Per cortesia ripristinate il 3d di mototopo

Le Istituzioni riflettono la società o esse "conformano" la società e ne inducono la struttura? In democrazia, la risposta dovrebbe essere la prima. Ma c’è sempre l'ombra della seconda...il "potere" tende a perpetuarsi, forzando le regole che, nello Stato "democratico di diritto" ne disciplinano la legittimazione. Ultimamente, poi, la seconda si profila piuttosto...ingombrante, nella sintesi "lo vuole l'Europa". Ma non solo. Per capire il fenomeno, useremo la analisi economica del diritto.































domenica 23 aprile 2017
MACRON HA GIA' PERSO. PERCHE' COMUNQUE AVRA' VINTO LA COMMISSIONE UE. [/paste:font]

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1. Facciamo che tutto sia scontato e che i sondaggi questa volta siano attendibili.
Dunque, ci ritroveremmo Macron come Presidente francese.
La grancassa mediatica italiana, in questi giorni particolarmente agitata, sarebbe finalmente tranquillizzata sul fatto che l'economia nostrana non andrebbe incontro a "terribili scossoni": L€uropa ne uscirebbe rafforzata, i populismi umiliati e la macchina della pace e della crescita, possibili solo dentro l'euro (che non è certo il nostro problema), potrebbe ripartire verso il futuro radioso che i "padri fondatori" de L€uropa avevano da sempre progettato per tutti noi.

Esaminiamo perciò quale situazione si troverebbe a fronteggiare Macron, con le sue idee prioritarie per cui la spesa pubblica andrebbe tagliata di 60 miliardi in via strutturale entro il 2022, - al netto, si badi bene, di un piano di investimenti pubblici quinquennale di 50 miliardi-, il numero dei pubblici dipendenti ridotto stabilmente (50.000 posti soppressi a livello statale e 70.000 a livello locale, entro il 2022). Naturalmente, sempre entro il 2022, secondo il suo programma, ci sarebbe il pareggio strutturale di bilancio, che andrebbe di pari passo, secondo Macron (e il suo piano di investimenti pubblici), con una riduzione della disoccupazione al 7% e, donc, con 1.300.000 posti di lavoro aggiuntivi creati da questo insieme di misure.

2. Ma vediamo anche perché, Macron ha già perso (proprio come sarebbe accaduto per Hillary: cioè a prescindere dall'esito del ballottaggio).
Il cammino che ha di fronte, infatti, è quello di un feroce e difficile consolidamento fiscale, inevitabile per un presidente che fa della fedeltà alle regole dell'eurozona il suo più rassicurante "cavallo di battaglia" (certamente rassicurante per l'ital-tifo mediatico).
E non è che la Commissione UE gliela mandi a dire nell'ultimo Country Report del febbraio 2017: nel medio termine, il suo debito pubblico viene ritenuto altamente a rischio.
La spesa pubblica, la più alta d'€uropa in rapporto al PIL, è giudicata, dalla Commissione, fuori controllo per l'eccessivo ricorso a "sussidi", cioè all'assistenza sociale diversa da quella previdenziale: questa, non sarebbe problematica per via dell'andamento demografico francese, che la Commissione considera, senza sapersi spiegare perché, un'eccezione nell'ambito dell'eurozona! E infatti, non spiegandosi perché, gli addita la spesa sociale come primo "ramo secco" da tagliare:
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3. Il debito pubblico, salito oltre il 96% del PIL, cioè 4 punti sopra la media dell'eurozona, è previsto in moderato ma costante aumento, fin oltre il 100% del PIL, a legislazione invariata, scenario che si aggraverebbe di ben 6 punti nel rapporto debito/PIL ove, per un qualsiasi fattore di crisi finanziaria, gli interessi su tale debito dovessero crescere dell'1% (una specie di mezzo avvertimento sulla fine del QE).
Naturalmente, per la Commissione, il denominatore PIL, cioè la dinamica della crescita (e dell'occupazione) non risente mai del consolidamento fiscale e quindi le basta dire che occorre una correzione prudenziale, preventiva dello scenario più sfavorevole, di 2,8 punti di PIL.
Il che già dovrebbe portare all'indebolimento repentino della vocazione di Macron all'ortodossia nel rispetto delle regole dell'eurozona, visto che, invece, se rispettasse questa raccomandazione, dovrebbe dire addio sia alla crescita che alle centinaia e centinaia di migliaia di posti di lavoro che va in giro a promettere (...tranne che ai dipendentipubblicibrutti); anche se può sempre contare sul fatto che la golden share politica della Franza gli consente di fare un po' come je pare...:
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4. Invece, le retribuzioni reali sono costantemente cresciute scollandosi dalla ben più modesta crescita della produttività: una delle colpe più gravi nell'eurozona, secondo i ben noti enunciati della BCE (per la quale il Deflationary gap non esiste e, se proprio proprio, si corregge con tanti investimenti privati indotti da tanti bei tagli della spesa pubblica; c.d. crowding out che vedrete, infatti, richiamato dalla Commissione nelle raccomandazioni finali alla Francia, linkate in fondo):
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5. E, nonostante ciò, il debito del settore privato, famiglie e imprese, è cresciuto constantemente dal 1998 (ma guarda un po'...), attestandosi attualmente al 144,3% del PIL: preoccupa la Commissione quello delle imprese industriali, di 7,5 punti sopra la media €uropea:
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6. Insomma, i francesi "hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità", traducendo in soldoni quanto analizza e raccomanda la Commissione. Che, infatti, segnala la seguente situazione delle esportazioni francesi e anche i "consueti" problemini da risolvere: cioè, per la Francia, ma proprio per la Francia dai!, la Commissione si abbandona all'ammissione che la sua perdita di competitività nel periodo 1999-2008 è dovuta al contenimento del costo del lavoro nel resto dell'euro area "in particolare in Germania":
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7. Anche scontando il QE e il suo marcato effetto svalutativo, nonché l'orientamento francese all'esportazione prevalente fuori dell'area euro (al suo interno il discorso è invece opposto), infatti, non solo l'aumento del debito, pubblico e privato, indica che la Francia ha vissuto al di sopra delle sue possibilità, tanto che il saldo francese delle partite correnti rimane in deficit: la Commissione, nel suo report, prevede anzi, per i prossimi anni un significativo rischio di notevole peggioramento:
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8. Intanto, nell'immediato, Macron deve raggiungere il pareggio strutturale di bilancio - ma, con comodo, entro il 2022, e sempre sapendo della sua golden share politica-, partendo da questa situazione che, certamente, (con grande sorpresa delle scientifiche conoscenze dell'ital-grancassa) non è stata estranea al mantenimento della crescita dopo la crisi del 2008. Parliamo di deficit pubblico e, a ben vedere la serie, è un vero spettacolo:
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9. Dunque, Macron, o qualunque altro candidato €uro-ortodosso che uscirà dalle urne, avrà un solo possibile indirizzo politico: austerità fiscale e aumento della competitività mediante abbassamento del costo del lavoro. Un obiettivo da raggiungere sia attraverso il mantenimento di un'adeguata disoccupazione strutturale, sia, ancor meglio mediante la "grande trovata" dell'€uropa della pace e del benessere: cioè la diffusione inarrestabile della precarizzazione con la crescente creazione dei working poors.
D'altra parte, Macron l'ha detto più volte durante la sua campagna: le regole €uropee potranno essere cambiare solo da chi si sarà riveltato credibile, rispettandole scrupolosamente (a parte la golden share..beninteso: se no erano l'Italia).
Ed infatti, il programma di Macron, specialmente in tema di mercato del lavoro - sia pure abilmente frazionato in più voci apparentemente distinte, per renderle meno percepibili nel loro insieme agli elettori-, ricalca puntualmente le raccomandazioni della Commissione europea (v. schema alle pagg.55-58)!
Ecco, alla faccia di tutte le discussioni e i dibattiti, del tutto scenografici e cosmetici, che hanno simulato diversità "politiche" tra i vari candidati eurofili, l'indirizzo politico che seguirà la Francia, - a prescindere da qualsiasi risultato elettorale, che non sia, ovviamente, l'elezione di Marie Le Pen- è già fissato e lo ha precisato la Commissione UE. Punto.

