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:Dnn c'e'la puo' fare......ah, per cena consigliato,cotecchino col pure',fagioli,tiramisu',ripassa(ottimo vino veronese in barrique con uve dell'amarone e val policella ,) ie' rode da morire:D:lol::lol::lol:
 
LA STRANA (E DISASTROSA) SIMMETRIA DELL'EURO NELLA MANCANZA DI RISORSE CULTURALI




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Autunno 1978: la rinascita della "cultura" neo-gold standard


(In mancanza dell'apporto di Vocidallagermania, un blog che ci manca, ora più che mai, cerchiamo di supplire nel nostro piccolo...)
Rispetto agli ultimi 2 post qui pubblicati, troviamo subito una conferma esterna di autorevole fonte tedesca. Certo Munchau è una voce dissidente, come tutte quelle che cercano di portare ad una riflessione basata sul minimo buon senso scientifico, ma, come vedremo, rimane pur sempre fermo su basi teoriche monetariste (enfasi sull'offerta di moneta per incrementare la base monetaria e reflazionare) e neo-classiche (validità operativa delle "aspettative razionali").


Riassumiamo il senso dei due ultimi post:
a) http://orizzonte48.blogspot.it/2014/08/sovranita-democratica-cittadini-europei.html: essendo l'UE un trattato internazionale istitutivo di un'organizzazione in ultima analisi liberoscambista, esso non può portare, per sua essenza, a pari e simmetriche condizioni di "rinuncia" (tra l'altro neppure consentita dall'art.11 Cost.) della sovranità, ma, in omaggio all'inevitabile fondamento sulla maggior forza iniziale e poi rafforzata dei paesi aderenti, al potenziamento della sovranità - cioè della realizzazione degli interessi socioeconomici- del paese geneticamente più forte nonchè all'inesorabile ed accentuato indebolimento unilaterale della sovranità del paese "debole" e "rinunciatario"...che finisce in posizione di "ricatto" (salvo che non si richiami ai mezzi sovrani previsti dalla propria Costituzione, con una decisione politica di riappropriazione della prevalente tutela degli interessi del proprio popolo, titolare della sovranità sacrificata);


b)http://orizzonte48.blogspot.it/2014/09/draghi-al-telefono-con-merkel-le-due.html: Draghi, anche nel suo discorso di Jackson Hole, finisce in definitiva per leggere la crisi €uropea come "strutturale" e la ritiene necessaria, ed anzi registrabile quale propizia opportunità, per realizzare il valore supremo della moneta unica: l'instaurazione del mercato del lavoro "neo-classico", perfettamente flessibile, sia nei salari, intesi come mero "prezzo", che nella uscita dei lavoratori dalla situazione di occupazione "non competitiva" (cioè con remunerazione considerata rigidamente eccessiva in quanto trascinata dal precedente assetto dello stesso mercato: l'ipotesi è che non esista una fisiologica disoccupazione "frizionale", determinata dalla mancata sincronizzazione di domanda ed offerta aggregata, ma disoccupazione essenzialmente "volontaria", determinata dalla rigidità salariale innescata dalla sovratutela "monopolistica" dei sindacati e della legislazione sociale degli Stati democratici).
Ciò in omaggio alle teorie "neoclassiche" di cui è propugnatore, che configurano un modello economico che neppure contempla la verificabilità di una crisi innescata da una carenza della domanda aggregata, ma che focalizza solo sul lato dell'offerta. Questo modello economico è fondato sulle aspettative razionali come drive fondamentale dei comportamenti degli operatori economici, confidando in questo elemento psicologico e "assiomatico-a priori", (contestato sul piano cognitivo da numerosi ed illustri economisti), più che nella capacità dei dati di descrivere, attraverso un processo deduttivo e di individuazione di costanti basate esclusivamente sui dati stessi, le effettive tendenze del sistema economico osservato.
La crisi viene così ritenura risolvibile all'esterno dei trattati, cioè in aderenza esclusivamente ad un modo di intendere il loro "spirito" - interpretato unilateralmente, ex auctoritate, da parte della BCE, unica "vera" istituzione UEM prevista dai trattati. Tale "spirito" è infatti determinato superando, (e comunque non criticando nelle sue evidenti lacune), il congegno normativo concreto dei trattati stessi.
L' interpretazione di Draghi, dunque, risulta implicitamente (non c'è un'ermenutica, necessariamente giuridica, compiuta apertamente) volta alla generale instaurazione di quel modello economico, considerando quindi trascurabile la "contingenza" della altrettanto evidente, e distinta, crisi determinata dai differenziali di saldi commerciali e di tassi di cambio reale, inevitabile tra i paesi aderenti, che, invece, si connette direttamente a quel concreto congegno normativo (in assenza della cui effettiva elaborazione la Germania non avrebbe ricevuto le garanzie considerate indispensabili per aderire ai trattati stessi).


