Shanghai

Su tassi e mercati la Fed ci fa guardare il quadro. Ma il killer è nello specchio

Di Mauro Bottarelli , il 27 agosto 2015 - 2 commenti



Giornata interessante, quella di ieri. Mentre in Cina un giornalista e un grande banchiere di investimento venivano arrestati, rispettivamente per “diffusione di false informazioni sul trading” e “trading illegale”, alla vigilia del meeting di Jackson Hole di questo fine settimana, William C. Dudley, capo della Fed di New York, svelava il bluff: “La possibilità di un aumento a settembre è meno impellente, i dati Usa sono buoni ma non si possono guardare solo gli indicatori domestici. Spero che potremo alzare i tassi entro la fine dell’anno”. Et voilà, ciò che serviva ai mercati è servito. Certo, sempre Dudley ha poi dichiarato che “siamo ben distanti da un nuovo QE” ma dire così presuppone dare una chance all’ipotesi, fino a ieri ritenuta lunare a livello ufficiale. Quanto lontani, un altro 5% di correzione? Magari un 10%? Nel frattempo, sulla scia delle parole di Dudley, ieri Wall Street ha chiuso addirittura in orbita, con il Dow Jones che ha segnato il terzo rialzo giornaliero maggiore della sua storia. Solamente un caso, ovviamente.
Già, perché qualche dubbio sorge. Ricordate quando due mesi fa vi davo conto del fatto che, come mostrava questo grafico,

la cosiddetta “smart money” stesse abbandonando la barca equity, visto che Bank of America comunicava come i suoi clienti fossero stati venditori netti di titoli Usa per un ammontare i 4,1 miliardi di dollari, dopo quattro settimane di acquisti netti, il numero di vendite più alto dal gennaio 2008. A guidare il dumping, i clienti istituzionali, il cui numero di vendite era stato il maggiore nella storia di Bank of America.
Questo grafico,

ci mostra quale fu la conseguenza, ovvero la divergenza tra flusso di “smart money” e indice Standard&Poor’s 500 aveva raggiunto proporzioni mai viste. Peccato che lunedì sia accaduto qualcosa: ovvero, la prima e unica grande correzione di mercato da anni, il maggior aumento settimanale del VIX di sempre, il secondo market crash della storia, nonché la maggior inversione ribassista intraday dai tempi di Lehman brothers, tutto in un giorno. Risultato?

Questo. Ovvero l’S&P’s 500 ha riabbracciato il flusso di “smart money”
Insomma, già da qualche mese quell’indicatore ci diceva che i problemi erano davanti a noi ma nessuno è sembrato interessato, tanto più che a inizio agosto anche la cosiddetta “dumb money” presente tra la clientela di Bank of America aveva scaricato di corsa.
Buon per loro.
E ancora meglio per chi, venerdì scorso, si è casualmente messo a comprare calls VIX Settembre a 10 centesimi, visto nel bel mezzo del crash di lunedì quelle stesse opzioni valevano 2,50 dollari, un return intraday del 2400%!
Non male, proprio niente male.
Certo, come si sia potuti passare da VIX a 11 dieci giorni fa a VIX “la fine del mondo è vicina” lo scorso weekend, resta un mistero ma bravo chi ha comprato.

Il fatto è che qui stiamo giocando con gli specchi, ovvero grazie all’alibi cinese (per carità, un problema serio e reale ma la crisi della cosiddetta ripresa Usa nasce prima e da altro) ci fanno vedere che la crisi nell’azionario è stata inaspettata e drastica, quindi che i “tail risks” esistono davvero.

Peccato che come in “Profondo rosso”, occorre guardare bene i quadri e saperli distinguere dagli specchi, dove potrebbe celarsi il volto dell’assassino. In parole povere e come ci confermano le parole di Dudley, i mercati devono abbeverarsi alla fonte della crisi azionaria innescata dal caso cinese, non devono guardare alla realtà, ovvero ai dati recessivi dell’America macro. D’altronde, il 19 agosto scorso, Janet Yellen pronunciò le seguenti parole: “Ricordate, i mercati rialzisti non finiscono perché la Banca centrale comincia ad alzare i tassi, finiscono quando smette di alzare i tassi”.
O forse, come ci mostra questo grafico,

finiscono quando spariscono gli unicorni e il mondo realizza che finora ha campato soltanto di fumo. Finiscono quando, come ci mostrano questi grafici,


ci si rende conto che i Capital Goods esclusa la difesa sono fissi, immobili in territorio recessivo
e che il Core Capex è in calo su base annua da sei mesi di fila!

