tontolina
Forumer storico
Su tassi e mercati la Fed ci fa guardare il quadro. Ma il killer è nello specchio
Di Mauro Bottarelli , il 27 agosto 2015 - 2 commenti

Giornata interessante, quella di ieri. Mentre in Cina un giornalista e un grande banchiere di investimento venivano arrestati, rispettivamente per “diffusione di false informazioni sul trading” e “trading illegale”, alla vigilia del meeting di Jackson Hole di questo fine settimana, William C. Dudley, capo della Fed di New York, svelava il bluff: “La possibilità di un aumento a settembre è meno impellente, i dati Usa sono buoni ma non si possono guardare solo gli indicatori domestici. Spero che potremo alzare i tassi entro la fine dell’anno”. Et voilà, ciò che serviva ai mercati è servito. Certo, sempre Dudley ha poi dichiarato che “siamo ben distanti da un nuovo QE” ma dire così presuppone dare una chance all’ipotesi, fino a ieri ritenuta lunare a livello ufficiale. Quanto lontani, un altro 5% di correzione? Magari un 10%? Nel frattempo, sulla scia delle parole di Dudley, ieri Wall Street ha chiuso addirittura in orbita, con il Dow Jones che ha segnato il terzo rialzo giornaliero maggiore della sua storia. Solamente un caso, ovviamente.
Già, perché qualche dubbio sorge. Ricordate quando due mesi fa vi davo conto del fatto che, come mostrava questo grafico,

la cosiddetta “smart money” stesse abbandonando la barca equity, visto che Bank of America comunicava come i suoi clienti fossero stati venditori netti di titoli Usa per un ammontare i 4,1 miliardi di dollari, dopo quattro settimane di acquisti netti, il numero di vendite più alto dal gennaio 2008. A guidare il dumping, i clienti istituzionali, il cui numero di vendite era stato il maggiore nella storia di Bank of America.
Questo grafico,

ci mostra quale fu la conseguenza, ovvero la divergenza tra flusso di “smart money” e indice Standard&Poor’s 500 aveva raggiunto proporzioni mai viste. Peccato che lunedì sia accaduto qualcosa: ovvero, la prima e unica grande correzione di mercato da anni, il maggior aumento settimanale del VIX di sempre, il secondo market crash della storia, nonché la maggior inversione ribassista intraday dai tempi di Lehman brothers, tutto in un giorno. Risultato?

Questo. Ovvero l’S&P’s 500 ha riabbracciato il flusso di “smart money”
Insomma, già da qualche mese quell’indicatore ci diceva che i problemi erano davanti a noi ma nessuno è sembrato interessato, tanto più che a inizio agosto anche la cosiddetta “dumb money” presente tra la clientela di Bank of America aveva scaricato di corsa.
Buon per loro.
E ancora meglio per chi, venerdì scorso, si è casualmente messo a comprare calls VIX Settembre a 10 centesimi, visto nel bel mezzo del crash di lunedì quelle stesse opzioni valevano 2,50 dollari, un return intraday del 2400%!
Non male, proprio niente male.
Certo, come si sia potuti passare da VIX a 11 dieci giorni fa a VIX “la fine del mondo è vicina” lo scorso weekend, resta un mistero ma bravo chi ha comprato.
Il fatto è che qui stiamo giocando con gli specchi, ovvero grazie all’alibi cinese (per carità, un problema serio e reale ma la crisi della cosiddetta ripresa Usa nasce prima e da altro) ci fanno vedere che la crisi nell’azionario è stata inaspettata e drastica, quindi che i “tail risks” esistono davvero.
Peccato che come in “Profondo rosso”, occorre guardare bene i quadri e saperli distinguere dagli specchi, dove potrebbe celarsi il volto dell’assassino. In parole povere e come ci confermano le parole di Dudley, i mercati devono abbeverarsi alla fonte della crisi azionaria innescata dal caso cinese, non devono guardare alla realtà, ovvero ai dati recessivi dell’America macro. D’altronde, il 19 agosto scorso, Janet Yellen pronunciò le seguenti parole: “Ricordate, i mercati rialzisti non finiscono perché la Banca centrale comincia ad alzare i tassi, finiscono quando smette di alzare i tassi”.
O forse, come ci mostra questo grafico,