Di queste analisi troviamo consistenti elementi di conferma nell'intervista di Munchau, pur essendo la sua critica imperniata sul fraintedimento, attribuito a Draghi ed alla BCE, del corretto intendimento di quel modello economico, che non viene contestato nel suo fondamento sebbene nella sua concreta applicazione.
Ve ne riporto i passaggi significativi - con sottolineature dei punti salienti-, confortati dal fatto che un economista e giornalista di alto livello converga su diagnosi analoghe (ma, appunto, non identiche) sul piano economico e più fortemente convergenti sul piano "politico", rispetto a quelle qui adombrate:


«Intendiamoci, il discorso di Jackson Hole è stato ottimo, il migliore della sua carriera. Forse è andato un po’ più in là del previsto, ma ha detto cose giuste. Il problema sono i passi falsi del passato, ai quali temo che ne seguiranno altri».


Perché questo pessimismo? In un modo o nell’altro con la Cancelliera, e poi ieri con Hollande, si sono chiariti...

«Malgrado mese dopo mese sia smentito dai fatti, Draghi continua a ripetere ossessivamente che le aspettative d’inflazione vengono disattese. Non sembra capire che è il modello macroeconomico stesso su cui si basa a non funzionare e a non tenere in appropriato conto le aspettative, che sono un importante veicolo d’inflazione. C’è poi il problema centrale: la Bce non ha ancora lanciato il quantitative easing, rimasto l’unico modo per dare ossigeno all’economia »...


...Però lo stesso Draghi ha precisato nel Wyoming che aspetta le riforme per affiancare manovre monetarie e fiscali: e poi che ne è dei dubbi di “legalità” sul QE?



«Quelli restano. Possiamo stare certi che il QE verrà sfidato da fior di avvocati in Germania. Invece rientra nel mandato di stabilità monetaria: occorre insistere, anzi andava fatto un anno fa. Ora l’intervento dovrà essere più massiccio: diverse migliaia di miliardi di euro. Di meno, sarebbero soldi sprecati.




La Bce dovrà comprare di tutto, buoni governativi, obbligazioni, forse non azioni per non essere anche accusata di interferire con le Borse, ma titoli di ogni genere pur di far salire la base monetaria. Basta ritardi: già con la riduzione dei tassi, che era più urgente in Europa che in America perché qui ci sono condizioni fiscali più dure, ne sono stati accumulati abbastanza. Le dirò di più: paradossalmente le Omt, outright monetary transaction , rimaste un annuncio con la promessa di comprare bond, hanno ritardato gli interventi veri»...


...Draghi - diceva - non è l’unico ad aver commesso errori. Quali sono quelli della Merkel?

Wolfgang Munchau

«Il più grave è culturale. Da cinquant’anni gli economisti tedeschi, strettamente aderenti alla scuola neoclassica, si preoccupano solo dell’offerta: fanno sì che in casa loro, dai conti pubblici all’organizzazione del lavoro, tutto sia in ordine, e poi il mercato farà il resto. Non si sono accorti che la crisi attuale è di domanda, e che ormai fanno parte di una comunità di 18 Paesi le cui peculiarità vanno considerate.





Di qui l’ostinazione per l’austerity, e anche quel vero e proprio ricatto da cui è nato il Fiscal Compact, concepito in cambio degli aiuti alla “periferia”. Mi chiedo come un economista del calibro di Mario Monti abbia potuto firmare un trattato che, se applicato alla lettera, porterà l’Italia al fallimento: ridurre al 60% il debito in vent’anni significa andare incontro a una recessione che sottrarrebbe il 30-40% del Pil nello stesso periodo. Un disastro, e la fine dell’euro»


Pubblicato da Quarantotto a 15:06 Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest







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gli ricordiamo che Bertinotti e' amico di mario d'urso a sua volta amico da sempre della famiglia rothschil, niente di male , anzi , ma e' bene conoscere prima di addentrarsi ,in giudizi,su terze persone senza aver conoscenza di certe realta'

giorno Andrea,
direi che può volare tranquillo.... in amicizia con Vs. maestà Roth.... :corna:
 
