SE SIAMO TUTTI D'ACCORDO IO PASSEREI DIRETTAMENTE AL 2022 PER ESSERE PIU' SICURI

Al pari di ogni periodo di crisi economica anche in questi giorni si ripropone
la cancellazione di parte del debito pubblico quale soluzione per aiutare i Paesi in difficoltà.

In linea di massima la cancellazione di un debito con il consenso del creditore è sempre possibile.

Nel passato la cosa non è stata infrequente per diversi Stati sovrani.

Si trattava soprattutto di debito verso il Fondo monetario internazionale o verso la Banca mondiale contratto da Paesi in via di sviluppo.

È successo, infatti, tra la fine degli anni Novanta e il 2005 quando venne deciso in ambito di uno dei periodici G7
che per aiutare le economie dei Paesi in via di sviluppo bisognava azzerare il debito estero.

La Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale avviarono l’iniziativa per la cancellazione del debito dei Paesi più poveri e indebitati.


Dal 2000 al 2006 sono stati cancellati 100 miliardi di debiti e nei 26 Paesi africani che hanno beneficiato della Mdri (Multilateral debt relief initiative),
il debito pubblico sul Pil è sceso dal 104 per cento al 27 per cento.


L’attuale situazione economica in Europa registra valori negativi ovunque con i parametri in peggioramento
di fronte ai nuovi lockdown introdotti per contenere la seconda ondata di contagi da Covid.

Recentemente, il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni, ha affermato che
“ci vorranno due anni prima che l’economia europea si riavvicini al livello pre-pandemia
e il livello estremamente elevato di incertezza mette a rischio le previsioni di crescita dell’Unione”.

In tale quadro, anche sulla scia delle dichiarazioni di Kristalina Georgieva, direttore generale dell’Imf (International monetary fund),
che ha accennato ad una nuova possibile cancellazione del debito per i Paesi in maggiore difficoltà,
si sono rincorse indiscrezioni su analogo provvedimento da parte della Bce.

Christine Lagarde ha finora dato risposte interlocutorie che preludono però ad una smentita.


Potrebbe la Bce davvero cancellare il debito pubblico?


Con l’inevitabile ricorso all’aiuto del debito quest’anno l’Italia ha ottenuto ulteriori 180 miliardi per far fronte alle crescenti spese e alle minori entrate.

La Bce detiene ora 500 miliardi del nostro debito pubblico, tramite la Banca d’Italia,
in quanto sono le banche centrali nazionali ad effettuare, su mandato Bce, l’acquisto della quasi totalità dei titoli.


Sarebbe un bel sollievo per l’Italia una misura di cancellazione ma la risposta alla domanda purtroppo è negativa

in quanto vietato espressamente dall’articolo 123 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea,

il quale vieta “la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia (…) a istituzioni,

organi od organismi dell’Unione, alle Amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici”.


In linea teorica il trattato è modificabile ma data la complessità del processo e dato il tema “controverso” politicamente,
per usare un eufemismo, è pensabile che sia molto difficile da potersi realizzare e sicuramente non nel breve o medio periodo.



In sostanza, l’eventuale decisione di modificare il trattato sarebbe politica, poi da implementare a livello tecnico dalla Bce.

L’implementazione tecnica della stessa non sarebbe per nulla semplice.

Da un punto di vista economico la cancellazione del debito determina una perdita di pari importo nel bilancio della Bce o delle Banche centrali nazionali.

Questa perdita farebbe si che la Bce o le Banche centrali nazionali si troverebbero tecnicamente “fallite, con capitale negativo”
e quindi con necessità di ricapitalizzazione da parte degli azionisti.


Gli studiosi favorevoli alla cancellazione risponderebbero che, stante la sua capacità di creare base monetaria,
una Banca centrale è sempre solvibile nella propria moneta, giacché teoricamente dispone di mezzi di pagamento legali in quantità illimitata.

Si, perché, anche con un capitale proprio temporaneamente negativo essa conserva la piena capacità di agire,
e può quindi assolvere in ogni tempo il suo mandato.


In caso di capitale proprio negativo, la Banca centrale non soggiace ad alcun obbligo giuridico né di risanamento né, tanto meno, di liquidazione.


Di fatto, comunque, alcuni dei benefici dell’eventuale cancellazione possono essere ottenuti con altri strumenti,
tipo quello che la Bce già sta facendo con la politica attuale di reinvestimento, comprando titoli su tutte le scadenze
– anche a lunghissimo termine – e a termine scadenza ricomprare titoli simili.