Certo, alla Fed hanno sempre pronta la scusa dell’aggiustamento stagionale, visto che luglio è stato il mese più caldo dal 1880 ma non si può truccare i conti per sempre.E che l’America, prima o poi, dovrà fare i conti con la realtà ce lo dimostra l’attività dell’industria chimica, il cui rallentamento non è affatto un buon segnale per la produzione industriale futura degli Usa, già in panne visto che è salita dell’1,3% nei dodici mesi terminati lo scorso luglio, in netto calo dal +4,5% di inizio anno. Questo grafico,

ci mostra una cosa importante, ovvero che il Chemical Activity Barometer (CAB),
i cui indicatori includono produzione, scorte e prezzi di vendita di numerose sostanze chimiche oltre che ai prezzi dei titoli azionari del comparto,
è salito dell’1,8% ad agosto su base annua, il tasso più lento dal 2012. Storicamente, negli Usa un calo nella domanda del comparto chimico ha sempre anticipato cali nella produzione industriale. In questo caso, parzialmente riflette anche il dollaro forte e la debole crescita estera. E visto che il 95% dei beni manifatturieri sono ottenuti da elementi chimici, con 801 miliardi di vendite annuali nel 2014 il comparto è essenziale per le linee di assemblaggio Usa: quindi, attendiamoci un ulteriore rallentamento del settore manifatturiero. C

hissà come farà la Fed a fare in modo che il mondo continui a guardare il
quadro dell’America in ripresa, invece dello specchio che riflette la realtà?
Mauro Bottarelli,
http://www.rischiocalcolato.it/2015...quadro-ma-il-killer-e-nello-specchio.htmlSono
 
credo che gli usa di oggi sono piu' interessati alla domanda in cina di beni
un po come l'italia molto piu' interessata ai clandestini come potenziali nuovi consumatori anziché agli italiani troppo orientati al risparmio in un mondo dove ormai si vive di debito
 
Ultima modifica:
La paura ci fa chiedere alla Cina l’opposto di quel che serve




Eh sì....
ho sempre sospettato che essere "economisti"
soprattutto se ideologizzati, della cricca universitaria e/o a libro paga di qualche Banca/Banca Centrale...
sia (contro intuitivamente per i più) un vero&proprio impedimento a capirci qualcosa di economia/finanza
settore nel quale conta soprattutto una visione pragmatica e non da teorici integralisti curva nord vs. curva sud.
Dimostrazione ne sia questo pezzo magistrale di Oscar Giannino (alla faccia di lauree e master in economia).....

Prima solo qualche breve aggiornamento dalla bisca finanziaria globale ai tempi della più Grande Bolla (QE+ZIRP) della Storia...
Shanghai -28% in 8 sedute e +10% in due sedute...
Dow Jones -1000pt nella preapertura del lunedì nero (24 agosto) +1000pt nelle ultime due sedute
Petrolio -50% in un annetto, +10% solo nella seduta di ieri
Ce ne sarebbero molte altre (per es. sui cambi) ma mi fermo qui.
Buon trading a tutti!
(che ormai in confronto investire in "economia reale" è solo una perdita di tempo...).

