile da una vasta censura "sul punto zero" che si impernsia sulla solidificazione dell'odio verso lo Stato in sé, e si allarga nell'aggravarsi sempre più drammatico della funzione censoria svolta dalla "questione mediatica".

3. Ma veniamo al tema in questione. Francesco Maimone ci ha meritoriamente riportato una ricostruzione storico-economica di Lelio Basso che ci appare esaustiva e sufficientemente chiara per confutare ogni forma attuale di "antifascismo su Marte", una sindrome autolesionista che misura la tendenza collettiva attuale al "suicidio della democrazia". Ve la riporto nella sua sequenza:

Fascismi vecchi:
… non avrebbe vinto il fascismo se non ci fosse stato, in ultimo, un ulteriore intervento delle forze sociali, in suo aiuto, e fu la Confindustria l’elemento decisivo che determinò la vittoria del fascismo.
Fu che a un certo momento questo fenomeno, che prima era il fenomeno dei grandi agrari della Valle Padana, diventò anche il fenomeno, il movimento che interessava i grandi industriali, la grande finanza, il gran capitale
.
Questo accadde appunto…dopo la crisi del ‘21 che fu una crisi conseguente alla guerra, che si verificò in tutti i paesi, ma che ebbe un aspetto più evidente in Italia perché l’Italia, fra i paesi che si consideravano avanzati, era il meno avanzato, industrialmente il meno progredito…

Ci fu in Italia - e in tutti i paesi - una certa difficoltà nel trasformare le industrie di guerra in industrie di pace. Prendete una fabbrica che ha fabbricato per anni cannoni, munizioni, e dite: “Adesso vi mettete a fabbricare aratri, automobili, camion”. Non è facile questa riconversione dell’industria di guerra in industria di pace.
In un grande paese industriale la cosa era più facile, in un paese più ricco dove il mercato di consumo interno era più munito di possibilità, il fenomeno era più facile. In un paese più povero... Vi dovete immaginare l’Italia di allora: forse metà almeno della popolazione italiana non comprava niente sul mercato, era fatta di contadini che consumavano i prodotti della loro terra, che si facevano in casa il tessuto e i vestiti, che forse avran comprato qualche strumento di lavoro, una zappa... non so, qualche cosa del genere, ma non c’era un mercato corrispondente all’ampiezza della popolazione. In un paese di questo genere riconvertire l’industria di guerra in industria di pace diventò molto più difficile e creò delle crisi estremamente gravi.
Le industrie che si erano lanciate nella produzione bellica si erano gonfiate durante la guerra per aumentare (come è normale che avvenga nella industria capitalistica) i propri profitti, si trovarono di colpo a non sapere che cosa vendere. I cannoni non li potevano più vendere e non erano in grado di sostenere la concorrenza straniera per esportare qualche altra cosa.

Avrebbero avuto bisogno di uno stato che ordinasse locomotive invece che cannoni, vagoni ferroviari, rotaie. Le acciaierie, le industrie siderurgiche, meccaniche, si trovarono in condizioni gravissime.
E in modo particolare avvenne che due tra le più grandi industrie italiane, la Ansaldo di Genova e l’Ilva di Livorno, si trovarono di colpo ridotte in condizioni di fallimento. La seconda delle grandi banche italiane, la Banca Italiana di Sconto” che era legata alla Ansaldo di Genova, si trovò anch’essa in gravissima crisi perché aveva finanziato questa industria e non era più in grado di rimborsare i capitali.
E fino ad allora “la borghesia italiana - per usare l’espressione di uno storico della borghesia italiana che non era un uomo di sinistra, anzi fu un fascista, Nello Quirici - "l’industria italiana aveva sempre vissuto nel bagnomaria delle protezioni statali”.
Come viveva? Viveva perché lo Stato assicurava le commesse. Già allora c’erano gli scandali, (adesso sono molto più numerosi, quasi normali gli scandali delle forniture alle stato). Ci fu soprattutto lo scandalo delle acciaierie di Terni: risultò che il Ministro della Marina era in combutta con le acciaierie Terni per ordinare le corazze delle navi…


Ma allora lo Stato si trovò tra i piedi questa situazione di crisi grave, con grandi industrie che stavano crollando, la seconda delle grandi Banche - la prima era la Banca Commerciale Italiana - che stava crollando, e che chiedevano allo Stato di intervenire con enormi somme per aiutarle. Il vecchio liberalismo italiano non concepiva questa funzione dello Stato. (Oggi il capitalismo non vive senza il continuo intervento dello Stato in suo aiuto, ma allora non esisteva questa forma).

Giolitti rifiutò questo aiuto, come aveva rifiutato di intervenire quando gli operai nel ‘20 avevano occupato le fabbriche. Anche allora gli industriali avevano chiesto allo Stato di intervenire con la polizia per scacciare gli operai dalle fabbriche, e Giolitti aveva dato la risposta del buon senso, aveva detto: “Ma guardate che finché gli operai stanno nelle fabbriche non fanno la rivoluzione, la rivoluzione si fa quando si esce dalle fabbriche, quando ci si chiude nelle fabbriche non si fa nessuna rivoluzione, lasciateli stare, un certo giorno se ne andranno”. E così fu. L’occupazione delle fabbriche si sgonfiò da sé, però anche questo per gli industriali è stato un affronto, è stato un affronto alla santità della proprietà, la cosa più sacra che esista per il borghese, per il capitalista, la proprietà privata.

Che gli operai avessero occupato le fabbriche nel ‘20 era già stato un affronto, ma che lo Stato nel ‘21, quando ci fu la crisi, rifiutasse di intervenire, tirar fuori quattrini, darli alle banche, alle industrie, questo fu un elemento decisivo.

LA CONFINDUSTRIA…
Fu a questo punto, verso la fine del ‘21, che si costituì la Confindustria: la confederazione degli industriali, che non esisteva ancora in Italia. Essa decise che il modo di uscire da questa situazione era che la Confindustria stessa, si impadronisse dello Stato e potesse governare, direttamente o per interposta persona obbediente, lo Stato.

...E IL FASCISMO DI MUSSOLINI
E pensò che il fascismo di Mussolini potesse essere l’occasione buona. Le vostre generazioni, e in fondo anche noi, siamo abituati a pensare al Mussolini dittatore per vent’anni, ma allora Mussolini era un giornalistucolo ex-socialista che aveva inventato da poco questo fascismo, non era un personaggio. Era un personaggio che si era venduto alla Francia per diventare interventista, un personaggio che si comprava e che si pagava. Gli industriali si illusero, ma in realtà non si illusero veramente perché Mussolini, a parte alcune apparenze, servì gli industriali italiani come volevano, anche se ne mandò di quando in quando qualcuno al confini per dimostrare che il padrone era lui: ma la classe degli industriali la servì sempre.

Gli industriali pensarono che se avessero appoggiato il fascismo e lo avessero mandato alla conquista dello Stato, avrebbero avuto finalmente a capo del Governo non un liberale di antico stampo come il Giolitti, che credeva in una certa funzione delle Stato, in certi diritti dello Stato, che non credeva che lo Stato dovesse obbedire al primo Agnelli che arrivava a dargli un ordine, ma un servitore obbediente. Come praticamente ebbero nel fascismo.
È quando la Confindustria si decise a gettare il peso della sua forza economica, sociale, la sua stampa, i suoi giornali, a passare dalla parte del fascismo, è da allora, dalla fine del ‘21, che il fascismo vince definitivamente la sua battaglia. Prenderà il potere poi nell’Ottobre del ‘22. Ma l’elemento che decide la vittoria del fascismo è il passaggio della Confindustria da quella parte.