Pubblicato da Quarantotto a 09:40 20 commenti: Link a questo post
 
supermassone oligarchico: Macron, una mia creatura

24/4 •

Emmanuel Macron è una mia creatura, rivela. E sottolinea: «Sono molto felice. Il suo primo posto è un risultato insperato fino a poche settimane fa». Autore dell’esternazione: Jacques Attali, uomo-ombra del vero potere europeo, tra i massimi strateghi (sul versante francese) del sistema euro-Ue. Paolo Barnard lo ha definito «il maestro di Massimo D’Alema, che quand’era a Palazzo Chigi si vantò di aver realizzato il record di privatizzazioni, in Europa». Per un ex consigliere di Mitterrand come l’insigne economista Alain Parguez, Attali «è sempre stato un monarchico, travestito da socialista». Frase celebre, a lui attribuita: «Cosa credono, che l’euro l’abbiamo creato per la felicità della plebaglia europea?». A chiudere il cerchio è Gioele Magaldi, che nel saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) dichiara che Attali milita nella Ur-Lodge “Three Eyes”, emblema della supermassoneria internazionale reazionaria, incarnata da personalità come quelle di Kissinger e Rockefeller. Nell’appendice di “Massoni”, uno dei quattro “grandi vecchi” che svelano il ruolo di Mario Monti, inviato in Italia nel 2011 per commissariare il paese su ordine dell’oligarchia finanziaria, ricorda da vicino il profilo di Attali, che in quelle pagine si dichiara pentito dell’accelerazione neo-feudale e ultraliberista imposta alla politica europea.
Lo stesso Attali, nel 2016, è arrivato a invocare, per l’Europa, un’inversione di rotta in senso keynesiano e roosveltiano: stop al rigore, fine dell’austerity. E adesso annuncia che, se arrivasse all’Eliseo, il suo pulillo Macron (già finanziere dei Rothschild) sarebbe «un grande presidente». Se Emmanuel Macron si è affacciato alla politica ed è diventato prima consigliere dell’Eliseo, poi ministro e adesso probabile presidente della Repubblica, lo deve a Jacques Attali, scrive Stefano Montefiori sul “Corriere della Sera”: «Economista, saggista e romanziere, Attali fu uno degli uomini più vicini a François Mitterrand e ha sempre coltivato un gusto bipartisan che nel 2008 lo portò a collaborare anche con l’allora presidente Nicolas Sarkozy». Per redigere il rapporto “Liberare la crescita”, contnua il “Corriere”, Attali «si avvalse dell’aiuto di un giovane, brillante e sconosciuto prodotto dell’Ena, la scuola dell’élite francese: Emmanuel Macron». E ora, a pochi minuti dall’annuncio dei risultati, il 73enne Attali parla con un certo orgoglio del suo “enfant prodige”. «L’unico pericolo, adesso – dice Attali – è pensare che sia già finita», mentre la partita del ballottaggio «bisognerà giocarla con intelligenza e attenzione alle ragioni dell’altra Francia, quella che esiste e che ha votato per Le Pen».
Attali si dichiara «molto colpito dal fatto che abbiano tutti, tranne Mélenchon, fatto dichiarazione di voto per Macron contro Marine Le Pen». E’ la riedizione di una sorta di «fronte repubblicano contro l’estrema destra». Un’alleanza che potrebbe aiutare Macron, qualora eletto il 7 maggio, a trovare una maggioranza in Parlamento, «visto l’allineamento di tanti leader degli altri partiti, da Fillon a destra a Hamon a sinistra». Secondo Attali, «gli elettori di Marine Le Pen sperano nel ritorno a un’epoca che non esiste più, e che non potrà mai più tornare». E’ il globalista, che parla: «Il mondo interconnesso è una realtà irreversibile». Ma, aggiunge l’ex quasi-socialista Attali: «Macron può contribuire a governarlo e non subirlo». Le maggiori qualità di Macron? «Molto competente, serio, intelligente, aperto, capace di ascoltare gli altri e quindi in grado di prendere il meglio da chiunque, che sia di destra o di sinistra». Il rilancio della Francia? «La scuola, in particolare quella materna, e poi le misure per formare e rimettere nel mondo del lavoro i troppi disoccupati che ancora ci sono». Il suo sussidio per i disoccupati «non è assistenzialismo, è formazione seria per renderli in grado di trovare un posto».
Centrale, per l’ultra-europeista Attali, «l’idea di puntare sull’Europa a partire dalla difesa comune, che è un progetto ormai pronto a essere varato», nonostante quello che definisce «il disastro rappresentato dalla Brexit», nonostante tutti gli indicatori economici raccontino che il Regno Unito stia letteralmente “volando”, dopo essersi sganciato dall’Ue, sia in termini finanziari che sul piano della crescita dei posti di lavoro. Ma Attali punta ancora e sempre sulla sua creatura, l’Unione Europea, che di fatto ha messo in crisi tutti i paesi che ne fanno parte, tranne la Germania. «Distruggere il polo di potere rappresentato dall’Unione Europea», dice, «andrebbe a vantaggio delle altre sfere di influenza, e per ogni singolo paese europeo sarebbe una catastrofe». Nel frattempo, in attesa del verdetto finale degli elettori, Attali si gode la “pole position” di Macron al primo turno: dopo quello studio economico realizzato insieme, racconta, «sono stato io a presentarlo a François Hollande nel 2010, e quando Hollande è diventato presidente lo ha chiamato come consigliere». Gongola, l’anziano Attali: «Devo riconoscere che provo un certo orgoglio nell’avere capito per primo che Emmanuel era un ragazzo di grandi qualità».
Il “coming out” di Attali nei confronti di Macron, uomo dei Rothschild, finisce per sottolineare, ancora una volta, il ruolo probabilmente decisivo, nel “back-office” del potere, svolto dalle 36 Ur-Lodges (logge madri, internazionali e apolidi) di cui parla Magaldi, che ha ripetutamente indicato l’appartenenza di Giorgio Napolitano alla “Three Eyes” (la stessa di Attali) insieme all’attuale ministro dell’economia Pier Carlo Padoan. Della “Three Eyes” farebbero parte anche Mario Draghi, Gianfelice Rocca (Techint) e Giuseppe Recchi (costruzioni), Marta Dassù (Finmeccanica), Enrico Tommaso Cucchiani (banchiere, già a capo di Intesa Sanpaolo) e l’ex ministra renziana Federica Guidi. Altri circuiti della stessa supermassoneria neo-conservatrice sarebbero rappresentati da Ur-Lodges come la “Babel Tower” (Mario Monti), la “Compass Star-Rose” (Fabrizio Saccomanni, Massimo D’Alema, Vittorio Grilli), la “Edmund Burke” (Domenico Siniscalco, Ignazio Visco), la “Atlantis-Aletheia” (Corrado Passera), la “Pan-Europa” (Alfredo Ambrosetti, Emma Marcegaglia”). In Francia, sempre secondo Magaldi, il presidente uscente François Hollande milita in due circuiti supermassonici “progressisti”, la Ur-Lodge “Ferdinand Lassalle” e la “Fraternité Verte”, che però avrebbe deluso, “tradendo” il mandato iniziale (porre fine all’austerity) a causa di minacce e blandizie. Ora è in campo Macron, che è “en marche” insieme ai Rothschild e alla “Three Eyes” del suo mentore Attali.
Emmanuel Macron è una mia creatura, rivela. E sottolinea: «Sono molto felice. Il suo primo posto è un risultato insperato fino a poche settimane fa». Autore dell’esternazione: Jacques Attali, uomo-ombra del vero potere europeo, tra i massimi strateghi (sul versante francese) del sistema euro-Ue. Paolo Barnard lo ha definito «il maestro di Massimo D’Alema, che quand’era a Palazzo Chigi si vantò di aver realizzato il record di privatizzazioni, in Europa». Per un ex consigliere di Mitterrand come l’insigne economista Alain Parguez, Attali «è sempre stato un monarchico, travestito da socialista». Frase celebre, a lui attribuita: «Cosa credono, che l’euro l’abbiamo creato per la felicità della plebaglia europea?». A chiudere il cerchio è Gioele Magaldi, che nel saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) dichiara che Attali milita nella Ur-Lodge “Three Eyes”, emblema della supermassoneria internazionale reazionaria, incarnata da personalità come quelle di Kissinger e Rockefeller. Nell’appendice di “Massoni”, uno dei quattro “grandi vecchi” che svelano il ruolo di Mario Monti, inviato in Italia nel 2011 per commissariare il paese su ordine dell’oligarchia finanziaria, ricorda da vicino il profilo di Attali, che in quelle pagine si dichiara pentito dell’accelerazione neo-feudale e ultraliberista imposta alla politica europea
 
