Breve riassunto, preso dalla cronaca di Andrea Priante sul nostro Corriere del Veneto:
«I sospetti iniziano il 3 dicembre 2015, quando compaiono alcuni nuovi messaggi sui profili WhatsApp utilizzati da una sessantina tra medici e infermieri del San Bortolo.
La chat, attiva da mesi, si chiama “Gli amici di Maria” e già da questo si intuisce la presa in giro: Maria è il secondo nome di Riboni.
A gettare il sasso è un’infermiera: “Come va la sfida grigi contro arancioni?”.
Si parla del diametro delle cannule per infusione venosa: grigio quella più sottile, arancio quella del diametro maggiore, e quindi potenzialmente più dolorosa per il paziente.
Il resto è cosa nota. Un infermiere rivendica: “Due arancio, uno grigio”. Un medico rilancia: “Infilato un arancio or ora”…». E così via… «Si fa anche un tabellone con il punteggio».
Dialoghi demenziali Informato dell’andazzo ai primi di gennaio del 2016, al ritorno dalla Sierra Leone dove aveva riaperto la sala operatoria dell’ospedale di Lunsar
(151 posti letto per mezzo milione di persone) chiuso l’anno prima a causa dell’epidemia di Ebola che aveva ucciso in poco tempo tredici medici e infermieri, Riboni resta basito.
Nero su bianco, ecco dialoghi demenziali: «Infermiere n.3 (tre faccine ridere fino alle lacrime)
“povero dottore... I pazienti saranno anche così sicuri a sapere che sei tu a fare il prelievo... Non sanno a cosa vanno incontro!!!” (due faccine lacrime di gioia)»...
Ma come, l’Africa è ancora angosciata dai focolai del virus letale e quelli lì (medici! infermieri!) si scambiavano messaggi WhatsApp su quella sfida con le faccine di emoticon?
Il primario avverte la direzione (sulle prime, pare, intenzionata a fare sfracelli) e convoca i protagonisti. I messaggi, poi pubblicati dal Giornale di Vicenza, appaiono inequivocabili.