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un buon consiglio e' quello di leggersi segreto 900 del dott Pucciarelli reperibile su accedemia delle liberta' e ricordarsi che fu wall strett ha finanziare la rivoluzione bolscevica, per impossessarsi dei pozzi di petrolio di baku nel Caucaso, che lo zar averbbe venduto a prezzi di stato facendo crollare la standard oil dei rockfeller e che stalin era un loro dipendente nella raffinaria.:D;)

azz :eek::eek: :wall:

:winner:







un caro saluto :bow::bow:
 
mai stato a Baku?

l'odore di petrolio è ovunque....
ce n'è talmente tanto ma talmente tanto che tutte le volte che accendevo la stroppa avevo paura di esplodere... :rasta:
 
oh ciao mat. baku e' nel Caucaso-,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,, se vuoi bere bene a parte gli scherzi,,,, compra il magnum da 1,5 litro di ripassa cantina zenato direi superlativo,una serata in ottima compagnia con gli amici
 
La verità sulla nomina della Mogherini e su come abbiamo barattato il paese.
Pubblicato su 2 Settembre 2014 da frontediliberazionedaibanchieri in POLITICA
Vi siete chiesti come mai la Germania ha accettato di “perdere” il braccio di ferro sulla nomina della Mogherini lasciando all’Italia un incarico di tale prestigio ?
Ve lo spiego subito. Cominciamo col dire che nell’Unione Europea e nei paesi che ne fanno parte non esistono ruoli istituzionali di prestigio ma esistono solo ruoli di facciata. I burattinai che muovono i fili dietro le quinte sono sempre gli stessi, solo i burattini cambiano ma essendo telecomandati sono assolutamente ininfluenti. Uno vale l’altro.
I nostri media hanno esultato per la nomina di una italiana alla guida della politica estera di una Unione Europea che una politica estera comune non ce l’ha. E’ la celebrazione del nulla.Tra l’altro anche Draghi se per questo è italiano eppure chi lo manovra l’ha invitato a massacrarci.
Ma c’è un’altra ragione ancora più subdola, ed estremamente più grave che ha spinto la Germania a fingere di cedere sulla questione delle nomine per dare a Renzi i 15 minuti di gloria che Andy Warhol aveva previsto per ogni uomo.
C’è una questione in sospeso tra Italia e Germania di gran lunga più importante di una semplice nomina di facciata e vitale per la sopravvivenza economica del nostro paese. E’ la questione dell’approvazione del pacchetto legislativo per la tutela della sicurezza dei prodotti, all’interno del quale sono contenute le norme a tutela del cosiddetto “Made in” nel nostro caso Made in italy. Un passo fondamentale per la competitività delle nostre imprese, per la tutela dei consumatori e della salute e per la lotta alla contraffazione che ha una fortissima opposizione dei paesi nordici ed in particolare della Germania che da anni prova a fare di tutto per cancellarla dato che è una barriera alla delocalizzazione selvaggia e poi parliamoci chiaro, i tedeschi lo sanno bene che possono avere anche un cambio favorevole per le esportazioni ed un sistema industriale più avanzato ma quando dietro ad un prodotto manifatturiero c’è la scritta “Made in Italy” non c’è concorrenza che tenga.
Già quattro anni fa nel 2010 il Parlamento europeo aveva approvato un regolamento al riguardo, che poi fu ritirato dalla Commissione Europea e chiuso in un cassetto, senza dare troppe spiegazioni, violando la scelta dell’unica istituzione europea espressione della volontà dei cittadini.
Il regolamento intendeva introdurre l’obbligo di specificare su un prodotto proveniente da fuori l’Ue il luogo di produzione, in modo da fornire al consumatore una chiara indicazione.
Indicazione, ovviamente, premiante per quei produttori europei non avvezzi a delocalizzare, con un “made in” riconosciuto ed apprezzato nel mondo.

http://www.europarlamento24.eu/made-in-la-commissione-europea-ritira-il-regolamento/0,1254,106_ART_2190,00.html
Il 16 Aprile 2014 però è arrivata la batosta per la Germania e per i paesi nordici su questo fronte: ll Parlamento europeo ha approvato, ancora una volta, con 485 voti a favore, 130 contrari e 27 astensioni, le norme per rendere obbligatorie le etichette “Made in” sui prodotti non alimentari venduti sul mercato comunitario.
Fonte:
http://www.europarlamento24.eu/etichettatura-si-riprova-con-il-made-in-obbligatorio/0,1254,106_ART_6676,00.html

