Il Salafismo delle origini era un movimento profondamente e sinceramente religioso che si batteva per il recupero di un Islam puro, privo dei tradizionalismi religiosi che contraddistinguevano l’Islam ufficiale fino al XIX secolo. I primi salafiti propugnavano una Nahda, una rinascita culturale islamica, e proponevano una lettura ambivalente dell’Islam. Da un lato erano contrari a una sua lettura troppo tradizionalista, dall’altra criticavano alcune correnti sufi, i mistici dell’Islam sunnita che erano spesso considerati degli eretici a causa della loro lettura allegorica del Corano. I sufi valorizzavano principalmente il batin, il significato interiore del Corano, piuttosto che lo zahir, quello esteriore. Per i salafiti, questi mistici erano complici degli invasori occidentali che avevano colonizzato anche culturalmente l’Egitto, diffondendo nuovi usi e costumi.
Il significato del termine salafita è gradualmente cambiato e oggi è utilizzato per indicare coloro che vogliono implementare la sharia, la legge islamica, ritenendo corretta una lettura integrale e letterale del Corano e della sunna, l’insieme del comportamento e degli insegnamenti del Profeta Maometto. Per questo i salafiti dicono di essere i veri seguaci dell’Islam: perché emulano i primi pii musulmani, i salaf, professando la versione a loro avviso più autentica dell’Islam.
Rifiutando l’adesione a ciascuna delle quattro tradizionali scuole giuridiche – hanafita, hanbalita, malikita, shafiita – i salafiti sono stati influenzati dalla lettura di Muhammad Ibn Abd al-Wahhab, il severo sapiente islamico a cui si legò Muhammed Ibn Saud per dar vita al Regno dell’Arabia Saudita, a metà del XVIII secolo. Abd al-Wahhab è anche l’uomo attorno al quale è nato il wahabismo, un movimento islamista dogmatico prevalentemente saudita. Il movimento salafita si ispira infatti a sapienti radicali come Ibn Taymiyya, importante teologo siriano del XIII secolo e fervente sostenitore del jihad che divenne un simbolo per Abd al-Wahhab.