La paura ci fa chiedere alla Cina l’opposto di quel che serve
di Oscar Giannino
Travolto dalla paura di una crisi finanziaria peggiore di quella del 2008, l’Occidente chiede ai regolatori pubblici della Cina di tagliare i tassi, comprare titoli coi soldi pubblici, pompare liquidità alle banche, fare qualunque cosa purché la caduta di Shanghai s’interrompa e non si trasmetta alle piazze mondiali.
E’ quel che la banca centrale cinese ha fatto: ha tagliato i tassi per la quinta volta dal novembre scorso e per la settima volta da metà 2012, di 25 punti base sui depositi in modo che il valore degli asset finanziari indirettamente si apprezzasse;
ha ridotto la riserva che le banche cinesi sono obbligate a detenere presso la banca centrale, in modo che la liquidità complessiva di sistema aumenti; ha venduto dollari per una ventina di miliardi e comprato yuan, per evitare pressioni ribassiste sulla moneta.
E le borse occidentali sono ri-schizzate verso l’alto.
La domanda è: questa è la strada giusta?
E’ figlia delle dure lezioni accumulate dal 2008 in avanti?
O è pura disperazione?
Per rispondere a queste domande, bisogna dichiarare coma la si pensa.
Diffidare di chi in economia spaccia verità assiomatiche.
Può avere cattedre e Nobel, ma tra i Nobel Krugman e Stiglitz la pensano all’opposto rispetto a Robert Lucas o Edmund Phelps, e non parliamo poi degli anni luce che li separano da Friedman o Hayek.
Ergo dichiariamo le premesse in base alle quali le mosse della banca centrale cinese appaiono più figlie della disperazione che della lezione sin qui appresa.
La lunghissima serie positiva della Borsa americana.......................................
.


