Per cortesia ripristinate il 3d di mototopo


SI SCATENERA’ L’INFERNO!
Scritto il 31 maggio 2017 alle 10:21 da icebergfinanza

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All’improvviso un avvoltoio volò sul nido del cuculo!

“Il nido del cuculo” (the cuckoo’s nest) al quale si fa riferimento nel titolo è una delle molte espressioni del gergo americano che indicano il manicomio.

Prima di proseguire, diamo un’occhiata ad alcuni dati fondamentali usciti ieri in America…

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Fino a qui nulla di nuovo il dato di ieri ha rispettato le attese ma la tendenza resta chiara e ora da circa tre mesi dopo la Trump’s illusion, anche la fiducia dei consumatori volge al ribasso.

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Peccato che i dati sull’inflazione non rispecchiano questo rimbalzo della spesa, il core PCE ovvero il dato depurato della componente volatile, alimenti ed energia ha registrato un arretramento a 1,5 %, il tasso più basso dal dicembre 2015. In poche parole, significa che abbiamo vinto anche questa scommessa, ovvero la “trump reflation” per il momento è morta e sepolta.

Ma attenzione non è finita qui!

Ovviamente quando hai bisogno di ottimismo non puoi permetterti di far sapere che in realtà nei mesi scorsi le cose sono andate peggio del previsto e quindi che le revisioni rivedono sistematicamente la realtà…

Personal Spending Growth Tumbles To 7-Month Lows
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Oggi in uscita i dati relativi ai preliminari dei contratti di compravendita di nuove abitazioni che negli ultimi tempi hanno subito il peggior ribasso mensile da anni e l’indice PMI di Chicago maggior distretto manifatturiero d’America.

Ma torniamo agli avvoltoio e a scoprire chi volò sul nido del cuculo…

Mercati, fondo hedge: “Si scatenerà l’inferno
Elliott Management consiglia ai clienti di accumulare cash: tornerà utile quando le banche centrali smetteranno di sostenere i mercati con le loro magie. (…) “Vista la determinazione e il modo di pensare delle autorità di politica monetaria – scrive Singers – pronte a fare tutto il possibile per evitare un nuovo crac di mercato, la magica levitazione di azioni e bond in un contesto di bassa volatilità durerà, almeno finché l’incantesimo non si spezzerà”.

Per carità, questi non vedono l’ora di fare i soldini con la volatilità e li faranno, perchè gli avvoltoi si cibano di qualunque cadavere.

Paul Singer, l’avvoltoio di Wall Street sostiene che non appena tutti si saranno convinti che la trumpnomics è solo un bluff si scatenerà l’inferno!
Come ben sappiamo le banche centrali stanno comprando azioni a man bassa, per sostenere i mercati, quella giapponese e svizzera in primis, la Fed lo fa da sempre attraverso le banche d’affari americane, ma arriverà prima o poi il momento nel quale tutto sfuggirà di mano e se date un’occhiata ai nostri ultimi Machiavelli, l’analisi ciclica ci mostra quando questo potrebbe avvenire.

Al momento i mercati si cullano ancora sull’illusione che prima o poi la trumpnomics verrà implementata, la realtà dei dati economici come abbiamo visto in questi mesi è diversa.



In questo contesto, Singer avverte che ” ci sono in realtà dinamiche in atto che potrebbero indicare una recessione relativamente a breve termine in assenza di nuove e solide politiche di crescita “.

E con tassi già a livelli bassi, la Federal Reserve non sarà in grado di fornire un adeguato QE, come è avvenuto durante la grande crisi finanziaria. Per questo motivo, in assenza di una spinta prociclica, l’economia statunitense non può avere altra scelta se quella di contrarsi.

Come vedremo nel prossimo Machiavelli il problema degli USA è il debito privato e non quello statale, il debito è il più grande denominatore comune delle più grandi crisi della storia. La storia è sempre quella, non si riisolve un problema di sovraindebitamento con altro debito, ma da questo orecchio le banche centrali non vogliono proprio sentirci.

Conclude Singer, “cash is king” meglio stare alla larga, quando i mercati si sveglieranno sarà l’inferno. Noi suggeriamo di non avere fretta, il volo dell’araba fenice continuerà ancora per qualche tempo, poi nei prossimi giorni proveremo ad interpretare cosa ci racconta l’analisi ciclica.

Un altro gestore di Hedge sta restituendo tutti i capitali ai propri clienti, la conservazione del patrimonio del proprio cliente è tutto ciò che un gestore dovrebbe avere a cuore, il principale propio interesse, dice Philip Parker, presidente di Altair e chief investment officer.

Noi da tempo osserviamo quello che accade in Australia, Parker suggerisce l’arrivo di una calamità naturale, la sua società di gestione australiana ha preso la clamorosa decisione di liquidare tutti i fondi esposti all’Australia e restituire centinaia di milioni di dollari ai propri clienti, una calamità imminente nel mercato immobiliare australiano.

Non ci affascina l’idea del quando, siamo certi che anche l’Australia non sfuggirà alla verità figlia del tempo. “Mercato folle”, hedge fund chiude fondi citando “calamità immobiliare”

Citando l’arrivo di una calamità immobiliare, la società di gestione australiana Altair Asset Management ha preso la decisione clamorosa di liquidare i fondi esposti in Australia e restituire centinaia di milioni di dollari ai suoi clienti.

I problemi, di cui dà un resoconto il quotidiano nazionale Sydney Morning Herald, sarebbero legati a quella che Philip Parker, presidente e AD di Altair, definisce una “calamità imminente nel mercato immobiliare”. Ci troviamo, secondo il gestore, in una fase pericolosa del ciclo in cui i prezzi sono sopravvalutati.

“Restituire i soldi investiti nei fondi da noi gestiti, rinunciando alle commissioni di gestione e performance, è stata una decisione difficile”, spiegava ieri Parker, precisando tuttavia che “preservare gli asset dei clienti dovrebbe venire prima dei propri interessi personali” per tutti i gestori di fondi.

Lo scorso 15 maggio il navigato gestore, con 30 anni di esperienza alle spalle nel settore degli investimenti, ha avvertito i clienti di Altair che avrebbe “venduto tutti i titoli dei trust di Altair, chiuso i fondi e restituito ai clienti i soldi investiti in quegli stessi fondi”.

Parker ha anche comunicato di aver “smantellato il team di investimenti della divisone” incaricata di gestire i fondi trust e il comitato di investimenti di cui facevano parte diversi analisti ribassisti tra cui il chief economist di Morgan Stanley Gerard Minack e l’ex economista di UBS Stephen Roberts.

“Lasciate mi dire che non sono mai stato così sicuro di niente nella mia vita”, dice Parker. “Sono assolutamente certo che siamo in una bolla in questo mercato immobiliare. La frode ipotecaria è endemica, è sistemica, è terribile quello che sta succedendo. Quando hai 30 anni, e non hai mai visto una bolla immobiliare prima, quando presti sino all’80% per acquistare tre e quattro appartamenti, è una bolla “.

La frode ipotecaria è indemica, è sistemica, è terribile quello che sta succedendo.
I più attenti di Voi si ricorderanno certamente che circa un anno fa, attraverso Machiavelli vi abbiamo raccontato che in Australia la frode ipotecaria era di moda, che la crisi americana non aveva insegnato nulla, raccontandovi alcuni episodi della saga immobiliare australiana.

Nessuno sa quando scoppia una bolla e noi da tempo vi abbiamo raccontato perchè nonostante tutto puntiamo sull’Australia, ristudiatevi quello che accadde all’America e capirete tutto…

Nel frattempo insieme al nostro Machiavelli, possiamo tranquillamente annunciarvi che per la terza volta, la nostra linea Maginot sul trentennale americano, ha definitivamente respinto l’ennesima illusione di un rialzo dei tassi a lungo termine, nessuna novità ovviamente per chi ci segue da anni e segue la storia, maestra di vita.

Ora abbiamo la più assoluta certezza, la storia non si ripete mai ma ama fare la rima.



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il mondo visto da un'altra
usa giugno 6, 2017 posted by Mitt Dolcino
Hillary Clinton sacrificata, con la prova che fu il Deep State ad uccidere JFK: illusione o verità?



Sui blogs alternativi USA si sta diffondendo una voce solo parzialmente folle: Hillary Clinton verrà sacrificata per evitare guai maggiori, ossia Trump verrà “limitato” tramite un accordo col deep state o di quello che ne resterà dopo la diffusione degli atti integrali della Commissione Warren che – sembra – dimostrerebbero come JFK sia stato effettivamente ucciso dal Deep State, quasi il segreto di Pulcinella.

Una polizza assicurativa che Trump dovrrà obbligatoriamente escutere, quasi una vendetta della storia direi: che un presidente massimamente repubblicano debba trovare la sintesi della sua sopravvivenza nella prova della morte deliberatamente violenta (e voluta) del più importante presidente Dem moderno è tanto bizzarro quanto grottesco.

Questa è una conseguenza della geniale mossa di mettere fuori gioco il Qatar da parte dell’amministrazione USA, parlo del (probabilmente) vero finanziatore del terrorismo internazionale, almeno stando all’opinione dei media che hanno commentato la notizia ieri.

Notasi: Al Thani è a tutto tondo un membro importantissimo dell’entourage della Fondazione Clinton, il più importante (Renzi invece è il meno significativo di tutti).

E’ un dato di fatto che l’Arabia non interviene mai nei paesi dove vende direttamente petrolio. Idem per tutti i paesi arabi ed affini escluso l’Iran, da sempre forte nei servizi diciamo informali (anche e soprattutto a Roma, ndr). Dunque Riad non può essere responsabile di nulla, parlo di quanto accaduto di violento in Europa negli ultimi 24 mesi visto che Saudi Aramco – ossia lo Stato Arabo – vende petrolio a tutti nel Continente. Viceversa Doha non vende il proprio petrolio ed il proprio gas a nessuno visto che la commercializzazione avviene sempre per il tramite delle grandi majors, Exxon in testa.

Da qui derivano due considerazioni importanti:

  1. visto che l’ex AD di Exxon è Tillerson (ora Segretario di Stato) la famiglia Al Thani è veramente out, nessun dubbio in riguardo (gli arabi sanno essere tanto nobili quanto cattivi se non vengono rispettati gli indirizzi cortesemente indicati);
  2. se c’è qualcuno che può aver “operato” in Europa negli ultimi anni questo è piuttosto da collegare alla famiglia regnante qatarina, non a quella saudita.
Ora, chi è di mazzo è Trump, gli attacchi che subisce da mesi servono solo per limitarlo. Il Deep State gioca in difesa. Dunque, qualcuno dice che Trump verrà costretto alla resa entro dicembre prossimo, vedremo se sarà vero (occhio però, è un negoziatore senza pari, sa perfettamente individuare le debolezze dell’avversario). Parimenti i prossimi 100 giorni saranno cruciali ed il Deep State non può tecnicamente riuscire a disarcionare il Presidente in anticipo, ossia la prima mossa sta a Trump.

