Fleursdumal
फूल की बुराई
La nascita dei reparti speciali d'assalto avvenne nel corso dell' estate del 1917
e rappresentò per l'esercito italiano un elemento d'assoluta novità
DA SOLDATI A ARDITI DEL POPOLO
CONTRO GLI SGHERRI FASCISTI
di MASSIMILIANO TENCONI
[...] Per far parte delle nostre centurie basta aver appartenuto ai battaglioni d'assalto o essere stati combattenti. Questi ultimi e quelli che sono stati sotto le armi, vengono considerati come volontari degli 'Arditi del popolo'. Noi lotteremo contro i fascisti e contro chiunque vorrà impedire ai lavoratori del braccio e del pensiero la loro emancipazione. (Intervista a Secondari, in M.Rossi, Arditi non gendarmi! Pisa, BFS, 1999)
La nascita delle truppe d'assalto
La nascita dei reparti d'assalto avvenne nel corso dell' estate del 1917 e rappresentò per l'esercito italiano un elemento d'assoluta novità. Se prima di allora alcune truppe scelte erano state utilizzate per portare a termine compiti di particolare difficoltà, erano pur sempre rimaste inserite nei loro reparti d'origine e non avevano determinato nessun mutamento dei tipici indirizzi della fanteria. Nel giugno del 1917, invece, con la creazione dei primi reparti di Arditi nacque qualcosa di nuovo sia per l'addestramento sia per l'impiego; nacque, come ha sottolineato a suo tempo Giorgio Rochat, un corpo concepito e realizzato "per cambiare l'organizzazione della battaglia offensiva". Le truppe d'assalto furono istituite come un'opportunità tattica in un momento ove era indispensabile mantenere serrate le fila e necessario rinvigorire il morale di un esercito tutt'altro che coeso. Queste esigenze furono puntualmente colte da Antonio Gramsci il quale attribuì la nascita dei reparti di Arditi alla necessità di accrescere la combattività dell'esercito stimolando, contemporaneamente, uno Stato maggiore considerato burocratizzato e fossilizzato.
Come sede di addestramento del nuovo reparto, nato all'interno della 2ª armata, fu scelta la località di Sedricca di Marzano e, alla fine del mese di luglio, Vittorio Emanuele fece visita alla neonata formazione che fu quindi posta al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica. Presso il campo di Sedricca fu tenuto un addestramento avanzato sotto tutti gli aspetti: vi erano scuole di lotta giapponese, lezioni di scherma e di pugnale, corsi d'equitazione e di nuoto e, infine, erano simulati veri e propri assalti compiuti sotto il tiro dell'artiglieria . Il soldato, in tal modo, veniva pienamente preparato sotto l'aspetto morale e dal punto di vista tecnico tanto da farne un combattente di tipo nuovo. Sprezzanti sia della vita comoda sia delle istituzioni borghesi e dell'autorità statale, la filosofia dell'Ardito modello era fondata sul motto del "vivere pericolosamente". Come è stato notato da Luigi Balsamini, l'Ardito era "il componente di una rustica corporazione di votati alla morte" e, quest'ultima, era intesa come il "limite estremo del destino". Fra l'agosto e il settembre del 1917, sempre all'interno della 2ª armata, nacquero altri cinque battaglioni mentre ad ottobre un reparto venne alla luce anche all'interno della 3ª armata. Il reclutamento degli uomini che dovevano far parte di questa nuova élite combattente avvenne su basi miste, in maniera da compensare le spinte volontaristiche con le reali esigenze della macchina bellica. Sotto il profilo politico, invece, la maggior parte degli Arditi proveniva dalle fila dell'interventismo democratico e rivoluzionario.
Il duro addestramento cui erano sottoposti era compensato da una minore disciplina e da una serie di benefici: furono esentati dai turni in trincea e dalle corvé, ricevettero un supplemento di paga e un vitto migliore, poterono godere di licenze premio e, infine, ebbero in dotazione una divisa particolare che esaltava anche a prima vista la loro diversità dal resto della truppa. Al momento ritenuto opportuno gli Arditi erano accompagnati sulla linea del fronte e a loro era affidato il compito dell'assalto a sorpresa. Armati di pugnale, bombe a mano e moschetto 1891, le loro missioni erano sovente salutate con esplosioni di gioia barbariche.
Nel corso dell'estate del 1917 l'azione più importante condotta dai reparti di Arditi fu la conquista del Monte San Gabriele, a nord est di Gorizia. La loro fama, dopo la rotta di Caporetto, acquistò nuovamente vigore con l'inizio del 1918 quando gli Arditi conquistarono il Valbella, il Col rosso e il Col d'Echele facendo numerosi prigionieri. L'impresa fu esaltata dal generale Sanna con le seguenti parole:
" Tutta l'Italia freme d'entusiasmo e di gloria. Essa ritrova in voi i combattenti che le falangi barbare più agguerrite e fortilizi più aspri non arrestano quando la fede è nei cuori e la volontà di vincere è la sola misura del pericolo da affrontare".
Nei mesi seguenti la fama degli Arditi crebbe notevolmente guadagnando un prestigio che, ad ogni modo, andava al di là del loro effettivo ruolo giocato sulle sorti della guerra. Alla fine del conflitto i reparti d'assalto costituiti erano circa una cinquantina e inquadravano un numero di uomini oscillante fra le 25 e le 30 mila unità. Durante i mesi
passati al fronte gli Arditi svilupparono un fortissimo spirito cameratesco e, contemporaneamente, crebbe in loro una altrettanto forte adesione verso gli ideali dell'interventismo patriottico. Questa realtà, che maturò non dal punto di vista individuale ma di gruppo, fece sì che fosse accentuata la loro ostilità sia nei confronti delle tradizionali forze politiche, sia nei riguardi di quanti avevano assunto un atteggiamento di rifiuto della guerra.
Si tenga inoltre presente la loro particolare atipicità che, già nel corso del conflitto, aveva suscitato reazioni negative nei loro confronti da parte dei carabinieri e della stessa popolazione civile. Una volta che i vertici militari ebbero sfruttato il loro mito, temendo il sorgere di problemi di carattere pubblico al momento del loro ritorno alla vita civile, ne ritardarono il più possibile la smobilitazione. Così, prima di fare ritorno alle proprie case, gli Arditi furono sottoposti alle ordinarie fatiche militari che suscitarono in loro un senso di rivalsa e la sensazione che ai loro danni si fosse consumato un vero e proprio tradimento. La soluzione adottata dalle gerarchie politiche e militari, perciò, anziché sopire andò ad alimentare ulteriormente la vena ribellistica dell'arditismo.