Questa operazione viene effettuata per raggiungere il fine istituzionale di stabilità dei prezzi, ma ha come effetto collaterale positivo
il fatto che quel debito è nella sostanza fuori dalle logiche di mercato di domanda e offerta.

Una conferma, a quanto sopra, è data anche dal recente pronunciamento delle agenzie di rating
che hanno confermato la posizione dell’Italia nonostante il significativo aumento del debito pubblico nel corso del 2020.


È almeno dal 2012 che la Bce acquista titoli di Stato sul mercato secondario.

Lo ha fatto nell’ambito del Quantitative Easing, e lo ha continuato a fare, con gli acquisti mediante il Pepp (Pandemic emergency purchase programme).

Anche dall’andamento dello spread si può desumere che il debito di fatto è sterilizzato nel senso che quello in mano alle Banche centrali è già come se non esistesse.

Nel caso di Banca d’Italia, ad esempio, in chiusura di esercizio i relativi bassissimi interessi sui titoli sono girati,
per la quasi totalità, al ministero dell’Economia all’atto della distribuzione dei dividendi.

Come una partita di giro!

È forse questo il motivo per cui nessuno sta chiedendo di procedere alla complessa revisione dei trattati per anelare ad una cancellazione del debito pubblico.
 
Ahahahah ma è normale che chi non conosce, parli .........


Ora la paura di essere spazzati via fa rinsavire perfino Sassoli, ma , vedrete, non farà rinsavire i tedeschi.


Poi c’è chi proprio non capisce:





Rimangono tanti segreti nell’Economia e nella Scienza Umana, ma il primo, forse il più facile da risolvere, è questo:

come fa una persona che non capisce nulla di economia come Veronica De Romanis

ad insegnare Economia in una università statale? Probabilmente la pagheranno in Corralito….
 
Anche chi ha scritto l'articolo più sopra citato ne capisce poco, ma scrive.

“la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia (…) a istituzioni,

organi od organismi dell’Unione, alle Amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici”.


La cancellazione del debito non è una "forma di facilitazione creditizia". E' una cancellazione. Punto.
 
Coprifuoco nazionale e lockdown nelle zone rosse hanno messo in ginocchio la ristorazione.

Salgono infatti a circa 280 mila i bar, i ristoranti, le pizzerie e gli agriturismo chiusi
per un crollo del 48% dei consumi
fuori casa nel 2020 con una perdita di almeno 30 miliardi di fatturato.

A dare l’allarme è la Coldiretti, che esamina l’impatto delle restrizioni imposte dal governo giallofucsia contro il settore della ristorazione in chiave anti-contagio.


La pandemia ha messo in moto un terribile effetto a valanga sull’intera filiera
per il mancato acquisto di alimenti e vino, avverte la Coldiretti.

Al duro colpo subito con il primo lockdown nazionale, si somma la mazzata inferta con le chiusure a catena di ottobre e novembre,
messe in evidenza anche da Confcommercio, ma la situazione – sottolinea la Coldiretti – potrebbe peggiorare ancora,
nel caso in cui i vincoli al consumo fuori casa si dovessero estendere alle feste di fine anno, con Natale e Capodanno alle porte.

La serrata imposta dal governo giallofucsia infatti si estende a regioni dove è molto diffuso è il consumo alimentare fuori casa
e colpisce complessivamente oltre 3 locali su 4 (75%) di quelli esistenti in Italia compresi – evidenzia la Coldiretti – oltre 20 mila agriturismo.


Nelle regioni dove si registrano scenari di elevata o massima gravità – sottolinea la Coldiretti – sono sospese tutte le attività di ristorazione
e, quindi, anche la somministrazione di pasti e bevande da parte degli agriturismo.

Nelle zone critiche – continua l’associazione degli imprenditori agricoli – è consentita la sola consegna a domicilio,
nonché fino alle 22 la ristorazione con asporto
, con divieto di consumazione sul posto o nelle vicinanze dei locali,
come recita il Dpcm in vigore fino al 3 dicembre.

Ma limitazioni permangono anche nel resto del territorio nazionale dove – ricorda la Coldiretti – le attività di ristorazione
(bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) sono consentite solo dalle 5 alle 18,
con la possibilità sempre della consegna a domicilio, nonché fino alle ore 22 della ristorazione con asporto.