DESTRA ECONOMICA, AUTORITARISMO DEI MERCATI E DESTRA...PER LA PROPAGANDA


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1. Non esiste una destra che non sia destra economica: cioè che non sia ideologia del mercato propugnata dall'oligarchia del capitalismo finanziario e grandindustriale.
Una "destra" che non fosse economica, - e cioè che, più o meno apertamente, respingesse l'ideologia oligarchica del mercato, come entità riassuntiva di ogni dimensione sociale possibile, in quanto libera dalle interferenze dello Stato e perciò tesa all'efficiente allocazione delle risorse "scarse"-, non sarebbe distinguibile da qualsiasi altro partito democratico in senso sociale.
L'eventuale "etichettatura" come destra perderebbe di qualunque coerenza e incorrerebbe in clamorose contraddizioni: perché chi, prescindendo dall'essenza "economica" della destra, volesse contrapporsi a un avversario politico che non fosse una reale espressione dell'oligarchia economica, finisce spesso ad adottare egli stesso le misure che imputa criticamente a tale avversario (v. alla voce "immigrazione").
Inoltre, ridurre l'essenza della destra, retoricamente e strumentalmente intesa, all'autoritarismo poliziesco ("law and order") è un criterio del tutto inaffidabile: ogni autoritarismo poliziesco, infatti, corrisponde alle scelte istituzionali della "legge", che determina l'oggetto e gli obiettivi dell'azione repressiva (l'autoritarismo poliziesco, per inciso, non è lo "Stato di polizia", concetto che M.S. Giannini riferiva al perseguimento, da parte dello Stato assoluto, "illuminato", di fini collettivi di promozione del benessere generale: servizi pubblici generali in forma di "aziende autonome", istruzione pubblica generalizzata, promozione dell'iniziativa economica, e cura pubblicistica dell'assistenza ai bisognosi).