Il difficile reinserimento dei combattenti
Tutti gli ex combattenti, una volta smobilitati, dovettero fare i conti con il loro difficile reinserimento nella vita civile che, nel frattempo, aveva conosciuto profonde trasformazioni di carattere economico e sociale. A questo si aggiungano le difficoltà che ogni soldato dovette superare, sotto il profilo psicologico, per via dei lunghi anni passati al fronte e in trincea. Il ritorno ad una vita normale, per quanti avevano fatto parte dei reparti di Arditi, fu ancora più complesso: per loro la guerra, pur essendo stata un grande sacrificio, era comunque la più bella esperienza vissuta fino a quel momento tanto da essere diventata, in pratica, la loro seconda natura.
La dura esperienza vissuta al fronte li aveva convinti di rappresentare la parte più viva della società e, da questo presupposto, discendeva una forte carica in direzione del rinnovamento e vere e proprie aspirazioni di una palingenesi politico sociale. Le aspettative degli Arditi, però, si vennero ben presto a scontrare con la realtà di un sistema che era ben lontano dall'aver mutato i suoi centri di potere e che, nonostante le promesse formulate nel corso della guerra, era restio ad aprirsi più del necessario per timore di essere travolto dalla nascente realtà di massa che si stava profilando. Gli Arditi, perciò, si trovarono ad essere delle libere truppe con forti aspirazioni deluse: attendevano solo che qualcuno fosse capace di inquadrarli e di sospingerli verso l'obiettivo di una radicale trasformazione della società. Lo spirito che permeava l'arditismo è chiaramente avvertibile nel seguente appello, nel quale tutte le fiamme nere erano chiamate a raccolta, lanciato a Roma da Guido Carli:
"L'Italia ha creato gli Arditi perché la salvino da tutti i nostri nemici. Il nostro pugnale è fatto per uccidere i mostri esterni e interni che insidiano la nostra patria. (...) C'è da fare moltissimo quaggiù. C'è da sventrare, spazzare, ripulire in ogni senso".
Il 1° gennaio del 1919, lo stesso Carli, costituì l'Associazione Arditi d'Italia con un programma dalle finalità assistenziali, ma che conteneva anche indicazioni politiche peraltro meno precise nei contenuti rispetto alle prese di posizione lasciate nel corso dei mesi precedenti. L'ingresso degli Arditi nell'agone della politica, comunque, avvenne mediante il futurismo e il "Popolo d'Italia" guidato da Mussolini. Per tutto il 1919, e per la prima parte del 1920, futurismo, fascismo e arditismo costituirono un "blocco organico". Il momento d'incontro fra arditismo e fascismo avvenne nei primi mesi del 1919 con le aggressioni compiute ai danni del socialista Bissolati e poi con l'assalto, datato 15 aprile, ai danni dell' "Avanti!".
In seguito, il nascente movimento fascista, riuscì facilmente, richiamandosi al combattentismo, a costruire una linea di continuità fra gli ex combattenti e il fascismo stesso che ne assorbì e piegò ai propri scopi le loro molteplici sfumature. L'incontro con il futurismo, invece, nacque dalla condivisione della volontà di rinnovare il paese svecchiandolo e modernizzandolo. Il sodalizio fra queste tre componenti, però, era destinato a infrangersi presto. La separazione con i futuristi avvenne nel corso del 1920 quando questi abbandonarono la scena politica per limitare la loro azione in ambito letterario e artistico. Fra il 1919 e il 1920 erano destinati ad incrinarsi anche i rapporti tra Arditi e fascismo dato che, all'interno dell'arditismo, crebbe il disagio di coloro che
criticavano la subordinazione della propria organizzazione a quella fascista e si fece strada fra molti il dubbio sulla direzione intrapresa che, di fatto, li poneva a fianco della borghesia contro le classi operaie e contadine. Nel luglio del 1919, in uno scritto apparso su Roma futurista, Guido Carli avanzò l'ipotesi di una collaborazione con il movimento socialista individuando nella lotta contro il caroviveri un possibile punto di incontro:
"E' la lotta contro le attuali classi dirigenti, grette, incapaci e disoneste, si chiamino borghesia o plutocrazia o pescecanismo o parlamentarismo". L'arditismo, pertanto, non va considerato come movimento per sua natura destinato inevitabilmente a schierarsi in favore del blocco d'ordine. Esso, in realtà, era privo di una direttiva precisa e permeato da comportamenti difformi ed eterogenei. Nel corso del biennio rosso, ad esempio, gruppi di Arditi presero parte alle agitazioni per il caroviveri o si schierarono a fianco delle correnti radicali di sinistra. L'esperienza più significativa di questo indirizzo è certamente quella costituita dall'impresa di Fiume che, per un breve periodo, parve il luogo eletto dei sovversivi. L'esperienza di D'annunzio non trovò l'appoggio né dei fascisti né dei nazionalisti. Le vicende fiumane furono un esperimento progressista e rivoluzionario sotto tutti gli aspetti la cui radicalità dei contenuti sociali trovò la sua massima espressione nella cosiddetta Carta del Carnaro redatta da Alceste De Ambris. Per molti Arditi, l'esperienza di Fiume rappresentò una tappa fondamentale che li portò prima alla rottura definitiva con il movimento fascista, poi alla testa della resistenza popolare contro il fascismo stesso.
Lo squadrismo e la nascita degli Arditi del popolo
Con i fatti di Palazzo Accursio, a Bologna, nel novembre del 1920, ebbe inizio il biennio nero conclusosi con la marcia su Roma e l'ascesa a primo ministro di Benito Mussolini. Alle prime gesta di sfida condotte dalle squadre fasciste per dare prova del proprio coraggio, fecero seguito le spedizioni di conquista vere e proprie che avevano il fine di distruggere, purificare e redimere la popolazione riconducendola alla fede nazionale. Lo squadrismo colpì le organizzazioni operaie adottando una tattica modellata sull'esperienza militare che ebbe tutti gli aspetti di una vera e propria azione di guerra. I comandanti delle squadre armate, ha colto con precisione Del Carria, erano in gran parte "ex ufficiali [...], in genere spiantati e declassati nella vita civile", i quali trasportarono la loro esperienza bellica sul piano della politica interna. Le rappresaglie fasciste avevano le caratteristiche del movimento di guerriglia ed erano basate su azioni fulminee e su una grande mobilità.