Infatti, Mussolini, quando arrivò al potere, fece immediatamente una serie di provvedimenti legislativi a vantaggio del grande capitale italiano.
Ecco cos’è stata l’origine del fascismo, ecco perché ho detto che ci fu un fenomeno congiunturale: la crisi (se non ci fosse stata quella crisi probabilmente non avremmo avuto il fascismo; e ci fu un fenomeno strutturale, cioè la struttura dell’industria e dell’economia italiana) era tale che il capitalismo non era più capace, come era stato in passato, di superare da se stesso la crisi. Perché crisi economiche molto più gravi del ‘21 ce ne erano state in precedenza: c’era stata la crisi degli anni 1845-46-47, da cui era nata la grande rivoluzione del ‘48 che noi conosciamo anche in Italia. La crisi era nata allora da una malattia delle patate, in Irlanda; ma poi si era estesa in Europa poco a poco e da quella crisi tutta l’Europa subbuglia (‘48-49), però il capitalismo l’aveva superato da sé. C’era stata la crisi del 1857, gravissima, con fallimenti su larga scala, che venivano già superati. C’era stata quella che si chiama la “lunga depressione” che durò dal luglio 1873 fino al 1891-92, vent’anni di crisi, ma il capitalismo l’aveva superata. Ce n’era, stata ancora al principio del secolo, e il capitalismo l’aveva superata. Il fatto nuovo che determina il fascismo è che di fronte ad una crisi che non era certamente fra le più gravi, il capitalismo non ha più in sé la forza di superare la crisi e deve allora cominciare ad utilizzare lo Stato.

SIMBIOSI TRA ECONOMIA E POLITICA
In questo senso il fascismo italiano anticipa un processo che poi si generalizzerà: cioè la simbiosi tra Stato e capitalismo, fra economia e politica. A un certo momento... - in quel caso per rimettere in movimento il meccanismo del profitto che si era fermato, e oggi viceversa per mantenere costantemente in movimento il meccanismo del profitto - è necessario che ci sia questa simbiosi fra Capitale e Stato. Lo Stato diventa l’ausiliario quotidiano del capitalismo. Ormai il capitalismo non vive senza un intervento continuo dello Stato....

Il fascismo creò l’IRI. Di fronte alla grande crisi del ‘29, quando minacciavano di crollare tutte le industrie italiane, l’Istituto della Ricostruzione Industriale, fu una specie di ospedale delle industrie, per risanarle, per aiutarle.
Oggi tutti sanno che l’economia americana non vivrebbe più di sei mesi se non ci fosse questa simbiosi tra lo Stato e l’economia.
Il fascismo italiano in questo senso fu un anticipatore, perché l’Italia era un paese a economia più debole e quindi questo aiuto era più necessario. Allora fu necessario perché c’era una crisi e lo stesso fenomeno si ripeté in Germania dopo la grande crisi del ‘29-31. Quella fu sì una crisi enorme, la più grande che il capitalismo abbia mai conosciuto, che lasciò milioni e milioni di disoccupati. Questi, ridotti a sottoproletariato, si rivolsero a Hitler, si rivolsero ai fascisti con una sola speranza, perché i partiti tradizionali e lo Stato tradizionale non erano in grado di dare una soluzione ai loro problemi di disoccupazione e di miseria.

Quindi ANCHE IL NAZISMO TEDESCO NASCE DA QUESTA DOPPIA COINCIDENZA: UN FATTO CONGIUNTURALE - cioè una crisi economica, quella del grave ‘32 - E UN FATTO STRUTTURALE, la incapacità del capitalismo tedesco, che pur era il più potente tra il capitalismo dell’Europa continentale, di uscire dalla crisi senza impadronirsi dello Stato. Se voi andate a vedere e a studiare le origini del nazismo, vedete fenomeni analoghi, vedete ad un certo momento la confederazione degli industriali tedeschi decisi ad appoggiare Hitler, che sono allora i Krupp, ci sono gli Hintless, tutti grandi industriali della Germania che danno a Hitler i mezzi per armare le squadre, per fare quello che fece il fascismo italiano. Hitler fece tutto in scala molto più larga
” (segue)

E n€o-fascismi irenici e neo-colonizzanti:
il capitalismo deve essere padrone dello Stato. Questo è oggi il vero pericolo che minaccia il mondo e che ha dato luogo alle dittature militari dell’America.
Perché noi abbiamo oggi un continente intero in cui sono aboliti i diritti dell’uomo, in cui gli operai non hanno il diritto di scioperare..., perché il grande capitale mondiale ha bisogno di avere queste forme di colonia che sono gli stati dipendenti dove si vanno a stabilite certe fabbriche.
Un ingenuo, forse magari non ingenuo, dirigente di una grande fabbrica italiana, che è andato a stabilire una succursale di una grande fabbrica in Brasile a Belo Horizonte, in un’intervista a un giornale ha detto:
“beh, abbiamo trovato nel Brasile un paese dove gli operai non possono scioperare, dove i sindacati sono fatti dallo Stato e non possono assicurare contratti di lavoro, dove non ci sono elezioni libere e quindi non si corre neanche quel terribile pericolo che è il centro-sinistra, neanche quello! E questo è il paradiso per una società multinazionale. Noi veniamo qui”.
È chiaro che nella misura in cui queste grandi multinazionali, come oggi si chiamano, possono andare a stabilire fabbriche in questi paesi dove pagano poco la mano d’opera, pochissimo, perché gli operai non hanno mezzi di difesa, indeboliscono la classe operaia del loro paese per mettervi le grandi multinazionali americane o anglo-olandesi: la Shell, la Philips, la GM, la ITT, la IBM. Che forza ha la classe operaia e impiegatizia che lavora nella IBM italiana o nella GM tedesca?
Può scioperare... Quando ha scioperato quelli chiudono la succursale italiana o tedesca, ma hanno nel mondo altre 15 o 20 fabbriche che lavorano, e se ne infischiano! Se ne infischiano perché quelli continuano a produrre e a vendere. Cioè l’esistenza delle multinazionali e l’esistenza di paesi sottoposti a queste forme di dittatura e di oppressione, indebolisce anche la classe operaia dei paesi più sviluppati…

A mio parere oggi vedere il pericolo del fascismo più che nelle dittature che si devono combattere per carità, dobbiamo combattere le battaglie di ogni giorno contro i tentativi fascisti vecchio stile, le forme nostalgiche, dobbiamo combattere le aggressioni, tutte queste forme, le minacce di colpi di stato di generali golpisti, ecc.
Ma C’È UN PERICOLO PIÙ NASCOSTO E, A MIO GIUDIZIO, PIÙ GRAVE CHE CI MINACCIA: LA TENDENZA DEL GRANDE CAPITALE MONDIALE A CONCENTRARE IL POTERE IN POCHISSIME MANI.
Secondo gli economisti, prima della fine del secolo, le grandi compagnie, le grandi società multinazionali che domineranno il mondo non saranno più di cinquanta.
Non saranno più di 50 i manager, i padroni, che nel chiuso dei loro uffici a New York oppure a Londra o a Francoforte o ad Amsterdam decideranno del destino vostro perche io probabilmente che ho 72 anni, non ci sarò più, ma voi ci sarete.
Ognuno dovrà accettare di essere una rotella impercettibile di un meccanismo messo in essere da forze lontane ed ignote per produrre il profitto del grande capitale.
Per permettere a questi 50 manager di aumentare in ricchezza e in potenza l’umanità dovrà subire la schiavitù più umiliante e più degradante che non è soltanto la schiavitù dello sfruttamento economico, ma è questa forma di schiavitù ancora maggiore che è lo svuotamento dell’intorno della coscienza umana. Gli uomini devono essere schiavi ed essere contenti di essere schiavi, ringraziare i loro padroni.
 