2. Quindi, anche di fronte all'autoritarismo poliziesco, occorre vedere chi sia il detentore della sovranità, cioè della capacità di imporre incondizionatamente come diritto la propria volontà e i propri comandi.
L'autoritarismo poliziesco, nella cultura politica e giuridica contemporanea, viene per lo più definito tale in quanto colpisca interessi maggioritari, privando cioè della libertà, e dei "poteri" che ne sono la proiezione speculare, la maggior parte degli appartenenti ad una certa comunità sociale (politicamente unificata dal vivere sul territorio che delimita l'ambito spaziale della sovranità).
Questo concetto "comune" dell'autoritarismo, non risulta mutato per il solo fatto che, all'interno delle democrazie, si postula sempre più come una priorità inderogabile la tutela di determinate minoranze (v. voce: diritti cosmetici): esiste un disegno implicito in questa tendenza, che è quello di "normalizzare" l'idea che, comunque, una minoranza debba prevalere sulla maggioranza in quanto ciò sarebbe espressione di un progresso necessitato: e una volta fissato tale principio, si rende ovvio, e moralmente incontestabile, che il prevalere delle esigenze di qualunque minoranza, ma, per naturale suggestione, principalmente di quella dei ceti economicamente dominanti, costituisca un'evoluzione positiva e un'affermazione di libertà contro l'oppressione statale (qui, p. 3 e anche qui).


2.1. Ma se, - al di fuori di questa strategia mirata alla delegittimazione delle democrazie sociali e preparatoria di un neo-autoritarismo affermato con abile gradualità-, l'autoritarismo poliziesco colpisce ed opprime la maggioranza dei cittadini, cioè gli sottrae libertà e potere (sempre perché la libertà "da" è potere "di"), esso è inevitabilmente l'espressione di una legge dettata a tutela di pochi: i pochi che si sottraggono, come detentori del potere, a quelle regole e a quella repressione. Cioè è l'ordinamento giuridico di un'oligarchia.
Questo, d'altra parte, è il senso del primato della naturalistica "Legge" (v. p.7), predicato da Hayek e posto alla base del riassetto delle società democratiche europee voluto dai trattati: una libertà per pochi, e da pochi decisa, offerta come il bene supremo per tutti (mito della generalità della legge e dell'eguaglianza formale), da una Legge su misura per pochissimi ma "razionalmente" incontestabile per tutti gli altri (v. sempre p.7).

3. Quindi, l'autoritarismo poliziesco che oggi più comunemente si stigmatizza (ricorrendo alla qualificazione di "dittatura": ma solo quando non sia funzionale alla salvaguardia dell'ordine supremo del mercato) è strutturalmente legato al capitalismo oligarchico, perché nel reprimere il potere della maggioranza intende conservare ed accrescere quello di una minoranza in posizione di vantaggio (e nella sostanza assolta dal rispetto delle regole punitive).
Questa dunque è l'essenza della destra che si caratterizza, inevitabilmente, come "economica" in quanto, all'interno di un sistema produttivo capitalistico (qual è riscontrabile, nell'attualità, praticamente in quasi tutto il pianeta), i pochi che hanno compiuto un sufficiente accumulo di potere da essere, appunto, in grado di assicurarsene la conservazione, sono i proprietari dei mezzi di produzione.
Questi e solo questi, nei fatti, hanno il potere decisionale, di influenzamento, e le risorse finanziarie, che consentono l'incessante azione politica di controllo dell'opinione pubblica e di massa, v.p.10, onde arrivare alla formalizzazione, mediante la "legge", del valore di un assetto che considerano "allocativamente efficiente".

4. Se l'applicazione della legge e delle relative "sanzioni" (indice della giuridicità delle regole) non è rivolta verso/contro la (stragrande) maggioranza dei componenti della comunità sociale, bensì verso minoranze la cui azione è apertamente, e oggettivamente, diretta a limitare libertà e poteri della maggioranza stessa (e dunque al fine di eliminare un precedente sovraccumulo di potere antisociale), si potranno avere forme di autoritarismo, più o meno accentuate, - secondo la sensibilità comune del momento storico nel concepire l'intangibilità dei diritti di ciascun individuo-, ma non una politica, cioè un assetto sociale, di "destra".

5. Beninteso, ogni autoritarismo è da condannare e da combattere: ma non ogni attività di repressione dell'azione di minoranze, che mirino a sovvertire libertà e poteri della maggioranza per fini di autoconservazione di una propria rendita di potere, è "autoritarismo".
Lo può essere, in questo caso, se utilizzi come "giuridici" strumenti che, per il contenuto e le modalità delle sanzioni applicabili, tendono a negare il nucleo indeclinabile dei diritti umani.
Cioè quelle posizioni di vantaggio riconosciute a tutti i cittadini in quanto tali (e agli stranieri, sia pure con il limite, universalmente accettato, della "reciprocità") che sono proclamate, a partire da un certo momento storico (in via approssimativa, a partire dalle rivoluzioni borghesi del XIX° secolo), come diritti propri della "cittadinanza", e che definiscono la egualitaria capacità giuridica dell'essere umano in quanto tale.
Ma, nel caso considerato, non si tratterebbe comunque di un autoritarismo di "destra" perché non avrebbe il fine di limitare e reprimere la maggioranza in favore della conservazione del privilegio economico e politico della minoranza, che reclami l'efficienza allocativa di tale privilegio.

6. Quanto ai contenuti che conducono al travalicare nell'autoritarismo, pur essendo storicamente variabile il nucleo dei diritti umani del cittadino in quanto tale (sarebbe una grave ipocrisia negarlo), il criterio discretivo è quello della "ripugnanza" della misura afflittiva consentita e prescelta dalle norme: la tortura, fisica, anzitutto, ma anche psicologica, la privazione del minimo vitale nell'alimentazione e nell'igiene, l'espropriazione arbitraria della proprietà, l'indifferenza alla condizione di debolezza dell'incolpato sottoposto alle punizioni della legge, la censura dell'espressione del pensiero in quanto essenza della condizione di persona, sono evidentemente strumenti ripugnanti, anche se corrispondessero alla (astratta) "legalità".
Quanto alle modalità di applicazione delle sanzioni (che sono l'inevitabile indicatore della normatività delle regole), queste divengono autoritarie quando si privi il cittadino, che ne sia destinatario, di ogni utile azione legale di difesa davanti a un giudice effettivamente imparziale ed indipendente: cioè terzo rispetto sia al potere esecutivo-poliziesco, che al potere legislativo che detta le regole. Un giudice, perciò, al quale sia consentito di applicare soltanto le sanzioni previamente stabilite da una norma anteriore ai fatti contestati e anche di poter sindacare la "ripugnanza" delle sanzioni comunque previste rispetto al senso comune storicamente condiviso.
Entrambe le condizioni ("non ripugnanza" e "giusto processo"), possono essere "effettive", e quindi resistenti alla ragion politica che l'autoritarismo tende sempre ad affermare, quando esse (condizioni) siano stabilite in una costituzione che sia immodificabile, almeno in tale parte, dal potere legislativo: cioè da qualunque fenomeno politico contingente.