I fascisti arrivavano nei luoghi scelti per le loro spedizioni da diverse province e colpivano i loro obiettivi con estrema violenza e rapidità, facendo poi, altrettanto celermente, ritorno ai propri paesi. In questo modo erano in grado di concentrare tutta la loro forza, anche se dispersa, su alcuni obiettivi determinati: colpivano in massa cogliendo totalmente impreparati e divisi i loro avversari. Di fronte a tanta violenza i socialisti, che per anni avevano sbandierato i loro propositi rivoluzionari, fecero appello all'atavica pazienza contadina sperando in un intervento di risolutore di uno di quei governi comunque considerati strumento del potere borghese. Fra le tante citazioni possibili per mettere in evidenza questo orientamento, ecco l'invito rivolto alle masse quotidianamente aggredite dallo squadrismo del deputato socialista Filippo Turati:
"Non raccogliete le provocazioni; non fornite loro pretesti; non rispondete alle ingiurie. State buoni, siate pazienti, siate santi. Lo foste già per millenni; siatelo ancora. Tollerate! Compatite. Perdonate anche. Quanto meno mediterete vendetta, tanto più sarete vendicati. E coloro che scatenano sopra di voi l'obbrobrio del terrore, tremeranno dell'opera propria...".
La grande ondata di violenze fasciste trovò perciò raramente un'opposizione decisa capace di arrestarla e i lavoratori, privi di direttive e impreparati militarmente, furono generalmente costretti a subire. Se i socialisti non si preoccuparono di organizzare una lotta frontale, il Partito comunista d'Italia assunse una posizione decisa dando vita a squadre armate e a comitati di difesa proletaria ma rimase un Partito di quadri incapace di saldarsi con le masse e chiuso nel suo settarismo.
Anche quando i comunisti scelsero lo scontro aperto rimasero una semplice avanguardia priva di collegamenti con la popolazione e furono destinati all'insuccesso. In alcuni casi i lavoratori presero spontaneamente l'iniziativa assalendo i fascisti, ingaggiando scontri per le strade cittadine e attaccando le case del fascio, ma quando questo si verificò risultò chiara l'assenza organizzativa e la carenza di cognizioni militari: furono in pratica sempre azioni isolate e mai vere e proprie lotte di massa. L'unica eccezione fu costituita appunto dagli Arditi del popolo.
Nel corso del novembre 1920 gli Arditi si riunirono nell'Associazione Nazionale Arditi d'Italia. Nei primi mesi del '21 l'organizzazione assunse un indirizzo di equidistanza sia dal fascismo che dal socialismo e, a tal fine, venne chiesta l'uscita degli Arditi dall'organizzazione dei Fasci di combattimento. Gli aderenti ad entrambe le organizzazioni non accettarono però tale linea e quindi diedero vita alla Federazione Nazionale Arditi d'Italia. La linea di neutralità non fu però neppure accettata dalla corrente spostata più a sinistra che, conseguentemente, fondò l'associazione degli Arditi del popolo. Alcune riunioni che affrontavano la questione di come comportarsi nei riguardi dello squadrismo si verificarono già a partire dall'aprile. La loro nascita ufficiale, comunque, risale al 2 luglio 1921 quando a Roma, presso l'Orto botanico, trecento iscritti risposero all'appello di Argo
Secondari che, in quell'occasione, affermò che gli Arditi non avrebbero più tollerato le violenze fasciste e che la nuova organizzazione, se queste non fossero cessate, avrebbe ribattuto colpo su colpo alle provocazioni. Qualche giorno più tardi, a suggello di tale linea, sempre nella medesima sede ebbe luogo una manifestazione contro le violenze fasciste che vide la partecipazione di decine di migliaia di lavoratori.
Nel corso dell'estate il movimento si diffuse rapidamente toccando il numero di 144 sezioni e raggruppando almeno 20 mila iscritti di estrazione prevalentemente proletaria. Gli Arditi erano organizzati secondo criteri di carattere militare: alla base vi erano le squadre composte da una decina di elementi, quattro squadre davano vita ad una compagnia e, tre di queste ultime, costituivano un battaglione che riuniva poco più di un centinaio di persone. Era una organizzazione agile, non accentrata e modellata sulle specificità locali, capace di dare risposte adeguate alla peculiarità dello squadrismo fascista, ma anche di colpire con attacchi preventivi e di rappresaglia.
La linea degli Arditi si basò su due punti: lotta armata contro il fascismo ed esigenza unitaria sul terreno rivoluzionario tra proletariato e ceto medio ex combattente. Ove questa alleanza si realizzò il fascismo fu battuto perché trovò contro di sé un popolo intero armato che conosceva strategia e tattica di guerra, che aveva esperienza della difesa e dell'offesa; le squadre fasciste si trovarono in pratica di fronte a una situazione completamente diversa rispetto alle condizioni nelle quali operavano abitualmente. Nel luglio del 1921 i fascisti furono messi in fuga a Viterbo e poi Sarzana. Nel settembre, al tentativo di occupazione fascista, resistette Ravenna mentre a novembre a Roma, in occasione dell'adunata che avrebbe assorbito i fasci nel partito, le squadre fasciste si impadronirono del centro della città ma non riuscirono a penetrare nei quartieri popolari ove furono puntualmente respinti. Nonostante la crisi che colpì il movimento nell'autunno, per via della repressione condotta nei loro confronti dal Governo Bonomi, squadre di Arditi si opposero alle forze fasciste anche nell'anno seguente riportando successi militari a Piombino, Civitavecchia, Bari.