Per tre motivi:

  • un impeachment non ha nè la maggioranza necesssaria nè i tempi tecnici;
  • la nuova amministrazione USA avrà a breve molti “argomenti” soprattutto legali una volta insediato il nuovo capo FBI, con Jeff Sessions al comando delle operazioni;
  • i votanti USA sono sempre più contrari all’establishment, come dimostra la recente elezione in Montana dove contro ogni pronostico ha vinto un Repubblicano
Dunque, il Deep State ha paura. E quindi, dopo la geniale mossa qatarina, è pronto a sacrificare Hillary Clinton et al. (legasi, sodali esteri, anche a Firenze). La quale (Hillary), vista la salute molto cagionevole, temo non riuscirà ad affrontare un processo. Nella migliore – o peggiore – delle ipotesi non ci sarà seguito ulteriore al grande “ipotetico” arresto, viceversa gli oligarchi al seguito della Fondazione potrebbero iniziare a doversi preoccupare. In ogni caso si dice verrà evitato ogni coinvolgimento in reati pesanti come pedofilia, traffico di armi ecc., limitando le accuse a ben più sobrie “malversazioni” (comunque sufficienti a bruciare il clan Clinton), il deep state non può infatti permettersi uno scandalo ben superiore al Watergate, in prospettiva.

Ossia, penso che (visto che Trump sembra avere una salute inossidabile) il problema resterà confinato alla famiglia ex presidenziale USA, la cui salute è tutt’altro che buona. Soros invece sta bene, sembra.

Un piccolo appunto su Barack Hussein Obama: ritengo che anche lui dovrà essere parte del deal, nel senso che se quanti al di sopra riterranno che dovrà necessariamente sparire dalla scena [se ne è capace], ciò dovrà accadere. Ossia sparirà, immagino. Se ne è capace. Anche e soprattutto nel lungo termine.

Vedremo

Come dice MD, tempi interessanti ci aspettano.

Fantomas
 
Qatarsi e metastasi →
La Cina ha iniziato la distruzione del dollaro
giugno 7, 2017 1 commento

Byron King, Reseau International 3 giugno 2017

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La Cina cambia i termini del commercio petrolifero con l’Arabia Saudita. In particolare, lavora a un accordo per pagare il petrolio saudita utilizzando lo yuan cinese. Questo sforzo rappresenta una minaccia diretta per la sicurezza del dollaro. Se l’accordo Cina-Arabia Saudita viene concluso, yuan per petrolio, sarà un ulteriore passo verso la tomba del petrodollaro che domina la finanza globale dal 1974. Lo si può vedere nell’articolo di Jim Rickards sull’assalto al dollaro qui. Per ricapitolare, il petrodollaro s’indebolisce perché il dollaro perde potere da valuta di riserva mondiale, similmente alla sterlina a poco a poco caduta in disgrazia durante il declino dell’impero inglese. Il declino può richiedere molto tempo, ma ciò che si vede oggi è un altro passo verso declino e morte del dollaro. Vorrei dirvi come proteggere i vostri beni in dollari dopo aver spiegato questo cambiamento.
Dal 1974, l’Arabia Saudita ha accettato il pagamento di quasi tutte le esportazioni di petrolio, in tutti i Paesi, in dollari. Ciò è dovuto all’accordo tra Arabia Saudita e Stati Uniti ai tempi del presidente Nixon. 15 anni fa la Cina cessò d’essere indipendente sul petrolio e cominciò ad acquistarlo dai sauditi. Come tutti i clienti dei sauditi, la Cina doveva pagare in dollari. Oggi, la Cina paga il petrolio saudita in dollari USA, non yuan, infastidendo i leader cinesi. Dal 2010, le importazioni di petrolio della Cina sono raddoppiate. Secondo Bloomberg News, la Cina ha superato gli Stati Uniti come primo importatore di petrolio al mondo. Ecco una tabella che mostra l’andamento.
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Mentre la Cina importa sempre più petrolio, l’idea di pagarlo in yuan e non in dollari è sempre più cruciale. La Cina non vuole utilizzare dollari per comprare petrolio, così comincia a premere sui sauditi sulla natura del denaro da utilizzare nelle operazioni per il loro petrolio. La Cina lo fa abbassando regolarmente l’acquisto di petrolio dai sauditi. Allo stato attuale, i tre maggiori fornitori di petrolio della Cina sono Russia, Arabia Saudita e Angola. Dietro questi tre fornitori v’è una combinazione di fonti, con Iran, Iraq e Oman che contribuiscono a diversificare gli approvvigionamenti di petrolio della Cina. Negli ultimi anni, la Cina è passata ad acquistare petrolio al di fuori dell’Arabia Saudita, e le esportazioni di petrolio della Russia sono aumentate dal 5% al 15% del totale della Cina. La Cina importa più petrolio da Russia, Iran, Iraq e Oman; e meno dall’Arabia Saudita. La quota delle importazioni cinesi dall’Arabia Saudita è scesa da oltre il 25% nel 2008 a meno del 15% attuale. Nel frattempo, i concorrenti dei sauditi, Russia, Iran, Iraq e Oman, vendono più petrolio alla Cina. L’Arabia Saudita vuole invertire la tendenza al ribasso nel commercio di petrolio con la Cina. Tuttavia, questi grandi flussi di petrolio non si verificano nel vuoto. C’è una buona ragione per cui le vendite di petrolio russo alla Cina aumentano. Come vedrete nell’articolo di Nomi, commercio e servizi finanziari sono spesso strettamente legati. Negli ultimi anni, la Cina ha rafforzato i rapporti commerciali con la Russia; oggi la Cina paga il petrolio russo in yuan. La Russia, a sua volta, usa lo yuan per comprare merci dalla Cina. Oltre agli scambi di merci, negli ultimi sei mesi la Russia ha istituito una filiale della Banca di Russia a Pechino. Quindi, la Russia può utilizzare i suoi yuan cinesi per comprare oro sulla Borsa di Shanghai. In un certo senso, il commercio del petrolio sino-russo è ora sostenuto dal “gold standard”. In futuro, l’Arabia Saudita sarà sempre più esclusa dal mercato petrolifero cinese, se non vende il petrolio in yuan. Ma per farlo, i sauditi devono allontanarsi dal dollaro USA e dai petrodollari, se vuole mantenere e aumentare l’accesso al mercato del petrolio della Cina. Ne sapremo di più sulla probabilità di tale scenario dopo il tour di Donald Trump in Medio Oriente. Se l’Arabia inizia ad accettare yuan per il petrolio, tutte le carte saranno contro i petrodollari. I petroyuan cambiano le dinamiche monetarie dei flussi energetici globali. Credo che il dollaro USA sarà gravemente indebolito con questa nuova fase.
Gran parte delle informazioni sul petroyuan è pubblica. Eppure, per qualche strana ragione, c’è una forma di cecità nei politici e media occidentali sulle implicazioni del petroyuan. L’idea è così “assurda” che molti politici preferiscono ignorarla. L’evitano in modo totale. Ma potrebbero svegliarsi una mattina nel bel mezzo di una massiccia crisi valutaria in cui il valore del dollaro è in calo e il prezzo in dollari del petrolio alle stelle. Jim e io consigliamo vivamente di destinare il 10% del vostro portafoglio ad investimenti sui metalli preziosi.
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Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

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Corbyn tallona la May? Urge attentato elettorale, a Londra

06/6 • idee

Finiti i botti, si può anche sospendere la campagna elettorale. Se lo devono essere detti l’Mi5, l’Mi6, la loro dependance Scotland Yard, i fratelloni Mossad, Cia e i suoi 14 nipotini in Usa, i cugini delle varie marche imperiali europee, alla vista di uno che s’impegnava per un apocalittico cambio «dalla politica per i pochi alla politica per i tanti» (Jeremy Corbyn). Roba mai vista da quando l’Ue è entrata in funzione su mandato Rothschild, Rockefeller, Bilderberg e galassia finanziaria globale. Anatema. E così, dopo gli impiegati e il poliziotto sul ponte di Westminster e i ragazzetti al concerto di Manchester, è toccata ai flaneur e alle flaneuses serali sul London Bridge e nei pub sottostanti a finire, come va il trend di questi tempi, sotto un veicolo e tra le lame dei servizi. Quattro morti, più 22, più sette = 33, più parecchie decine di feriti, mutilati, menomati. Esito di una battaglia elettorale sul destino dei pochi e dei tanti. La May, primo ministro, ha cancellato quanto restava della campagna dei tanti. Se ne poteva fare a meno. Forse.
A Torino, nel tempo accuratamente costruito dal terrorismo di regime e media, in cui, se cade per terra un mazzo di chiavi, o esplode una miccetta, o qualcuno starnuta forte, scatta il panico da attentato e conseguente fuga tumultuosa che travolge e schiaccia chi non corre abbastanza veloce, o non trova varchi, o è inciampato, per una partita virtuale su maxischermo si contano mille feriti e alcuni a portata di Caronte. In entrambi i casi, come in tutti quelli del prima e del dopo, il risultato è raggiunto. Colpendo nel mucchio. Di quelli che non c’entrano niente. Di quelli spendibili. Non una volta che si spari una bazookata contro le finestre di Goldman Sachs, o si faccia saltare la corrente alla Nato a Bruxelles, o si infili un candelotto sotto il sedile dell’ambasciatore saudita. Che sia mai. Non facciamoci del male da soli.
A cui si aggiunge un’altra considerazione. Social, vanterie degli specialisti e dei ministri della “sicurezza”, gole profonde della Nsa, perfino il “Report” disinquinato di Sigfrido Ranucci (Rai 3), o le voci alternative di Gianluigi Paragone (La7), ci informano a valanga di quanto tutti siamo controllati, di come non sfuggiamo neanche al cesso o nell’alcova, di come il nostro cellulare racconti al collegato di che pasta siamo fatti e che pasta consumiamo, insomma come nulla di nessuno sfugga al Grande Occhio. Grande Occhio onnivedente e onniconoscente che resta cieco o chiuso quando gli formicolano davanti migliaia di reclute dell’Isis (chiamiamole così, per non disturbare), istruite nelle carceri o nei campi di Siria e Iraq, pendolari tra sgozzamenti a Mosul e Raqqa e deflagrazioni o piraterie stradali in Europa. «Li conoscevamo, li abbiamo anche registrati, ma poi li abbiamo persi di vista…». Volatilità, volubilità, spensieratezze, disattenzioni, dei servizi di intelligence. Son ragazzi. Sempre meglio che farsi scoprire mandanti. «Tanto poi li secchiamo tutti». Basterebbe sparare alle gambe, o tirare una siringa come alle pantere randagie, o un po’ di gas come i russi nel teatro di Mosca… Ma i morti non parlano.
(Fulvio Grimaldi, estratto dal post “Corbyn tallona May? Urge attentato”, pubblicato dal blog di Grimaldi il 4 giugo 2017).
Finiti i botti, si può anche sospendere la campagna elettorale. Se lo devono essere detti l’Mi5, l’Mi6, la loro dependance Scotland Yard, i fratelloni Mossad, Cia e i suoi 14 nipotini in Usa, i cugini delle varie marche imperiali europee, alla vista di uno che s’impegnava per un apocalittico cambio «dalla politica per i pochi alla politica per i tanti» (Jeremy Corbyn). Roba mai vista da quando l’Ue è entrata in funzione su mandato Rothschild, Rockefeller, Bilderberg e galassia finanziaria globale. Anatema. E così, dopo gli impiegati e il poliziotto sul ponte di Westminster e i ragazzetti al concerto di Manchester, è toccata ai flaneur e alle flaneuses serali sul London Bridge e nei pub sottostanti a finire, come va il trend di questi tempi, sotto un veicolo e tra le lame dei servizi. Quattro morti, più 22, più sette = 33, più parecchie decine di feriti, mutilati, menomati. Esito di una battaglia elettorale sul destino dei pochi e dei tanti. La May, primo ministro, ha cancellato quanto restava della campagna dei tanti. Se ne poteva fare a meno. Forse.

