Analisi Intermarket ....quelli che.... Investire&tradare - Cap. 1

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Quattro chirurghi discutono in ospedale della loro professione in un
momento di pausa.
Il primo comincia: "Preferisco avere degli ingegneri sul mio tavolo
operatorio. Quando li apro, tutto all'interno è numerato correttamente..."
Aggiunge il secondo: "Si, ma dovreste vedere gli elettricisti! Tutto è
codificato a colori all'interno, impossibile sbagliarsi!".
Replica il terzo: "Io penso sinceramente che i bibliotecari siano i
migliori. Tutto è classificato in ordine alfabetico".
L'ultimo chirurgo, il più vecchio e con tante ore di sala operatoria
alle spalle, commenta: "Nella mia lunga esperienza di chirurgo, cari
colleghi, i più facili da operare sono stati i politici. Non hanno
cuore, non c'è cervello, niente colonna vertebrale ... ma,
soprattutto...la faccia e il culo sono intercambiabili!".
 
Bocconi: con 1.000 società quotate in Borsa aumento del Pil del +0,9-1,5%
Una ricerca condotta dall'Università Bocconi in collaborazione con Borsa Italiana ha certificato che portando a mille le società quotate a Piazza Affari si genererebbe un aumento del Pil dell'0,9-1,5%, del gettito fiscale di 2,85 miliardi di euro e di 137.000 nuovi posti di lavoro.


Secondo una ricerca Bocconi e Borsa Italiana, portando a 1.000 le società quotate si genererebbe un aumento del pil dell'0,9-1,5%, di 2,85 miliardi di euro del gettito fiscale e 137.000 nuovi posti di lavoro. Con la quotazione di un maggior numero di imprese, l’Italia avrebbe dunque molto da guadagnare in termini di impatto positivo sull’intera economia.

Ad illustrarlo, una ricerca svolta appunto dall'Università Bocconi, in collaborazione con Borsa Italiana, presentata al convegno ‘Come sarebbe l'Italia con 1000 società quotate’. L’analisi si propone di descrivere l’attuale quadro delle società quotate in Italia e prevedere quali vantaggi potrebbero derivare dalla maggiore presenza di imprese in Borsa. La ricerca si inserisce all’interno di un progetto triennale che Bocconi e Borsa Italiana stanno sviluppando al fine di contribuire alla diffusione della cultura della quotazione in borsa tra le pmi italiane.

Lo studio illustra che in Italia, rispetto ai principali paesi europei, il numero delle società quotate è limitato rispetto al potenziale. Le 291 imprese domestiche presenti sul listino italiano ad inizio 2010 rappresentavano meno della metà delle imprese quotate in Germania, un terzo di quelle in Francia e poco più di un decimo di quelle in Gran Bretagna. Riguardo al peso delle imprese quotate rispetto al totale dell’economia, si evince che in Italia, sempre a inizio 2010, producono il 21% del fatturato nazionale e impiegano il 7% degli occupati. Lo studio stima nell’8% il contributo diretto delle imprese quotate alla formazione del pil per il 2009. Il contributo delle imprese quotate all’economia reale in Francia, Germania e Gran Bretagna risulta invece decisamente più consistente.

Le imprese più piccole in Italia rappresentano numericamente il 77,5% del totale ma sono solo il 16,4% delle quotate, originando una rilevante sottorappresentazione in borsa (-61,1%) rispetto al ruolo giocato nell’economia reale. Mentre le imprese di maggiori dimensioni rappresentano il 4,5% del totale ma la metà delle imprese quotate, con una sovrarappresentazione del 45%. Tale gap nella quotazione delle imprese più piccole è presente anche negli altri paesi ma è meno rilevante (circa -40%) rispetto al caso italiano.

Per quanto riguarda i settori, le imprese meno rappresentate in Borsa rispetto all’economia reale appartengono all’area del commercio, dell’alimentare e dei trasporti. All’opposto appaiono sovrarappresentati i settori della finanza, quelli dell’elettrico e del petrolifero-minerario. Per quanto riguarda i settori tipici del “made in Italy”, i casi di sottorappresentazione riguardano il settore alimentare e il tessile.