A Genova e Ancona, durante lo sciopero legalitario, i fascisti riuscirono ad avere la meglio esclusivamente grazie all'intervento dell'esercito e della forza pubblica. Simbolo della lotta degli Arditi, e di una vera volontà collettiva di resistenza, fu però la città di Parma che, nelle giornate fra il 4 e il 6 agosto del 1922, eresse barricate e affrontò vittoriosamente le squadre fasciste di Italo Balbo. Gli Arditi del popolo, pertanto, conferirono alla resistenza al fascismo un livello di preparazione militare che permise ai lavoratori di scontrarsi con lo squadrismo sullo stesso piano, non a caso alla loro testa si posero ex ufficiali che strutturarono il movimento utilizzando modelli militari. Comprendendo la vera natura del fascismo, gli Arditi cercarono di realizzare le più vaste alleanze sociali aprendo le proprie fila a socialisti, comunisti, anarchici, repubblicani e cattolici di base che si organizzarono in dispregio e disubbidienza agli ordini dei loro partiti. Se però le autorità si mostrarono sempre disposte a chiudere un occhio alle violenze fasciste dando vita a fenomeni di vera e propria connivenza, nei riguardi degli Arditi del popolo la repressione fu particolarmente dura. Nell'agosto del 1921 due circolari del gabinetto Bonomi inviate alle prefetture suggerivano di considerare gli Arditi del popolo come una vera e propria associazione a delinquere. Il movimento fu così combattuto dalle autorità in maniera decisa soprattutto in quelle zone ove più chiara era emersa la volontà di organizzarsi e di condurre una lotta contro il fascismo ad armi pari. Sotto i colpi dello Stato e senza appoggi politici da parte delle stesse componenti antifasciste l'arditismo popolare era però un esempio destinato a cadere nel vuoto.
Gli Arditi e i partiti antifascisti
L'esperienza degli Arditi, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, fu infatti sconfessata dalle principali forze antifasciste eccezion fatta per il movimento libertario. Per il Partito comunista d'Italia, nonostante l'Internazionale avesse lanciato la parola d'ordine del fronte unico e quindi della collaborazione con i partiti socialisti, la rivoluzione continuava ad essere la meta da raggiungere nell'immediato e il fascismo era considerato come l'estrema ed ultima reazione che precedeva il fatidico momento. Ne derivava l'inaccettabilità di qualsiasi compromesso con altre forze e il dovere di rinsaldare il proprio organismo sottraendolo da ogni possibile cedimento. Per i comunisti era necessario un inquadramento di tipo rivoluzionario che, però, poteva essere garantito solo dal metodo
comunista e ovviamente dal partito d'avanguardia. Rimando la rivoluzione l'obiettivo fondamentale, qualsiasi risultato intermedio non era ritenuto sufficiente. Dal punto di vista militare era importante costituire proprie formazioni, ma solo come strumento per conquistare la guida delle masse e per smascherare la falsa indole rivoluzionaria dei riformisti.
Posizioni simili furono assunte anche dai repubblicani che invitarono i propri simpatizzanti e aderenti alla costituzione di squadre di partito ritenute la garanzia irrinunciabile per il mantenimento della propria specificità politica. Questa posizione dei repubblicani maturò solo dopo che la violenza fascista colpì le loro organizzazioni. In precedenza, a dimostrazione di come anche loro non avessero colto la specificità del fascismo, le azioni squadriste erano viste nell'ottica di uno scontro interno che vedeva contrapposti solo fascisti e socialisti. Avversi agli Arditi, se si eccettua la corrente terzinternazionalista, furono anche i socialisti. Le altre due componenti del partito, la corrente riformista e quella massimalista, ritenevano lo squadrismo un fenomeno passeggero e, allo stesso modo dei comunisti, interpretavano il momento come la tappa più acuta della crisi dello Stato borghese cui avrebbe fatto seguito il suo crollo inevitabile. L'unica forza che appoggiò gli Arditi del popolo, pur con qualche differenziazione al suo interno, fu quella del movimento anarchico. Il loro fine a lungo termine era appunto quello della costruzione di una società anarchica ma, nel breve periodo, l'alleanza con altre forze appariva necessaria onde accelerare la crisi del sistema e giungere quindi all'abbattimento dello Stato borghese.
L'esperienza degli Arditi del popolo fu accolta favorevolmente anche per altre due ragioni. Innanzitutto essa si configurava come un'alleanza orizzontale frutto di uno spontaneismo di base che, essendo sganciato da qualsiasi controllo verticistico e di partito, ben si adattava ai princìpi libertari. In secondo luogo il movimento anarchico colse più di tutti gli altri partiti antifascisti la specificità del fenomeno fascista e della lotta contro di esso. Quest'ultima era giustamente ritenuta mortale: la sconfitta contro il fascismo avrebbe infatti inevitabilmente aperto le porte alla dittatura. Il giornale anarchico il "Grido della Rivolta" scriveva, invitando implicitamente all'azione: "Di fronte alla violenza fascista sono inutili i belati di protesta evangelica e sono ridicoli e poco dignitosi gli appelli alla forza pubblica e alla tutela del Governo".
Conclusioni
Gli Arditi del Popolo, ha scritto Paolo Spriano, furono "una meteora nel cielo incandescente della guerra civile". Alla violenza squadrista, l'organizzazione antifascista, fu capace di rispondere con gli stessi metodi e, ogni qualvolta ebbe l'opportunità di porsi alla testa delle masse, riuscì a mettere in scacco le squadre fasciste. La loro esperienza, però, assai breve e contrastata, fu destinata a scivolare velocemente nel dimenticatoio. Affrontare l'argomento dell'arditismo popolare, infatti, significava per tutte le forze che si erano scontrate con il fascismo, soprattutto dover aprire una riflessione sui loro errori e sulla loro reale capacità di comprensione del movimento mussoliniano. Fenomeno minoritario e spontaneo, l'arditismo fu sconfessato dalle principali forze di sinistra ricevendo un appoggio incondizionato quasi esclusivamente da parte del movimento libertario. Sul lato opposto della barricata, invece, gli Arditi che si erano schierati a fianco del fascismo furono lentamente assorbiti nella macchina del regime diventando un oggetto da rispolverare ogni qual volta era necessario cantare le lodi dell'italico popolo guerriero anche se, poi, per mobilitare le grandi masse la conquista dell'Impero e la guerra di Spagna risultarono molto più efficaci del mito dell'Ardito.
BIBLIOGRAFIA
* Gli Arditi del popolo. Dalla guerra alla difesa del popolo contro le violenze fasciste, di L .Balsamini - Galenzano Editore, 2002.
* Pugnale fra i denti le bombe a mano, di M. Cancogni, in "Storia Illustrata", pp. 36-43.
* Proletari senza rivoluzione. Storia delle classi subalterne in Italia, di R.Del Carria, III - Savelli, Roma 1975.
* Arditi del popolo, di E.Francescangeli - Odradreck, Roma 2000.
* Gli arditi della grande guerra. Origini, battaglie e miti, di G.Rochat - Feltrinelli, Milano 1982.