Magaldi: 007 complici dei kamikaze, chi lo nega è bugiardo

06/6 • segnalazioni

«Toglietevi dalla testa l’idea che i servizi segreti non siano al corrente dei preparativi terroristici in corso: se la strage avviene, significa che settori dell’intelligence l’hanno consentita». Parola di Gioele Magaldi, all’indomani dell’ennesimo attentato di Londra, avvenuto pochi giorni dopo quello di Manchester. Attentati “false flag”, targati Isis, opportunamente confezionati – come già in Francia, Belgio e Germania – per produrre una politica securitaria: non stupisce oggi la premier Theresa May che dice “adesso basta, cambiamo le regole del nostro vivere”. Meno libertà per tutti? E’ esattamente l’obiettivo delle vere “menti” degli attentati-kamikaze, nient’affatto islamiche. Attentati che, peraltro, continuano a risparmiare l’Italia. E non a caso, secondo Magaldi: «Da noi, gli apparati di sicurezza lavorano lealmente, con professionalità. Laddove comunque dovessero emergere delle falle nella sicurezza – aggiunge Magaldi – sappiamo per certo che ci sarebbe lo zampino di qualche complice, all’interno delle istituzioni preposte alla vigilanza. Perché è matematicamente impossibile che i preparativi di un attacco, in Italia come in tutta Europa, sfuggano alla rete dell’intelligence: e chi dice il contrario mente, sapendo di mentire».
Nel bestseller “Massoni, società a responsabilità illimitata”, Magaldi svela il ruolo – anche nell’incubazione del neo-terrorismo – di Ur-Lodges supermassoniche internazionali come la “Hathor Pentalpha” fondata dal clan Bush, implicata nell’11 Settembre. E ora, ai microfoni di “Colors Radio”, denuncia quelle che definisce evidenti complicità nella carneficina in corso, dimostrate anche dalla puntuale, apparente “impreparazione” delle forze di polizia, inglesi e francesi: «Cose assurde, incredibili: personaggi lasciati circolare da un posto all’altro a preparare attentati. Invece della sorveglianza c’è stata quasi un’osservazione benigna, come a dire: “Fa’, pure, perché per qualche motivo ti devo lasciar compiere il tuo attentato”. Quindi, per favore, non raccontiamoci frescacce». Troppi strani “errori”, nella rete di protezione: «Se ne sono accorti persino i media, solitamente “ovattati” e autocensurati». In realtà, aggiunge Magaldi, «è anormale il funzionamento dei servizi antiterrorismo in Francia, in Gran Bretagna e ovunque si siano verificati attentati di questo tipo».
Si punta a produrre paura generalizzata, che può aver avuto un effetto drammatico anche nell’incidente di Torino, con la folla impazzita di paura per l’esplosione di un petardo davanti al maxischermo che trasmetteva in piazza la finale di Champions: «Se si sollecita l’immaginario collettivo nel senso del terrore, è facilissimo che queste onde si trasmettano». Dobbiamo abituarci, insiste Magaldi: «C’è una maestria nel diffondere questa psicosi». C’era stato un momento quasi di assuefazione, dopo gli attentati francesi (Charlie Hebdo, Bataclan, Nizza) e ora c’è un nuovo salto di qualità. «Si vuol far credere che l’attentato è imprevedibile, che può succedere ovunque, dietro casa, in piazza, al concerto, come se noi non fossimo costantemente nella capacità di prevenire, intercettare, filtrare informazioni». La gente, forse, non sa come opera «un sano ed efficace antiterrorismo», quello delle reti di intelligence. «Chi conosce questi mondi – spiega Magaldi – sa perfettamente che è impossibile sfuggire ad una sorveglianza adeguata, a meno che coloro che sorvegliano non si “distraggano”, e lo facciano in malafede, in connivenza con chi poi li esegue, gli attentati».
Anziché credersi in pericolo costante, i cittadini farebbero meglio a «chiedere ai governi di essere protetti efficacemente, ma senza subire restrizioni alla loro libertà». In questo, aggiunge Magaldi, «è sospetta la reazione di Theresa May all’ennesima odiosa carneficina: proprio la tolleranza e il rispetto delle libertà individuali sono ciò che la retorica del terrorismo combatte». Addio libertà? E’ esattamente l’obiettivo dei burattinai del terrore, che si nascono dietro sigle come l’Isis. «Dietro ci sono interessi non integralisti, ma che utilizzano l’integralismo religioso per promuovere regimi di vita in senso non tollerante, repressivo e illiberale nei paesi occidentali», continua Magaldi. «Ricordiamoci che la prima stagione del terrorismo globale, quella di Al-Qaeda, negli Usa ha prodotto le norme del Patriot Act, leggi liberticide che hanno limitato la libertà di movimento e diverse libertà civili dei cittadini americani, sostanzialmente conseguendo proprio quegli obiettivi che il terrorismo dice di perseguire, cioè la trasformazione in senso antidemocratico e illiberale dell’Occidente».
Per Magaldi, il retroscena è geopolitico: chi sperava di “reincarnare” Al-Qaeda nello Stato Islamico per prolungare illimitatamente la “guerra infinita”, oggi è in difficoltà. «L’elezione di Donald Trump ha rappresentato un fattore disorientante per chi era pronto a declinare la “parte due” del copione, riguardante l’Isis, e ora ci sono dei colpi di coda». Che fare?Innnanzitutto non cedere alla paura, come vorrebbero gli strateghi occulti del terrore: «Bisogna tenere la barra dritta, sapendo che qualunque penetrazione attraverso le maglie dell’antiterrorismo e dell’intelligence ha precise responsabilità istituzionali». E quindi «non è certo limitando la libertà dei singoli, dei gruppi o del vivere civile occidentale che si consegue efficacemente la protezione dei cittadini». Il problema è, semmai, «cercare le mele marce». Magaldi lo ripete con la massima chiarezza: «In Francia, a Londra e ovunque accada un evento terroristico, se accade è perché l’intelligence e l’antiterrorismo non hanno fatto il loro mestiere, e non certo perché c’è una società che consente la libera circolazione delle persone e la tutela dei diritti individuali».
Questo va chiarito, «altrimenti non si spiega perché, per esempio, in Italia – dove l’intelligence e l’antiterrorismo funzionano molto bene – finora non ci sono stati attentati». Qualcuno potrebbe dire: ma ce ne saranno, prima o poi. «Quando ci fossero – scandisce Magaldi – sarà perché qualcuno magari avrà tradito o avrà allentato il controllo per favorire la realizzazione di qualche attentato». Impossibile che qualcuno colpisca, con successo, eludendo le reti di sicurezza: di questo, Magaldi si dice certissimo. «Con gli attuali strumenti (risorse umane sul territorio e dotazioni tecnologiche) è assolutamente possibile prevenire attentati, ovunque. Quindi non è vero che c’è una loro imprevedibilità. Gli attentati sono spesso prevedibili, dunque prevenibili», e chi sostiene il contrario «mente, sapendo di mentire». In passato, peraltro, non è sempre andata così liscia: al contrario, l’Italia è stata colpita tante volte, dal terrorismo. Il motivo per cui non è più successo, «e probabilmente non succederà», ribadisce Magaldi sta nella lealtà e nell’impegno delle nostre forze di sicurezza. E aggiunge, a mo’ di avvertimento: «Se dovessi essere smentito, a quel punto saprò dove puntare il dito, con nomi e cognomi».
«Toglietevi dalla testa l’idea che i servizi segreti non siano al corrente dei preparativi terroristici in corso: se la strage avviene, significa che settori dell’intelligence l’hanno consentita». Parola di Gioele Magaldi, all’indomani dell’ennesimo attentato di Londra, avvenuto pochi giorni dopo quello di Manchester. Attentati “false flag”, targati Isis, opportunamente confezionati – come già in Francia, Belgio e Germania – per produrre una politica securitaria: non stupisce oggi la premier Theresa May che dice “adesso basta, cambiamo le regole del nostro vivere”. Meno libertà per tutti? E’ esattamente l’obiettivo delle vere “menti” degli attentati-kamikaze, nient’affatto islamiche. Attentati che, peraltro, continuano a risparmiare l’Italia. E non a caso, secondo Magaldi: «Da noi, gli apparati di sicurezza lavorano lealmente, con professionalità. Laddove comunque dovessero emergere delle falle nella sicurezza – aggiunge Magaldi – sappiamo per certo che ci sarebbe lo zampino di qualche complice, all’interno delle istituzioni preposte alla vigilanza. Perché è matematicamente impossibile che i preparativi di un attacco, in Italia come in tutta Europa, sfuggano alla rete dell’intelligence: e chi dice il contrario mente, sapendo di mentire
 