Gli effetti della chiusura delle attività di ristorazione – continua l’associazione dei coltivatori diretti –
si fanno sentire a cascata sull’intera filiera agroalimentare con disdette di ordini per le forniture di molti prodotti agroalimentari,
dal vino all’olio, dalla carne al pesce, dalla frutta alla verdura ma anche su salumi e formaggi di alta qualità
che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco.

In alcuni settori come quelli del pesce e del vino, la ristorazione – fa presente la Coldiretti –
rappresenta addirittura il principale canale di commercializzazione per fatturato.
 
«Non di solo Covid-19 si muore in Italia e nel mondo».


Le morti attribuite ufficialmente al coronavirus non sono dipese tutte dall’infezione.

«A mio avviso, e credo non solo mio, le morti sono da accreditare a una scarsa tenuta del sistema ospedaliero».

A dirlo non è qualche negazionista da corteo, ma uno dei più accreditati virologi a livello internazionale.
Parliamo di Giulio Tarro, che in una lunga intervista rilasciata ieri a Ciociariaoggi
ribalta completamente la narrazione filogovernativa del contagio andando a colpire
nervi già scoperti da altri esperti come Bassetti e Zangrillo.


Anche Tarro parla di «fobia, provocata da politica e media, di aver contratto il Covid-19»

che avrebbe creato una situazione ingestibile a livello delle strutture ospedaliere, letteralmente prese d’assalto in queste settimane.


Inoltre, «La presunta “alta mortalità”» riscontrata in queste settimane

«sarebbe dovuta non certo a un virus più cattivo, ma alla sottostima del numero dei contagiati».


Sì perché «i contagiati da Covid19 non sono quelli conteggiati, basandosi solo sui tamponi diagnostici effettuati dalle Regioni.

Le stime più attendibili prospettano, al pari delle periodiche epidemie influenzali, fino a 10 milioni di contagiati da Covid19, solo in Italia».


In questo momento, quindi, in Italia potrebbero esserci stastisticamente dieci milioni di positivi,

di cui la stragrande maggioranza asintomatici e ignari di essere stati contagiati.

E che stanno tutti benissimo, evidentemente.

Questo dato darebbe chiaramente una lettura diversa delle cifre di morti e ospedalizzati.



Non solo:

«In base ai primi dati dell’Istituto Superiore di Sanità di cartelle cliniche relative ad esami eseguiti su presunte vittime da Covid19,

abbiamo che in 909 casi, solo 19 sono da attribuirsi come causa diretta e reale al Sars-CoV2».


Il 2% dei deceduti sul totale dei presunti. «È la nota questione del decesso con Covid e decesso per Covid. I numeri sono errati».



Il virologo boccia anche il lockdown:

«Credo che nel tentativo di bloccare qualcosa di non gestibile si sia fatto peggio.


Le malattie infettive si sono, da sempre, combattute con l’isolamento dei “soli” soggetti infetti.


Soggetti che vanno identificati, isolati e curati tempestivamente, il più delle volte a casa,

evitando paure immotivate e lasciando lavorare gli ospedali».



Nell’affrontare il Covid19 si sono isolate, invece milioni di persone «non isolando de facto i soggetti infetti».



Se quanto fatto durante la prima ondata era errato, con la chiusura delle regioni

«Nuovamente stiamo sbagliando. Il sistema di monitoraggio si è dimostrato molto poco efficiente

e intensificarlo, come si sta facendo, ora che il virus dilaga serve a poco».



Poiché «Le abitazioni, gli ospedali ma soprattutto le Rsa si sono rilevate ambienti assai confortevoli per il virus»,

secondo Tarro «si è fatto il contrario di quello che andava realmente fatto."



"I protocolli? Eccessivi. Non ha senso fermare le attività commerciali.

Si è sempre detto di mettere in atto la ricetta israeliana di fare circolare il virus tra i giovani ed isolare anziani e malati».



Da sostenitore della teoria dell’immunità di gregge – con soluzioni protettive per anziani e immunodepressi –

l’esperto sostiene che «sia l’unica strada percorribile ora, così come all’inizio.

Andava potenziato il sistema sanitario e sicuramente il monitoraggio doveva essere più efficiente».




Strali anche contro la mascherina all’aperto, giudicata completamente inutile:

«La mascherina andrebbe usata solo quando non c’è la possibilità di osservare la distanza minima di un metro

e se ci si trova con persone non conosciute. Altrimenti non va usata, specialmente in luoghi all’aperto»

perché «non sono il massimo dell’igiene. Io starei attento nel loro uso, nel loro riuso e nel loro abuso».
 