* Arditi non gendarmi!, di M.Rossi - Bsf edizioni, Pisa 1997
e rappresentò per l'esercito italiano un elemento d'assoluta novità
DA SOLDATI A ARDITI DEL POPOLO
CONTRO GLI SGHERRI FASCISTI
di MASSIMILIANO TENCONI
[...] Per far parte delle nostre centurie basta aver appartenuto ai battaglioni d'assalto o essere stati combattenti. Questi ultimi e quelli che sono stati sotto le armi, vengono considerati come volontari degli 'Arditi del popolo'. Noi lotteremo contro i fascisti e contro chiunque vorrà impedire ai lavoratori del braccio e del pensiero la loro emancipazione. (Intervista a Secondari, in M.Rossi, Arditi non gendarmi! Pisa, BFS, 1999)
La nascita delle truppe d'assalto
La nascita dei reparti d'assalto avvenne nel corso dell' estate del 1917 e rappresentò per l'esercito italiano un elemento d'assoluta novità. Se prima di allora alcune truppe scelte erano state utilizzate per portare a termine compiti di particolare difficoltà, erano pur sempre rimaste inserite nei loro reparti d'origine e non avevano determinato nessun mutamento dei tipici indirizzi della fanteria. Nel giugno del 1917, invece, con la creazione dei primi reparti di Arditi nacque qualcosa di nuovo sia per l'addestramento sia per l'impiego; nacque, come ha sottolineato a suo tempo Giorgio Rochat, un corpo concepito e realizzato "per cambiare l'organizzazione della battaglia offensiva". Le truppe d'assalto furono istituite come un'opportunità tattica in un momento ove era indispensabile mantenere serrate le fila e necessario rinvigorire il morale di un esercito tutt'altro che coeso. Queste esigenze furono puntualmente colte da Antonio Gramsci il quale attribuì la nascita dei reparti di Arditi alla necessità di accrescere la combattività dell'esercito stimolando, contemporaneamente, uno Stato maggiore considerato burocratizzato e fossilizzato.
Come sede di addestramento del nuovo reparto, nato all'interno della 2ª armata, fu scelta la località di Sedricca di Marzano e, alla fine del mese di luglio, Vittorio Emanuele fece visita alla neonata formazione che fu quindi posta al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica. Presso il campo di Sedricca fu tenuto un addestramento avanzato sotto tutti gli aspetti: vi erano scuole di lotta giapponese, lezioni di scherma e di pugnale, corsi d'equitazione e di nuoto e, infine, erano simulati veri e propri assalti compiuti sotto il tiro dell'artiglieria . Il soldato, in tal modo, veniva pienamente preparato sotto l'aspetto morale e dal punto di vista tecnico tanto da farne un combattente di tipo nuovo. Sprezzanti sia della vita comoda sia delle istituzioni borghesi e dell'autorità statale, la filosofia dell'Ardito modello era fondata sul motto del "vivere pericolosamente". Come è stato notato da Luigi Balsamini, l'Ardito era "il componente di una rustica corporazione di votati alla morte" e, quest'ultima, era intesa come il "limite estremo del destino". Fra l'agosto e il settembre del 1917, sempre all'interno della 2ª armata, nacquero altri cinque battaglioni mentre ad ottobre un reparto venne alla luce anche all'interno della 3ª armata. Il reclutamento degli uomini che dovevano far parte di questa nuova élite combattente avvenne su basi miste, in maniera da compensare le spinte volontaristiche con le reali esigenze della macchina bellica. Sotto il profilo politico, invece, la maggior parte degli Arditi proveniva dalle fila dell'interventismo democratico e rivoluzionario.
Il duro addestramento cui erano sottoposti era compensato da una minore disciplina e da una serie di benefici: furono esentati dai turni in trincea e dalle corvé, ricevettero un supplemento di paga e un vitto migliore, poterono godere di licenze premio e, infine, ebbero in dotazione una divisa particolare che esaltava anche a prima vista la loro diversità dal resto della truppa. Al momento ritenuto opportuno gli Arditi erano accompagnati sulla linea del fronte e a loro era affidato il compito dell'assalto a sorpresa. Armati di pugnale, bombe a mano e moschetto 1891, le loro missioni erano sovente salutate con esplosioni di gioia barbariche.
Nel corso dell'estate del 1917 l'azione più importante condotta dai reparti di Arditi fu la conquista del Monte San Gabriele, a nord est di Gorizia. La loro fama, dopo la rotta di Caporetto, acquistò nuovamente vigore con l'inizio del 1918 quando gli Arditi conquistarono il Valbella, il Col rosso e il Col d'Echele facendo numerosi prigionieri. L'impresa fu esaltata dal generale Sanna con le seguenti parole:
" Tutta l'Italia freme d'entusiasmo e di gloria. Essa ritrova in voi i combattenti che le falangi barbare più agguerrite e fortilizi più aspri non arrestano quando la fede è nei cuori e la volontà di vincere è la sola misura del pericolo da affrontare".
Nei mesi seguenti la fama degli Arditi crebbe notevolmente guadagnando un prestigio che, ad ogni modo, andava al di là del loro effettivo ruolo giocato sulle sorti della guerra. Alla fine del conflitto i reparti d'assalto costituiti erano circa una cinquantina e inquadravano un numero di uomini oscillante fra le 25 e le 30 mila unità. Durante i mesi
passati al fronte gli Arditi svilupparono un fortissimo spirito cameratesco e, contemporaneamente, crebbe in loro una altrettanto forte adesione verso gli ideali dell'interventismo patriottico. Questa realtà, che maturò non dal punto di vista individuale ma di gruppo, fece sì che fosse accentuata la loro ostilità sia nei confronti delle tradizionali forze politiche, sia nei riguardi di quanti avevano assunto un atteggiamento di rifiuto della guerra.
Si tenga inoltre presente la loro particolare atipicità che, già nel corso del conflitto, aveva suscitato reazioni negative nei loro confronti da parte dei carabinieri e della stessa popolazione civile. Una volta che i vertici militari ebbero sfruttato il loro mito, temendo il sorgere di problemi di carattere pubblico al momento del loro ritorno alla vita civile, ne ritardarono il più possibile la smobilitazione. Così, prima di fare ritorno alle proprie case, gli Arditi furono sottoposti alle ordinarie fatiche militari che suscitarono in loro un senso di rivalsa e la sensazione che ai loro danni si fosse consumato un vero e proprio tradimento. La soluzione adottata dalle gerarchie politiche e militari, perciò, anziché sopire andò ad alimentare ulteriormente la vena ribellistica dell'arditismo.