Economica Eurasiatica, Via della Seta Marittima, Xi Jinping
Iran e Qatar, segnali della bancarotta saudita


giugno 8, 2017 Lascia un commento

Alessandro Lattanzio, 8/6/2017

La guerra perduta dei Saud contro Siria, Iraq e Yemen ha effettivamente esaurito le riserve valutarie del regno, più di quanto appaia, spingendo Riyadh a voler rapinare letteralmente il rivale e seconda potenza energetica regionale del Qatar.
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Iran
Il ministro degli Interni iraniano dichiarava che 13 persone erano state uccise negli attacchi terroristici a Teheran la mattina del 7 giugno. I gruppi terroristici entrati nell’area del santuario dell’Imam Khomeini, 2 terroristi, e nell’edificio amministrativo del Parlamento, 4 terroristi, venivano eliminati completamente; “La prima squadra dei terroristi, composta da due persone, entrava nel santuario dell’Imam alle ore 10:30. Il primo terrorista si uccise nell’esplosione suicida e il secondo fu eliminato dalle forze di sicurezza dopo aver sparato alla cieca. Contemporaneamente, la seconda squadra dei terroristi, di quattro persone, cercava di arrivare all’edificio amministrativo del Parlamento, ma dopo la reazione di una delle guardie di sicurezza, un terrorista si uccise facendosi esplodere e gli altri tre furono eliminati dalle forze di sicurezza dopo il tentativo di salire ai piani superiori dell’edificio. Ora la situazione è pienamente sotto il controllo delle forze di sicurezza e dell’ordine“. Le forze di sicurezza iraniane arrestavano 5 sospettati e una donna terrorista, dopo gli attentati. Il Corpo della Guardia della Rivoluzione Islamica (IRGC) dichiarava, “L’opinione pubblica mondiale, e in particolare della nazione iraniana, vede tale azione terroristica accadere una settimana dopo la riunione del presidente statunitense con i capi di uno degli Stati regionali più reazionari che sostiene costantemente e notevolmente i terroristi taqfiri, e ritiene che lo SIIL, rivendicandolo, ne indichi la complicità in tale atto selvaggio. L’IRGC ha dimostrato che non lascia impunito uno spargimento di sangue innocente e assicura alla nazione iraniana che non esiterà nemmeno per un momento a proteggere la sicurezza nazionale del Paese e la vita del suo carissimo popolo, avendo eliminato tali terroristi con l’aiuto delle Forza dell’Ordine“. Il leader supremo dell’Iran, Ayatollah Seyed Ali Khamenei, dichiarava, “La nazione iraniana avanza e rigetta i petardi sparati oggi, che non lasceranno traccia sulla volontà del popolo. Tutti dovrebbero sapere che sono insignificanti per poter influenzare la volontà della nazione iraniana e dei funzionari del Paese. E tali incidenti, ovviamente, rivelano che se la Repubblica islamica non avesse resistito al nucleo di tale cospirazione, avrebbe avuto simili serie difficoltà nel Paese. Grazie a Dio, mordono la polvere“.
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Il viceprincipe ereditario saudita Muhamad bin Salman, ministro della Difesa dell’Arabia Saudita, a maggio aveva minacciato l’Iran, “Non aspetteremo che la battaglia sia in Arabia Saudita. Invece, lavoreremo in modo che la battaglia sia in Iran“, e poche ore prima degli attentati terroristici a Teheran, il ministro degli Esteri saudita Adil al-Jubayr, da Parigi, affermava che l’Iran andava punito per presunte interferenze nella regione. Puntualmente, il gruppo terroristico dello SIIL rivendicava gli attentati a Teheran.
Il Viceministro degli Interni iraniano Hossein Zolfaqari dichiarava che i terroristi, “entrarono nel Parlamento in abiti femminili attraverso il cancello speciale per i visitatori, avviando la sparatoria per causare paura ed orrore. Nei primi minuti dell’attacco, le forze del Corpo della Guardia Rivoluzionaria Islamica (IRGC) si attivavano prendendo il controllo della zona nell’edificio del Parlamento”. Gli ufficiali della sicurezza della provincia di Tehran avevano un incontro urgente subito seguito dalla riunione del Supremo Consiglio di Sicurezza Nazionale (SNSC) per studiare i diversi aspetti degli attentati. Il Brigadier-Generale Hossein Salami, Vicecomandante dell’IRGC, dichiarava, “Questo attentato è avvenuto solo una settimana dopo l’incontro tra il presidente degli Stati Uniti e gli arretrati capi che sostengono i terroristi. Il fatto che lo Stato islamico l’abbia rivendicato ne dimostra il coinvolgimento… Non c’è dubbio che ci vendicheremo degli attacchi di oggi a Teheran, sui terroristi, i loro affiliati e i loro sostenitori”. Il Ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif osservava, “I despoti che sponsorizzano il terrorismo minacciano di portare la guerra nella nostra patria: gli ascari attaccano ciò che i loro padroni disprezzano di più: la sede della democrazia“, alludendo alle affermazioni di bin Salman.

Qatar
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L’emiro del Quwayt, sceicco Sabah al-Ahmad al-Jabar al-Sabah s’incontrava con il re saudita Salman bin Abdulaziz sulla crisi con il Qatar. Il ministro degli Esteri Muhamad bin Abdurahman al-Thani affermava che il sovrano del Quwayt aveva chiesto a Tamim bin Hamad al-Thani, l’emiro del Qatar, di non fare dichiarazioni ufficiali sulla crisi, “Ha ricevuto una chiamata dall’emiro del Quwayt che gli chiedeva di posticiparla per dare tempo alla risoluzione della crisi“. Nel frattempo si avevano avvisaglie dei movimenti militari sauditi nei pressi del confine del Qatar, “I sauditi si preparano“, affermava Ali al-Ahmad dell’Istituto per gli affari del Golfo, “Controllando la frequenza dei bombardamenti nello Yemen… Un segno chiave sarà la cessazione o riduzione degli attacchi aerei sauditi contro le forze ribelli nello Yemen. Ciò significherebbe che ammassano forze per un’azione improvvisa contro il Qatar. E posso dire che Trump ha già detto ai sauditi di non avere obiezioni. I sauditi sono molto arrabbiati con i qataroti.,. non permetteranno mai che lo Yemen sia indipendente… il Bahrayn odia il Qatar. E i sauditi hanno due obiettivi: primo, sottomettere il Qatar similmente ai loro lavoratori-schiavi. Non ci sono mezze misure. Secondo, i sauditi bramano le enormi riserve di denaro del Qatar. Le vogliono“. La guerra perduta dei Saud contro Siria, Iraq e Yemen ha effettivamente esaurito le riserve valutarie del regno, più di quanto appaia, spingendo Riyadh a voler rapinare letteralmente il rivale e seconda potenza energetica regionale del Qatar. Anche la Giordania annunciava la decisione di coordinarsi con i Paesi arabi per “porre fine alla crisi nella nostra regione” e annullava le licenze ad al-Jazeera. All’ambasciatore del Qatar ad Amman veniva chiesto di lasciare il Paese entro pochi giorni.
Intanto, l’esercito del Qatar attivava 16 carri armati Leopard, dopo aver messo in stato di guerra le forze armate. Il 5 giugno il ministero della Difesa del Qatar trasmetteva un messaggio ai governi di Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Bahrayn, dicendo che sparerà a tutte le navi di quei Paesi se entreranno nelle sue acque territoriali. Davanti a ciò, Trump compiva un svolta di 180° sottolineando l’importanza a che tutti i Paesi della regione collaborino e ribadiva che il partenariato per la cooperazione del Golfo è fondamentale per la stabilità regionale. L’8 giugno, il Qatar chiedeva ufficialmente a Iran e Turchia d’inviare rifornimenti alimentari. Il presidente turco Tayyip Erdogan aveva detto che l’isolamento del Qatar non risolve alcun problema, e che Ankara era pronta a soddisfare le richieste di rifornimento idrico e alimentare del Qatar, che a sua volta aveva appena acquistato 20000 tonnellate di grano russo. Il presidente della Camera di Commercio del Qatar affermava che il Paese aveva riserve alimentari per un anno. Inoltre, avendo la Turchia istituito una base militare in Qatar nel 2014, secondo l’ambasciatore turco a Doha, Ahmet Demirok, Ankara poteva inviare 3000 truppe nella base. Infatti, il partito AK di Erdogan approvava l’8 giugno due leggi per consentire alle truppe turche di essere schierate in Qatar e attuare l’accordo tra i due Paesi sulla cooperazione militare, iniziando ad inviarvi 5000 soldati. La flotta della Qatar Airways potrebbe trasportarne 10000 dalla Turchia in pochi giorni, sorvolando lo spazio aereo iraniano. Il 7 giugno, l’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad al-Thani, parlava con il Presidente Putin sulla cooperazione russo-qatariota nel commercio, economia ed investimenti, oltre che su questioni internazionali. Vladimir Putin riaffermava la posizione di principio della Russia a favore della risoluzione delle crisi con mezzi politici e diplomatici.
Il blocco navale al Qatar è probabilmente la mossa più seria dell’Arabia Saudita contro il Qatar, riflessa dalle stesse restrizioni adottate dagli Emirati Arabi Uniti: le navi dirette o provenienti dal Qatar non avranno accesso al terminale petrolifero più grande del Medio Oriente, nel porto di Fujayrah degli Emirati Arabi Uniti. Ma i clienti del Qatar, Giappone e India, venivano subito rassicurati sulle forniture di petrolio: continueranno come sempre. Gli EAU avevano già impedito a 6 navi gasifere di ancorarsi presso Fujayrah. L’Egitto, che pur si affida al LNG del Qatar, non aveva operazioni dirette con il Paese, dato che Trafigura, Glencore e Vitol provvedevano a trasportarvi il LNG dal Qatar senza ricorrere a navi battenti bandiera del Qatar. In realtà, il Qatar può bloccare le esportazioni in certi Paesi emettendo le restrizioni sulla destinazione. Nel 2016, il Qatar aveva esportato 79,6 milioni di tonnellate di LNG, di cui 17,9 milioni in Europa. A chi altri si può rivolgere l’Europa per il Gas senza il Qatar? Norvegia, Stati Uniti e Russia. Gli europei compreranno gas statunitense per la diversificazione. Tuttavia, i volumi pongono una domanda. Il gas statunitense non è economico, e neanche quello norvegese. Gli scandinavi devono avviare nuovi progetti per aumentare le esportazioni, e questo è costoso. Rimane la Russia, che può fornire facilmente altri 150 miliardi di metri cubi di gas. La Russia esporta 178 miliardi di metri cubi, che potrebbe raddoppiare grazie al blocco del Qatar.
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Il Qatar controlla 335 miliardi di dollari di attività nel mondo tramite il QIA, il fondo sovrano qatariota controllato dalla Qatar National Bank SAQ, la più grande del Gulf Cooperation Council, e dall’azienda per telecomunicazioni Ooredoo QSC. Il QIA ha investito nelle banche Barclays Plc, Credit Suisse Group AG e Deutsche Bank AG, ed è il primo azionista della Volkswagen AG e della Glencore. I Qatar Sports Investments hanno acquistato il club Paris Saint-Germain. Mayhoola for Investiments SPC ha acquisito il marchio Valentino Fashion Group, mentre l’ex-premier Hamad bin Jasim aveva acquistato il 10% di El Corte Ingles SA, il più grande proprietario di grandi magazzini dell’Europa occidentale. Il QIA ha acquistato a Londra il quartiere finanziario Canary Wharf, il Savoy Hotel, il grattacielo Shard, i magazzini Harrods, il villaggio olimpico e il grattacielo della HSBC. Qatari Diar, unità immobiliare del QIA, aveva acquistato l’ex-ambasciata statunitense, oltre a diversi altri patrimoni immobiliari. Il QIA è il primo azionista anche della J. Sainsbury Plc, ha acquistato il 20 per cento dell’aeroporto di Heathrow mentre le Qatar Airways hanno acquisito il 20% della British Airways IAG SA. Il Qatar ha investito 11 miliardi di dollari nella Rosneft e d ha acquistato il 24,9 per cento dell’aeroporto di San Pietroburgo. L’emittente del Qatar, Bayn Media Group, ha acquistato la Miramax, società cinematografica della California. Il QIA è stato il quarto investitore immobiliare non-residenziale negli Stati Uniti nel 2016, acquistando il 10% dell’Empire State Realty Trust Inc., e collabora con i Brookfield Property Partners LP su un progetto da 8,6 miliardi di dollari a New York. Il QIA infine acquistava la Singapore Square Tower 1 per 2,5 miliardi di dollari, nella più grande transazione per uffici a Singapore, oltre a una quota della Lifestyle International Holdings Ltd. e al 20% della compagnia elettrica Li Ka-shing di Hong Kong.
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Fonti:
Algora
Ali Ozkok
Bloomberg
FNA
FNA
FNA
FNA
FNA
FNA
FNA
Global Research
Moon of Alabama
 
associazione di idee
Il “fratello” Romano Prodi, globalizzatore in grembiulino
Scritto il 08/6/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi


Caro, vecchio Romano Prodi? Macchè: «Non è certo quel pacioccone bonaccione, quel bravo curato e padre di famiglia che è stato presentato all’immaginario collettivo degli italiani». Nonostante il piglio bonario, il professore bolognese «è un personaggio molto tagliente, molto abile, anche molto attento al proprio “particulare”». Un soggetto a tutto tondo, da raccontare: il Prodi “segreto” sarà tra gli argomenti del secondo volume di “Massoni”, che Gioele Magaldi sta per stare alle stampe. Con una sorpresa: «Prodi è anche lui parte di una rete massonica sovranazionale». Presidente dell’Iri e grande privatizzatore, poi capo del governo, presidente della Commissione Europea, advisor della Goldman Sachs. E, nel frattempo, anche massone: «Tra coloro che hanno contribuito in senso pessimo, per l’Italia e per l’Europa, agli svolgimenti politico-economici nell’era della globalizzazione, cioè nel post-1992, c’è il “fratello” Romano Prodi», il cattolico democristiano che nel 1978 evocò il nome “Gradoli” – per indicare il luogo della prigione di Moro – raccontando di averlo ricevuto nell’ambito di una seduta spiritica. Prodi supermassone? Ebbene sì: parola di Gioele Magaldi. Che, per il secondo volume della serie, potrebbe avvalersi del contributo di una superstar della massoneria mondiale, come il controverso George Soros.
Nel “primo round” delle sue clamorose rivelazioni – silenziate dal mainstrem in modo tombale – Magaldi ha scontato una critica ricorrente: non aver documentato le sue affermazioni, spesso esplosive, al punto da ridisegnare la mappa del vero potere, mettendo in relazione personaggi come Monti, Draghi e Napolitano con il mondo internazionale delle 36 Ur-Lodges che rappresentano il supremo vertice delle grandi decisioni. In realtà, Magaldi è stato chiaro dal principio: «Ogni mia affermazione è documentabile, dispongo di 6.000 pagine di dossier. Sono pronto a esibirle, se qualcuno contesterà quanto ho scritto». Ma gli interessati, naturalmente, si sono ben guardati dal fiatare: molto meglio la congiura del silenzio. E ora, dopo “La scoperta delle Ur-Lodges”, si avvicina la pubblicazione del sequel, “Globalizzazione e massoneria”, con retroscena sulla svolta oligarchica che ha svuotato le democrazie occidentali, imponendo politiche di rigore (e oggi anche terrorismo targato Isis) affidate a docili esecutori: come lo stesso Prodi, la cui vera identità – secondo Magaldi – è sfuggita alla maggior parte degli italiani. Un uomo di potere, in grembiulino. L’elettorato di sinistra lo ricorda con nostalgia? Sbaglia: il primo a metterlo in croce, quand’era a capo della Commissione Ue, fu Paolo Barnard su “Report”, che presentò il ritratto di un cinico tecnocrate, schierato con i peggiori oligarchi.
Prodi è stato l’unico a battere Berlusconi, due volte su due? Vero, ammette Magaldi, parlando a “Colors Radio”: all’inizio, «quel grande carrozzone che è stato l’Ulivo individuò in modo perfetto, in Prodi, il suo leader». E Berlusconi, «grazie ai buoni uffici della Lega di Bossi, fu defenestrato, nel ‘94». Poi l’interregno di Lamberto Dini e quindi l’arrivo di Prodi nel ‘96. Con che esito? «L’effetto del governo Prodi è stato così ottimo, traghettandoci così bene in Europa, che nel 2001 Berlusconi ha rivinto». Poi c’è stata la seconda vittoria prodiana del 2006, di stretta misura, presto naufragata tra il Pd veltroniano, Bertinotti e Mastella, fino a rimettere Berlusconi al potere nel 2008. Certo, «Berlusconi si è rovinato con le sue mani: non è stato all’altezza della situazione». Ma a pesare, nel fallimento di Prodi, «sono state le pessime azioni di governo, da parte di Prodi e di tutti coloro che l’hanno accompagnato: il centrosinistra italiano, con Prodi e gli altri, non ha saputo produrre una politica lungimirante per questo paese». In altre parole, per Magaldi, «Prodi non ha saputo interpretare il post-1992 in un senso utile a costruire benessere, non dico uguale ma almeno di poco inferiore a quello della Prima Repubblica».
Al pari del centrodestra di Berlusconi, il centrosinistra «ha fatto scempio dell’interesse del popolo italiano», piegandosi all’élite eurocratica. E quindi, «che benemerenza c’è nel fatto che Prodi si sia alternato a Berlusconi, battendolo?». In pratica, «sono due facce della stessa medaglia: centrodestra e centrosinistra si sono alternati senza nessuna vera differenza nella gestione di un paese che dipendeva da linee progettate altrove: costoro hanno soltanto fatto da esecutori, secondo una commedia dell’arte per cui, magari, apparentemente, mettevano ingredienti diversi, ma la sostanza rimaneva la medesima». Linee progettate altrove: nei santuari dell’oligarchia finanziaria, industriale, militare, che – partendo dai circuiti esclusivi delle superlogge internazionali – dirama vere e proprie direttive, declinate attraverso think-tank e organismi paramassonici (Trilaterale, Bilderberg, World Bank, Fmi) per poi scendere, a cascata, fino ai governi nazionali, ai leader come D’Alema, Prodi, Renzi. A volte, poi, l’élite supermassonica “commissaria” direttamente un paese: è accaduto con il “fratello” Monti, «che rappresenta quanto di peggio può offrire la rete massonica sovranazionale in senso neo-aristocratico».
«Ho più rispetto e stima per un Mario Draghi, che reputo più pericoloso», dice Magaldi. «Monti è un massone che è stato vittima della propria tracotanza, della propria retorica manipolatoria. E appena ha avuto l’occasione di passare dal “back-office” al “front-office”, ha fallito miseramente per eccesso di narcisismo, avendo creduto lui stesso alla retorica che i media italiani avevano creato attorno alla sua figura e alle meraviglie presunte del suo governo». Per Magaldi, Mario Monti è comunque «un grande sconfitto, in questo tentativo di devastazione industriale, economica e sociale dell’Italia: ci ha provato, ha fatto dei danni, ma poi è stato preso a calci nel sedere dall’elettorato». Dopo di lui, è arrivato Enrico Letta, che secondo Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, è un “paramassone”, in realtà in quota all’Opus Dei. «Non ne sentiamo la mancanza», assicura Magaldi. «Nessun rimpianto: se c’è una cosa buona che ha fatto Renzi, a parte la legge sulle unioni civili, è stata quella di aver mandato a casa Enrico Letta e il suo soporifero governo, che peraltro riprendeva e ricalcava pienamente le politiche di Monti». Quanto alle tentazioni massoniche dell’ex premier, Magaldi si è già espresso più volte: «Renzi ha ripetutamente bussato alle porte della supermassoneria reazionaria, attraverso il Council on Foreign Relations, ma non gli è stato aperto». A differenza del “fratello” Romano Prodi, che invece – secondo Magaldi – siede da lunghi anni nel salotto buono della super-massoneria di potere.
Caro, vecchio Romano Prodi? Macchè: «Non è certo quel pacioccone bonaccione, quel bravo curato e padre di famiglia che è stato presentato all’immaginario collettivo degli italiani». Nonostante il piglio bonario, il professore bolognese «è un personaggio molto tagliente, molto abile, anche molto attento al proprio “particulare”». Un soggetto a tutto tondo, da raccontare: il Prodi “segreto” sarà tra gli argomenti del secondo volume di “Massoni”, che Gioele Magaldi sta per stare alle stampe. Con una sorpresa, tra le tante: «Prodi è anche lui parte di una rete massonica sovranazionale». Presidente dell’Iri e grande privatizzatore, poi capo del governo, presidente della Commissione Europea, advisor della Goldman Sachs. E, nel frattempo, anche massone: «Tra coloro che hanno contribuito in senso pessimo, per l’Italia e per l’Europa, agli svolgimenti politico-economici nell’era della globalizzazione, cioè nel post-1992, c’è il “fratello” Romano Prodi», il cattolico democristiano che nel 1978 evocò il nome “Gradoli” – per indicare il luogo della prigione di Moro – raccontando di averlo “ricevuto” nell’ambito di una seduta spiritica. Prodi supermassone? Ebbene sì: parola di Gioele Magaldi. Che, per il secondo volume della serie, potrebbe avvalersi del contributo di una superstar della massoneria mondiale, come il controverso George Soros.