che esplose con il default di Lehman è stata figlia di troppi anni di politiche monetarie accomodanti della FED di Greenspan, dopo la crisi asiatica di fine anni Novanta e quella delle Dot.Com a inizio anni Duemila.
L’oceano di liquidità monetaria figlia di politiche monetarie troppo lasche gonfia le bolle finanziarie e immobiliari, perché con le borse che guadagnano a ritmi imparagonabili ai rendimenti del capitale nell’economia reale, è ovvio che il denaro poco caro prenda sempre più la via della finanza facile.
Alla crisi, non si è risposto affatto allo stesso modo dovunque, come ripetono in molti.
E’ di gran moda, e piace molto a keynesiani e statalisti, dire che la risposta è stata quella di politiche monetarie ancor più accomodanti, a tassi praticamente negativi, e di acquisto massiccio di asset finanziari da parte delle banche centrali, il cosiddetto quantitative easing effettuato dalla Fed in tre lunghe fasi (oggi siamo alla fine della terza, sempre più ridotta, e il mondo attende che la FED alzi i tassi).
Questa è stata per così dire la condizione di emergenza garantita da una politica monetaria che, di fronte a una crisi americana cioè mondiale, si è inoltrata in acque sino allora ignote.
Ma sotto questa cornice – a cui si è aggiunto molto dopo il QE della BCE, dall’inizio di quest’anno a settembre del 2016, volto a sostenere più che altro i titoli pubblici abbassandone l’onere, mentre i governi dovrebbero fare riforme per ridare equilibrio alle loro finanze pubbliche– in realtà ciascuno si è comportato in modo diverso, per affrontare i guai reali, cioè l’esistenza di debiti non sostenibili.
Gli USA hanno salvato alcuni giganti finanziari coi solidi pubblici, per vederseli poi in larga parte restituire, e hanno fatto la stessa cosa con due giganti dell’auto, GM e Chrysler, ma nel frattempo hanno fatto fallire centinaia di banche minori, addossandone le perdite ad azionisti e obbligazionisti.
Il Regno Unito ha fatto la stessa cosa degli Usa con alcuni grandi banche, ma non con le imprese. In Europa sulle banche ciascuno si è comportato a modo suo, ma qui la parola d’ordine è “nessun fallimento” – vedi il caso MPS – e solo ora faticosamente siamo ai primi passi di una vera Unione bancaria.
Altri paesi, come l Svezia in crisi negli anni Novanta, hanno concentrato in mano pubblica debiti insostenibili da gestire, per attenuarne l’effetto sull’economia reale.
Altri, come il Giappone, da 20 anni tengono i tassi bassissimi e sostengono pubblicamente in tutti i modi l’economia, ma non separando debiti buoni dai debiti cattivi anche l’attuale premer Abe si trova nei guai dopo 2 decenni di crescita asfittica.
Mettiamola così.
Per chi è scettico sul fatto che banche centrali e finanza pubblica possano evitare che i mercati abbassino i prezzi per far svaporare le bolle, e per tornare finalmente a far orientare i capitali verso l’economia reale, le risposte alle mega crisi finanziarie possono avere al massimo come risposta immediata politiche monetarie interventiste.
Ma l’essenziale è metter rapidamente mano a riforme profonde, lasciando ai mercati il diritto-dovere di fare i prezzi.
Per tornare il più rapidamente possibile a politiche monetarie meno discrezionali possibili: l’esatto opposto di quel che oggi s’invoca dai banchieri centrali.
Anche perché altrimenti più durano le politiche monetarie lasche, meno i governi riformano, e più la liquidità torna a gonfiare nuove bolle.
Questa è la ragione per cui negli USA i Krugman sono perché la FED non rialzi i tassi, e per cui in Europa gli statalisti contano sul fatto che il QE di Draghi duri in eterno, invece di pensare a unificare davvero i mercati del lavoro, dei beni e dei servizi europei in nome di una maggiore produttività.
Torniamo alla Cina.
Il partito comunista cinese guidato da Xi Jinping nel suo ultimo congresso ha indicato la strada di aprire l’economia cinese a forme sempre più vicine al mercato.
Chi ieri ha brindato all’intervento della banca centrale cinese preferisce forse dimenticare che gli squilibri di cui vive la bolla finanziaria e immobiliare cinese sono tutti figli dell’eccesso d’interventismo pubblico, non del suo contrario.
Da anni e anni la banca centrale cinese aumenta l’offerta monetaria tra i 3 e i 5 punti più di quanto non cresca nelle inattendibili statistiche ufficiali il PIL. Da decenni, l’economia è cresciuta investimenti pubblico che erano quasi la metà del PIL, e la montagna d’investimenti pubblici senza rendimento economico ha generato sovraccapacità gigantesca.
Fino all’altro ieri l’Occidente ha chiesto alla Cina di lasciare lo yuan libero di fluttuare sul mercato invece che regolato nel cambio dalla banca centrale.
Di dissodare le banche pubbliche i cui libri sono pieni di asset ipervalutati e in realtà oggi senza prezzo, a cominciare dall’immobiliare.
Di chiudere gradualmente il marginal lending, e cioè che società finanziarie non soggette ad alcuna valutazione spingessero oltre centomila cinesi senza risparmi a credere freneticamente nella Borsa anticipando loro i liquidi per investirvi (tutta gente che oggi rischia ovviamente il disastro).
Che senso può avere oggi chiedere alla Cina l’esatto opposto, e cioè che Stato e banca centrale continuino a pompare soldi pubblici?
Direte voi: problemi loro, l’essenziale è che non diffondano crisi e instabilità nei mercati di tutto il mondo.
Risposta sbagliata. Perché l’economia reale si prende le sue rivincite.
Se la banca centrale cinese ha aspettato, prima di assumere le decisioni di ieri, è perché sa per prima che intervenire l’avrebbe costretta a dei controsensi.
Quando si svaluta una moneta è perché i flussi di capitale escono dal paese, e di conseguenza per contenere il fenomeno occorre alzare i tassi e non abbassarli, come l’Occidente ieri ha invece caldamente spinto la Cina a fare.
Se l’obiettivo è di pompare più liquidità attraverso le banche – e a questo serve abbassare la riserva obbligatoria – è un controsenso comprare al contempo yuan, perché significa diminuire la liquidità che si vorrebbe crescesse.
In più, da quel che sappiamo la banca centrale cinese non è proprio l’esempio di un istituto liberista: detiene già asset nei suoi libri pari al 60% del valore del Pil cinese. Il doppio, in percentuale, di quanto abbia la Fed rispetto al PIL USA, dopo tre lunghe fasi di quantitative easing.
In conclusione: no, la riposta di ieri cinese non è quella più adeguata alle ormai gravi contraddizioni dell’economia cinese, è solo un pezza a colori.
Chiesta dall’Occidente per bloccare la paura. Sarebbe meglio – e molto più stabilizzante per i mercati mondiali – che l’Occidente offrisse alla Cina una finestra spalancata per fare dello yuan una valuta di riserva visto il peso che la Cina ha nel mondo, a patto di sapere entro quanto verrà lasciato al prezzo di mercato, perché ciò consentirebbe a Pechino di contare sugli acquisti di molte altre banche centrali.
Chiedendo alla Cina nel frattempo di fare in grande scala quanto fece la Svezia negli anni Novanta, cioè avviare un enorme processo di scouting sui troppi debiti insostenibili e sui troppi asset dichiarati a un valore che non esiste.
Che lo Stato cinese si concentri su quello, mentre attua una vera vigilanza sulle sue banche e chiude nel tempo alla possibilità che oltre un terzo della sua intermediazione finanziaria sia operata da chi non è soggetto ad alcuna regolazione.
Un enorme programma pluriennale cinese di stabilità e pulizia finanziaria, da assumere come priorità internazionalmente condivisa perché la Cina resti una locomotiva mondiale, continui ad assorbire sempre più esportazioni mondiali ad alto valore aggiunto per le sue centinaia di milioni di nuovi consumatori, e dipenda sempre meno da un proprio export forte per un basso costo della manodopera destinato comunque ad alzarsi.
In larghissima misura, è il compito del nuovo presidente degli Stati Uniti che succederà ad Obama, sempre che sia interessato a un mondo stabile.
L’Europa ha giù i suoi enormi guai da risolvere. Al massimo possiamo essere una media potenza cooperante.
Ma dovremmo per primi chiedere all’America in questi giorni di non commettere l’errore di chiedere ai cinesi solo misure figlie della disperazione a breve termine.
. .
 