Il difficile reinserimento dei combattenti
Tutti gli ex combattenti, una volta smobilitati, dovettero fare i conti con il loro difficile reinserimento nella vita civile che, nel frattempo, aveva conosciuto profonde trasformazioni di carattere economico e sociale. A questo si aggiungano le difficoltà che ogni soldato dovette superare, sotto il profilo psicologico, per via dei lunghi anni passati al fronte e in trincea. Il ritorno ad una vita normale, per quanti avevano fatto parte dei reparti di Arditi, fu ancora più complesso: per loro la guerra, pur essendo stata un grande sacrificio, era comunque la più bella esperienza vissuta fino a quel momento tanto da essere diventata, in pratica, la loro seconda natura.
La dura esperienza vissuta al fronte li aveva convinti di rappresentare la parte più viva della società e, da questo presupposto, discendeva una forte carica in direzione del rinnovamento e vere e proprie aspirazioni di una palingenesi politico sociale. Le aspettative degli Arditi, però, si vennero ben presto a scontrare con la realtà di un sistema che era ben lontano dall'aver mutato i suoi centri di potere e che, nonostante le promesse formulate nel corso della guerra, era restio ad aprirsi più del necessario per timore di essere travolto dalla nascente realtà di massa che si stava profilando. Gli Arditi, perciò, si trovarono ad essere delle libere truppe con forti aspirazioni deluse: attendevano solo che qualcuno fosse capace di inquadrarli e di sospingerli verso l'obiettivo di una radicale trasformazione della società. Lo spirito che permeava l'arditismo è chiaramente avvertibile nel seguente appello, nel quale tutte le fiamme nere erano chiamate a raccolta, lanciato a Roma da Guido Carli:
"L'Italia ha creato gli Arditi perché la salvino da tutti i nostri nemici. Il nostro pugnale è fatto per uccidere i mostri esterni e interni che insidiano la nostra patria. (...) C'è da fare moltissimo quaggiù. C'è da sventrare, spazzare, ripulire in ogni senso".
Il 1° gennaio del 1919, lo stesso Carli, costituì l'Associazione Arditi d'Italia con un programma dalle finalità assistenziali, ma che conteneva anche indicazioni politiche peraltro meno precise nei contenuti rispetto alle prese di posizione lasciate nel corso dei mesi precedenti. L'ingresso degli Arditi nell'agone della politica, comunque, avvenne mediante il futurismo e il "Popolo d'Italia" guidato da Mussolini. Per tutto il 1919, e per la prima parte del 1920, futurismo, fascismo e arditismo costituirono un "blocco organico". Il momento d'incontro fra arditismo e fascismo avvenne nei primi mesi del 1919 con le aggressioni compiute ai danni del socialista Bissolati e poi con l'assalto, datato 15 aprile, ai danni dell' "Avanti!".
In seguito, il nascente movimento fascista, riuscì facilmente, richiamandosi al combattentismo, a costruire una linea di continuità fra gli ex combattenti e il fascismo stesso che ne assorbì e piegò ai propri scopi le loro molteplici sfumature. L'incontro con il futurismo, invece, nacque dalla condivisione della volontà di rinnovare il paese svecchiandolo e modernizzandolo. Il sodalizio fra queste tre componenti, però, era destinato a infrangersi presto. La separazione con i futuristi avvenne nel corso del 1920 quando questi abbandonarono la scena politica per limitare la loro azione in ambito letterario e artistico. Fra il 1919 e il 1920 erano destinati ad incrinarsi anche i rapporti tra Arditi e fascismo dato che, all'interno dell'arditismo, crebbe il disagio di coloro che
criticavano la subordinazione della propria organizzazione a quella fascista e si fece strada fra molti il dubbio sulla direzione intrapresa che, di fatto, li poneva a fianco della borghesia contro le classi operaie e contadine. Nel luglio del 1919, in uno scritto apparso su Roma futurista, Guido Carli avanzò l'ipotesi di una collaborazione con il movimento socialista individuando nella lotta contro il caroviveri un possibile punto di incontro:
"E' la lotta contro le attuali classi dirigenti, grette, incapaci e disoneste, si chiamino borghesia o plutocrazia o pescecanismo o parlamentarismo". L'arditismo, pertanto, non va considerato come movimento per sua natura destinato inevitabilmente a schierarsi in favore del blocco d'ordine. Esso, in realtà, era privo di una direttiva precisa e permeato da comportamenti difformi ed eterogenei. Nel corso del biennio rosso, ad esempio, gruppi di Arditi presero parte alle agitazioni per il caroviveri o si schierarono a fianco delle correnti radicali di sinistra. L'esperienza più significativa di questo indirizzo è certamente quella costituita dall'impresa di Fiume che, per un breve periodo, parve il luogo eletto dei sovversivi. L'esperienza di D'annunzio non trovò l'appoggio né dei fascisti né dei nazionalisti. Le vicende fiumane furono un esperimento progressista e rivoluzionario sotto tutti gli aspetti la cui radicalità dei contenuti sociali trovò la sua massima espressione nella cosiddetta Carta del Carnaro redatta da Alceste De Ambris. Per molti Arditi, l'esperienza di Fiume rappresentò una tappa fondamentale che li portò prima alla rottura definitiva con il movimento fascista, poi alla testa della resistenza popolare contro il fascismo stesso.
Lo squadrismo e la nascita degli Arditi del popolo
Con i fatti di Palazzo Accursio, a Bologna, nel novembre del 1920, ebbe inizio il biennio nero conclusosi con la marcia su Roma e l'ascesa a primo ministro di Benito Mussolini. Alle prime gesta di sfida condotte dalle squadre fasciste per dare prova del proprio coraggio, fecero seguito le spedizioni di conquista vere e proprie che avevano il fine di distruggere, purificare e redimere la popolazione riconducendola alla fede nazionale. Lo squadrismo colpì le organizzazioni operaie adottando una tattica modellata sull'esperienza militare che ebbe tutti gli aspetti di una vera e propria azione di guerra. I comandanti delle squadre armate, ha colto con precisione Del Carria, erano in gran parte "ex ufficiali [...], in genere spiantati e declassati nella vita civile", i quali trasportarono la loro esperienza bellica sul piano della politica interna. Le rappresaglie fasciste avevano le caratteristiche del movimento di guerriglia ed erano basate su azioni fulminee e su una grande mobilità.