Siamo stati colpiti da un video Facebook di Luigi Ugone, presidente dell’Associazione Noi Credevamo nella BPVI,
che denuncia come i mini rimborsi pari al 40% del 30% delle perdite subite ,
cioè il 12%, una vera miseria
, si è comunque interrotto dopo il pagamento di poche unità.


Si chiamano tutti gli ex soci ad attivarsi scrivendo al governo perchè , a quanto pare,
dopo aver erogato qualche mini rimborso, il FIR si è bloccato e non manda più niente!

Sottolineiamo che si tratta di cifre misere rispetto alle vere perdite subite:

il 12% e solo pe un determinata fascia di soci, gli altri nisba, e tutto questo nonostante Di Maio, di fronte a tutti i soci,
si fosse impegnato a rimborsi completi o quanto meno consistenti.


Però si sa: passata la festa, gabbato lo santo.


Questi soldi , pochi, troppo pochi, sarebbero anche importanti per far sopravvivere tante aziende e famiglie economicamente colpite dal Covid-19,
ma a Roma pare che non gli interessi.

Al MEF prendono comunque lo stipendio.
 
Fino a ieri sembravano solo minacce e strumenti di pressione, ma oggi è realtà.

Come comunicato ufficialmente dal portavoce del governo ungherese Ungheria e Polonia
pongono il veto al piano di debito collegato al Recovery Fund o Next Generation EU;
rendendo allo stato attuale il piaano irrealizzabile e portandosi con se un veto oggettivo all’intero bilancio UE.



Hungary has vetoed the budget, as PM Orbán warned, because we cannot support the plan in its present form to tie rule of law criteria to budget decisions – It runs contrary to the July Council conclusions. https://t.co/n0O2LtoLNv
— Zoltan Kovacs (@zoltanspox) November 16, 2020




Quello che leggete non è una persona qualsiasi, ma il portavoce ufficiale del governo ungherese.

Questo non è un avvertimento, ma la comunicazione di una decisione.


Il governo ungherese, come quello polacco non vuole che le decisioni legate al budget
siano collegate alla cosiddetta “Rule of law” un principio apparentemente di legalità,
che in realtà viene a collegare l’erogazione dei fondi ad una serie di valutazioni politiche effettuate da parte della Commissione.

Dato che i governi ungherese e polacco sono eletti in libere elezioni si tratta di un contrasto fra democrazia vera,
quella degli elettori e dei voti, e la finta democrazia delle posizioni dei nominati e dei protetti dai poteri non eletti,
proprio come quelli della Commissione.

Dove c’è libera votazione, li non c’è Commissione Europea.


Comunque a questo punto, con il rifiuto della mediazione tedesca, ungheresi e polacchi
mettono l’Europa davanti ad una scelta che per troppo tempo è stata rimandata:
è più importante il popolo che vota o la burocrazia che comanda?


Nel frattempo Gualtieri e la CGIL basano i propri piani di dominio mondiale sul Recovery Fund.


Chi gli dice qualcosa?
 
Incompetenti ? E' dire poco ......

Alla fine di gennaio, quando inizia a essere chiaro che le "polmoniti atipiche" registrate a Wuhan sono più gravi di quanto non si immaginasse,
il dossier finisce sulla scrivania del ministero della Salute.

Ed è da lì che escono le prime, caotiche circolari che dicono tutto e il contrario di tutto.

Speranza mette il suo vice, Pierpaolo Sileri, su un aereo e lo spedisce in Cina per gestire il rientro degli italiani bloccati a Wuhan.

Nonostante i primi passi falsi, la pratica rimane nelle sue mani anche quando a Roma vengono scoperti due turisti cinesi positivi.

Poi, però, qualcosa si inceppa.

Ancora prima che a Codogno venga scoperto il "paziente uno", come ricostruito nel Libro nero del coronavirus, il ministro finisce dietro le quinte.

Il 31 gennaio, dichiarando lo Stato di emergenza, il premier Giuseppe Conte decide di togliergli dalle mani il dossier e di affidarlo ad Angelo Borrelli.

Al capo della Protezione civile, sebbene del tutto inesperto in ambito medico e sanitario, vengono dati poteri speciali e diretti per gestire l'emergenza.

Difficile ipotizzare il motivo di questa scelta.

Secondo Sileri, Speranza non ha mai voluto fare il commissario. "Non è nel suo carattere...", ha rivelato il viceministro.

Sta di fatto che in quel momento il premier decide di affidare le sorti del Paese a una task force di tecnici
che aumenterà di giorno in giorno senza produrre mai risultati apprezzabili.