l'economia cinese con le pezze? ma de che!!!

ma lo sapete che in 10 anni in asia hanno corso almeno 10 volte di piu' rispetto all'occidente? e non solo come "economia" ma come capacita' e potenziale

sapete che differenza c'e' fra la mentalita' occidentale e orientale? in oriente si stima il piu' intelligente, il piu' bravo e capace in occidente si stima il piu' fasullo, il piu' bugiardo e anche il piu' cretino basta che ci sono soldi a tenerlo a galla e purtroppo i soldi arrivano dalle tasse per tenere a galla una marea di "cretini"

risultato? fatevi un giro in una qualsiasi citta' asiatica e uno a Roma

e poi quello sopra che dice che l'europa e' una media potenza si capisce che non capisce una cippa!!
 
Ultima modifica:
Ottimo ZeroHedge che si è inventato questo:
20150828_res_0.jpg

Una correlazione grafica fra i tassi del decennale USA (invertiti) e la quantità di riserve di Cina e Arabia Saudita (io aggiungerei Russia e Norvegia).
Questo è esattamente l’elefante nella stanza.
Ovvero a chi pensiamo di vendere il nostro debito pubblico e privato senza il supporto dei paesi emergenti.
Popcorn a vagonate per tutti. Questa volta è davvero diverso, cioè è molto ma molto peggio del 2008.
 
il LIBERO MERCATO liberista domina anche in Cina

Se prima poteva essere solo una forte ipotesi, adesso è una certezza assoluta: la Cina darà fuoco alle polveri.

La terra dei capitalisti rossi sta per sfornare un nuovo prodotto finanziario alla cui base c’è la cartolarizzazione di titoli facenti riferimento al cosiddetto margin debt.

I primi a venire spennati in un panico azionario sono coloro che si sono uniti per ultimi alla festa e di solito fanno uso di margin account per entrare nel casinò azionario. Con la convinzione che il mercato azionario salirà sempre più su, non si preoccupano del guaio in cui si stanno cacciando, sottoscrivendo un finanziamento che è equivale a raccogliere monetine davanti un rullo compressore che infine schiaccerà coloro che si trovano sulla sua traiettoria.

Prima la PBOC ha permesso ai governi locali di emettere bond municipali da scambiare con denaro fresco di stampa in modo da allegerire la loro posizione finanziaria costellata da miriadi di passività off-budget.

E ora le banche commerciali potranno finanziarsi vendendo questi tipi di ABS, o ponendoli come garanzia a fronte di nuove iniezioni di liquidità. E indovinate un po’? Sono titoli classificati come AAA!!!