7. In assenza della predisposizione istituzionale, cioè costituzionale, delle regole invalicabili che garantiscano tali condizioni, anche un potere volto esplicitamente a tutelare gli interessi della maggioranza diverrà autoritario e poliziesco; con il che, possiamo anche verificare ciò che Rosa Luxemburg criticava nello stalinismo.
Ogni autoritarismo, in ogni modo, quale che sia il suo preteso "colore" iniziale, conduce inevitabilmente, in assenza di queste condizioni "costituzionali", alla incontrollabilità dell'apparato repressivo; e la incontrollabilità, a sua volta, all'autoconservazione personalistica del potere repressivo e alla perpetuazione degli arbitrari strumenti di cooptazione dei componenti di tale apparato.

8. Ma poiché un potere incontrollabile è naturalmente autoconservativo della posizione di chi lo incarna (se non altro perché passandolo ad altri si rischia la vendetta di coloro che ne sono stati arbitrariamente oppressi), anche un autoritarismo dettato dalla iniziale finalità di tutelare la maggioranza e di sanzionare i comportamenti antisociali di una minoranza, tenderà a degenerare in un regime oligarchico.
E ciò non solo per la tendenza alla conservazione e personalizzazione del potere esercitato (fenomeno storico quasi inevitabile fino all'affermazione del moderno Stato di diritto), ma anche per l'abuso nell'appropriazione della ricchezza che a tale personalizzazione incontrollata si accompagna.
L'esito finale di ogni forma di autoritarismo, dunque, tenderà comunque a degenerare nella sua principale matrice: la destra economica e la predicazione autoritaria dell'assetto allocativo efficiente come conservazione del privilegio di chi è al potere.

9. Svolte queste premesse, non vedo come, - al di fuori del giudizio compiuto alla stregua di valori cosmetici (cioè propagandistici, illogici e manipolatori), che sono imposti per fini di controllo sociale dalle attuali oligarchie, cioè destre, economiche-, possa reputarsi "di destra" Marie Le Pen. Tantomeno di "estrema destra", sottintendendo che ella tenda a travalicare nel fascismo (suscitando variegati fenomeni di antifascismo su Marte) e, comunque, nell'autoritarismo.
Nessuna delle idee contenute nel suo programma (sotto riportato nella schematizzazione fattane dal Sole24 ore, e quindi a lei certamente non favorevole), risulta favorire l'oligarchia del "proprietario-operatore economico" per conservare l'assetto allocativo efficiente su cui si fonda il suo privilegio. Anzi: alcuni dei punti programmatici (ad es; quelli sotto evidenziati) dovrebbero essere già parte condivisa di una piattaforma programmatica comune a tutti i partiti, di tutta l'eurozona, che sostengano il lavoro e il ripristino della democrazia sostanziale.
Né risulta propugnare un processo decisionale e normativo che si sottragga al controllo della Costituzione e del voto popolare (propugnando tra l'altro il sistema proporzionale).
E né risulta volta a sottrarre ad un giudice imparziale e indipendente l'applicazione di sanzioni, meno che mai da considerare come "ripugnanti" anche secondo il senso comune dell'attuale momento storico:
"I principali punti del programma:
- Negoziare con l'Unione europea il recupero della piena sovranità monetaria (con l'abbandono dell'euro), territoriale (con la sospensione dell'accordo di Schengen), legislativa ed economica
-In caso di insuccesso, entro sei mesi referendum per l'uscita dalla Ue
- Superamento dell'indipendenza della banca centrale
- Adozione del proporzionale in tutte le elezioni (con premio di maggioranza alla Camera)
- Abolizione delle Regioni
- Portare dall'1,7% al 3% del Pil il budget della Difesa
- Assunzione di 15mila poliziotti
- Creazione di 40mila posti in più nelle carceri
- Tetto a quota 10mila per l'ingresso di nuovi immigrati
- Abolizione dello “ius soli”
- Stop al ricongiungimento familiare per gli immigrati
- Nuova tassa sull'assunzione di lavoratori stranieri
- Tassa addizionale del 3% su ogni prodotto importato
- Pensione piena a 60 anni (con 40 anni di anzianità contributiva)
- Abolizione della riforma del lavoro."

10. Additare Marie Le Pen, - e la sua lotta per la democrazia del lavoro, contro le oligarchie e la destra economica-, come "estrema destra", almeno fino alla prova di eventuali, e comunque futuri, atti di governo contrari ai diritti inviolabili previsti nella Costituzione francese, appartenenti alla generalità dei cittadini a cui si rivolge, si rivela come un affrettato e grossolano esercizio di propaganda, oggettivamente al servizio degli interessi a cui lei si oppone.