“In Italia la borsa rappresenta a tutt’oggi una quota molto ristretta dell’economia reale e intercetta solo una piccola parte del contributo reale delle imprese all’economia,” spiega Manuela Geranio, del Dipartimento di finanza della Bocconi e autrice dello studio. “Il largo ricorso al finanziamento bancario e la carenza di capitale di rischio in Italia crea un circolo che vede le imprese mantenere dimensioni limitate e il loro sviluppo frenato, rendendole così poco appetibili anche per gli investitori istituzionali. Una maggiore presenza di imprese quotate aiuterebbe invece a interrompere questo circolo vizioso.”

Nella parte finale lo studio propone una simulazione quantitativa di come sarebbe l’Italia con 1.000 società quotate. Attraverso un’analisi di regressione si evince che un aumento della capitalizzazione di Borsa comporterebbe un effetto positivo sulla crescita reale del pil nell’anno successivo. Se per esempio alle 294 società presenti sul listino a fine 2010 si aggiungessero le 706 “migliori” società quotabili in Italia la capitalizzazione del mercato aumenterebbe del 34%. Ciò a sua volta produrrebbe un aumento del pil reale per l’anno seguente pari allo 0,9%. Utilizzando una seconda regressione in cui lo sviluppo del mercato azionario viene misurato in termini di numero di società quotate, in alternativa alla capitalizzazione, l’impatto stimato sul pil reale sarebbe ancora più rilevante e pari all’1,5%.

Quanto all’occupazione, il citato aumento della capitalizzazione pari al 34% condurrebbe ad una riduzione del 6,9% del tasso di disoccupazione, grazie alla creazione l’anno successivo di 137.000 nuovi posti di lavoro. Infine, in merito al gettito fiscale, i risultati indicano che l’aumento della capitalizzazione avrebbe l’effetto di aumentare il gettito fiscale nell’anno successivo in misura pari allo 0,82%, stimabile in un aumento degli introiti per lo Stato italiano pari a 2,85 miliardi di euro.

“Lo scarso ricorso alla Borsa penalizza le imprese italiane in termini di crescita, occupazione, R&D e solidità e di riflesso l’intera economia del paese cresce meno rispetto al potenziale,” commenta Geranio. “In quest’ottica, il ricorso a forme di incentivazione della quotazione appare auspicabile. Occorre inoltre che vengano proposti percorsi formativi e culturali, che aiutino le imprese italiane a valutare a che cosa stanno rinunciando. Parimenti è necessario anche che i regolatori e i gestori del mercato facciano la loro parte per ristabilire la fiducia dei risparmiatori. Lo sviluppo di una piazza finanziaria più ampia e diversificata rappresenta una formidabile occasione per contribuire ad una ripresa solida dell’economia italiana.”



...ovviamente il migliore strumento per favorire quotazioni e scambi è la tobin tax, chiaro...:rolleyes:
 
Quattro chirurghi discutono in ospedale della loro professione in un
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Il primo comincia: "Preferisco avere degli ingegneri sul mio tavolo
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Aggiunge il secondo: "Si, ma dovreste vedere gli elettricisti! Tutto è
codificato a colori all'interno, impossibile sbagliarsi!".
Replica il terzo: "Io penso sinceramente che i bibliotecari siano i
migliori. Tutto è classificato in ordine alfabetico".
L'ultimo chirurgo, il più vecchio e con tante ore di sala operatoria
alle spalle, commenta: "Nella mia lunga esperienza di chirurgo, cari
colleghi, i più facili da operare sono stati i politici. Non hanno
cuore, non c'è cervello, niente colonna vertebrale ... ma,
soprattutto...la faccia e il culo sono intercambiabili!".



:lol::lol::lol:
 
Il Brasile a rischio deindustrializzazione
Il peso dell'industria nel Pil cala e le previsioni per il futuro allarmano economisti e imprenditori - Apprezzamento del real, alti costi di produzione e tasse elevate sono le principali cause del fenomeno - Ma la presidente Dilma Rousseff promette di difendere ´industria nazionale




L'industria non cresce e aumenta la preoccupazione tra economisti ed imprenditori sul futuro dell´economia verdeoro. Perché se è vero che negli ultimi anni il Brasile ha vissuto un vero e proprio boom economico, sono invece molte le incertezze sullo sviluppo industriale a medio termine.