2017

C’è stato uno storico americano che ha scritto per spiegare la differenza di trattamento che negli USA hanno avuto i negri rispetto agli indiani, i cosiddetti “pellirosse” e ha detto: “I pellirosse non hanno capito che dovevano accettare di essere schiavi, i negri hanno capito. Se anche i pellirosse avessero accettato di fare gli schiavi avrebbero trovato dei padroni benevoli che li avrebbero trattati bene, paternalisticamente. Voi sapete quali padroni buoni e paternalisti hanno trovato i negri, come sono stati trattati, come sono trattati tuttora. Invece hanno voluto essere liberi e non c’era altro che sterminarli, che ammazzarli perché l’economia americana doveva andare avanti: o schiavi eliminati o complici di questo regime…”
[L. BASSO, Le origini del fascismo, Savona, Centro giovanile, cicl., 10-45].
Posto quanto sopra, i visionari del fascismo patafisico dovrebbero spiegare in quale punto del programma della Le Pen si avallerebbe la simbiosi strutturale tra capitalismo (globalizzato) e Stato".

4. Per finire: la dialettica tra fascismo e capitalismo sfrenato, cioè il liberismo, in passato era stata ben riassunta (e ne abbiamo straparlato) da uno dei più illustri teorici del primo, confermando appieno la ricostruzione di Lelio Basso:
"...riproduco qui, per ordine, il passo di Ludwig von Mises recentemente riportato:
«Non si può negare che fascismo e movimenti simili, finalizzati ad imporre delle dittature, siano pieni delle migliori intenzioni e che il loro intervento abbia, per il momento, salvato la civiltà europea. Il merito che il fascismo ha così ottenuto per sé, continuerà a vivere in eterno nella storia. Ma se la sua politica ha portato la salvezza, per il momento, non è della specie che potrebbe promettere di continuare ad avere successo. Il fascismo è stato un ripiego d'emergenza. Vederlo come qualcosa di più sarebbe un errore fatale.»
Ed anche, con riferimento alla fase instaurativa dello stesso fascismo, sempre Mises:
Il supporto iniziale di Giretti al movimento fascista è altamente illuminante. Sono più che convinto che senza la libertà economica, il liberalismo sia un'astrazione vuota di reale contenuto, quando non una mera ipocrisia e astrazione elettorale.. Se Mussolini con la sua dittatura ci darà un regime di maggior libertà economica rispetto a quello che abbiamo avuto dalle mafie parlamentari dominanti nell'ultimo secolo, la somma di bene che ne deriverà per il paese da un tale governo, sorpasserà di gran lunga ogni suo male.
In tal modo, in questa fase iniziale, Giretti, come gli altri "liberisti", condivise l'interpretazione del fascismo che uno studioso ha attribuito a Luigi Albertini, editore dell'influente Corriere della Sera: esso era "un movimento al tempo stesso anti-bolscevico (nel nome dell'autorità dello Stato) ed economicamente liberale, capace, cioè, di dare nuovo vigore all'idea liberale in Italia."
5. L'omogeneità dei meccanismi illustrati da Basso, nelle varie proiezioni di luogo e di tempo, della dialettica tra capitalismo liberista e fascismi (ovvero, fenomenologicamente, autoritarismi della destra economica), trova poi una spiegazione nella concezione unificante "dell'ordine internazionale del mercato". Questo è appunto il meccanismo ad applicazione unitaria, adattabile sia in funzione dei punti di partenza sociali e istituzionali che di volta in volta fronteggiano la sua applicazione, sia degli strumenti considerati idonei a rendere tale applicazione più efficace.
Ma il risultato finale, comunque, non muta (qui, p.4):
"La differenza con l'epoca fascista, a mio modo di vedere, più che in qualità personali di Mussolini (che pure hanno certamente avuto un peso) sta in un fondamentale fattore strutturale e cioè che all'epoca il garante di quello che Polanyi, la cui interpretazione di fondo del fascismo secondo me rimane la più fondata, chiamava "l'ordine internazionale del mercato" (che per lui consisteva in tre pilastri: gold standard, free trade e flessibilità del mercato del lavoro) era lo Stato nazionale, purché ovviamente non democratico (naturalmente per quei paesi che avevano la forza necessaria per non farsi colonizzare).

La stessa libertà degli interessi capitalistici locali non li spingeva però necessariamente verso la complicità con quella soluzione.
Emblematico di questo punto di vista un manifesto dell'aprile del '19, pubblicato durante la discussione che avrebbe portato all'approvazione della legge elettorale proporzionale, sottoscritto tra gli altri da Volpe, Gentile e...Einaudi, che caldeggiava un rafforzamento dello Stato contro le "minacce bolsceviche" e le "manovre finanziarie" (traggo le notizie da G. Turi, Giovanni Gentile, Torino, UTET, 2006, pag. 302), da attuarsi tramite un rafforzamento della monarchia e una riduzione della rappresentanza politica a una funzione puramente consultiva.
Tradotto in parole povere: si trattava di bloccare quegli elementi di democratizzazione della vita pubblica che rendevano più difficile, e meno credibile agli occhi dei mercati finanziari, attuare le manovre di aggiustamento i cui principali danneggiati erano i lavoratori (ricordate Eichengreen (qui, p.17.1)?).
Nel rispetto di questi binari, per garantire i quali il fascismo andò al potere, poteva senz'altro esprimersi una cultura tecnocratica anche di alto livello, di cui una dittatura, ancor più libera dopo l'allentamento prima e il crollo di quell'ordine dopo, poteva avvalersi efficacemente.
Questo però non cambia quelli che erano gli equilibri sociali su cui il regime si reggeva, come non è difficile intuire.
Non solo perché l'Italia all'ordine internazionale del mercato restò abbarbicata fino all'ultimo (le deroghe ad esso, come l'autarchia, ebbero origine nell'esigenza di restare agganciati a quello che ne era l'elemento più importante, cioè il gold standard), o perché lo stesso intervento pubblico fu sollecitato dai grandi interessi economici (l'avevo già ricordato citando Sarti), ma perché più specificamente, come dicono bene Paggi e D'Angelillo (pagg. 73-74):
"...la politica di deflazione inaugurata da Mussolini con il discorso di Pesaro non conosce interruzione anche negli anni della grande crisi.
Anzi, quando nel 1931 la sterlina sarà costretta ad abbandonare definitivamente il rapporto con l'oro, la lira subirà un'ulteriore rivalutazione.
E' dentro questa cornice di politica monetaria che si realizzano negli anni '30 tutte le grandi operazioni di intervento statale nella struttura bancaria e industriale del paese".
...Per quanto riguarda l'Italia, anche dopo l'abbandono delle vecchie tesi stagnazioniste, rimane indiscutibile il fatto che i grandi processi di ristrutturazione e di modernizzazione verticale che il capitalismo italiano conosce negli anni del fascismo non si tradurranno mai in una espansione orizzontale dell'attività economica".

