Sembra scritta per speranza...

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Anche in questo articolo di Massimo Del Papa si nomina speranza...

Il popolo sovrano che non comanda niente non è attrezzato per capire gli intrighi di Palazzo, le falsità dei media, la nullità di chi lo schiavizza ma una cosa la intuisce precisamente: che si preparano tempi ancora più duri, più miserabili per lui. Così la rielezione di Mattarella, in fama di presidente di tutti, è stata accolta con ondate di depressione diffusa: allora è tutto finito, allora non ne usciremo più.

Mattarella essendo percepito, a ragione, come il garante di un regime che ha stritolato libertà e dignità del popolo sovrano. A esultare per la riconferma è stato, non a caso, uno dei suoi protetti, l’incredibile Speranza; un’altra è la Lamorgese che manda la polizia a pestare gli studenti se protestano per la morte di uno di loro nell’alternanza scuola-lavoro.

Mattarella resta dov’è, alla democristiana e non diciamo altro, ferocemente determinato a rimanere e per di più suggerendo l’impressione opposta, non volevo, mi ci avete costretto. Tutto secondo una tempistica perfetta, chi l’ha detto che in Italia le cose non funzionano? Quelle che si vuole far marciare, vanno con una precisione atomica.

Lo spoglio alle 19,30, nel tripudio di un servilismo che ha travolto tutti i precedenti record – nella diretta della capa del Tg1 Monica Maggioni è stato definito un Messia, un martire, una figura mitica, testuale, uno che ha cominciato a far politica, senza alcuna voglia, proiettato nell’agone dall’omicidio del fratello. Toni pazzeschi, umilianti in chi li proferiva, per una farsa elettorale.

Alle 20 in punto l’incoronazione, in pieno prime time. Giusto il tempo di smaltire l’orgia di entusiasmo del potere, che si sfogherà subito nella nuova ondata di repressione sanitaria in contemporanea col Festival di Sanremo, kermesse inutile, patetica, che di musicale non ha niente, un museo delle cere di cantanti già superata 50 anni fa, e diciamo proprio mezzo secolo fa, insieme alle novelle figurine da social, da Spotify, dalla durata programmata.

Per una settimana si parlerà solo di questo nulla avvolto nel niente, il Palazzo potrà prendere fiato; poi si tornerà agli allarmi isterici, ai catastrofismi strumentali, alle menzogne di regime, ai “dati grezzi” per dire numeri falsati, nella rassicurante latitanza del nuovo vecchio Presidente, che come sempre non farà una piega: è stato tenuto lì dov’è per questo, pur che il Carrozzone vada avanti da sé.

Ma difficilmente potrà. Il Carrozzone ha le ruote spaccate, i mozzi logori, le stanghe consunte. Draghi è il grande sconfitto, la sua immagine travolta, la sua autorevolezza evaporata; restano i fallimenti, le macerie che si accumulano e che lui non ha nessuna voglia di spalare. Restano gli errori, le bugie, la conduzione di un Paese portato inutilmente, ma forse non inconsapevolmente, a rovina, sull’esempio greco e peggio. Resta un Parlamento di miserabili, una classe politica infame nel suo insieme, dove pochissimi o nessuno si salva. I cosiddetti leader sono parsi una manica di ubriachi, di incapaci ciascuno a casa sua: hanno voglia a fare la faccia sorridente dei vincitori: con che coraggio si ripresenteranno ad elezioni forse più vicine di quanto non si pensi?

Il popolo sovrano solo nell’obbedienza non lo sa, ma deve prenderne nota: mai più votare alcuno di questi pagliacci, mai più fidarsi di una sola parola. E mai dimenticare: questi carnefici meritano la damnatio memoriae, l’infamia perpetua. La tabula rasa deve cominciare da qui, la palingenesi può partire da qui: da un inesorabile atteggiamento di ripulsa, totale, senza sconti, senza eccezioni; e, a dirla tutta, senza neppure troppo rispetto per le facce che incarnano, indegnamente, le istituzioni.

Quella della rielezione di Mattarella è stata la pagina più invereconda, più squallida, più grottesca nella intera storia repubblicana. Mai avevamo assistito a tanta miseria, politica e umana. Mai, neppure durante la torbida e lugubre stagione degli anni di piombo. Nessuno merita fiducia residua. Nessuno ha titolo per restare dove è stato finora, a lucrare stipendi, privilegi e pensioni sul cadavere di un popolo sovrano solo nell’incazzatura.

Basta calcoli, prostituzioni, se io ti voto tu cosa mi dai? Basta, non c’è più margine, non c’è più niente. Solo un futuro nerissimo all’orizzonte, che si può spazzare via semplicemente non eseguendo più. L’emergenza è finita, lo dicono i medici, lo dice la scienza in tutto il mondo; la pandemia è stemperata in epidemia e lieve epidemia, lo stato concentrazionario è servito al regime per blindarsi, adesso non lo nasconde più nessuno. Neanche il regime.

Ora basta. Bisogna far passare agli Speranza la voglia di esultare, ai Sileri quella di minacciare e per questo è sufficiente ignorarli, fare l’opposto, non fidarsi, non credere. “Grazie, no”. In Canada cinquantamila autotrasportatori furibondi hanno fatto scappare il presidente fru fru, ovunque hanno fatto rimangiare al potere i suoi deliri di onnipotenza. In Italia abbiamo un museo cereo che non è più una democrazia, non è più uno stato. È un regime che piega in dittatura. Che aspettiamo ancora? Che abbiamo da perdere più oltre le catene? Un altro Festival di mummie?
 

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