La questione ovviamente non finisce qui ed ora passa al Consiglio europeo durante la presidenza italiana. Sulla carta questo dovrebbe significare, a rigor di logica, la sconfitta definitiva della Germania e l’approvazione finale del regolamento che salverebbe il nostro paese, le nostre industrie, i nostri artigiani, il nostro commercio e la nostra stessa identità nel mondo.
Ma il diavolo si nasconde nei dettagli e c’è un detto che dice che quando accarezza è perché vuole l’anima.
La Germania ha deciso di organizzarsi seriamente senza lasciare nulla al caso:
Appoggia alla presidenza del Consiglio europeo, il Premierpolacco Donald Tusk. La Polonia era l’unico paese che era rimasto neutrale nella passata votazione del regolamento e quindi potrebbe fare la differenza.
http://www.europarlamento24.eu/made-in-la-partita-e-ancora-italia-germania/0,1254,106_ART_6679,00.html
L’Italia dovrebbe opporsi ma Renzi si è già crogiolato nelle carezze del diavolo che ai suoi ringraziamenti per il sostegno alla nomina della Mogherini ha risposto: «Di nulla, te lavevo promesso».
Ora siamo in debito con la Germania. Il regolamento passa ad un Consiglio europeo presieduto da un uomo sostenuto dalla Merkel e premier dell’unico paese rimasto in passato neutrale sulla vicenda. A tutto questo si aggiunge che i partiti di “opposizione” nel nostro paese pensano, invece, che la lotta alla contraffazione e alla tutela del nostro prodotto passi dall’arresto dei vucumprà che vendono collanine sulle spiagge mentre i cittadini italiani di questo regolamento non sanno assolutamente nulla.
Staremo a vedere. Se perdiamo la partita del “Made in” non rimarrà più nulla dell’identità e dell’orgoglio del nostro paese.
Motivo di vanto resterà solo quella famosa frase che anni fa, durante un concerto, la cantante Madonna sfoggiò sulla sua maglietta: “Italians do it better” che divenne la rivalsa del maschio nostrano nel mondo, fin quando qualcuno non deciderà di cambiare anche quella in nome della globalizzazione con un più generico “somebody in the world do it better”.
A quel punto da napoletano suggerirei di fare appello ad un famoso film di Massimo Troisi: “Non ci resta che piangere”.
Francesco Amodeo
Tratto da:http://francescoamodeo
 
Interminabili Truffe
Pubblicato su 1 Settembre 2014 da frontediliberazionedaibanchieri in ECONOMIA, POLITICA
Il seguente articolo ci fa capire che tutta la questione del “problema” della nostra spesa pubblica non è altro che propaganda delle classi dominanti per ridurre i diritti dei loro sudditi. Se non fosse per gli interessi sul debito che lo stato italiano ha dovuto pagare al sistema mafioso bancario, il nostro bilancio risulterebbe in attivo dal 1992:

Pareggio di Bilancio e Austerità: l'Italia è in Surplus Primario dal 1992!
di Luca Pezzotta

Durante il Governo “tecnico” di Mario Monti, con legge costituzionale 20 aprile 2012 n°1, è stato introdotto un nuovo testo dell'articolo 81 con il quale si prevede, a decorrere dall'esercizio finanziario dell'anno 2014, sia applicato il principio del pareggio di bilancio. Questo - senza perderci in ulteriori dettagli e molto sommariamente - non vuol dir altro che lo Stato deve tassare tanto quanto spende (pareggio), oppure di più (surplus).

Di pari passo con l'introduzione del principio del pareggio di bilancio è stato sempre sostenuto che l'Italia avesse una spesa pubblica troppo elevata che non le permetteva di raggiungere questo obiettivo e, pertanto, la spesa pubblica stessa sarebbe dovuta essere tagliata affinché fosse possibile soddisfare i vincoli stabiliti nel nuovo testo costituzionale dell'art.81. Infine, a questa disciplina di bilancio che prevede uno Stato in pareggio o addirittura in surplus è stata fatta "passare" come austerità! Alcuni sono perfino riusciti a chiamarla austerità espansiva.

