2017
C’è stato uno storico americano che ha scritto per spiegare la differenza di trattamento che negli USA hanno avuto i negri rispetto agli indiani, i cosiddetti “pellirosse” e ha detto: “I pellirosse non hanno capito che dovevano accettare di essere schiavi, i negri hanno capito. Se anche i pellirosse avessero accettato di fare gli schiavi avrebbero trovato dei padroni benevoli che li avrebbero trattati bene, paternalisticamente. Voi sapete quali padroni buoni e paternalisti hanno trovato i negri, come sono stati trattati, come sono trattati tuttora. Invece hanno voluto essere liberi e non c’era altro che sterminarli, che ammazzarli perché l’economia americana doveva andare avanti: o schiavi eliminati o complici di questo regime…”
[L. BASSO, Le origini del fascismo, Savona, Centro giovanile, cicl., 10-45].
Posto quanto sopra, i visionari del fascismo patafisico dovrebbero spiegare in quale punto del programma della Le Pen si avallerebbe la simbiosi strutturale tra capitalismo (globalizzato) e Stato".
4. Per finire: la
dialettica tra fascismo e capitalismo sfrenato, cioè il liberismo, in passato era stata ben riassunta (
e ne abbiamo straparlato) da uno dei più illustri teorici del primo, confermando appieno la ricostruzione di Lelio Basso:
"...riproduco qui, per ordine, il passo di
Ludwig von Mises recentemente riportato:
«
Non si può negare che fascismo e movimenti simili, finalizzati ad imporre delle dittature, siano pieni delle migliori intenzioni e che il loro intervento abbia, per il momento, salvato la civiltà europea. Il merito che il fascismo ha così ottenuto per sé, continuerà a vivere in eterno nella storia. Ma se la sua politica ha portato la salvezza, per il momento, non è della specie che potrebbe promettere di continuare ad avere successo. Il fascismo è stato un ripiego d'emergenza. Vederlo come qualcosa di più sarebbe un errore fatale.»
Ed anche, con riferimento alla fase instaurativa dello stesso fascismo,
sempre Mises:
“
Il supporto iniziale di Giretti al movimento fascista è altamente illuminante. Sono più che convinto che senza la libertà economica, il liberalismo sia un'astrazione vuota di reale contenuto, quando non una mera ipocrisia e astrazione elettorale.. Se Mussolini con la sua dittatura ci darà un regime di maggior libertà economica rispetto a quello che abbiamo avuto dalle mafie parlamentari dominanti nell'ultimo secolo, la somma di bene che ne deriverà per il paese da un tale governo, sorpasserà di gran lunga ogni suo male.
In tal modo, in questa fase iniziale, Giretti, come gli altri "liberisti", condivise l'interpretazione del fascismo che uno studioso ha attribuito a Luigi Albertini, editore dell'influente Corriere della Sera: esso era "un movimento al tempo stesso anti-bolscevico (nel nome dell'autorità dello Stato) ed economicamente liberale, capace, cioè, di dare nuovo vigore all'idea liberale in Italia."
5. L'omogeneità dei meccanismi illustrati da Basso, nelle varie proiezioni di luogo e di tempo, della dialettica tra capitalismo liberista e fascismi (ovvero, fenomenologicamente, autoritarismi della destra economica), trova poi una spiegazione nella
concezione unificante "dell'ordine internazionale del mercato". Questo è appunto il meccanismo ad applicazione unitaria, adattabile sia in funzione dei punti di partenza sociali e istituzionali che di volta in volta fronteggiano la sua applicazione, sia degli strumenti considerati idonei a rendere tale applicazione più efficace.
Ma il risultato finale, comunque, non muta (qui, p.4):
"La differenza con l'epoca fascista, a mio modo di vedere, più che in qualità personali di Mussolini (che pure hanno certamente avuto un peso) sta in un fondamentale fattore strutturale e cioè che
all'epoca il garante di quello che Polanyi, la cui interpretazione di fondo del fascismo secondo me rimane la più fondata,
chiamava "
l'ordine internazionale del mercato" (che per lui consisteva in tre pilastri:
gold standard, free trade e flessibilità del mercato del lavoro) era lo Stato nazionale, purché ovviamente non democratico (naturalmente per quei paesi che avevano la forza necessaria per non farsi colonizzare).
La stessa libertà degli interessi capitalistici locali non li spingeva però necessariamente verso la complicità con quella soluzione.
Emblematico di questo punto di vista
un manifesto dell'aprile del '19, pubblicato durante la discussione che avrebbe portato all'approvazione della legge elettorale proporzionale,
sottoscritto tra gli altri da
Volpe, Gentile e...Einaudi, che caldeggiava un rafforzamento dello Stato contro le "minacce bolsceviche" e le "manovre finanziarie" (traggo le notizie da G. Turi, Giovanni Gentile, Torino, UTET, 2006, pag. 302), da attuarsi tramite un
rafforzamento della monarchia e una riduzione della rappresentanza politica a una funzione puramente consultiva.