finiscono quando spariscono gli unicorni e il mondo realizza che finora ha campato soltanto di fumo. Finiscono quando, come ci mostrano questi grafici,


ci si rende conto che i Capital Goods esclusa la difesa sono fissi, immobili in territorio recessivo
e che il Core Capex è in calo su base annua da sei mesi di fila!
Certo, alla Fed hanno sempre pronta la scusa dell’aggiustamento stagionale, visto che luglio è stato il mese più caldo dal 1880 ma non si può truccare i conti per sempre.E che l’America, prima o poi, dovrà fare i conti con la realtà ce lo dimostra l’attività dell’industria chimica, il cui rallentamento non è affatto un buon segnale per la produzione industriale futura degli Usa, già in panne visto che è salita dell’1,3% nei dodici mesi terminati lo scorso luglio, in netto calo dal +4,5% di inizio anno. Questo grafico,

ci mostra una cosa importante, ovvero che il Chemical Activity Barometer (CAB),
i cui indicatori includono produzione, scorte e prezzi di vendita di numerose sostanze chimiche oltre che ai prezzi dei titoli azionari del comparto,
è salito dell’1,8% ad agosto su base annua, il tasso più lento dal 2012. Storicamente, negli Usa un calo nella domanda del comparto chimico ha sempre anticipato cali nella produzione industriale. In questo caso, parzialmente riflette anche il dollaro forte e la debole crescita estera. E visto che il 95% dei beni manifatturieri sono ottenuti da elementi chimici, con 801 miliardi di vendite annuali nel 2014 il comparto è essenziale per le linee di assemblaggio Usa: quindi, attendiamoci un ulteriore rallentamento del settore manifatturiero. C
hissà come farà la Fed a fare in modo che il mondo continui a guardare il
quadro dell’America in ripresa, invece dello specchio che riflette la realtà?
Mauro Bottarelli,
http://www.rischiocalcolato.it/2015...quadro-ma-il-killer-e-nello-specchio.htmlSono
Di Mauro Bottarelli , il 27 agosto 2015 - 2 commenti

Giornata interessante, quella di ieri. Mentre in Cina un giornalista e un grande banchiere di investimento venivano arrestati, rispettivamente per “diffusione di false informazioni sul trading” e “trading illegale”, alla vigilia del meeting di Jackson Hole di questo fine settimana, William C. Dudley, capo della Fed di New York, svelava il bluff: “La possibilità di un aumento a settembre è meno impellente, i dati Usa sono buoni ma non si possono guardare solo gli indicatori domestici. Spero che potremo alzare i tassi entro la fine dell’anno”. Et voilà, ciò che serviva ai mercati è servito. Certo, sempre Dudley ha poi dichiarato che “siamo ben distanti da un nuovo QE” ma dire così presuppone dare una chance all’ipotesi, fino a ieri ritenuta lunare a livello ufficiale. Quanto lontani, un altro 5% di correzione? Magari un 10%? Nel frattempo, sulla scia delle parole di Dudley, ieri Wall Street ha chiuso addirittura in orbita, con il Dow Jones che ha segnato il terzo rialzo giornaliero maggiore della sua storia. Solamente un caso, ovviamente.
Già, perché qualche dubbio sorge. Ricordate quando due mesi fa vi davo conto del fatto che, come mostrava questo grafico,

la cosiddetta “smart money” stesse abbandonando la barca equity, visto che Bank of America comunicava come i suoi clienti fossero stati venditori netti di titoli Usa per un ammontare i 4,1 miliardi di dollari, dopo quattro settimane di acquisti netti, il numero di vendite più alto dal gennaio 2008. A guidare il dumping, i clienti istituzionali, il cui numero di vendite era stato il maggiore nella storia di Bank of America.
Questo grafico,

ci mostra quale fu la conseguenza, ovvero la divergenza tra flusso di “smart money” e indice Standard&Poor’s 500 aveva raggiunto proporzioni mai viste. Peccato che lunedì sia accaduto qualcosa: ovvero, la prima e unica grande correzione di mercato da anni, il maggior aumento settimanale del VIX di sempre, il secondo market crash della storia, nonché la maggior inversione ribassista intraday dai tempi di Lehman brothers, tutto in un giorno. Risultato?