Nel “primo round” delle sue clamorose rivelazioni – silenziate dal mainstrem in modo tombale – Magaldi ha scontato una critica ricorrente: non aver documentato le sue affermazioni, spesso esplosive, al punto da ridisegnare la mappa del vero potere, mettendo in relazione personaggi come Monti, Draghi e Napolitano con il mondo internazionale delle 36 Ur-Lodges che rappresentano il supremo vertice delle grandi decisioni. In realtà, Magaldi è stato chiaro dal principio: «Ogni mia affermazione è documentabile, dispongo di 6.000 pagine di dossier. Sono pronto a esibirle, se qualcuno contesterà quanto ho scritto». Ma gli interessati, naturalmente, si sono ben guardati dal fiatare: molto meglio la congiura del silenzio. E ora, dopo “La scoperta delle Ur-Lodges”, si avvicina la pubblicazione del sequel, “Globalizzazione e massoneria”, con retroscena sulla svolta oligarchica che ha svuotato le democrazie occidentali, imponendo politiche di rigore (e oggi anche terrorismo targato Isis) affidate a docili esecutori: come lo stesso Prodi, la cui vera identità – secondo Magaldi – è sfuggita alla maggior parte degli italiani. Un uomo di potere, in grembiulino. L’elettorato di sinistra lo ricorda con nostalgia? Sbaglia: il primo a metterlo in croce, quand’era a capo della Commissione Ue, fu Paolo Barnard su “Report”, che presentò il ritratto di un cinico tecnocrate, schierato con i peggiori oligarchi.

Prodi è stato l’unico a battere Berlusconi, due volte su due? Vero, ammette Magaldi, parlando a “Colors Radio”: all’inizio, «quel grande carrozzone che è stato l’Ulivo individuò in modo perfetto, in Prodi, il suo leader». E Berlusconi, «grazie ai buoni uffici della Lega di Bossi, fu defenestrato, nel ‘94». Poi l’interregno di Lamberto Dini e quindi l’arrivo di Prodi nel ‘96. Con che esito? «L’effetto del governo Prodi è stato così ottimo, traghettandoci così bene in Europa, che nel 2001 Berlusconi ha rivinto». Poi c’è stata la seconda vittoria prodiana del 2006, di stretta misura, presto naufragata tra il Pd veltroniano, Bertinotti e Mastella, fino a rimettere Berlusconi al potere nel 2008. Certo, «Berlusconi si è rovinato con le sue mani: non è stato all’altezza della situazione». Ma a pesare, nel fallimento di Prodi, «sono state le pessime azioni di governo, da parte di Prodi e di tutti coloro che l’hanno accompagnato: il centrosinistra italiano, con Prodi e gli altri, non ha saputo produrre una politica lungimirante per questo paese». In altre parole, per Magaldi, «Prodi non ha saputo interpretare il post-1992 in un senso utile a costruire benessere, non dico uguale ma almeno di poco inferiore a quello della Prima Repubblica».

Al pari del centrodestra di Berlusconi, il centrosinistra «ha fatto scempio dell’interesse del popolo italiano», piegandosi all’élite eurocratica. E quindi, «che benemerenza c’è nel fatto che Prodi si sia alternato a Berlusconi, battendolo?». In pratica, «sono due facce della stessa medaglia: centrodestra e centrosinistra si sono alternati senza nessuna vera differenza nella gestione di un paese che dipendeva da linee progettate altrove: costoro hanno soltanto fatto da esecutori, secondo una commedia dell’arte per cui, magari, apparentemente, mettevano ingredienti diversi, ma la sostanza rimaneva la medesima». Linee progettate altrove: nei santuari dell’oligarchia finanziaria e industriale che – partendo dai circuiti esclusivi delle superlogge internazionali – dirama vere e proprie direttive, declinate attraverso think-tank e organismi paramassonici (Trilaterale, Bilderberg, World Bank, Fmi) per poi scendere, a cascata, fino ai governi nazionali, a leader come D’Alema, Prodi, Renzi. A volte, poi, l’élite supermassonica “commissaria” direttamente un paese: è accaduto con il “fratello” Monti, «che rappresenta quanto di peggio può offrire la rete massonica sovranazionale in senso neo-aristocratico».

«Ho più rispetto e stima per un Mario Draghi, che reputo più pericoloso», dice Magaldi. «Monti è un massone che è stato vittima della propria tracotanza, della propria retorica manipolatoria. E appena ha avuto l’occasione di passare dal “back-office” al “front-office”, ha fallito miseramente per eccesso di narcisismo, avendo creduto lui stesso alla retorica che i media italiani avevano creato attorno alla sua figura e alle meraviglie presunte del suo governo». Per Magaldi, Mario Monti è comunque «un grande sconfitto, in questo tentativo di devastazione industriale, economica e sociale dell’Italia: ci ha provato, ha fatto dei danni, ma poi è stato preso a calci nel sedere dall’elettorato». Dopo di lui è arrivato Enrico Letta, che secondo Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, è un “paramassone”, in realtà in quota all’Opus Dei. «Non ne sentiamo la mancanza», assicura Magaldi. «Nessun rimpianto: se c’è una cosa buona che ha fatto Renzi, a parte la legge sulle unioni civili, è stata quella di aver mandato a casa Enrico Letta e il suo soporifero governo, che peraltro riprendeva e ricalcava pienamente le politiche di Monti». Quanto alle tentazioni massoniche dell’ex “rottamatore”, Magaldi si è già espresso più volte: «Renzi ha ripetutamente bussato alle porte della supermassoneria reazionaria, attraverso il Council on Foreign Relations, ma non gli è stato aperto». A differenza del “fratello” Romano Prodi, che invece – secondo Magaldi – siede da lunghi anni nel salotto buono della super-massoneria di potere.

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IL QUARTO PARTITO DIVENTA IL QUINTO: E IL VOTO E' SUP€RFLUO [/paste:font]

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1. In un convegno, guarda caso, su L€uropa, l'ex Presidente Napolitano fa un "discorso di verità" secondo l'opinione del commentatore dell'Huffington Post.
In cosa consiste dunque questa verità?
In alcuni caposaldi che, più che constatazione di fatti incontrastabilmente evidenti (cioè "verità", almeno in senso empirico), sono giudizi di valore sui fatti stessi, cioè valutazioni politico-morali, suscettibili di diverso opinamento dal punto di vista giuridico ed economico:
a) "Napolitano cita Mario Draghi sull'irreversibilità dell'Euro" (si riporta l'opinione di Draghi, laddove il fatto incontestabile si limita ad essere che l'euro esista e costituisce un controverso vincolo monetario);
b) "parla dell'europeismo come di fede incrollabile" (il fatto consiste nella personale enunciazione di tale fede o, più precisamente, di tale visione dell'ordine internazionale del mercato);
c) "vede i segni – dopo le elezioni francesi – di una possibile "controffensiva europeista" (il fatto è l'elezione di Macron, ma la conseguente "controffensiva" non è un fatto bensì un auspicio, coerente con la condivisione dell'opinione di Draghi e con la propria personale "fede");
d) "Napolitano fa riferimento alla situazione delicata del debito e dell'economia italiana. E, ad ogni passaggio, sottolinea i limiti e superficialità del dibattito politico, proprio sul delicato terreno dei conti pubblici: "Si prospetta il rifiuto del previsto scatto della clausola di salvaguardia, senza proporvi valide alternative"; e ancora: "Può il sostegno alla crescita tradursi in una generalizzata propensione alla riduzione della pressione fiscale". Insomma, dice Napolitano, "l'attuale incertezza politica circa gli intenti complessivi di politica finanziaria è una rilevante incognita che mina la nostra credibilità" (questi passaggi, senza alcun dubbio, sono l'enunciazione di una preferenza personale per una certa politica fiscale, conforme alla fede nella irreversibilità nell'euro; ma una polititica fiscale altrettanto opinabile e, infatti, discussa vivacemente in tutti i paesi dell'eurozona e, in generale, in tutta la comunità scientifica degli economisti).

2. Tutte queste personali opinioni non potevano che condurre ad una forte critica verso la legge elettorale ed il suo legame con l'anticipazione della fine della legislatura; questo legame viene definito "patto extracostituzionale", con un evidente "non sequitur", quantomeno incoerente con la dubbia legittimità costituzionale degli eventi che hanno contraddistinto la presente legislatura.
Qual è la preoccupazione di Napolitano?
Questa legge ("iperproporzionale"!?!) mette a rischio la "governabilità" cioè il ""dare continuità all'azione del governo in carica invece di metterne in dubbio la sopravvivenza. Questo ci dice l'interesse del paese".
L'interesse del paese, quindi, sarebbe di avere fede nella irreversibilità dell'euro e nella fantomatica crescita che conseguirebbe al rigido e pronto rispetto del fiscal compact, con un consolidamento fiscale che conduca entro due anni al pareggio strutturale di bilancio.

3. E questo nonostante che lo stesso Padoan, ministro dell'Economia del governo in carica e non certo l'esponente di un presunto futuro governo eversivo dell'ordine sovranazionale dell'eurozona, abbia già ora indicato una consistente misura di flessibilità rispetto alle indicazioni della Commissione quali riportate nell'ultimo Def (!) alla sua pagina 5:
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Napolitano pare dunque non conoscere correttamente la posizione del governo in carica e in cosa consista la "continuità di azione" che lo contraddistinguerebbe, invocando piuttosto una sua, diversa e personale, "continuità".

4. La "governabilità", a sua volta, consisterebbe nell'avere una legge elettorale che porti ad un parlamento in cui vi sia una chiara e inequivocabile maggioranza che possieda la sua stessa "fede" e creda in questa politica economica minuziosamente prefissata dai trattati €uropei.
Alternative non ce ne sono: portare la legislatura alla sua scadenza naturale implica infatti, secondo Napolitano, che la legge di stabilità sia approvata, possibilmente applicando le "clausole di salvaguardia" (per circa un punto di PIL di inasprimento della pressione tributaria "teorica"), o con l'alternativa previsione di misure equivalenti nel volume di consolidamento fiscale.

In un parallelo commento al discorso di Napolitano, l'Annunziata ci dà un'idea concreta delle forze che si sentono rappresentate in questa "fede" e in questo rigore fiscale (che va oltre, come abbiamo visto, la posizione assunta dal governo in carica):
"Il sistema istituzionale, nelle sue diverse forme, ha fatto di recente sentire il suo scontento per una prospettiva accelerata e incerta che mette sotto stress i passaggi economici del paese. Dalla Confindustria, a molti ministeri, dalla Bankitalia a Palazzo Chigi, a figure istituzionali come l'ex premier Prodi, arrivano echi di preoccupazioni identiche a quelle espresse dal Presidente emerito".

5. Bontà sua, l'Annunziata ammette che il "Paese reale" possa non essere d'accordo con Confindustria e Bankitalia (che predica un avanzo primario al 4% per dieci anni, senza saper indicare quali scontati effetti ciò avrebbe sul livello di disoccupazione e di precarizzazione del lavoro):
"Degli umori del paese reale in merito sapremo poco, almeno fino alle urne, dal momento che il primo effetto della grande ammucchiata dei principali quattro partiti è stato quello di edulcorare, deviare, spegnere ogni interesse per le opinioni dei cittadini."
Sulla prima parte di quest'ultima affermazione non si può dissentire: il voto esprime infatti il (molto limitato) sistema di manifestazione del giudizio del popolo sovrano sull'indirizzo politico-economico che così tanto incide sui suoi interessi vitali.
Quello che invece risulta alquanto paradossale, è ritenere che una larghissima maggioranza sulla legge elettorale, da sempre (retoricamente) auspicata nel nome della massima condivisione delle comuni "regole del gioco", spenga l'interesse per le opinioni dei cittadini: per dare un giudizio del genere, occorrerebbe almeno attendere che sia fissata una data per le elezioni, inizi la campagna elettorale e i vari partiti espongano i loro programmi, che servirebbero proprio a suscitare l'interesse dei cittadini al fine di ottenerne il voto. Infatti, i programmi elettorali dovrebbero: a) indicare i problemi e le esigenze dei cittadini ritenute prioritarie e b) offrire soluzioni che, per i cittadini-elettori, risultino condivisibili.