Pubblicato da Quarantotto a 09:40 Nessun commento: Link a questo post
 
un debito può essere estinto solamente con moneta che si possiede nella proprietà creditizia , meno con più si annullano ... adesso siamo meno con meno .. che genera un " meno doppio " ..
ora veniamo alla delinquenza .. dove si deve intervenire , in specialuogo come si deve intervenire ... girare armati non è la soluzione !
come provare a spiegarlo ? Al parlamento non tange assolutamente niente del problema furti , stupri, del problema immigrazione .. il problema , il problema , il problema d'intoppo è il mondo politico .. interessa solo la quota che incassa dall'europa per ogni migrante o clandestino che sia .. quindi ? Tutti armati col tiro pronto a sparare piombo e zolfo nel deretano di questi esseri schifosi col rischio di ammazzarli ? Questo è il gioco che in america è attualmente e vige da sempre , colpo pronto in canna e uccidere ... questa non è una risposta , non è una soluzione .. questo sistema genera violenza più forte dall'iniziale violenza , con queste regole , non si va da nessuna parte ! Questa è una viltà , con questa legge ci si ammazzerebbe per poco ... voi volete una soluzione , stare nelle vostre case tranquilli senza paure .. serve la dimostrazione esemplare , ripeto ESEMPLARE .. solo un particolare .. vi son paesi dove se si ruba , viene tagliato l'arto che ha rubato .. voi lo sapete già il perchè la struttura politica tutela il clandestino e l'immigrato .. dicesi motivo di peculato che scavalca la legittimita della giustizia , sarebbe il caso di rimuovere il marciume che ostacola la pulizia civile ... polizia e carabinieri possono poco e meno , diciamolo senza mezzi termini : nulla , dopo l'arresto , se un magistrato sotto il controllo politico , rilascia il delinquente nell'arco delle 24 ore senza ottemperare niente , questo comportamento incentiva il delinquente , non solo a proseguire , bensì anche a chiamare suoi simili del suo paese a venir qui per delinquere conoscendo l'esito della punizione , il nulla fatto vuoto pneumatico .. quindi la domanda diviene : come si risolve questa sconcertante e schifosa condizione di vita creata spudoratamente dagli organi politici che hanno pieno potere decisionale su chi entra senza i requisiti necessari alla circolazione e al risiedere nel territorio italiano ? Io non voglio credere che tutto il mondo politico sia marcio , per questi schifosi 35 euro giornalieri di businnes sull'immigrato oppure per i 90 euro dei bambini clandestini ! Vengano fuori quei pochi politici e sistemino questa putrida situazione .. la questione altrimenti diviene : rimuovere a furor di popolo l'intero mondo politico per incapacità manifesta , esplicita ed evidente e nuova elezione esclusivamente popolare per nuova struttura politica costituita da persone del popolo , dalla " troppa libertà si diventa birbanti " .. ed ora la punizione esemplare ... io non intendo usare il verbo per strutturare semplici chiacchiere .. guardiamo ciò che è esplicato nella bibbia .. ricordiamo che fine fece l'angelo decaduto che voleva usurpare il trono Celeste , a calci nel sedere fuori dal "paradiso " ora , dove siamo attualmente , in questo piano dimensionale corporeo , le cose non funzionano come nello spirito .. dove non comanda nessuno e parlano tutti , chi stupra , deve essere messo in condizione di non farlo più , due sono le soluzioni , castrazione chimica ... oppure cintura di castità , come era nell'antichità ! Chi ruba ! punizione esemplare ! nessun arto tagliato , leggi di paesi così pesanti si rivoltano contro le stesse persone che le hanno emesse ! al primo giro di furto va quantificato il furto e vanno messi 7 mesi a lavorare i campi per ripagare il suo errore , tirandogli però le orecchie .. bada o ladro .. questa volta la passi così , al prossimo giro però porterai segno della tua iniquità ! al secondo giro d'errore vanno frustati in pubblico , al posto di parlare senza conclusioni in queste tv , dalle 20.30 in poi , i ladri , si mostrano nelle 20 - 50 frustate sulle mani dei ladri , essi devono portare il segno della loro iniquità in modo che capiscano i loro errori , tuttavia , nel caso di furto , dovrebbe essere valutato caso per caso , furti minimi per mangiare nella sopravvivenza , dovrebbero essere tollerati , altri tipi di furti , dove la necessità alla vita non centra niente , andrebbero severamente puniti ! Non finisce qui , dopo il segno e la punizione se fosse il caso , questi devono essere messi nella condizione di restituire al danneggiato , e in conderazione del fatto che questo e fratello oppure sorella di tutti , alla collettività .. lavori forzati che dai 7 mesi del primo giro passano ai 37 mesi di coltivazione , a coltivare patate , pomodori od altro , recupero sociale forzato in posti adibiti lontani dalla vita cittadina che possano far mettere un pò di giudizio nel tempo del cercare di riformare quella persona ! Mi rendo conto che frustate in pubblico siano pesanti e potrebbero essere intesi come atto di vendetta , tuttavia non è nulla di tutto ciò , questo è molto , assolutamente molto meno , che permettere di essere armati e con pretesto di uccidere un ladro .. non è il timore della morte che deve dissuadere un potenziale ladro , perchè la morte , per alcuni potrebbe essere una liberazione per loro e una vergogna per quello che ha effettivamente dato la morte ... il potenziale ladro deve temere la punizione , nei segni sulle sue mani delle cicatrici nelle frustate con dimostrazione nel pubblico nella recidività e ancor di più temere il lavoro forzato con la palla al piede nella valutazione del suo gesto nel furto ! meglio della pistola e della possibilità del terminare qualcuno a norma di legge che gli attuali governi americani danno come ipocrisia della legittima difesa .. vabbè , io ci provo , rileggerò con calma per eventuali riconsiderazioni più profonde ... !!
 
Euro crisis aprile 27, 2017 posted by Maurizio Gustinicchi
DOCUMENTO CIA 1979: CON LIRA DEBOLE L’ITALIA LEADER MANIFATTURA E TURISMO



In esso si racconta di un Manifatturiero ai massimi storici e di frotte di turisti attratti da Lira vantaggiosa. Eppure qualcuno decise che bisognava fissare il cambio, con le conseguenze che anche quei svalvolati della Cia furono in grado di prevedere:



“a negative effect on this year’s current account performance”

Ad maiora.
 
Il giorno successivo al primo turno delle presidenziali francesi, mercati finanziari, grandi media ed istituzioni europee hanno brindato: il “rottamatore” Emmanuel Macron, uscito vincente dal primo turno, avrebbe già ipotecato l’Eliseo, blindando così euro ed Unione Europea. Si tratta di un bluff, perché l’accesso al secondo turno di Macron ha aumentato, anziché diminuire, le probabilità di vittoria del FN: come scoprì già nel Settecento il matematico Nicolas de Condorcet, i ballottaggi sortiscono esiti sorprendenti in base ai differenti abbinamenti dei candidati. Se un ipotetico duello tra Marine Le Pen e François Fillon avrebbe ridotto al lumicino le speranze di vittoria dei populisti, l’emergere del “centrista” Macron ha paradossalmente creato il contesto migliore per la vittoria della Le Pen: per il FN è possibile conquistare il 51-52% delle preferenze.

Se l’establishment dimentica gli insegnamenti del marchese Condorcet…
Il 23 aprile le urne francesi hanno parlato, decretando il nome dei due contendenti che si sfideranno il 7 maggio per conquistare l’Eliseo: sarà un duello tra il “rottamatore”, centrista, europeista ed ex-banchiere Rothschild, Emmanuel Macron, e la “populista”, sovranista, anti-euro e presidentessa del Front National (fino alle dimissioni del 25 aprile) Marine Le Pen. I due hanno conquista rispettivamente il 24% ed il 21% delle preferenze, seguiti dai Repubblicani/UMP di François Fillon (20%), dal populista di sinistra Jean-Luc Mélenchon (19,5%) e dal socialista Benoit Hamon (6%). Il verdetto, accompagnato da un fulmineo sondaggio che assegna la vittoria finale a Emmanuel Macron con ampio margine (62% vs 38%)1, ha scatenato l’indomani l’euforia dei mercati finanziari: CAC40 +4,14%, euro in forte risalita, differenziali tra Bund e titoli periferici in netta discesa. Al brindisi del grande capitale, si sono sommati anche i complimenti delle più alte cariche europee e le rassicurazioni dei maggiori media: il buon risultato del neonato partito centrista “En marche!”, unito all’immediato appello dei partiti sconfitti per la creazione di un “front républicain” contro i populisti, avrebbe definitivamente debellato il pericolo di Marine Le Pen.