Questo. Ovvero l’S&P’s 500 ha riabbracciato il flusso di “smart money”
Insomma, già da qualche mese quell’indicatore ci diceva che i problemi erano davanti a noi ma nessuno è sembrato interessato, tanto più che a inizio agosto anche la cosiddetta “dumb money” presente tra la clientela di Bank of America aveva scaricato di corsa.
Buon per loro.
E ancora meglio per chi, venerdì scorso, si è casualmente messo a comprare calls VIX Settembre a 10 centesimi, visto nel bel mezzo del crash di lunedì quelle stesse opzioni valevano 2,50 dollari, un return intraday del 2400%!
Non male, proprio niente male.
Certo, come si sia potuti passare da VIX a 11 dieci giorni fa a VIX “la fine del mondo è vicina” lo scorso weekend, resta un mistero ma bravo chi ha comprato.
Il fatto è che qui stiamo giocando con gli specchi, ovvero grazie all’alibi cinese (per carità, un problema serio e reale ma la crisi della cosiddetta ripresa Usa nasce prima e da altro) ci fanno vedere che la crisi nell’azionario è stata inaspettata e drastica, quindi che i “tail risks” esistono davvero.
Peccato che come in “Profondo rosso”, occorre guardare bene i quadri e saperli distinguere dagli specchi, dove potrebbe celarsi il volto dell’assassino. In parole povere e come ci confermano le parole di Dudley, i mercati devono abbeverarsi alla fonte della crisi azionaria innescata dal caso cinese, non devono guardare alla realtà, ovvero ai dati recessivi dell’America macro. D’altronde, il 19 agosto scorso, Janet Yellen pronunciò le seguenti parole: “Ricordate, i mercati rialzisti non finiscono perché la Banca centrale comincia ad alzare i tassi, finiscono quando smette di alzare i tassi”.
O forse, come ci mostra questo grafico,

finiscono quando spariscono gli unicorni e il mondo realizza che finora ha campato soltanto di fumo. Finiscono quando, come ci mostrano questi grafici,


ci si rende conto che i Capital Goods esclusa la difesa sono fissi, immobili in territorio recessivo
e che il Core Capex è in calo su base annua da sei mesi di fila!
Certo, alla Fed hanno sempre pronta la scusa dell’aggiustamento stagionale, visto che luglio è stato il mese più caldo dal 1880 ma non si può truccare i conti per sempre.E che l’America, prima o poi, dovrà fare i conti con la realtà ce lo dimostra l’attività dell’industria chimica, il cui rallentamento non è affatto un buon segnale per la produzione industriale futura degli Usa, già in panne visto che è salita dell’1,3% nei dodici mesi terminati lo scorso luglio, in netto calo dal +4,5% di inizio anno. Questo grafico,

ci mostra una cosa importante, ovvero che il Chemical Activity Barometer (CAB),
i cui indicatori includono produzione, scorte e prezzi di vendita di numerose sostanze chimiche oltre che ai prezzi dei titoli azionari del comparto,
è salito dell’1,8% ad agosto su base annua, il tasso più lento dal 2012. Storicamente, negli Usa un calo nella domanda del comparto chimico ha sempre anticipato cali nella produzione industriale. In questo caso, parzialmente riflette anche il dollaro forte e la debole crescita estera. E visto che il 95% dei beni manifatturieri sono ottenuti da elementi chimici, con 801 miliardi di vendite annuali nel 2014 il comparto è essenziale per le linee di assemblaggio Usa: quindi, attendiamoci un ulteriore rallentamento del settore manifatturiero. C
hissà come farà la Fed a fare in modo che il mondo continui a guardare il
quadro dell’America in ripresa, invece dello specchio che riflette la realtà?
Mauro Bottarelli,
http://www.rischiocalcolato.it/2015...quadro-ma-il-killer-e-nello-specchio.htmlSono