6. Ma se l'invocazione di Napolitano, così entusiasticamente condivisa dai commentatori dell'Huffington Post (e non solo), si fonda su una "chiarezza di programmi" che coincide con la rigida ortodossia al fiscal compact, che, a sua volta, coinciderebbe con la "governabilità", - e se qualsiasi deviazione da questa fideistica ortodossia viene definita come "opportunismo" dei leaders dei quattro maggiori partiti italiani (rappresentanti, secondo i sondaggi, circa l'85% dell'elettorato)-, sorgono alcuni interrogativi:
a) se l'indirizzo politico, in tutti i suoi decisivi contenuti economico-fiscali a decisivo impatto sociale, è definito in sede €uropea, una volta per tutte, cosa cambierebbe per il fatto che si voti in una data piuttosto che in un'altra?
b) Più ancora: se la "governabilità" è il bene supremo e consiste nel seguire queste euro-politiche economico-fiscali, e in null'altro, assecondando le preoccupazioni di Confindustria e Bankitalia, perché mai si dovrebbe votare, in qualunque data e a prescindere dalla scadenza naturale di una qualsiasi legislatura (anche se, in aggiunta, in questa legislatura il parlamento è stato incontestabilmente eletto con una legge incostituzionale)?

7. Non si fa prima a dire che gli unici "voti" che contano sono quelli di Confindustria e Bankitalia e a passare direttamente alla formazione di un governo composto coi rappresentanti di queste entità o, comunque da essi designati, senza lo "spreco" di risorse scarse della campagna elettorale e delle elezioni?
In fondo si tratterebbe solo di un adeguamento istituzionale "austero", coerente con il subentrare della "fede" incrollabile nell'europeismo e nella irreversibilità dell'euro, a quanto aveva avvertito De Gasperi nel 1947:
i voti non sono tutto (...). Non sono i nostri milioni di elettori che possono fornire allo Stato i miliardi e la potenza economica necessaria a dominare la situazione. Oltre ai nostri partiti, vi è in Italia un quarto partito, che può non avere molti elettori, ma che è capace di paralizzare e rendere vano ogni nostro sforzo, organizzando il sabotaggio del prestito e la fuga dei capitali, l'aumento dei prezzi e le campagne scandalistiche. L'esperienza mi ha convinto che non si governa oggi l'Italia senza attrarre nella nuova formazione di governo (...) i rappresentanti di questo quarto partito” .
Magari, oggi, proprio alla luce delle proiezioni derivanti dalla legge elettorale in via di approvazione, lo si potrebbe opportunamente ridenominare "Quinto Partito". Ma si tratta solo di nominalismi legati alla diversa situazione storico-politica...
In fondo, "entia non sunt multiplicanda": è arrivato il momento di dichiarare la superfluità costituzionale del voto...
Mica vorremo contrariare "i mercati"?

8. POST SCRIPTUM ESPLICATIVO -
Qualche ragguaglio sul "mito della governabilità" che diviene straordinariamente attuale in questa fase del dibattito nazionale:
"Ora, i ragionamenti contenuti nella Relazione della Commisione di Venezia e ricalcanti simili teorie non sono affatto da assumere come originali, dal momento che gli stessi si pongono in stretta continuità con il dibattito sulla governance” messo in circolazione dal neocapitalismo sovranazionale nel celebre “Rapporto sulla governabilità delle democrazie alla Commissione Trilaterale” del 1975 ove, invero, veniva già allora epigrafato che:
“… Il funzionamento efficace di un sistema democratico necessita di un livello di apatia da parte di individui e gruppi. In passato ogni società democratica ha avuto una popolazione di dimensioni variabili che stava ai margini, che non partecipava alla politica. Ciò è intrinsecamente anti-democratico, ma è stato anche uno dei fattori che ha permesso alla democrazia di funzionare bene[12].
2.1.4. In particolare sul mito della governabilità...
E’ a causa di tale format che nei decenni, tramite la ben collaudata tecnica della “doppia verità” veicolata dagli accondiscendenti carrarmati mass-mediatici, si è andato via via rafforzando quel
… fuorviante connubio tra logiche decisionistiche ed esaltazione della c.d. “democrazia immediata”, nell’ambito del quale la retorica del “primato della politica” è sempre di più servita a dissimulare una situazione in cui “la politica in realtà decide poco o nulla di ciò che veramente è rilevante, e se le si chiede un incremento di efficienza, tale efficienza finisce col risultare funzionale alla sollecita realizzazione di obiettivi e disegni di riforma definiti in altre sedi. L’impressione è, in realtà, proprio che ci sia una stretta connessione tra il trasferimento delle decisioni chiave ad istanze non responsabili (nella forma del dominio del mercato, o nella forma attenuata e neutralizzata del dominio della “tecnica”) e la trasformazione – rectius la semplificazione, la banalizzazione – della democrazia parlamentare nella sua versione “maggioritaria” e ultra–competitiva”.
2.1.5. ADDE di Quarantotto:
Ed infatti, una volta introdotto il concetto, opacamente rappresentativo, della "democrazia immediata", connessa al primato della politica contrabbandata come "libera"...di perseguire SOLO l'efficienza (senza "lacci e lacciuoli", costituzionali "d'altri tempi"), si predica una politica all'occorrenza costretta a decidere, con le buone o anche con le cattive.
Perché la cosa giusta è decidere-attuare e null'altro: di conseguenza si passa alla critica della democrazia partecipativa e dialogata tra interessi sociali differenziati.

Conciliare e graduare tali interessi intorno al valore di vertice del lavoro e della sua dignità, come con ponderatezza aveva imposto la nostra Costituzione, diviene un inutile orpello, un intollerabile rallentamento, di fronte alla sicurezza a priori delle soluzioni, e dell'urgenza di "attuarle".
In un'orgia mediatica di lamentele instillate nel singolo cittadino, si diffonde la para-logica che non importa CHI faccia, e in nome di quali interessi: l'importante è "fare".
Dilaga così in automatico l'invocazione della "governabilità", senza interessi di riferimento, se non quelli assurti a prioritari nelle "altre sedi", rigorosamente tecnocratiche:

La mitologia della governabilità risponde, infatti, nel complesso all’idea di un buongoverno ex parte principis e non ex parte populi, poiché, propugnando un elevato grado di separazione e di auto-legittimazione dell’apparato politico-istituzionale, mette in discussione la stessa teoria democratica e il suo posto nello Stato costituzionale. Al primato della Costituzione vengono così contrapposte, secondo necessità e nei termini di un logorante “processo decostituente”, l’onnipotenza della politica ovvero la preminenza della tecnica, in virtù di schemi organizzativi e di dispositivi di funzionamento tesi a veicolare la presunta neutralità e apoliticità delle decisioni tecniche e, specularmente, a dissimulare le valutazioni e le scelte politiche nascoste dietro la facciata della tecnica[13].

Pubblicato da Quarantotto a 10:20 27 commenti: Link a questo post
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QUANDO E COME SI VOTA NON E' COSI' IMPORTANTE SE CHIEDI IL VOTO E PROMETTI LA CRUD€LTA' DEL CR€DITORE €STERO [/paste:font]

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Reflection paper on the deepening of the economic and monetary union

1. Ci pare utile, dopo lo strepitum dell'affossamento parlamentare della legge elettorale alla "pseudo-tedesca", riassumere le variabili interdipendenti che consentono di spiegare la dinamica di questo fine legislatura (comunque vada...).

1.1. Il primo punto di riferimento è che, allo stato, siamo in presenza di distinti sistemi elettorali, rispettivamente, per la Camera (Consultellum 2, risultante dalla sentenza, del 2017, della Corte costituzionale sull'Italicum) e per il Senato (Consultellum 1, derivante dalla precedente sentenza del 2014 sul Porcellum).
A torto o a ragione, - sia sul piano logico che quanto al rispetto dei principi che dovrebbero guidare la nostra democrazia costituzionale-, questa diversità di leggi elettorali, fa tirare un ballo, da parte delle massime istituzioni della Repubblica, il "mito della governabilità (pp. 2.1.4-2.1.6.)".
Questo "obiettivo-mito", posto enfaticamente a presidio di legittimità della correzione del proporzionale dalla stessa Corte costituzionale, non sarebbe perciò pienamente realizzabile nella congiunta permanenza di questo duplice sistema elettorale.
Da qui, deriva che l'indicazione del Capo dello Stato, ribadita subito dopo l'ultima pronuncia della Corte, è nel senso che non sia opportuno andare a votare senza un ulteriore intervento legislativo che determini una vera armonizzazione. E ciò, trovando adeguati punti di unificazione dei due divergenti sistemi di correzione del proporzionale attualmente sul campo, ovvero una nuova e ulteriore legge elettorale "bicamerale" scritta ab imis dal parlamento stesso: che è appunto l'ipotesi che sarebbe venuta a cadere ieri...


2. Il secondo punto di riferimento che sottolineiamo, ci consente di capire le difficoltà che hanno portato all'attuale (ma forse non definitiva) impasse sulla legge elettorale "ab imis".
E, (sempre nello stesso post, p.6) lo avevamo così evidenziato:
" [si è ormai generata] una "prassi", non costituzionalizzata...ma nemmeno accusabile di illegittimità costituzionale, visto l'attuale orientamento della Corte (che, pur entro certi limiti, ritiene preferenziale il "valore" della governabilità).
Vale a dire, la legge elettorale viene conformata in funzione del vantaggio elettorale della maggioranza che la vota.
E questo vantaggio, in verità, non può che essere "futuro", cioè legato ad una previsione sull'esito delle elezioni successive (in modo da vincerle e arrivare a governare).
Quindi, predicare, da parte di chiunque, un intervento legislativo di armonizzazione delle leggi elettorali, implica necessariamente, alla luce della "prassi" appena indicata, promuovere la formazione di una futura maggioranza di governo.
In altri termini, la maggioranza che voterebbe l'auspicata (da più autorevoli parti) correzione coerente del proporzionale (o un maggioritario costituzionalmente bene accetto), equivale alla maggioranza probabile (in base ai sondaggi elettorali attuali) che dovrebbe governare.
Salvo, ovviamente, il caso di un accordo "generale", ascrivibile alla stragrande maggioranza dei gruppi politici presenti in parlamento (nel qual caso, la "prassi", il "secondo elemento" qui segnalato, sarebbe messo da parte: ma su ciò, attualmente, possono nutrirsi forti dubbi).