Ma il collasso del margin debt, significa anche il collasso del settore bancario ombra della Cina. Se poi consideriamo la possibilità di vendere tali titoli in giro per il mondo, la fame di rendimenti odierna dovuta alla ZIRP delle varie banche centrali e l’interconnessione globale del sistema bancario, è giunto il momento che scaldiate i popcorn.
Ma questo non è un problema solo cinese, l’altra parte della storia ci conferma per l’ennesima volta (come ho ripetuto spesso) che saranno i default a catena delle aziende sostenute dal credito facile a rappresentare l’origine di una bancarotta disordinata delle maggiori nazioni occidentali.
I cambiamenti avvengono sempre al margine, così come le bancarotte. L’inflazione monetaria dà, l’inflazione monetaria toglie.

Ma quando qualcosa non può più andare avanti, si ferma. Soprattutto l’attuale sistema finanziario zombificato.
___________________________________________________________________________________
di Bill Bonner
I titoli dei giornali parlano solo di storie comuni – narrazioni semplici che anche gli elettori possono capire.
La storia nascosta – la vera storia – è che questi sono tutti scontri, battaglie e scaramucce nella Grande Guerra degli Zombie.

Da un lato: lavoratori onesti, imprese, imprenditori e famiglie.
Dall’altro: ingegneri finanziari, ficcanaso, ladri, fannulloni e criminali.


È davvero così facile da capire? Probabilmente no, ma ci aiuta a mettere le cose in prospettiva.


Prendete in considerazione la proposta di un salario minimo più alto. Il Financial Times (l’equivalente britannico del Wall Street Journal) di solito si sbaglia su tutto, ma oggi fa eccezione: “Politicians cannot ‘magic up’ a national pay boost.”
Dalla notte dei tempi fino al momento in cui state leggendo questo articolo, i politici non hanno mai aggiunto un solo centesimo alla ricchezza del mondo.
Possono spostarla. Possono sopprimerla. Possono rubarla e distruggerla. Ma se ptessero creare ricchezza per decreto, l’avrebbero già fatto molto tempo fa.


Tutto ha un prezzo… e un valore. È possibile cambiare il prezzo approvando una legge, ma non si può cambiare il valore. E quando il prezzo viene disallineato dal valore, si creano distorsioni, carenze, o accaparramenti.


Perché, dunque, un salario minimo rappresenta la “legge della terra” non solo in Gran Bretagna, ma anche negli Stati Uniti e in molte altre nazioni sviluppate?


Perché i media ci raccontano la storia che i politici sono qui per proteggere i lavoratori dai datori di lavoro avidi. Ma, in realtà, ciò aiuta solo i politici a tenere in riga le masse.
La spinta del governo britannico per un salario minimo più alto è solo l’ennesimo fronte nella Grande Guerra degli Zombie.


In Cina gli zombie al potere stanno cercando disperatamente di sostenere un’economia stordita dal debito, manomettendo il mercato azionario con il denaro preso in prestito e con promesse vuote.
Secondo Anne Stevenson-Yang, una dei maggiori esperti della Cina e direttrice di J. Capital Research, il debito pubblico cinese è al 300% del PIL.
Il tasso d’interesse medio sul debito cinese è di circa il 7%. L’economia dovrebbe, quindi, crescere in termini reali tra il 14% e il 21% affinché il debito pubblico possa essere ripagato.
Ufficialmente l’economia cinese sta crescendo a circa il 7% annuo. Secondo le previsioni economiche di Lombard Research, la crescita media del PIL è stata di circa il 4.5% al netto dell’inflazione.
E sempre secondo i calcoli di Lombard, durante i primi tre mesi di quest’anno l’economia cinese ha sperimentato il suo primo trimestre di crescita economica negativa dal 2009.

Ma questo non ha fermato la Cina dall’ingozzarsi di debito. Gli investitori cinesi possono impegnare le loro case come garanzia per prestiti da usare nel mercato azionario[come succede in Occidente].
Perché per Pechino è così importante mantenere alti i prezzi delle azioni?
Poiché i prezzi degli asset sono la garanzia a sostegno dell’intera struttura del capitale. Il credito degli zombie dipende da questo.