È davvero così?

È più lecito dubitarne, leggendo l’euforia dei mercati e le esultanze per la scampata minaccia populista come l’ennesima manovra con cui l’establishment euro-atlantico sta tentando di influenzare le fondamentali elezioni francesi: assegnare la vittoria a tavolino a Emmanuel Macron, quando mancano due settimane del ballottaggio, è una soltanto una variante della spietata guerra psicologica combattuta contro l’opinione francese, reduce già da due anni di strategia della tensione. I giochi in realtà non solo sono aperti, ma lasciano anche presagire che una vittoria di Marine Le Pen sia più concreta che mai, paradossalmente proprio grazie all’affermazione del “centrista” Macron. È il ragionamento che circa tre mesi fa, immaginando un ballottaggio Le Pen-Macron, adducemmo per pronosticare il successo del Front National: concretizzatosi lo scenario di base, è giunto il momento di sviluppare a fondo l’analisi, passando dalla teoria alla pratica, dalla logica alla matematica.

Già, la matematica: una scienza da maneggiare con cura, perché severa ed implacabile. Talvolta anche oscura e sorprendente. Tremendamente reale, considerando che non è confinata alle speculazioni di qualche mente sognatrice, ma ha un impatto in ogni aspetto della vita quotidiana: in tutti i campi, compresa la politica ed i ballottaggi.

Fu proprio il matematico francese Nicolas de Caritat, marchese di Condorcet (1743-1794), tra i primi ad applicare la scienza dei numeri alle votazioni, evidenziandone gli effetti talvolta spiazzanti: il celebre paradosso di Condorcet afferma infatti che nelle votazioni a maggioranza che avvengono in due o più fasi (il ballottaggio), l’ordine con cui avviene la votazione non è neutrale, bensì influenza a sua volta l’esito finale del voto, contribuendo alla vittoria di questo o quel candidato, in virtù della non transitività delle relazioni di preferenza. L’approfondimento teorico non ci interessa e passeremo direttamente alla pratica, calando il paradosso di Condorcet nelle presidenziali francesi e dimostrando come aiuterà Marine Le Pen a conquistare l’Eliseo.

Supponiamo che l’establishment euro-atlantico, anziché tirare la volata all’ex-Rothschild Macron ed accanirsi a colpi di inchieste mediatico-giudiziarie contro François Fillon, avesse lasciato che gli eventi si svolgessero secondo natura: quasi certamente, il ballottaggio del 7 maggio vedrebbe oggi una sfida tra il candidato dei Repubblicani/UMP ed Marine Le Pen. Il primo sarebbe stato “preferito” dal centro-destra, dal centro e dai socialisti, lasciando alla seconda solo le preferenze dei populisti di destra e di una fetta di quelli di sinistra: la sconfitta del Front National sarebbe quasi certa, perché le forze anti-sistema non sono ancora la maggioranza assoluta in Francia.

L’establishment euro-atlantico, diffidando delle simpatie filo-russe di Fillon e volendo insediare a tutti i costi un proprio uomo all’Eliseo, ha però “pasticciato” con la campagna elettorale, adoperandosi per un ballottaggio Macron-Le Pen: a questo punto, il primo sarà “preferito” da tutto il centro e dai socialisti, verso la seconda andranno però non solo le preferenze dei populisti di destra, ma anche di buona parte dell’elettorato di centro-destra e di qualche populista “rosso”. Se Marine Le Pen avrebbe quasi certamente perso contro Fillon, al contrario ha buone probabilità di conquistare l’Eliseo contro Macron, nonostante le forze anti-sistema siano sempre lontane dalla maggioranza assoluta: ecco il paradosso di Condorcet dispiegato nella realtà.

L’ordine delle votazioni è decisivo nelle votazioni in due o più fasi, a causa della non transitività delle relazioni di preferenza: per l’elettore di centro-destra, Fillon è meglio di Le Pen perché conservatore, moderato e pro-euro, Fillon è anche meglio di Macron per le stesse ragioni, ma Le Pen è meglio di Macron benché sia conservatrice, non moderata ed anti-euro! Nell’insieme “Fillon, Macron, Le Pen” è impossibile creare una relazione transitiva per cui se è Macron è preferito a Fillon e Fillon è preferito a Le Pen, allora Macron è preferito a Le Pen.

Compiamo ora il passo successivo, vedendo come il paradosso di Condorcet agirà nel concreto: come base di partenza utilizziamo i dati del 23 aprile, ipotizzando che, in linea con le elezioni presidenziali del 2002 che videro affrontarsi Jacques Chirac ed Jean-Marie Le Pen, l’affluenza cali di diversi punti percentuali, passando dal 77% al 70%.

Il nostro assunto è che il “fronte repubblicano” invocato da repubblicani e socialisti a favore di Emmanuel Macron, non regga: la disoccupazione record, la stagnazione economica, la ribellione all’establishment, la crisi d’identità della Francia, l’emergenza migratoria e l’insofferenza verso Bruxelles, prenderanno sopravvento sulle indicazioni dei partiti, inducendo la maggior parte degli elettori a votare secondo coscienza. Procediamo quindi “spalmando” i voti del primo turno sui due candidati del ballottaggio: le percentuali con cui ripartiamo le preferenze sono naturalmente discrezionali, benché “ancorate” alla realtà.

Supponiamo nello specifico che il 75% dei voti dei Repubblicani/UMP vada Marine Len, e solo il 25% converga verso Emmanuel Macron, ex-ministro dell’economia sotto la presidenza Hollande. Nel caso dei voti conquistati dal populista rosso Jean-Luc Mélenchon, voti cui è già partita la caccia da parte del Front National, ipotizziamo la seguente ripartizione: un 20% di elettori, attirati dalla retorica anti-establishment ed anti-liberista, voterà FN, un 40% per Macron, ed il restante si disperderà in astensione. Tutti i voti del socialista Hamon confluiranno verso il candidato centrista ed i restanti partiti si divideranno tra Front National, “En Marche!” e non voto, in base alla loro natura conservatrice/progressista/populista: in particolare, ipotizziamo che la formazione sovranista “Debout la France” di Nicolas Dupont-Aignan raccolga l’invito del FN a formare una coalizione di “patrioti”2.

Esito finale?