Quella di una presunta rottura con il grande capitale è sostanzialmente un'autoapologia dei protagonisti dell'epoca, di cui è bene diffidare profondamente: la storiografia (De Felice in primis, ma poi Petri, Ceva, Zunino, Pavone, eccetera) ha efficacemente mostrato che, di là di frizioni anche di un certo peso (la famosa "porcata", per usare le parole di Agnelli, costituita dall'imposta speciale del 10% sui capitali delle società anonime adottata dal governo nel 1937), i vertici economici del paese non negarono il proprio convinto appoggio al fascismo, che non fece mai mancare loro lauti profitti e disciplina del lavoro, fino nemmeno alla guerra ma al momento in cui l'Italia risultò chiaramente perdente
Così come un certo livello di consenso popolare- in una situazione di perenne stagnazione salariale e provvidenze che comunque non cambiavano una situazione materiale assai modesta (come dimostrano i magri progressi degli indici dei consumi)- non ebbe origine in un particolare miglioramento delle condizioni di vita, quanto in un insieme di manipolazione e mancanza di alternative, a cui pure non mancarono momenti di autentico entusiasmo quali la conquista dell'impero e soprattutto Monaco (anche qui, bibliografia a richiesta :-)).
Il mio pensiero è che oggi le costituzioni socialdemocratiche impediscono di fondare la restaurazione dell'ordine internazionale "nello Stato", che deve quindi in prima battuta essere neutralizzato: gli effetti di una tale assalto possono forse risultare perfino più distruttivi di un blocco posto a un'evoluzione democratica in una fase precedente.
Quando voglio deprimermi, mi domando se con una Costituzione come la nostra non abbiamo osato troppo, se l'ondata distruttiva non sarebbe stata più contenuta se ci fossimo accontentati di qualcosa in meno".

6. Potrei ancora citare altre fonti a conferma di questa interpretazione (ma rinvio a questo quadro riassuntivo di Bazaar). Ciò che importa è comprendere l'applicazione del meccanismo dell'ordine internazionale del mercato (free-trade, gold standard o euro, flessibilizzazione del lavoro-merce) ottenuta tramite i trattati €uropei: questi, dovremmo ormai saperlo, furono promossi e sospinti dall'interesse degli USA che, infatti, sul fascismo, a loro tempo, ebbero questa posizione (sempre grazie ad Arturo e a Francesco; v. addendum):
"Qui, da Francesco Maimone, la definizione data al fascismo da Lelio Basso, estremamente utile per riconoscere il fenomeno nelle sue forme attuali al di là di nominalismi che non sono più indicativi della sua sostanza nel contesto storico dell'€uropeismo:
“Sotto il nome “fascismo” si intendono spesso cose diverse.
A me sembra che il significato essenziale di esso possa individuarsi in un regime che voglia GARANTIRE IL POTERE ASSOLUTO DI FATTO (non importa se rivestito di apparenze democratiche) AL GRANDE CAPITALE ALLEATO CON IL CAPITALISMO DI STATO e con il personale politico dirigente, e che si sforzi di ottenere per questo suo regime l’adesione popolare, grazie alla diseducazione, al conformismo, al qualunquismo, alla depoliticizzazione, ecc. Vi sono dunque nel fascismo due facce, due momenti: quello dell’autorità, del potere assoluto, della forza, e quello della supina acquiescenza, del conformismo, della abdicazione popolare.

Questa abdicazione, questa acquiescenza si possono ottenere in vari modi: di solito partendo da una crisi di sfiducia e di qualunquismo (dovuta alle conseguenze di una guerra o di una crisi economica) … ricorrendo ALLA SISTEMATICA DISEDUCAZIONE DELLE COSCIENZE GRAZIE ALLA PAURA, ALLA RETORICA, alla propaganda, alle “human relations” magari alla soddisfazione materiale, infine FORGIANDO ATTRAVERSO LA SCUOLA E I MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA UN TIPO DI UOMO STANDARD educato a credere ed a ubbidire, un uomo dallo spirito gregario …[L. BASSO, Dialogo fra generazioni di italiani nell’inchiesta sugli anni difficili, in Il Paradosso, aprile-giugno 1960, n. 22, 38-40]."
Capite: il fascismo, come fenomeno di regime instaurato dall'oligarchia capitalista, è sempre, si dice organicamente, un fenomeno proprio di chi controlla i mezzi di comunicazione di massa e la "scuola", al fine di creare un uomo "standard", educato a credere e perciò a ubbidire...

6.1. Questi sono invece dei chiarimenti storici fornitici da Arturo ed attinenti alla connessione del fascismo con il paradigma socio-politico dominante negli stessi USA: questi potevano essere assunti, già allora, come l'epicentro del potere economico-finanziario mondiale, almeno quanto all'approccio ideologico dominante prima della crisi del 1929 (riproposto nell'idea del federalismo europeo come suo principale strumento di restaurazione):
"Bersani ha anche detto che bisogna garantire la fine della legislatura “all’Europa e ai mercati” (pure, buoni ultimi, “agli italiani”, a cui forse sarebbe invece il caso di garantire il rispetto della Costituzione).
Se ci si deve meritare la sospirata “fiducia” dei mercati effettivamente le elezioni possono diventare un impaccio.
Lo illustra chiaramente la stabilizzazione degli anni Venti (mirata, com'è noto, al ripristino della società censitaria del gold standard e, quindi, pienamente assimilabile a quella conseguente all'adozione dell'euro), su cui merita forse spendere ancora qualche parola, usando, per esempio, un memorandum riservato del 26 dicembre 1927 compilato da Benjamin Strong, all’epoca governatore della FED:
Anche mettendo in conto questi punti particolari [le discussioni sul livello della stabilizzazione, che è poi svalutazione salariale mediante disoccupazione diffusa], non ho mai partecipato a una trattativa importante che fosse condotta in maniera così soddisfacente come questa. La ragione veramente sta nel fatto che l’Italia adottò le varie misure preliminari necessarie alle trattative e le eseguì con grande vigore e successo prima di arrivare alla decisione. La maggior parte degli altri paesi che hanno stabilizzato, con la sola eccezione dell’Inghilterra [sic!], non sono riusciti a raggiungere lo stesso risultato in anticipo, e devo dire che vi sono prove di grande autocontrollo e capacità di sacrificio, tali da consentire di realizzare questo programma, secondo i connotati lineari che ha assunto, senza tanti “se” e “ma” e riserve.” (G. G. Migone, Gli Stati Uniti e il fascismo, Feltrinelli, Milano, 1980, pag. 197).
Eh, quando c’era Lui, caro Bersani…
Non fosse chiaro il discorso, così lo spiega Migone alla pagina successiva:
E’ interessante rilevare come l’autocontrollo ammirato da Strong non consisteva che nei poteri autocratici di cui disponeva Mussolini e che già i partners della Banca Morgan aveva confrontato favorevolmente alle più complesse ed incerte procedure delle democrazia parlamentari europee.
Analogamente, lo spirito di autosacrificio a cui egli fa riferimento consiste in realtà nei sacrifici imposti a quelle classi e quelle categorie che erano state colpite dal processo di disinflazione, oltre che dalla repressione dello stato fascista.
Si può, dunque, concludere che il disegno dei banchieri privati americani viene condotto a buon fine dai rappresentati delle principali banche centrali sotto la leadership di Strong – che non manca di compiacersi per il fatto che la stabilizzazione avviene “letteralmente ed esattamente” secondo le indicazioni che egli aveva offerto a Mussolini e a Volpi, in occasione della sua visita a Roma, 18 mesi prima – e malgrado qualche inconcludente tentativo di opposizione di Montague Norman.