I fascisti arrivavano nei luoghi scelti per le loro spedizioni da diverse province e colpivano i loro obiettivi con estrema violenza e rapidità, facendo poi, altrettanto celermente, ritorno ai propri paesi. In questo modo erano in grado di concentrare tutta la loro forza, anche se dispersa, su alcuni obiettivi determinati: colpivano in massa cogliendo totalmente impreparati e divisi i loro avversari. Di fronte a tanta violenza i socialisti, che per anni avevano sbandierato i loro propositi rivoluzionari, fecero appello all'atavica pazienza contadina sperando in un intervento di risolutore di uno di quei governi comunque considerati strumento del potere borghese. Fra le tante citazioni possibili per mettere in evidenza questo orientamento, ecco l'invito rivolto alle masse quotidianamente aggredite dallo squadrismo del deputato socialista Filippo Turati:
"Non raccogliete le provocazioni; non fornite loro pretesti; non rispondete alle ingiurie. State buoni, siate pazienti, siate santi. Lo foste già per millenni; siatelo ancora. Tollerate! Compatite. Perdonate anche. Quanto meno mediterete vendetta, tanto più sarete vendicati. E coloro che scatenano sopra di voi l'obbrobrio del terrore, tremeranno dell'opera propria...".
La grande ondata di violenze fasciste trovò perciò raramente un'opposizione decisa capace di arrestarla e i lavoratori, privi di direttive e impreparati militarmente, furono generalmente costretti a subire. Se i socialisti non si preoccuparono di organizzare una lotta frontale, il Partito comunista d'Italia assunse una posizione decisa dando vita a squadre armate e a comitati di difesa proletaria ma rimase un Partito di quadri incapace di saldarsi con le masse e chiuso nel suo settarismo.
Anche quando i comunisti scelsero lo scontro aperto rimasero una semplice avanguardia priva di collegamenti con la popolazione e furono destinati all'insuccesso. In alcuni casi i lavoratori presero spontaneamente l'iniziativa assalendo i fascisti, ingaggiando scontri per le strade cittadine e attaccando le case del fascio, ma quando questo si verificò risultò chiara l'assenza organizzativa e la carenza di cognizioni militari: furono in pratica sempre azioni isolate e mai vere e proprie lotte di massa. L'unica eccezione fu costituita appunto dagli Arditi del popolo.
Nel corso del novembre 1920 gli Arditi si riunirono nell'Associazione Nazionale Arditi d'Italia. Nei primi mesi del '21 l'organizzazione assunse un indirizzo di equidistanza sia dal fascismo che dal socialismo e, a tal fine, venne chiesta l'uscita degli Arditi dall'organizzazione dei Fasci di combattimento. Gli aderenti ad entrambe le organizzazioni non accettarono però tale linea e quindi diedero vita alla Federazione Nazionale Arditi d'Italia. La linea di neutralità non fu però neppure accettata dalla corrente spostata più a sinistra che, conseguentemente, fondò l'associazione degli Arditi del popolo. Alcune riunioni che affrontavano la questione di come comportarsi nei riguardi dello squadrismo si verificarono già a partire dall'aprile. La loro nascita ufficiale, comunque, risale al 2 luglio 1921 quando a Roma, presso l'Orto botanico, trecento iscritti risposero all'appello di Argo
Secondari che, in quell'occasione, affermò che gli Arditi non avrebbero più tollerato le violenze fasciste e che la nuova organizzazione, se queste non fossero cessate, avrebbe ribattuto colpo su colpo alle provocazioni. Qualche giorno più tardi, a suggello di tale linea, sempre nella medesima sede ebbe luogo una manifestazione contro le violenze fasciste che vide la partecipazione di decine di migliaia di lavoratori.
Nel corso dell'estate il movimento si diffuse rapidamente toccando il numero di 144 sezioni e raggruppando almeno 20 mila iscritti di estrazione prevalentemente proletaria. Gli Arditi erano organizzati secondo criteri di carattere militare: alla base vi erano le squadre composte da una decina di elementi, quattro squadre davano vita ad una compagnia e, tre di queste ultime, costituivano un battaglione che riuniva poco più di un centinaio di persone. Era una organizzazione agile, non accentrata e modellata sulle specificità locali, capace di dare risposte adeguate alla peculiarità dello squadrismo fascista, ma anche di colpire con attacchi preventivi e di rappresaglia.
La linea degli Arditi si basò su due punti: lotta armata contro il fascismo ed esigenza unitaria sul terreno rivoluzionario tra proletariato e ceto medio ex combattente. Ove questa alleanza si realizzò il fascismo fu battuto perché trovò contro di sé un popolo intero armato che conosceva strategia e tattica di guerra, che aveva esperienza della difesa e dell'offesa; le squadre fasciste si trovarono in pratica di fronte a una situazione completamente diversa rispetto alle condizioni nelle quali operavano abitualmente. Nel luglio del 1921 i fascisti furono messi in fuga a Viterbo e poi Sarzana. Nel settembre, al tentativo di occupazione fascista, resistette Ravenna mentre a novembre a Roma, in occasione dell'adunata che avrebbe assorbito i fasci nel partito, le squadre fasciste si impadronirono del centro della città ma non riuscirono a penetrare nei quartieri popolari ove furono puntualmente respinti. Nonostante la crisi che colpì il movimento nell'autunno, per via della repressione condotta nei loro confronti dal Governo Bonomi, squadre di Arditi si opposero alle forze fasciste anche nell'anno seguente riportando successi militari a Piombino, Civitavecchia, Bari.