Ora, sembra necessario prima fare un minimo di chiarezza sul termine di “spesa pubblica” in ragione del fatto che troppo spesso si è teso volutamente a confondere la spesa d'esercizio, quella per gli interessi sul debito, con quella che è la spesa pubblica propriamente detta. La spesa pubblica propriamente detta è la spesa dello Stato per beni e servizi, ed in tutti i manuali di macroeconomia e non solo, per definizione, è calcolata al netto degli interessi sul debito. Da qui risulta quello che viene chiamato “saldo primario”.


Gli interessi sul debito sono spesa di esercizio che con la spesa pubblica rientrano nel bilancio generale dello Stato, ma la spesa per interessi non è spesa pubblica propriamente detta. Quindi, bisognerebbe fare attenzione quando si parla di spesa pubblica, perché dire che “bisogna tagliare la spesa pubblica” può voler significare che sia ulteriormente necessario tagliare beni e servizi (già non proprio brillantissimi e pagati dai cittadini a caro prezzo). Ma questo non è quello che interessa principalmente ora. Detto che la spesa pubblica è calcolata al netto degli interessi sul debito e che l'austerità prevede il pareggio di bilancio cerchiamo di valutare il bilancio dell'Italia a partire dagli anni '90 proprio per quello che riguarda la sola spesa pubblica primaria, non quella generale; cioè la spesa per beni e servizi al netto degli interessi sul debito.

Secondo lo Statistical Data Warehouse della BCE nel 1990 l'Italia ha avuto un deficit primario di -1,353% del PIL. Nel 1991 eravamo già molto vicini al pareggio visto che si registrava un deficit minimo a -0,039% del PIL, mentre nel '92 raggiungevamo il surplus primario a +1,848% del PIL. Dal '92 il surplus primario italiano si “consolida” ed al '97 è a ben 6,514% del PIL. Negli anni seguenti si ha una lieve flessione, ma nel 2000 il saldo primario dell'Italia è ancora al 5,422%, sempre del PIL. Di poi, per tutto il primo decennio del terzo millennio i surplus di bilancio si restringono e nel 2009 abbiamo un deficit a -0.825% - qui i dati sono parzialmente differenti da altre fonti che danno un deficit primario di -0,6% nel 2009 e -0,1% nel 2010 - subito tornato surplus nel 2010 a 0,079% del PIL e che cresce negli anni successivi fin al 2,224% del 2013. Pertanto, vediamo che dal 1990 ad oggi, in 24 anni, l'Italia solo in tre anni ha registrato dei deficit primari, mentre per 21 anni la condizione del pareggio di bilancio è stata soddisfatta, per alcuni anni anche ampiamente si potrebbe dire.

Infine, ancora una volta, prendiamo, proprio per avere un termine di paragone, come riferimento quelle che vengono ritenute le due economie “core” della zona Euro ed il Regno Unito. Vediamo, perciò, il saldo primario dell'Italia in relazione a quello di Germania, Francia e Regno Unito dal 1995 al 2012.


forum

Si può notare come l'Italia dal 1995 al 2005 abbia saldi primari migliori di Francia e Germania e anche per la maggior parte del Regno Unito; dopo il 2005 il saldo primario dell'Italia è più o meno simile - leggermente migliore - a quello della Germania, mentre quelli di Francia e Regno Unito peggiorano notevolmente, soprattutto il secondo. Vi facciamo notare, senza ulteriori considerazioni che qui non interessano, che il Regno Unito, con il peggior saldo primario al 2012, è il paese, tra quelli presi in considerazione nel grafico, che nel 2014 stima la maggior crescita percentuale del PIL.

Quindi per quello che riguarda la spesa pubblica primaria, cioè la spesa dello Stato al netto degli interessi sul debito, che è poi la spesa che si vorrebbe tagliare, l'Italia, come dai dati sopra riportati, è stata ben poche volte in deficit dall'inizio degli anni '90, cioè solo in tre anni (1991-1992-2009); e dal 1995 al 2012, come riportato nel grafico ha avuto per svariati anni un saldo primario migliore rispetto a Francia, Germania e Regno Unito.

Pertanto, anche al lordo della variabile “spreco” la spesa pubblica non può aver contribuito a far salire il debito pubblico per un semplice motivo: lo Stato ha sempre preso in tasse più di quanto ha speso, mentre l'aumento del debito pubblico è dovuto, principalmente, al pagamento degli interessi sul debito. Nonostante tutto, quindi, gli sprechi che ci sono, sono tanti e vanno corretti, non hanno fatto salire il debito, perché sono stati pagati dalle tasse degli italiani e non sono “sfociati” in un deficit primario che abbia comportato l'emissione di debito; bensì hanno impedito, tramite il loro mancato taglio o, molto meglio, la marginalità di un impiego di spesa “remunerativo” che il debito stesso scendesse.