I prestiti concessi all’Italia nei mesi precedenti sono garantiti dal consolidamento della lira italiana, ma soprattutto dal processo di stabilizzazione del regime e del rapporto di forza fra le classi sociali su cui esso poggia, secondo il disegno di ricostruzione e restaurazione che la finanza americana portava avanti con coerenza in tutta l’Europa”.

Pubblicato da Quarantotto a 09:31 5 commenti: Link a questo post
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maggiormente ci rifletto e meglio si schiarisce il concetto .. l'iniquo salario dei politici , le famose cifre nei 10.000 - 15.000 euro .. ed oltre ogni mese è il loro prezzo per essere comprati , eseguire ordini preimpostati senza obiettare ... eppure sarebbe semplice .. tutti i politici dovrebbero rinunciare ad essere acquistati , nessuna cena gratis , circolazione con la propria auto con benzina che si acquistano loro , reimpostandosi una quota posta a 2.000 , massimo 2.500 euro / mensili nei loro salari , senza privilegio alcuno , 40 anni di lavoro prima di percepire la pensione ... dell'80% circa del loro salario mentre lavoravano .. perchè , se non è così e loro non sono comprati , allora , la situazione è davvero drammatica ! già per come appare adesso , la situazione è penosa ...
 
Ultima modifica:
scenari economici.
usa aprile 28, 2017 posted by Mitt Dolcino
La salvifica guerra di Trump (voluta dai clintoniani) per nascondere il disastro economico lasciato da Obama & friends. Preparatevi!
Una premessa è d’obbligo: non è poi nemmeno detto che sarà guerrà, necessiteremo in tal caso di una cortina fumogena d’eccezione per mettere in secondo piano i disastri lasciati da Obama. Abbiamo scritto approfonditamente dell’eredità di Obama, economicamente disastrosa e geopoliticamente terrificante: MAI prima di Barack Hussein Obama gli USA avevano visto scemare la loro influenza globale – oggi hanno perso miltissimi amici e sostenitori, anche perchè loro stessi li hanno abbandonati -. E mai un presidente USA aveva quasi raddoppiato il debito federale in soli 8 anni in tempi di pace, come ha fatto il primo e probabilmente ultimo presidente nero degli Stati Uniti d’America.

In tutto questo la salita delle borse tutto sommato collide con la realtà: oggi gli hard data USA, i fondamentali, sono in forte degrado mentre i soft data, le sensazioni o anche i sodaggi economici, sono in controtendenza stabili/in miglioramento (anzi, erano stabili, ora scendono anche loro…).



Purtroppo chi scrive teme che i soft data siano stati semplicemente “addomesticati” se non decisamente taroccati, vedasi quanto successo alla fine dello scorso mese sul NY State Coincident Economic Indicators Index per evitare che segnalasse recessione [tale indicatore non ha MAI sbagliato in 50 anni], o hanno fatto un grande pasticcio coi dati pubblicati in Febbraio vs Gennaio 2017 o sono semplicemente sbagliati e molto ma molto contradditori rispetto al passato, come da noi ben spiegato in questo articolo (in inglese).





Va detto che ormai tutte le banche centrali stanno acquistando in borsa, influenzando indebitamente i corsi: sia direttamente (BNS-Svizzera, BoJ-Giappone, la prima ha addirittura dato la stura ad un arbitraggio facile facile, quando Berna interviene a difesa del franco nei due giorni successsivi il NASDAQ sale visto che lo Stato Svizzero è tra i primi azionisti di titoli come Apple e Google, investendo soprattutto in tale comparto) che indirettamente, impiegando i denari derivati dai vari QEs a tassi zeromeno via banche sistemiche. Ormai non sembra (forse non è) più un mercato ma una semplice ruota truccata che non segue i fondamentali, ad arte.



Appunto, finchè le borse salgono tutti sono contenti e la crisi latente non viene percepita, quando ci sarà il crollo – inevitabile – bisognerà trovare una scusa per evitare che i politici di turno e le elites al seguito siano ritenuti responsabili del misfatto. Da qui la guerra come strumento per distogliere l’attenzione da una bolla azionaria fuori controllo e che non può che scoppiare. Se ci pensate bene è la stessa cosa successa nel 2001, ci volle l’attacco alle torri gemelle per giustifcare lo scoppio della bolla dotcom (allora come oggi si era passati da una vittoria presidenziale contestatissima tra G.W. Bush e Al Gore). Facendo un parallelismo, da giugno-luglio prossimi i tempi saranno maturi per il crash. E dunque per la guerra come evento scatenante il crollo, almeno non sarà colpa di nessuno per il disastro economico ormai passato in secondo piano.

Chi scrive ritiene che la tempistica dello scoppio della guerra seguirà l’indebolimento dei dati economici ad un livello non più sostenibile e non viceversa. Probabilmente ci siamo già. A parte il sopra citato NY State Coincident Economic Indicators Index molto probabilmente in recessione da fine mese scorso (a giudicare dai dati ufficiali contraddittori e molto ma molto dubbiosi) iniziano ad emergere altri segnali negativi mai visti dal 2008: i fallimenti/chiusure di aziende!

Si, perchè alla fine dei conti è quando le aziende falliscono che il sistema si rompe dall’interno ed i fallimenti/chiusure USA sono ormai a livelli del 2008! La verità di oggi sono davvero i fallimenti, se l’onda delle chiusure si ingrossa non ci saranno tarocchi di dati che terranno…



Dunque – temo – che la guerra sia prossima [per un crash a partire da gugno/lugio 2017]. E visto che le bolle sui mercati sono ormai immense e diffuse (credito auto, credito agli studenti, tassi ai minimi storici, borse ai massimi storici, real estate altissimo, ora anche i fallimenti…), beh! Posso solo dire che penso che ai responsabili del disastro convenga oltremodo una guerra.

Vedremo se sarà contro Cina, Russia, North Korea, Syria o Iran. O tutti assieme, anche perchè se ci pensate bene le alleanze tra tutti questi soggetti si sprecano:

  • Russia e Iran sono alleate in Syria,
  • Cina e Russia sono alleati commerciali fin dai tempi in cui si tentò di fallire Mosca (Pechino mise a disposizione la valuta di emergenza fronte di contratti lingo termine di materie prime, vedasi qui)
  • Cina e North Korea sono alleate storiche nel sud est asiatico
  • Syria, Iran e Russia stanno combattendo contro ISIS ed insurgenti finanziati dall’Arabia Saudita in Medio Oriente
Insomma, se tutti questi bei soggetti di punto in bianco si mettessero di traverso rispetto agli USA ed alleati, beh, sarebbero grossi guai! (e si avverebbe anche una mezza dozzina di profezie sulla terza guerra mondiale etc., ndr). Prima di tutto scommetto che la Germania si dileguerebbe, idem la Francia (entrambi sperano in un indebolimento USA per sostituirsi al dominus americano in EUropa). Ossia qualcuno potrebbe arrabbiarsi e non vorrei che il missile invece di andare in Syria arrivasse oltre Gottardo, come retaliation….



E l’Italia? Che dire, forse solo che l’ultima volta che ci fu un crash epocale (e questo potrebbe essere simile, peggio del 2008 e del 2001 messi assieme) nel caos generale ci fu una prova di colpo di Stato con il tentativo di uccisione del Principe ereditario dei Savoia… Chissà cosa potrebbe succedere oggi che il Re non c’è più, magari i vicini d’oltralpe cercherebbero di invadere il Belpaese perchè in mora con il proprio debito troppo elevato? Con Macron tendenzialmente a capo di un Paese ad oggi in fortissima crisi non solo economica, non mi stupirei affatto (stessa ricetta bellica USA, per nascondere “altri” problemi).