Il Front National vincerebbe col 51-52% delle preferenze.

Asserire che sarà questo l’esito del ballottaggio sarebbe azzardato, ma l’analisi è indispensabile per capire che, contrariamente alla percezione alimentata da media, mercati finanziari e tecnocrati di Bruxelles, la partita del 7 maggio è apertissima, proprio grazie all’intervento in gamba tesa dell’establishment euro-atlantico sulla campagna elettorale: affossando François Fillon per insediare insediare all’Eliseo il proprio pupillo Macron, l’oligarchia ha creato il contesto migliore per una vittoria di Marine Le Pen. Un duello Fillon-Le Pen si sarebbe quasi certamente concluso con la sconfitta del Front National: grazie al paradosso di Condorcet ed agli spazi che si sono aperti a destra e sull’ala sinistra del populismo, Marine Le Pen può invece riuscire nella storica impresa di conquistare l’Eliseo, sconfiggendo lo scialbo candidato della banca Rothschild. Sarebbe la tremenda nemesi contro quei poteri che stuprano con sempre maggiore frequenza le democrazie occidentali.




1Macron 62%, Le Pen 38% in Ipsos Poll of French Presidential Runoff

2L'appel appuyé de Marine Le Pen à Nicolas Dupont-Aignan en vue du second tour
 
assassinato per... 500 lire?
Aldo Moro: assassinato per... 500 lire?
di Marco Saba

Estate 1964 Piano Solo, il tentato "golpe" del comandante dell’Arma dei carabinieri, generale Giovanni De Lorenzo. Nel 1967, una serie di inchieste dell’«Espresso» farà scoppiare lo scandalo. Tra i due fatti: emissione di 300.000 biglietti di stato da 500 lire...

3-5 maggio 1965 A Roma, presso l’Hotel Parco dei Principi, si tiene il convegno dell’Istituto Pollio sulla guerra rivoluzionaria. È, secondo molti, la prima tappa della strategia della tensione.

500 lire Aretusa Formato Biglietto: 110 x 55 mm a destra: testa di Aretusa Filigrana: Fasce di cornucopie sui lati sinistro e destro del biglietto Stampa: Officine dell'Istituto Poligrafico dello Stato di Roma - Data Decreto Emissione: 20.06.1966 Firme: Stammati - Gubbels - Ventura Signoretti Tiratura Migliaia: 300.000



28 novembre 1966 Il gran maestro del Grande Oriente d’Italia, Giordano Gamberini, affida a Licio Gelli la ricostituzione della loggia massonica Propaganda 2, allora denominata “Raggruppamento Gelli/P2”.

1 luglio 1966 Nasce il Sid, il Servizio informazioni Difesa. Il primo direttore è Eugenio Henke.

1967 Maletti è in Grecia da ormai quattro anni, in qualità di addetto militare. Il 21 aprile, i colonnelli ellenici organizzano il colpo di Stato: è l’inizio della "dittatura".

500 lire Mercurio
Biglietto della Repubblica Italiana diffuso dal 1974 al 1979. Il dritto presenta la testa del dio Mercurio. La cartamoneta ha avuto una tiratura di novecento milioni di pezzi va a "sostituire" la precedente 500 lire con Aretusa.



1974 L’inchiesta del giudice padovano Giovanni Tamburino porta allo smascheramento dell’organizzazione Rosa dei venti.

25 aprile 1974 Rivoluzione dei garofani in Portogallo. Crolla il regime salazarista.

27 aprile 1974 Attentato alla scuola slovena di Trieste.

28 maggio 1974 Strage di piazza della Loggia a Brescia. Racconterà poi Digilio che la bomba è stata messa, per quanto a sua conoscenza, dal gruppo ordinovista veneto, con l’avallo degli americani.

30 maggio 1974 A Pian del Rascino (Ri), i carabinieri uccidono in un conflitto a fuoco Giancarlo Esposti, impegnato in un campo paramilitare.

Fine luglio 1974 Riunione nell’ufficio di Andreotti, all’epoca ministro della Difesa. Sono presenti l’ammiraglio Mario Casardi, nuovo direttore del Sid, il comandante generale dell’Arma dei carabinieri, Enrico Mino, e per il Sid anche il generale Maletti, il tenente colonnello Romagnoli e il capitano Labruna. Lo scopo della riunione è esaminare i nastri registrati da La Bruna nel corso dei suoi colloqui con Orlandini. Alcuni nomi vengono censurati.


4 agosto 1974 Strage dell’Italicus. 9 agosto 1974 Richard Nixon si dimette dalla carica di presidente degli Stati Uniti. (Nel 1973 erano scaduti gli accordi segreti smithsoniani che mantenevano una conversione parziale in oro del dollaro USA solo per "alcune" banche centrali)

14 agosto 1974 Viene arrestato Guido Giannettini.

24 agosto 1974 Muore a Cadice il principe Borghese.

15 settembre 1974 Andreotti presenta alla magistratura un dossier sul golpe Borghese diviso in tre parti. Si tratta del celebre “malloppino”, come lo definirà Pecorelli: molti nomi sono stati epurati.

31 ottobre 1974 Vito Miceli è arrestato nell’ambito dell’inchiesta sulla Rosa dei venti.

5 giugno 1975 Viene scaricata la fonte Turco, alias Gianni Casalini.

28 febbraio 1976 Il generale Maletti e il capitano Labruna vengono arrestati nell’ambito dell’inchiesta sulla strage di piazza Fontana.

Autunno 1977 Scioglimento del Sid. Al suo posto, nascono il Sisde e il Sismi.

2 marzo 1978: la Gladio viene incaricata di cercare Aldo Moro 14 giorni prima che venisse rapito...

16 marzo 1978 Aldo Moro viene rapito da un commando paramilitare.

9 maggio 1978 Assassinio di Aldo Moro.

23 febbraio 1979 La Corte d’Assise di Catanzaro condanna Maletti a quattro anni e sei mesi e Labruna a due anni di reclusione per favoreggiamento. Ergastolo per Freda, Ventura e Giannettini.

20 marzo 1979 Viene ucciso Mino Pecorelli.


Nel 1974, 1976 e 1979 furono emessi biglietti di stato da 500 lire con la testa alata del dio Mercurio. Le dimensioni erano 115 x 59 mm. Si trattava anche in questo caso di un biglietto di stato stampato dal Poligrafico dello Stato. È stata l'ultima emissione repubblicana in cartamoneta, per un controvalore di 450 miliardi di lire dell'epoca.
Postato 13th June 2010 da Céline
 

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