Anche in Grecia il governo Tsipras cerca di far scorrere il credito.
La Grecia è già così profondamente in debito che i suoi creditori minacciano di tagliarle qualsiasi ulteriore finanziamento d’emergenza.
Perché Atene è così desiderosa d’accendere più prestiti?
Perché questo è l’unico modo per mantenere gli zombie a libro paga dello stato.



[*]
traduzione di Francesco Simoncelli: Francesco Simoncelli's Freedonia
 
Shanghai ha chiuso debole a -0,2%, ma nonostante il tracollo di circa 40 punti percentuali dai massimi di giugno, le azioni sul mercato continentale trattano ancora al doppio del prezzo rispetto ad Hong Kong. Non sono bastati i deflussi per 4.900 miliardi di dollari dal mercato di Shanghai per colmare la differenza e il premio rispetto alla regione speciale è del 115%. La Borsa di Tokyo ha chiuso in leggero calo in una seduta dai volumi sostenuti che ha seguito l'andamento del mercato valutario. Alla fine il Nikkei ha perso lo 0,39%.


Borse, Ue e Usa provano il rimbalzo. Asia incerta con Shanghai - Repubblica.it
 
Cina: tonfo di riserve. E Pechino ammette: "Borsa era in bolla"

Stampa Invia Commenta (1) di: WSI | Pubblicato il 07 settembre 2015| Ora 10:58


inCondividi4​


Ma la manipolazione continuerà: piano per bloccare il trading di titoli colpiti dai sell off. GRAFICO.
Ingrandisci la foto
La performance delle riserve valutarie straniere presso la banca centrale della Cina. Calo mensile record ad agosto per sostenere lo yuan.



ROMA (WSI) - Nel tentare di apprezzare il valore dello yuan dopo la serie di maxi svalutazioni iniziata lo scorso 11 agosto, la Cina ha visto crollare le riserve valutarie straniere di un ammontare equivalente a $93 miliardi, lo scorso mese. Si tratta di una flessione record su base mensile, provocata anche dal disperato tentativo delle autorità di arginare la fuga di capitali.

Alla fine di agosto le riserve valutarie straniere si sono attestate a $3.560 miliardi.

Pechino ha deprezzato lo yuan da 6,2 nei confronti del dollaro fino a 6,4, agli inizi dello scorso mese. Successivamente il rapporto di cambio si è stabilizzato, e anche rafforzato. Ma a un costo, dal momento che, al fine di risollevare il valore dello yuan, le autorità hanno dovuto vendere massicce quantità di dollari.

Intanto la Cina ha ammesso l'esistenza di una bolla sull'azionario. La China Securities Regulatory Commission ha dichiarato che "il rialzo del mercato azionario è stato troppo repentino e ampio, formando bolle di mercato". Di conseguenza, "inevitabili sono stati i successivi crolli e le fasi di aggiustamento". Tuttavia, "al momento, i rischi di mercato e le bolle si sono smorzati".

La Commissione ha reso noto che il price to earnings (P/E) dell'indice Shanghai Composite è sceso da 25 della metà di giugno a 15,6.

Il P/E dello Shenzhen Component Index è calato da 70,1 a 37,3,
mentre quello del Nasdac cinese, il ChiNext Index, è crollato da 134,5 a 63,6.

Da segnalare che l'indice Shanghai Composite Index è balzato +154% dal luglio del 2014 fino a 5.178 punti dello scorso 12 giugno, 2015, per poi crollare -38% fino a mercoledì scorso.

Tuttavia, nonostante l'ammissione, la Cina continua a manipolare il mercato, tanto che l'agenzia di stampa Xinhua ha reso noto, citando una fonte anonima della Commissione di Borsa (appunto la China Securities Regulatory Commission), l'intenzione di fermare il trading dei titoli azionari per un periodo di tempo non specificato, in caso di forte crollo. (Lna)

Cina: tonfo di riserve. E Pechino ammette: Borsa era in bolla
 

Users who are viewing this thread

Back
Alto