In questi anni, a trainare la crescita economica sono stati infatti principalmente i consumi della nuova classe media brasiliana. E´ la cosiddetta classe C che ogni anno vede l´ingresso di nuove masse di cittadini: solo nel 2011 sono stati 2,7 milioni. E per la prima volta la classe media ha raggiunto il 54% della popolazione complessiva, circa 103 milioni di persone. Si tratta di decine di milioni di famiglie con un reddito mensile medio di 1.450 reais, circa 603 euro, una cifra molto spesso insufficiente per condurre una vita dignitosa, ma abbastanza per spingere i consumi. Che tuttavia potrebbero subire una battuta d´arresto visto che le famiglie brasiliane sono sempre più indebitate.

Il timore di molti analisti è che quando la spinta fornita dai consumi si esaurirà, l´economia possa frenare bruscamente. Per uno sviluppo di lungo periodo è infatti necessaria un´industria che possa generare reddito e posti di lavoro. Eppure i dati degli ultimi mesi indicano che il contributo dell´industria al Prodotto interno lordo è in lento ma costante calo.

Varie sono le cause. L´apprezzamento del real è uno dei fattori più rilevanti, al quale vanno aggiunti l´elevata imposizione fiscale e il costo del lavoro in continuo aumento. Grazie ad una moneta forte, il potere d´acquisto dei brasiliani è salito, così come sono aumentate le importazioni. Di pari passo sono cresciuti, come detto, anche i consumi grazie al miglioramento dei salari, che tuttavia hanno subito un incremento proporzionalmente maggiore rispetto alla produttività. Oltre alla manodopera, ad incidere sui costi è anche l´elevato prezzo dell´energia elettrica: il Brasile è il terzo Paese più caro al mondo.

Anche la carenza di infrastrutture (autostrade insufficienti, trasporto su rotaia praticamente inesistente, porti e aeroporti sovraccarichi) rende ancora più difficile l´espansione industriale. Un capitolo a parte infine lo meritano le tasse. Gli imprenditori sono sul piede di guerra e chiedono al governo sgravi fiscali e misure di incentivo, anche perché i soldi pubblici sono spesso male amministrati e non vengono investiti dove servirebbe, alimentando così il circolo vizioso: infrastrutture carenti costringono l´industria a procedere con il freno a mano tirato.

La presidente Dilma Rousseff si è impegnata nei giorni scorsi, in una riunione con 28 imprenditori brasiliani, a prendere tutte le misure necessarie per difendere l´industria nazionale: “Dobbiamo abbassare le tasse e le abbasseremo” ha affermato la Rousseff che poi ha garantito maggiori investimenti statali e si è detta pronta a prendere tutte le contromisure per fermare “l´ondata di liquidità” internazionale. La presidente nega, ma nuove misure protezionistiche potrebbero essere in arrivo.


:rolleyes:
 
Enri se posso permettermi direi che la tua conta sugli indici come dax e cac non mi convince nemmeno per un pò...detto questo che poi facciano un ciclo ibrido invece che un t+3 completo a chiudere il semestrale nessuno lo può sapere...ma che il 7 sia partito t+3 su indici europei per me è quasi certo

....ehhhhh ho capito che non sei daccordo...che non siamo daccordo ecc ...

c' aggi'a fa?....tiriamo fuori il pistolino e ci sfidiamo a spadate?:lol::lol::lol:

te hai le tue ragioni e io le mie...:rolleyes::rolleyes:

certo che mi rompono proprio la minkia sti rekkioni che sostengon la baracca...non me vojon fa tirare su un eurino che e' uno da un po'....

maledetti...cmq ...vedrem...:-o:specchio::lol:...a dopo
 
nasdaq si avvicina, 110/120.

Europei sempre più in affanno.

doman sgiurnà decisiva.
 
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