Fantascenari, ma attenzione: questa volta visti quali e quanti eccessi stiamo vivendo oltre alla compliessità della situazione generale, se scappa la mano – il rischio è altissimo – molti di noi non avranno nulla da raccontare ai propri nipoti.

MD
 
Incombono le elezioni ed il governo “scopre” la regia dietro gli sbarchi
Scritto il 28 aprile 2017 by Federico Dezzani
Twitter: @FedericoDezzani

Le elezioni amministrative di giugno incombono e, soprattutto, entro la primavera del 2018 si voterà per il rinnovo del Parlamento: come nel caso tedesco, urge chiudere momentaneamente “i rubinetti” dell’immigrazione per non ingrossare le fila delle destre sovraniste. L’attenzione del governo e della magistratura si è quindi improvvisamente focalizzata sui legami tra gli scafisti e le ong che operano nel Canale di Sicilia. Concentrarsi sulle navi “taxi” permette di sottrarsi dall’analisi della vera regia dietro le ondate migratorie: quei poteri atlantici che hanno gettato nel caos la Libia ed utilizzano i flussi incontrollati come strumento di destabilizzazione dell’Europa nel medio-lungo termine.

Ong? Semplici rotelle di un meccanismo
Conciliare fedeltà all’establishement atlantico, interessi economici ed indici di gradimento decorosi non è un’impresa semplice: deve essere questa l’amara constatazione del governo di centro-sinistra, diviso tra il desiderio di continuare con la politica migratoria sinora seguita in ossequio ai diktat di Washington, di incassarne i cospicui dividendi economici (si veda il giro d’affari ruotante attorno alle cooperative rosse e bianche, un giro che muove 3,5-4 €mld l’anno1 e, come ammesso da Salvatore Buzzi, “rende più della droga”2) e di evitare una Caporetto ai seggi.

Si avvicinano, infatti, le amministrative di giugno (Catanzaro, Genova, L’Aquila, Palermo ed una ventina di capoluoghi di provincia) e, soprattutto, nei primi mesi del 2018 sarà inevitabile indire le le elezioni per il rinnovo del Parlamento: se la crisi economica e l’emergenza disoccupazione ha già decimato i consensi del PD, l’ennesimo anno record di sbarchi rischia di infliggere al centro-sinistra una sconfitta da cui sarebbe difficile riprendersi, sulla falsariga di quella recentemente incassata dal partito socialista in Francia.

I numeri dei primi mesi del 2017 devono aver fatto suonare la campanella d’allarme: dopo i 170.000 arrivi del 2014, i 153.000 del 2015, i 181.000 del 2016, nel primo trimestre si è registrato un aumento del 50% rispetto all’anno precedente, prospettando l’anno in corso la cifra record di 200.000-250.000 clandestini/rifugiati. Decisamente troppo per un governo che, già ai minimi in termini di popolarità, sarà costretto entro la primavera del 2018 a sottoporsi al vaglio di un elettorato sempre più allarmato dal fenomeno: la barriera che i Paesi confinanti hanno tacitamente eretto attorno all’Italia e la ripartizione coatta degli immigrati nei comuni medio-piccoli, hanno rispettivamente intensificato l’emergenza (chiudendo le valvole di sfogo verso l’Europa del Nord) ed aumentato la percezione dell’emergenza tra i cittadini. Il “blitz” del 15-17 aprile, quando il clima ecumenico di Pasqua è stato sapientemente sfruttato per il maxi-sbarco di 8-500 immigrati, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: anche nei Palazzi romani si è constata la necessità di tirare il freno in vista delle elezioni. A distanza di un paio di giorni, è così apparsa la notizia sui sospetti dell’esecutivo circa una possibile “regia” dietro gli sbarchi: “Il governo pensa che gli sbarchi record di migranti non siano casuali: c’è una regia”3 scriveva La Stampa il 20 aprile.

L’improvvisa resipiscenza del governo italiano sul fenomeno migratorio non è certo la prima in Europa. Dopo la fulminea apertura della “via balcanica” che riversò un milione di immigrati in Germania nel solo 2015, il crollo verticale della CDU nei sondaggi e le pesanti sconfitte in alcuni land strategici, anche la Grande Coalizione di Angela Merkel corse ai ripari in vista delle legislative di quest’anno, firmando nel marzo 2016 un accordo con Ankara per bloccare il flusso migratorio sul confine greco-turco. Si può dire che Angela Merkel agì con unanime consenso: visti i drammatici effetti sull’opinione pubblica, per l’establishment atlantico era concreto il rischio di perdere una figura chiave dell’architettura UE/NATO come la cancelliera. Nel caso dell’Italia, nessuno si angoscia invece per le sorti di Paolo Gentiloni e Matteo Renzi (sostituibili in qualsiasi momento dal fedele Movimento 5 Stelle) tranne, forse, i diretti interessati: il “rinsavimento” del governo di centro-sinistra è un semplice gesto dettato dall’istinto di auto-conservazione (particolarmente radicato nell’ex-premier).

Denunciare tout court la politica migratoria portata avanti da Washington è però impensabile per il governo italiano. Si ripiega quindi, alludendo alla loro collusione con gli scafisti, sulle organizzazioni non governative, finite all’attenzione del grande pubblico dopo anni di “salvataggi” nel Canale di Sicilia. Sono le ong (Medici Senza Frontiere, Human Rights Watch, Sos Mediterranee, etc, etc,) che, nascondendola dietro un velo di umanitarismo e apoliticità, attuano l’agenda estera dell’establishment liberal: nell’economia generale dei flussi migratori, il loro ruolo è certamente determinante ma limitato, paragonabile a quello di una rotella di un meccanismo. Se la rotella è ancora alla portata della magistratura italiana e dei partiti nostrani, il meccanismo esula invece dal loro campo di analisi/azione.

Si superi ad esempio il Canale di Sicilia e si osservi la Libia, dalle cui coste vanno e vengono le navi delle ong cariche di immigrati. L’ex-colonia italiana è stata scientemente trasformata negli ultimi anni nel “trampolino” africano dell’immigrazione clandestina verso l’Europa: si comincia nel 2011 col cambio di regime orchestrato da angloamericani e francesi, si prosegue nel 2012-2013 lasciando che le forze centrifughe si radichino nel Paese, si fa il salto di qualità nel 2014 sostenendo il golpe islamista che installa in Tripolitania una giunta appoggiata da Washington, Londra, Doha ed Ankara, si evita per tutto il 2015 di fornire assistenza politico-militare al legittimo governo esiliato a Tobruk, si crea nel 2016 un effimero “governo d’unità nazionale” che, installato a Tripoli, copra i traffici di immigrati gestiti dalle milizie islamiche. Di fronte all’esplodere dei flussi migratori, la NATO si guarda bene dall’isolare la Libia con un blocco navale: invia, al contrario, le proprie navi affinché contribuiscano al “servizio taxi” che copre il Canale di Sicilia. Un governo che volesse arginare i flussi migratori, anziché preoccuparsi delle ong, dovrebbe avere come priorità la ricostruzione dello Stato libico: un onere impensabile per l’Italia del 2017.

Come è poi noto, la Libia, con i suoi 6 milioni di abitanti, non è altro che un Paese di passaggio per i flussi migratori dell’Africa sub-sahariana: tagliare alla radice i flussi migratori significherebbe arrestare l’endemica opera di destabilizzazione attuata dagli angloamericani in quest’area (vedasi, ad esempio, Boko Haram in Nigeria) e offrire un modello economico alternativo all’FMI/Banca Mondiale, che con i loro prestiti finanziari in cambio di “riforme strutturali” ed austerità, sono all’origine della disoccupazione a due cifre che affligge i Paesi africani come la Grecia o l’Italia. È questo un peso che l’Europa, completamente succube dei poteri atlantici e ripiegata su se stessa, non può neanche immaginare di sobbarcarsi.

Già, l’Europa: non c’è alcun dubbio che il Vecchio Continente sia l’obiettivo finale della politica migratoria attuata dall’establishment liberal. Il procuratore capo di Catania, Carmelo Zuccaro, ha scorto dietro la collusione tra ong e scafisti la volontà di “destabilizzare l’economia italiana per trarne dei vantaggi”4: se si tratta certamente di destabilizzazione, è riduttivo affermare che abbia soltanto finalità economiche, magari di breve termine. Le ondate migratorie verso i Paesi europei mirano ad una vera e propria destabilizzazione della società nel medio-lungo termine, soprattutto in quegli Stati dove la percentuale di immigrati sul resto della popolazione era ancora ridotta (Est-Europeo ed Italia) e le tensioni sociali relativamente ridotte (Germania). Lo Stato-Nazione coeso, pacifico e monolitico è il maggiore ostacolo che si frappone tra l’élite mondialista e la creazione di strutture sovranazionali sempre più allargate: società insicure, accartocciate su di sé e sfilacciate, sono la miglior garanzia perché l’oligarchia cosmopolita possa governare indisturbata.

L’improvviso attivismo del governo contro le ong (peraltro contestato da molti settori dello stesso PD) è politica spicciola in vista delle prossime tornate elettorale: attendersi qualche effetto sull’emergenza migratoria è illusorio. Il flusso coatto dall’Africa verso l’Europa si potrà fermare solo smantellando la gabbia UE/NATO in cui è imprigionato il continente, permettendo alle Nazioni di riappropriarsi del proprio destino: entriamo però nel campo dell’alta politica, lontana dagli espedienti adottati per vincere un’elezione amministrativa o legislativa. Anche in questo caso, non resta che riporre le speranze nelle imminenti presidenziali francesi: la vittoria di Marine Le Pen è un’occasione imperdibile per scardinare quelle istituzioni con cui si sta cercando di cancellare le identità europee.

 
deplorevoli”); proclameranno che gli elettori …
UN CULTO DI LUCIFERO NELL’ALTA FINANZA.
Maurizio Blondet 29 aprile 2017 29



Vedo che alcuni blog italiani hanno già postato parziali traduzioni di questo video. Non so chi sia quello che parla, se davvero si chiami Ronald Bernard, sia olandese, e sia come dice un professionista interno all’alta finanza. Non so se quando dice che in quegli ambienti alti si pratica un culto luciferino, sia vero. Non ho prove. Solo che, quando comincia a raccontare “sono stato invitato a partecipare a dei sacrifici…all’estero…”, gli occhi gli si riempiono di lacrime. “…Bambini…”.
 
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Ratzinger “deposto” da un complotto gestito dai servizi segreti anglosassoni, con anche la collaborazione di Gianroberto Casaleggio. Obiettivo: insediare in Vaticano l’attuale pontefice “modernista”. Un piano del massimopotere, gestito da personaggi come George Soros e ora messo in pericolo dalla vittoria di Trump. Lo sostiene Federico Dezzani, che evoca “padrini occulti” dietro al pontificato di Bergoglio, di cui profetizza l’imminente declino. Nonostante il flop del Giubileo e «il sostanziale fallimento dell’Anno Santo», Papa Francesco oggi accelera la svolta modernista: crea nuovi cardinali a lui fedeli e concede a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere l’aborto. «Forse Bergoglio ha fretta, perché sa che il contesto internazionale che lo ha portato sul Soglio Petrino si è dissolto con l’elezione di Donald Trump», scrive Dezzani, secondo cui furono «l’amministrazione Obama e George Soros» a introdurre il gesuita argentino, «in forte odore di massoneria», dentro le Mura Leonine. Bergoglio? Sarebbe «la versione petrina di Barack Hussein Obama», in coerenza col “cesaropapismo”, grazie al quale il potere civile estende la propria competenza al campo religioso, così da plasmare la dottrina «secondo le esigenze del poteretemporale».



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Una pratica bizantina, ancora viva nell’Occidente moderno? Senz’altro: «La Chiesa di Roma subisce, dalla notte dei tempi, gli influssi del mondo esterno: re francesi, imperatori tedeschi, generali corsi e dittatori italiani hanno sempre cercato di ritagliarsi una Chiesa su misura». Dopo il 1945, il Vaticano è stato «inglobato come il resto dell’Europa Occidentale nell’impero angloamericano», subendone l’influenza politica, economica e ideologica: «Quanto avviene alla Casa Bianca, presto o tardi, si ripercuote dentro le Mura Leonine». Se poi il potere temporale si sente particolarmente forte e ha fretta di imporre la propria agenda alla Chiesa cattolica, «indebolita da decenni di secolarizzazione della società e in preda ad una profonda crisi d’identità», a quel punto – sostiene Dezzani – spinge più a fondo la “modernizzazione” dello Stato pontificio «cosicché il Papa “si dimetta”, come un amministratore delegato qualsiasi, e gli azionisti di maggioranza possano nominare un nuovo “chief executive officer” della Chiesa cattolica apostolica romana, sensibile ai loro interessi».


Ratzinger “licenziato” dalla Casa Bianca? «Durante la folle amministrazione di Barack Hussein Obama, periodo durante cui l’oligarchia euro-atlantica si è manifestata in tutte le sue forme, dal terrorismo islamico all’immigrazione selvaggia, dagli assalti finanziari alle guerre per procura alla Russia – continua Dezzani nel suo blog – abbiamo assistito a tutto: comprese le dimissioni di Benedetto XVI, le prime da oltre 600 anni (l’ultimo pontefice ad abdicare fu Gregorio XII nel 1415), e alla nascita di un ruolo, quello di “pontefix emeritus”, sinora mai attribuito ad un Vicario di Cristo vivente». L’interruzione del pontificato di Joseph Ratzinger, seguita dal conclave del marzo 2013 che elegge l’argentino Jorge Mario Bergoglio, è una vera e propria “rivoluzione”: «Ad un pontefice “conservatore” come Benedetto XVI ne succede uno “progressista” come Francesco, a un difensore dell’ortodossia cattolica succede un modernista che vuole “rinnovare” la dottrina millenaria della Chiesa».
http://www.libreidee.org/2016/11/de...-dal-superclan-usa-oggi-perdente/ratzinger-6/
Non solo: «Ad un Papa che aveva ribadito l’inconciliabilità tra Chiesa Cattolica e massoneria ne subentra uno che è in fortissimo odore di libera muratoria».
E ad un pontefice «sicuro che solo nella Chiesa di Cristo c’è la salvezza» segue «un paladino dell’ecumenismo», talmente ardito da dichiarare ad Eugenio Scalfari nel 2013: «Non esiste un Dio cattolico, esiste Dio». Per Dezzani, il fondatore della “Repubblica”, «ben introdotto negli ambienti “illuminati” nostrani ed internazionali», in effetti «è un’ottima cartina di tornasole per afferrare il mutamento in seno alla Chiesa», strettamente sorvegliato dall’élite di potere. Si passa dall’editoriale “Da Pacelli a Ratzinger, la lunga crisi della Chiesa” del maggio 2012, dove Scalfari ragiona a distanza sul pontificato “lezioso” di Ratzinger, rinfacciandogli una scarsa apertura alla modernità, a Lutero ed all’ecumenismo, al dialogo tête-à-tête del novembre 2016, dove Scalfari discetta amabilmente con Bergoglio di “meticciato universale”, «tema tanto caro alla massoneria», interprete del sincretismo culturale che è alla base della modernità stessa, alla cui creazione proprio il network libero-muratorio contribuì, a partire dal ‘700.
Federico Dezzani si concentra su Bergoglio, che considera «la versione petrina di Barack Obama», al punto che «si potrebbe sostenere che sia stato il presidente americano ad installare il gesuita ai vertici della Chiesa»? Sarebbe un’affermazione «soltanto verosimile», precisa, visto che «sono gli stessi ambienti che hanno appoggiato Barack Obama (e che avevano investito tutto su Hillary Clinton nelle ultime elezioni) ad aver preparato il terreno su cui è germogliato il pontificato di Bergoglio».

In altre parole, è il milieu «della finanza angloamericana, di George Soros e dell’establishment anglofono liberal». Se si riflette sugli ultimi tre anni di pontificato, continua Dezzani, l’azione del Papa sembra infatti ricalcata sull’amministrazione democratica. Obama si fa il paladino della lotta al surriscaldamento globale, culminata col Trattato di Parigi del dicembre 2015? Bergoglio risponde con l’enciclica ambientalista “Laudato si”. Obama «ed i suoi ascari europei, Merkel e Renzi in testa», incentivano l’immigrazione di massa? Bergoglio «ne fornisce la copertura religiosa, finendo col dedicare la maggior parte del pontificato al tema». Ancora: Obama legalizza i matrimoni omosessuali? «Bergoglio si spende al massimo affinché il Sinodo sulla famiglia del 2014 si spinga in questa direzione».


Gli “automatismi” continuano, estendendosi anche al welfare. La Casa Bianca vara una discussa riforma sanitaria che incentiva l’uso di farmaci abortivi? «Bergoglio allarga all’intera platea di sacerdoti, anziché ai soli vescovi, la facoltà di assolvere dall’aborto». Ma è possibile «insediare in Vaticano» un pontefice «in perfetta sintonia con l’amministrazione democratica di Obama» e, sopratutto, «espressione degli interessi retrostanti», che Dezzani definisce «massonici-finanziari»? E’ il tema della ricostruzione di Dezzani, che parte dalla “resa” di Ratzinger. Se si vuole attuare un “regime change”, il primo passo è «sbarazzarsi della vecchia gerarchia». Dinamica classica, «già vista in Italia con Tangentopoli, che spazzò via la vecchia classe dirigente italiana spianando la strada ai governi “europeisti” di Amato e Prodi». In Germania, la Tangentopoli tedesca «decapitò la Cdu e favorì l’emergere della semi-sconosciuta Angela Merkel». A Firenze, lo scandalo urbanistico sull’area Castello «eliminò l’assessore-sceriffo Graziano Cioni e avviò la scalata al potere di Matteo Renzi». O ancora, in Brasile, dove «lo scandalo Petrobas ha causato la caduta di Dilma Rousseff e la nomina a presidente del massone Michel Temer».


Stesso schema, sempre: «Accuse di corruzione (fondate o non), illazioni infamanti, minacce, sinistre allusioni, carcerazioni preventive, battage della stampa, false testimonianze, omicidi: qualsiasi mezzo è impiegato per “scalzare” i vecchi vertici indesiderati». In Vaticano, nel mirino finirono «Ratzinger e il suo seguito di cardinali conservatori, da defenestrare a qualsiasi costo per l’avvento di un pontefice modernista». Ed ecco, puntale, lo scandalo “Vatileaks”, cioè lo smottamento – lungamente incubato – che ha condotto al ritiro di Ratzinger. L’analisi di Dezzani parte dagli Usa. Aprile 2009: Obama è insediato alla Casa Bianca da appena tre mesi «e con lui quell’oligarchia liberal decisa a sbarazzarsi di Benedetto XVI». In Italia esce “Vaticano SpA”, il libro di Gianluigi Nuzzi che “grazie all’accesso, quasi casuale, a un archivio sterminato di documenti ufficiali, spiega per la prima volta il ruolo dello Ior nella Prima e nella Seconda Repubblica”. Ovvero: «Mafia, massoneria, Vaticano e parti deviate dello Stato sono il mix di questo bestseller che apre la campagna di fango e intimidazione contro Ratzinger».


L’autore, secondo Dezzani, «è uno dei pochi giornalisti italiani ad essere in stretti rapporti con il solitamente schivo Gianroberto Casaleggio: Nuzzi ottiene nel 2013 dal guru del M5S una lunga intervista e, tre anni dopo, partecipa alle sue esequie a Milano». Nuzzi è una prestigiosa “penna” del “Giornale”, di “Libero” e del “Corriere della Sera”: è lecito supporre che «confezioni “Vaticano SpA” e il successivo bestseller “Vatileaks”, avvalendosi delle fonti passategli dagli stessi ambienti che si nascondo dietro Gianroberto Casaleggio ed il M5S»? Ipotetici, veri manovratori: «I servizi atlantici e, in particolare, quelli britannici che storicamente vivono in simbiosi con la massoneria». Il biennio 2010-2011 vede Ratzinger «assalito da ogni lato dalle inchieste sulla pedofilia, il tallone d’Achille della Chiesa cattolica su cui l’oligarchia atlantica può colpire con facilità», infliggendo ingenti danni. “Scandalo pedofilia, il 2010 è stato l’annus horribilis della Chiesa cattolica” scrive nel gennaio 2011 il “Fatto Quotidiano”.
È lo stesso periodo in cui l’argentino Luis Moreno Ocampo, primo procuratore capo della Corte Penale Internazionale ed ex-consulente della Banca Mondiale, valuta se accusare il pontefice Ratzinger di crimini contro l’umanità, imputandogli i “delitti commessi contro milioni di bambini nelle mani di preti e suore ed orchestrati dal Papa”. Poi arriva il 2012, ancora con gli americani in prima linea. Lo rivela Wikileaks, svelando l’esistenza di un documento «indispensabile per capire le trame che portano alla caduta di Ratzinger». È il febbraio 2012 quando John Podesta, futuro capo della campagna di Hillary, scrive a Sandy Newman un’email intitolata: “Opening for a Catholic Spring? just musing…” ossia: “Preparare una Primavera cattolica? Qualche riflessione…”. Già allora, Podesta era «un papavero dell’establishment liberal», capo di gabinetto della Casa Bianca ai tempi di Bill Clinton, nonché fondatore del think-tank “Center for American Progress”, «di cui uno dei http://www.libreidee.org/2016/11/de...o-dal-superclan-usa-oggi-perdente/was8324062/
principali donatori è lo speculatore George Soros». E Sandy Newman? Creatore di potenti think-tanks progressisti (“Voices for Progress”, “Project Vote!”, “Fight Crime: Invest in Kids”) in cui si fece le ossa, fresco di dottorato, il giovane Obama.
 

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