Per cui, da ultimo, se consideriamo l'austerità come la necessità di soddisfare il vincolo del pareggio di bilancio, nel quale uno Stato deve spendere meno di quanto “incassa” e consideriamo la sola spesa pubblica propriamente detta e/o spesa primaria, l'Italia sta facendo austerità dal 1992, visto che è dal 1992 che - salvo un deficit minimo nel 2009 - la spesa primaria dello Stato è inferiore a quanto lo stesso tassa; per cui è da svariati anni antecedenti a quello in cui si è voluto introdurre il pareggio di bilancio in Costituzione, 2012, che lo stesso pareggio di bilancio è già una realtà: circa una ventina!

E come mai si è voluto introdurre solo nel 2012 e proprio in Costituzione?! Era necessario visto che comunque erano diversi anni che veniva già rispettato?! E, ancora, se facciamo il confronto con quelli che per anni sono stati additati come Stati virtuosi da prendere come riferimento, notiamo che non è proprio così; e che se valutiamo, ancora, la spesa pubblica propriamente detta, l'Italia è il paese che ha avuto per molto tempo, dagli anni '90, il miglior saldo primario, cioè quella che ha fatto più “austerità”, perché è quella che ha speso meno per beni e servizi ai suoi cittadini in relazione alle proprie entrate derivanti dalle tasse agli stessi.

Nonostante questo, ancora una volta, il problema diventa la spesa pubblica; ed ancora una volta la soluzione non è che il taglio di quello che viene falsamente ritenuto il problema. Dopo un periodo così lungo in cui lo Stato ha avuto dei surplus primari, nel corso della crisi che rischia di venir probabilmente ricordata come la Grande Recessione, forse, invece che imporsi ulteriori limiti di bilancio, sarebbe stato meglio cominciare a invertire la tendenza e spendere - anche al netto degli interessi - più di quanto si tassasse, per aiutare un settore privato in difficoltà immettendo ricchezza piuttosto che continuare a toglierne. Invece si è fatto il contrario, si sono imposti ulteriori vincoli di bilancio che hanno costretto lo Stato ad aumentare la pressione fiscale e diminuire la spesa in modo da drenare ulteriormente risorse da un settore privato in profonda crisi e dal quale lo Stato già da anni “toglieva più di quanto metteva”.

In conclusione, questo continuo ed inopinato richiamo alla spesa pubblica, che ne fa un “calderone” unico con la spesa per interessi, al fine di poter sostenere che “lo Stato spende troppo” ed è necessario “tagliare”, sembra il solito “gioco delle tre carte”, fatto per distrarre il cittadino, il lettore, ma soprattutto l'elettore meno attento, per farlo prescindere dalla valutazione dei numeri quali sono da intendersi realmente e portarlo fuori da una visione d'insieme della situazione economica, con il solo fine di confonderlo; ed utilizza, a questo fine, definizioni, discorsi e “parametri economici” di comodo, presi singolarmente invece che con una visione d'insieme, per individuare sia i problemi che le soluzioni; che sono poi le sempre gli stessi problemi (lo Stato ”cicala”) e le stesse soluzioni (tagliare, tagliare, tagliare … la spesa pubblica) indipendentemente dalla collocazione politica dei governi che si succedono e dal lignaggio culturale di appartenenza dei loro tecnici, economisti o politici.


Fonte
Fonte Video
Tratto da Unione Europea e Euro: due tool gesuitici per ridurre diritti e democrazia

Tratto da: F r e e o n d a - R e v o l u t i o n




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2 settembre - Benché colpito dalle sanzioni bancarie Usa, il gigante petrolifero russo Rosneft ha annunciato oggi l'avvio di lavori di esplorazione gas e petrolifera con il suo partner americano Exxonmobil in un'area di 205 mila metri quadri nel mare di Laptev, a nord della Siberia. Lo ha reso noto la stessa Rosneft, che ha sempre rassicurato le major occidentali sulla prosecuzione delle loro partnership. In pratica, le ''sanzioni'' quando c'è in ballo i petrolio non valgono
 
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