A Genova e Ancona, durante lo sciopero legalitario, i fascisti riuscirono ad avere la meglio esclusivamente grazie all'intervento dell'esercito e della forza pubblica. Simbolo della lotta degli Arditi, e di una vera volontà collettiva di resistenza, fu però la città di Parma che, nelle giornate fra il 4 e il 6 agosto del 1922, eresse barricate e affrontò vittoriosamente le squadre fasciste di Italo Balbo. Gli Arditi del popolo, pertanto, conferirono alla resistenza al fascismo un livello di preparazione militare che permise ai lavoratori di scontrarsi con lo squadrismo sullo stesso piano, non a caso alla loro testa si posero ex ufficiali che strutturarono il movimento utilizzando modelli militari. Comprendendo la vera natura del fascismo, gli Arditi cercarono di realizzare le più vaste alleanze sociali aprendo le proprie fila a socialisti, comunisti, anarchici, repubblicani e cattolici di base che si organizzarono in dispregio e disubbidienza agli ordini dei loro partiti. Se però le autorità si mostrarono sempre disposte a chiudere un occhio alle violenze fasciste dando vita a fenomeni di vera e propria connivenza, nei riguardi degli Arditi del popolo la repressione fu particolarmente dura. Nell'agosto del 1921 due circolari del gabinetto Bonomi inviate alle prefetture suggerivano di considerare gli Arditi del popolo come una vera e propria associazione a delinquere. Il movimento fu così combattuto dalle autorità in maniera decisa soprattutto in quelle zone ove più chiara era emersa la volontà di organizzarsi e di condurre una lotta contro il fascismo ad armi pari. Sotto i colpi dello Stato e senza appoggi politici da parte delle stesse componenti antifasciste l'arditismo popolare era però un esempio destinato a cadere nel vuoto.
Gli Arditi e i partiti antifascisti
L'esperienza degli Arditi, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, fu infatti sconfessata dalle principali forze antifasciste eccezion fatta per il movimento libertario. Per il Partito comunista d'Italia, nonostante l'Internazionale avesse lanciato la parola d'ordine del fronte unico e quindi della collaborazione con i partiti socialisti, la rivoluzione continuava ad essere la meta da raggiungere nell'immediato e il fascismo era considerato come l'estrema ed ultima reazione che precedeva il fatidico momento. Ne derivava l'inaccettabilità di qualsiasi compromesso con altre forze e il dovere di rinsaldare il proprio organismo sottraendolo da ogni possibile cedimento. Per i comunisti era necessario un inquadramento di tipo rivoluzionario che, però, poteva essere garantito solo dal metodo
comunista e ovviamente dal partito d'avanguardia. Rimando la rivoluzione l'obiettivo fondamentale, qualsiasi risultato intermedio non era ritenuto sufficiente. Dal punto di vista militare era importante costituire proprie formazioni, ma solo come strumento per conquistare la guida delle masse e per smascherare la falsa indole rivoluzionaria dei riformisti.
Posizioni simili furono assunte anche dai repubblicani che invitarono i propri simpatizzanti e aderenti alla costituzione di squadre di partito ritenute la garanzia irrinunciabile per il mantenimento della propria specificità politica. Questa posizione dei repubblicani maturò solo dopo che la violenza fascista colpì le loro organizzazioni. In precedenza, a dimostrazione di come anche loro non avessero colto la specificità del fascismo, le azioni squadriste erano viste nell'ottica di uno scontro interno che vedeva contrapposti solo fascisti e socialisti. Avversi agli Arditi, se si eccettua la corrente terzinternazionalista, furono anche i socialisti. Le altre due componenti del partito, la corrente riformista e quella massimalista, ritenevano lo squadrismo un fenomeno passeggero e, allo stesso modo dei comunisti, interpretavano il momento come la tappa più acuta della crisi dello Stato borghese cui avrebbe fatto seguito il suo crollo inevitabile. L'unica forza che appoggiò gli Arditi del popolo, pur con qualche differenziazione al suo interno, fu quella del movimento anarchico. Il loro fine a lungo termine era appunto quello della costruzione di una società anarchica ma, nel breve periodo, l'alleanza con altre forze appariva necessaria onde accelerare la crisi del sistema e giungere quindi all'abbattimento dello Stato borghese.
L'esperienza degli Arditi del popolo fu accolta favorevolmente anche per altre due ragioni. Innanzitutto essa si configurava come un'alleanza orizzontale frutto di uno spontaneismo di base che, essendo sganciato da qualsiasi controllo verticistico e di partito, ben si adattava ai princìpi libertari. In secondo luogo il movimento anarchico colse più di tutti gli altri partiti antifascisti la specificità del fenomeno fascista e della lotta contro di esso. Quest'ultima era giustamente ritenuta mortale: la sconfitta contro il fascismo avrebbe infatti inevitabilmente aperto le porte alla dittatura. Il giornale anarchico il "Grido della Rivolta" scriveva, invitando implicitamente all'azione: "Di fronte alla violenza fascista sono inutili i belati di protesta evangelica e sono ridicoli e poco dignitosi gli appelli alla forza pubblica e alla tutela del Governo".
Conclusioni
Gli Arditi del Popolo, ha scritto Paolo Spriano, furono "una meteora nel cielo incandescente della guerra civile". Alla violenza squadrista, l'organizzazione antifascista, fu capace di rispondere con gli stessi metodi e, ogni qualvolta ebbe l'opportunità di porsi alla testa delle masse, riuscì a mettere in scacco le squadre fasciste. La loro esperienza, però, assai breve e contrastata, fu destinata a scivolare velocemente nel dimenticatoio. Affrontare l'argomento dell'arditismo popolare, infatti, significava per tutte le forze che si erano scontrate con il fascismo, soprattutto dover aprire una riflessione sui loro errori e sulla loro reale capacità di comprensione del movimento mussoliniano. Fenomeno minoritario e spontaneo, l'arditismo fu sconfessato dalle principali forze di sinistra ricevendo un appoggio incondizionato quasi esclusivamente da parte del movimento libertario. Sul lato opposto della barricata, invece, gli Arditi che si erano schierati a fianco del fascismo furono lentamente assorbiti nella macchina del regime diventando un oggetto da rispolverare ogni qual volta era necessario cantare le lodi dell'italico popolo guerriero anche se, poi, per mobilitare le grandi masse la conquista dell'Impero e la guerra di Spagna risultarono molto più efficaci del mito dell'Ardito.
BIBLIOGRAFIA
* Gli Arditi del popolo. Dalla guerra alla difesa del popolo contro le violenze fasciste, di L .Balsamini - Galenzano Editore, 2002.
* Pugnale fra i denti le bombe a mano, di M. Cancogni, in "Storia Illustrata", pp. 36-43.
* Proletari senza rivoluzione. Storia delle classi subalterne in Italia, di R.Del Carria, III - Savelli, Roma 1975.
* Arditi del popolo, di E.Francescangeli - Odradreck, Roma 2000.
* Gli arditi della grande guerra. Origini, battaglie e miti, di G.Rochat - Feltrinelli, Milano 1982.
* Arditi non gendarmi!, di M.Rossi - Bsf edizioni, Pisa 1997