Andrea Crisanti, direttore del dipartimento di medicina molecolare dell'Università di Padova, ha individuato subito il nocciolo del problema.

"C'è un problema di Cts non tanto nella composizione, quanto nell'assenza. Possibile che non ci siano le migliori menti delle università italiane?".

Da quando Conte ha affidato la gestione dell'emergenza a Borrelli, abbiamo assistito a un imbarazzante e repentino moltiplicarsi di poltrone,
incarichi e deleghe che, come dicevamo, non ha portato a grandi risultati.

Nel giro di un paio di mesi accanto al capo della Protezione civile, chiamato a coordinarne e organizzarne il lavoro,
ecco spuntare fuori Domenico Arcuri, a cui viene affidato l'approvvigionamento delle forniture sanitarie.

Da subito soprannominato "mister Mascherina" per i pasticci inanellati, viene percepito come una sorta di anti Borrelli.

Una sorta di commissario del commissario.

Difficile capire il perché dello sdoppiamento delle figure.

Sta di fatto che al super commissario vengono affidati i dossier più spinosi:
dalle mascherine ai ventilatori, fino ai "banchi a rotelle" per riportare gli studenti in classe.

I risultati della sua gestione vengono bocciati ripetutamente, in più di un'occasione ne vengono chieste le dimissioni, ma Conte continua ad affidarsi a lui.

Tanto che Arcuri si troverà a dover gestire anche la pratica dei vaccini.


A luglio, per dare una "mano" di rosa alle innumerevoli task force che aveva creato, Conte aveva fatto un'infornata di donne.

Del tutto inutile.

Aldilà del rispetto delle "quote rosa", non è dato infatti sapere se queste nomine abbiano prodotto un risultato.

Ma non dobbiamo stupirci.

Non è certo l'unica trovata del governo a finire in un buco nell'acqua.

Che dire, per esempio, dei sessantaquattro esperti infilati nella task force tecnologica voluta dalla ministra all'Innovazione Paola Pisano?

E che dire di Vittorio Colao?

Quest'ultimo è stato chiamato a guidare la squadra che doveva accompagnare il Paese nella "fase 2" ponendo le basi per il rilancio del sistema economico.

Aldilà dei bonus e delle mancette non si è visto molto di più.

Tra le meteore, a cui il governo ha legato il proprio destino e il destino dell'Italia,
non possiamo non annoverare anche i tre commissari chiamati a gestire la sanità in Calabria.

Prima è toccato a Saverio Cotticelli che, in un'unica intervista alla trasmissione di Rai3 Titolo V,
ci ha svelato di non aver la benché minima idea del numero dei letti in terapia intensiva e di non sapere di essere il responsabile del "piano Covid" della regione.

Chiuso con lui, ecco subentrare per pochi giorni Guglielmo Zuccatelli, padre di una tesi alquanto insolita sull'inefficacia delle mascherine:
"Non servono a un cazzo, ve lo dico in inglese stretto. Sapete cosa serve? La distanza.
Perché per beccarti il virus, se io fossi positivo, dovresti baciarmi per 15 minuti con la lingua in bocca".

Dulcis in fundo, Speranza si affida a Gaudio (già indagato dalla procura di Catania) per uscire dal pantano.
Ma quest'ultimo li gela: "Mia moglie non ha intenzione di trasferirsi a Catanzaro".


Ultimo schiaffo al Paese che cerca di uscire dalla pandemia. Nonostante le task force.


Ed ora arriva Gino........quello che scava i pozzi.
 
Oh, è arrivato il fantavaccino,

anzi due

o forse anche tre,

avanti tutta, in fila indiana, buoni buoni, ben composti, braccia rigorosamente scoperte;

finirà una volta per tutte la narrazione del virus, divenuta ossessiva perfino stucchevole.

I "magici" professionisti, Super tecnici, Super Eroi, "tutti d'un pezzo", smetteranno di fare i presenzialisti ?

Si spera di sì.
 
"Considerando l'evoluzione della situazione epidemiologica in atto,
si è ritenuto che l'Associazione Emergency possa contribuire a rispondere ad urgenti esigenze di assistenza socio-sanitaria alla popolazione,
come la gestione di strutture ospedaliere campali o il supporto all'interno dei "Covid Hotel", nonchè nei punti di triage delle strutture ospedaliere"

ha commentato il Dipartimento della Protezione Civile in una nota.

E da domani, "l'associazione sarà attiva sul territorio".
 

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