Tradotto in parole povere: si trattava di
bloccare quegli elementi di democratizzazione della vita pubblica che rendevano più difficile, e meno credibile agli occhi dei mercati finanziari, attuare
le manovre di aggiustamento i cui principali danneggiati erano i lavoratori (
ricordate Eichengreen (qui, p.17.1)?).
Nel rispetto di questi binari, per garantire i quali il fascismo andò al potere, poteva senz'altro esprimersi una cultura tecnocratica anche di alto livello, di cui una dittatura, ancor più libera dopo l'allentamento prima e il crollo di quell'ordine dopo, poteva avvalersi efficacemente.
Questo però
non cambia quelli che erano gli equilibri sociali su cui il regime si reggeva, come non è difficile intuire.
Non solo perché
l'Italia all'ordine internazionale del mercato restò abbarbicata fino all'ultimo (le
deroghe ad esso, come l'
autarchia, ebbero origine nell'
esigenza di restare agganciati a quello che ne era l'elemento più importante, cioè il
gold standard), o perché lo stesso intervento pubblico fu sollecitato dai grandi interessi economici (l'avevo già ricordato citando Sarti), ma perché più specificamente, come dicono bene Paggi e D'Angelillo (pagg. 73-74):
"...la politica di deflazione inaugurata da Mussolini con il discorso di Pesaro non conosce interruzione anche negli anni della grande crisi.
Anzi, quando nel 1931 la sterlina sarà costretta ad abbandonare definitivamente il rapporto con l'oro, la lira subirà un'ulteriore rivalutazione.
E' dentro questa cornice di politica monetaria che si realizzano negli anni '30 tutte le grandi operazioni di intervento statale nella struttura bancaria e industriale del paese".
...Per quanto riguarda l'Italia, anche dopo l'abbandono delle vecchie tesi stagnazioniste, rimane indiscutibile il fatto che
i grandi processi di ristrutturazione e di modernizzazione verticale che il capitalismo italiano conosce negli anni del fascismo non si tradurranno mai in una espansione orizzontale dell'attività economica".
Quella di una
presunta rottura con il grande capitale è sostanzialmente un'autoapologia dei protagonisti dell'epoca, di cui è bene diffidare profondamente:
la storiografia (De Felice in primis, ma poi Petri, Ceva, Zunino, Pavone, eccetera) ha efficacemente mostrato che, di là di frizioni anche di un certo peso (la famosa "porcata", per usare le parole di Agnelli, costituita dall'imposta speciale del 10% sui capitali delle società anonime adottata dal governo nel 1937),
i vertici economici del paese non negarono il proprio convinto appoggio al fascismo, che non fece mai mancare loro lauti profitti e disciplina del lavoro, fino nemmeno alla guerra ma al momento in cui l'Italia risultò chiaramente perdente
Così come
un certo livello di consenso popolare- in una
situazione di perenne stagnazione salariale e
provvidenze che comunque non cambiavano una situazione materiale assai modesta (come dimostrano i magri progressi degli indici dei consumi)- non ebbe origine in un particolare miglioramento delle condizioni di vita, quanto in
un insieme di manipolazione e mancanza di alternative, a cui pure non mancarono momenti di autentico entusiasmo quali la conquista dell'impero e soprattutto Monaco (anche qui, bibliografia a richiesta

).
Il mio pensiero è che
oggi le costituzioni socialdemocratiche impediscono di fondare la restaurazione dell'ordine internazionale "nello Stato", che deve quindi in prima battuta essere neutralizzato: gli effetti di una tale assalto possono forse risultare perfino più distruttivi di un blocco posto a un'evoluzione democratica in una fase precedente.
Quando voglio deprimermi,
mi domando se con una Costituzione come la nostra non abbiamo osato troppo, se l'ondata distruttiva non sarebbe stata più contenuta se ci fossimo accontentati di qualcosa in meno".
6. Potrei ancora citare altre fonti a conferma di questa interpretazione (
ma rinvio a questo quadro riassuntivo di Bazaar). Ciò che importa
è comprendere l'applicazione del meccanismo dell'ordine internazionale del mercato (free-trade, gold standard o euro, flessibilizzazione del lavoro-merce)
ottenuta tramite i trattati €uropei: questi, dovremmo ormai saperlo,
furono promossi e sospinti dall'interesse degli USA che, infatti,
sul fascismo, a loro tempo, ebbero questa posizione (
sempre grazie ad Arturo e a Francesco; v. addendum):
"Qui, da
Francesco Maimone,
la definizione data al fascismo da Lelio Basso, estremamente utile per riconoscere il fenomeno nelle sue forme attuali al di là di nominalismi che non sono più indicativi della sua sostanza nel contesto storico dell'€uropeismo:
“Sotto il nome “fascismo” si intendono spesso cose diverse.
A me sembra che il significato essenziale di esso possa individuarsi in
un regime che voglia GARANTIRE IL POTERE ASSOLUTO DI FATTO (non importa se rivestito di apparenze democratiche) AL GRANDE CAPITALE ALLEATO CON IL CAPITALISMO DI STATO e con il personale politico dirigente, e che si sforzi di ottenere per questo suo regime l’adesione popolare, grazie alla diseducazione, al conformismo, al qualunquismo, alla depoliticizzazione, ecc. Vi sono dunque nel fascismo due facce, due momenti: quello dell’autorità, del potere assoluto, della forza, e quello della supina acquiescenza, del conformismo, della abdicazione popolare.