Sarebbe infatti del tutto illogico il contrario: cioè che si formi una maggioranza sulla legge elettorale che ponga su fronti opposti e alternativi tra loro, e quindi che svantaggi, anzicché avvantaggiare, - quantomeno nei rapporti reciproci-, le forze politiche che congiuntamente votassero la nuova legge elettorale "armonizzata"."

Come si può oggi constatare, avevamo ragione a nutrire dei dubbi sulla tenuta di qualsiasi accordo "generale".

3. E questa variabile (della tendenziale coincidenza tra maggioranza per la legge elettorale e coalizione elettorale che poi aspira a vincere le elezioni e a governare) ci porta all'ulteriore punto di riferimento: la saldatura trasversale e pluripartitica su L€uropeismo, visto come garanzia di lasciapassare dei "mercati" alle forze politiche che lo sostengono, godendo del favore degli effettivi detentori della sovranità (nell'eurozona): l'€uropeismo consente di accampare una sostanziale investitura anticipata a governare, conferita da forze che prescindono dalla volontà del corpo elettorale e che, in verità, neppure ne fanno parte, perché sono tecnicamente "estere" (almeno nella loro direzione strategica di vertice).


4. Ma qui subentra un'altra variabile fondamentale (la quarta).
L€uropeismo ha un costo per i partiti "endorsed" dall'ordine sovranazionale dei mercati: anzitutto, dover approvare, quantomeno a livello di proposta formalizzata, entro il 15 ottobre 2017, una pesante legge di stabilità (v. qui).
Abbiamo già visto come Moscovici si sia affrettato a "non bocciare" la richiesta di Padoan (v.qui, p.3) di una forte attenuazione del consolidamento fiscale richiesto mentre, contemporaneamente, Draghi ha ventilato che il QE, pur nella forma attuale ridotta di acquisti a 60 miliardi al mese, potrebbe proseguire anche oltre la fine del 2017 (rammentiamo che il suo mandato scade il 31 ottobre 2019...dopo di che incombe Weidmann).
Oggi, nonostante, o "proprio per", le vicende relative al fallimento parlamentare della legge elettorale, il costo (ovviamente di popolarità e di consenso) della manovra di €uro-stabilità rischia di ricadere sul principale partito di governo, specialmente se, in mancanza di anticipazione della data elettorale, non varrà il presunto gentlemen's agreement dell'approvazione da parte di tutte (o quasi) le forze che avrebbero votato la legge elettorale (anticipatoria del fine legislatura), nella logica "tutti colpevoli nessun colpevole" (qui, p.6).

5. Attenzione, però.
La mitigazione dell'aust€rità promessa (a parole...) - ma non quantificata!- da Moscovici, e la prosecuzione del QE - data la sua ormai evidente limitata utilità in termini di spazi di manovra fiscale e di connessa reflazione "sana" (cioè con aumento di investimenti e di occupazione!)-, non sono sufficienti a porre elettoralmente al sicuro un qualsiasi futuro governo da un diverso e ulteriore fattore di impopolarità e perdita di consenso: il più ampio mutamento di assetto dei trattati che la Merkel sta lanciando sotto la bandiera anti-Trump della sua leadership neo-riformatrice e che sta emergendo in accelerazione in vista del redde rationem con gli USA previsto nel G20 "tedesco" del 7-8 luglio prossimi.

L'essenza di tale riforma a trazione tedesca avrebbe un devastante impatto nel medio periodo, che però non sarebbe nascondibile nell'immediato agli elettori italiani, come s'era fatto (mentendo) sull'Unione bancaria.
Infatti, la riforma consentirebbe alle istituzioni €uropee di adottare direttamente ed escludendo anche formalmente il parlamento italiano, in Trojka-style, tutte le riforme e le manovre fiscali più draconiane a danno dell'occupazione e della patrimonializzazione delle famiglie italiane (v. qui, pp. 6-7).

6. Ora, nella ponderazione benefici/costi del sostenere la bandiera de L€uropeismo in sede elettorale, e quindi nel cercare una legge comunque strumentale alla possibile formazione di una maggioranza €uropeista, questa potenziale impopolarità e perdita di consenso gioca un ruolo notevole.
Per parte loro, le forze interne più conservatrici dell'€uroappartenenza e più legate all'oligarchia timocratica sovranazionale, abbiamo visto, si sono già scatenate.
Ma c'è un dettaglio che non dovrebbe sfuggire ai nostri influenc€rs mediatici (e invece, curiosamente, gli sfugge): queste forze e questi soggetti economici, politici e mediatici, - che in realtà, come ci illustra bene M. LUCIA SERGIO, in "De Gasperi e la questione socialista – L’anticomunismo democratico e l’alternativa riformista", sono un unico gruppo di potere -, NON DEVONO PRESENTARSI ALLE ELEZIONI.
E quindi non si preoccupano del consenso: gli basta, per sentirsi legittimati, un intero sistema mediatico osannante e ammirato (o preoccupato) di fronte a qualsiasi loro alzata di ciglio...

7. Dato questo quadro, ci sono alcuni aggiustamenti che la situazione richiede.
Questi aggiustamenti, sono ormai consigliati non tanto dall'approvazione della legge di stabilità in sé, la cui "pericolosità" sarebbe ormai in parte disinnescata, a prescindere dalla data in cui si voti (almeno in termini di illusione finanziaria convergente tra Padoan e Moscovici), quanto dagli ancor maggiori rischi del trovarsi sul treno lanciato del riformismo verticistico della Merkel, destinato a scatenare il "piacere della crudeltà" dei paesi creditori verso l'Italia.
Ora, come già a gennaio (v.qui, p.9), i partiti filo€uropeisti senza alternative, in vista delle prossime elezioni, sono sostanzialmente 2...+1.
Vale a dire, con una certa concordia già manifesta, il PD e Forza Italia.
A questi, - in funzione di una maggioranza di governo che in nome della "responsabilità" sarebbe volta a trovare in parlamento, dopo le elezioni, la "governabilità", occorre aggiungere la formazione scissionista D'Alema-Bersani, conglomerata o meno con le nascenti schiere pro-Pisapia, che risultano comunque fortemente caratterizzate dall'essere pro-euro nonché pro-cessioni di sovranità, (che, appunto, sarebbero senza alternative nell'impossibilità di tornare indietro nell'integrazione €uropea).

8. Insomma, anche nella incoscienza o nel far finta di non vedere ciò che le riforme della Merkel effettivamente comportano in termini di desovranizzazione e di assetto sociale oligarchico a controllo estero, queste variegate forze pro-euro, mentre si sforzano di differenziare le rispettive posizioni su questioni secondarie ed essenzialmente cosmetiche, cercando di mantenere una formale distinzione tra L€uropeisti di sinistra e L€uropeisti di "centro-destra", invece, sulla questione essenziale (che è poi la intenzionale e supina accettazione del fatto che l'indirizzo politico fondamentale è ormai irrevocabilmente fissato dalle istituzioni dell'€urozona), si esprimono allo stesso modo, preparando quella che potrà essere una opportuna convergenza post-elettorale.


8.1. Ecco Pisapia:
"In questo caso le notizie dalla Francia sono positive. Macron è un'europeista convinto ma critico. Le regole europee vanno rispettate, ma cambiate quando è necessario. A settembre si voterà in Germania, e se come pare il presidente Schulz avrà un buon successo, potrà esserci un fronte compatto per modificare le regole di Bruxelles. Non per distruggere quello che si è costruito in 70 anni, ma per rispondere alla crisi più drammatica dell'economia dal 1929".

8.2. Ed ecco Brunetta, più "tecnico" ma sostanzialmente sulla stessa linea di auspicio, completamente scollato dalla realtà dei deliberati che sia il Parlamento europeo (qui, p.10 e qui, pp.9 e 10) che la Commissione hanno già adottato, prefigurando il quadro ("merkeliano") di riforme basato sul "piacere della crudeltà del creditore" e sul rafforzamento dell'antisolidarismo che già oggi (v. qui, p.7) è racchiuso nelle norme fondamentali dei trattati:
"Quindi, sovranità in cambio di solidarietà. Questa dovrebbe essere la chiave del futuro: sempre più cessione di sovranità, cioè sempre meno di Stati nazionali, miopie egoistiche a livello nazionale, ovvero sempre di più osmosi, in cambio della solidarietà. Basta con cicale e formiche, basta con i compiti a casa, basta con l’ottica calvinista del ‘sei in crisi è colpa tua, arrangiati’. Non è questa l’Europa.
Per questo dico amate questa Europa con tutti i suoi difetti. Però lo scambio è questo: sempre più cessioni di sovranità a livello nazionale in cambio di coesione e solidarietà."


9. Dunque, la forza della necessità, cioè lo stato di eccezione dettato come di consueto dagli spread e dalla truffa del debito pubblico, stanno già preparando un governo di grande coalizione l€uropeista all'italiana: con le stesse formazioni politiche che avevano, per la verità, già sostenuto i governi Monti e Letta, ma con in più una spolverata di "nuovismo" e di politica "vicina alla gente e alla società civile", che il logoramento d'immagine di Renzi ha reso indispensabile (lanciando un nuovo cavallo "di complemento", su cui puntano le stesse forze mediatico-finanziarie, che avevano inizialmente dipinto Renzi come "l'ultima speranza").
L'unico problemino che si oppone a questo disegno, non è il presentarsi come alleati troppo eterogenei tra loro, - dato che si provvede in chiave pre-elettorale a duri distinguo e a profusione di "mai-con!".


10. No, il problemino è...il suffragio universale, cioè proprio la "raccolta" di un numero sufficiente di voti, facendo una campagna elettorale "contro" populismo-razzismo-nazionalismo-sovranismo ma, sostanzialmente e inevitabilmente "a favore" di austerità fiscale e macelleria sociale €uronecessaria.
Dunque, sarà pure, in chiave abilmente tattica, una "raccolta differenziata", ma potrebbe rivelarsi insufficiente.
Tanto deficitaria da costringerne i "registi" a venire a patti col M5S: la cui conversione all'europeismo senza alternative, peraltro, non è poi così difficile, se si considerano le sue espresse priorità, e in particolare le posizioni sul referendum e sulla doppia moneta. Ma, di certo è un discorso molto più arduo rispetto alla realizzazione della convergenza che l'ortodossia €uropeista italiana, cioè le consuete forze del Quarto (o Quinto) Partito, tendono a invocare oggi. A gran voce...

Pubblicato da Quarantotto a 14:21 3 commenti: Link a questo post
 

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