Questa abdicazione, questa acquiescenza si possono ottenere in vari modi: di solito partendo da una crisi di sfiducia e di qualunquismo (dovuta alle conseguenze di una guerra o di una crisi economica) … ricorrendo ALLA SISTEMATICA DISEDUCAZIONE DELLE COSCIENZE GRAZIE ALLA PAURA, ALLA RETORICA, alla propaganda, alle “human relations” magari alla soddisfazione materiale, infine FORGIANDO ATTRAVERSO LA SCUOLA E I MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA UN TIPO DI UOMO STANDARD educato a credere ed a ubbidire, un uomo dallo spirito gregario …[L. BASSO, Dialogo fra generazioni di italiani nell’inchiesta sugli anni difficili, in Il Paradosso, aprile-giugno 1960, n. 22, 38-40]."
Capite: il fascismo, come fenomeno di regime instaurato dall'oligarchia capitalista, è sempre, si dice
organicamente, un fenomeno proprio di chi controlla i mezzi di comunicazione di massa e la "scuola", al fine di creare un uomo "standard", educato a credere e perciò a ubbidire...
6.1. Questi sono invece dei chiarimenti storici
fornitici da Arturo ed attinenti alla
connessione del fascismo con il paradigma socio-politico dominante negli stessi USA: questi potevano essere assunti, già allora, come l'epicentro del potere economico-finanziario mondiale, almeno quanto all'approccio ideologico dominante prima della crisi del 1929 (riproposto nell'idea del federalismo europeo come suo principale strumento di restaurazione):
"Bersani
ha anche detto che bisogna garantire la fine della legislatura “all’Europa e ai mercati” (pure, buoni ultimi, “agli italiani”, a cui forse sarebbe invece il caso di garantire il rispetto della Costituzione).
Se ci si deve meritare la sospirata “fiducia” dei mercati effettivamente le elezioni possono diventare un impaccio.
Lo illustra chiaramente
la stabilizzazione degli anni Venti (mirata, com'è noto, al ripristino della società censitaria del gold standard e, quindi, pienamente assimilabile a quella conseguente all'adozione dell'euro), su cui merita forse spendere ancora qualche parola, usando, per esempio, un memorandum riservato del 26 dicembre 1927 compilato da
Benjamin Strong, all’epoca governatore della FED:
“
Anche mettendo in conto questi punti particolari [le discussioni sul livello della stabilizzazione, che è poi svalutazione salariale mediante disoccupazione diffusa]
, non ho mai partecipato a una trattativa importante che fosse condotta in maniera così soddisfacente come questa. La ragione veramente sta nel fatto che l’Italia adottò le varie misure preliminari necessarie alle trattative e le eseguì con grande vigore e successo prima di arrivare alla decisione. La maggior parte degli altri paesi che hanno stabilizzato, con la sola eccezione dell’Inghilterra [sic!], non sono riusciti a raggiungere lo stesso risultato in anticipo, e devo dire che vi sono prove di grande autocontrollo e capacità di sacrificio, tali da consentire di realizzare questo programma, secondo i connotati lineari che ha assunto, senza tanti “se” e “ma” e riserve.” (G. G. Migone, Gli Stati Uniti e il fascismo, Feltrinelli, Milano, 1980, pag. 197).
Eh, quando c’era Lui, caro Bersani…
Non fosse chiaro il discorso, così lo spiega Migone alla pagina successiva:
“
E’ interessante rilevare come l’autocontrollo ammirato da Strong non consisteva che nei poteri autocratici di cui disponeva Mussolini e che già i partners della Banca Morgan aveva confrontato favorevolmente alle più complesse ed incerte procedure delle democrazia parlamentari europee.
Analogamente, lo spirito di autosacrificio a cui egli fa riferimento consiste in realtà nei sacrifici imposti a quelle classi e quelle categorie che erano state colpite dal processo di disinflazione, oltre che dalla repressione dello stato fascista.
Si può, dunque, concludere che il disegno dei banchieri privati americani viene condotto a buon fine dai rappresentati delle principali banche centrali sotto la leadership di Strong – che non manca di compiacersi per il fatto che la stabilizzazione avviene “letteralmente ed esattamente” secondo le indicazioni che egli aveva offerto a Mussolini e a Volpi, in occasione della sua visita a Roma, 18 mesi prima – e malgrado qualche inconcludente tentativo di opposizione di Montague Norman.
I prestiti concessi all’Italia nei mesi precedenti sono garantiti dal consolidamento della lira italiana, ma soprattutto dal processo di stabilizzazione del regime e del rapporto di forza fra le classi sociali su cui esso poggia, secondo il disegno di ricostruzione e restaurazione che la finanza americana portava avanti con coerenza in tutta l’Europa”.
Pubblicato da
Quarantotto a
09:31 5 commenti: Link a questo post
Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest