SOLITAMENTE SEGUO UNO SCHEMA:

  1. C) Con riferimento ai fatti indicati nel capo 1) lett. Y) ed in particolare “di aver tenuto un comportamento gravemente scorretto nei confronti del dott. Giuseppe Pignatone e del dott. Domenico (in realtà Paolo) Ielo suo collega d’ufficio nel quale il predetto riveste le funzioni di Procuratore aggiunto”.

Ai sensi degli artt. 187 e 495, comma 2, cod. proc. pcn. il tema di prova in questione è finalizzato a dimostrare l’assoluta correttezza dei rapporti all’interno della Procura di Roma tra il dott. Palamara ed il dott. Pignatone nonché tra il dott. Palamara c gli altri collegiali dell’ufficio titolari del procedimento 44630/16 RGNR ed in particolare:


l’esistenza di una frequentazione amicalo al di fuori dell’ufficio, anche alla data del 9 maggio 2019, con i colleglli titolari del procedimento 44630/16 RGNR pendente presso la Procura di Roma;


– la sussistenza dei prerequisiti di indipendenza e di equilibrio nella valutazione del profilo professionale del dott. Palamara;


la sussistenza della costante attenzione del dott. Palamara a tutte le problematiche dell’ufficio della Procura di Roma.


Su tali circostanze si richiede l’escussione di:


  1. Roberta PINOTTI, nella sua precedente qualità di Ministro della difesa, riferirà su quanto a sua conoscenza in merito alla correttezza dei rapporti intercorrenti tra Palamara c Pigliatone; su quant’altro a sua conoscenza con riferimento ai fatti oggetto dell’incolpazione;
  2. Raffaele SQUITIERInella sua precedente qualità di Presidente della Corte dei Conti, riferirà su quanto a sua conoscenza in merito alla correttezza dei rapporti tra il doti. Palamara c il Procuratore Pignatone; su quant’altro a sua conoscenza con riferimento ai fatti oggetto dell’incolpazione;
  3. Paola ROIAnella sua qualità di Presidente della Vili scz. penale del Tribunale di Roma, riferirà su quanto a sua conoscenza in merito alla correttezza dei rapporti tra il dott. Palamara e il Procuratore Pignatone, nonché alla correttezza dei rapporti tra il dott. Palamara e il dott. Irlo; sulle frequentazioni con i predetti; su quant’altro a sua conoscenza con riferimento ai fatti oggetto dell’incolpazione;
  4. Andrea ARMAROnella sua precedente qualità di portavoce del Ministro della difesa, riferirà su quanto a sua conoscenza sulla correttezza dei rapporti tra il dott. Palamara e il Procuratore Pignatone; su quant’altro a sua conoscenza con riferimento ai fatti oggetto dcH’iiiuolpaziorie;
  5. Sergio SANTOROin qualità di Presidente di sezione del Consiglio di Stato riferirà su quanto a sua conoscenza in merito alla correttezza dei rapporti tra il dott. Palamara c il Procuratore Pignatone; sulle frequentazioni con i predetti; su quant’altro a sua conoscenza con riferimento ai fatti oggetto dell’incolpazione;
  6. Franco LO VOIin qualità di Procuratore della Repubblica di Palermo riferirà su quanto a sua conoscenza in merito alla correttezza dei rapporti tra il dott. Palamara e il Procuratore Pignatone; su quant’altro a sua conoscenza con riferimento ai fatti oggetto dell’incolpazione;
  7. Antonella CONSIGLIOriferirà su quanto a sua conoscenza in merito alla correttezza dei rapporti tra il dott. Palamara e il Procuratore Pignatone; su quant’altro a sua conoscenza con riferimento ai fatti oggetto dell’incolpazione
  8. Rodolfo SABELLIin qualità di Procuratore Aggiunto di Roma riferirà su quanto a sua conoscenza in merito alla correttezza dei rapporti tra il doti. Palamara e il Procuratore Pignatone, nonché in merito ai rapporti tra il dott. Palamara c il doti, telo; sulle frequentazioni con i predetti; sulle ragioni per cui fu organizzata, una cena a casa del dott. Paolo lelo nel settembre del 2014 tra i dottori Palamara, Cascini, Sa belli, Pignatone, Pesci e lelo; se nel corso della cena vi fu un confronto di opinioni, tra i presenti, sul tema della organizzazione della Procura di Roma, anche con riferimento a future nomine dei Procuratori Aggiunti; su quant’altro a sua conoscenza con riferimento ai fatti oggetto dell’incolpazione;

30.Stefano PESCI in qualità di Procuratore aggiunto di Roma riferirà su quanto a sua conoscenza in merito alla correttezza dei rapporti Ira il dott. Palamara il Procuratore Pignatone, nonché in merito ai rapporti tra il doli. Palamara c il dott. Ielo; sulle frequentazioni con i predetti; sulle ragioni per cui fu organizzata una cena a casa del doti. Paolo Ielo, nel settembre del 2014, tra i dottori Palamara, Cascini, Sabelli, Pignatone, Pesci e Ielo, e se nel corso della cena vi fu un confronto di opinioni, tra i presenti, sul tema della organizzazione della Procura di Roma, anche con riferimento a future nomine dei Procuratori Aggiunti; sulle vicende relative alla nomina dei quattro posti di Procuratore Aggiunto a Roma tra il febbraio e l’aprile 2016; su quant’altro a sua conoscenza con riferimento ai fatti oggetto dell’incolpazione;


  1. Agnello ROSSIriferirà su quanto a sua conoscenza in merito alla correttezza dei rapporti tra il dott. Palamara c il Procuratore Pigliatone, nonché in merito ai rapporti tra il dott. Palamara e il dott. Ielo; in qualità di coordinatore del gruppo dei reati contro l’economia, riferirà, altresì, sul profilo professionale del dott. Palamara, sul prerequisito della indipendenza nonché sulle doti di equilibrio dello stesso; sul profilo professionale del dott. Fava; su quant’altro a sua conoscenza con riferimento ai fatti oggetto dell’incolpazione;
  2. Francesco CAPORALE riferirà su quanto a sua conoscenza in merito alla correttezza dei rapporti tra il dott. Palamara e il Procuratore Pignatone, nonché in merito ai rapporti tra il dott. Palamara e il dott. Ielo; in qualità di coordinatore del gruppo dei reati contro il terrorismo riferirà sul profilo professionale del doti. Palamara, sul prerequisito della indipendenza, nonché sulle doti di equilibrio dello stesso; sul profilo professionale del dott. Fava; su quant’altro a sua conoscenza con riferimento ai fatti oggetto dell’incolpazione;
  3. Nunzia D’ELIAriferirà su quanto a sua conoscenza in merito alla correttezza dei rapporti tra il dott. Palamara c il Procuratore Pignatone, nonché in merito ai rapporti tra il dott. Palamara e il doti. Iclo; sulle frequentazioni con i predetti; sulle- ragioni per cui fu organizzata una cena a casa del dott. Paolo lelo, nel settembre del 2014, tra i dottori Palamaia, Cascini, Sabelli, Pignatone, Pesci e lelo; se nel corso della cena vi fu un confronto di opinioni, tra i presenti, sul tema della organizzazione della Procura di Roma, anche con riferimento a future nomino dei Procuratori Aggiunti; sulle vicende relative alla nomina dei quattro posti di Procuratore Aggiunto a Roma tra il febbraio e l’aprile 2016; sul profilo professionale del doli. Fava; su quant’altro a sua conoscenza con riferimento ai fatti oggetto dell’incolpazione;

34.Sergio COLAIOCCO riferirà su quanto a sua conoscenza in merito alla correttezza dei rapporti tra il dott. Palamara e il Procuratore Pignatone; sulle ragioni per cui nel febbraio del 2018 chiese al dott. Palamara di poterlo incontrare in relazione alla domanda presentala per l’incarico di Procuratore della Repubblica ■Aggiunto presso il Tribunale di Roma; su quant’altro a sua conoscenza con riferimento ai fatti oggetto dell’incolpazione;


  1. Lia AFFINITOsulla correttezza professionale del dott. Palamara anche nei rapporti con il dott. Fava all’interno dell’ufficio; su quant’altro a sua conoscenza con riferimento ai fatti oggetto dell’incolpazione;
  2. Lucio ASCHETTINOin qualità di Presidente della Quinta commissione del CSM nella consiliatura 2014-2018 riferirà su quanto a sua conoscenza in merito alla correttezza dei rapporti t ra il doti. Palamara c il Procuratore Pignatone, nonché in merito ai rapporti tra il dott. Palamara e il dott. Ielo; sulle vicende relativo alla nomina dei quattro posti di Procuratore Aggiunto a Roma tra il febbraio e l’aprile 2016; su quant’altro a sua conoscenza con riferimento ai fatti oggetto dell’incolpazione;
 
Come è possibile che durante i mesi di marzo e aprile, mesi in cui le attività sono state categoricamente sospese,
risulti la rendicontazione di spese per l’organizzazione e la partecipazione a eventi?

Semplice, perchè quel movimento chiamato 5 Stelle, che tanto si era battuto per la trasparenza
e si era promosso come rivoluzionario al sistema, grazie anche al taglio volontario degli stipendi dei suoi portavoce, non è più quel movimento.



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Spulciando il sito tirendiconto.it, il portale delle restituzioni grilline, si può notare come quasi tutti i parlamentari
durante il periodo di lockdown abbiano caricato scontrini di spese effettuate per partecipazione a convegni e manifestazioni
oppure ‘missioni non ufficiali’: vitto, alloggio, trasferimenti; ma anche per l’orgnizzazione con materiali infromativi, gadget, affitto location e servizi.


Il fenomeno risulta talmente diffuso che, riferisce il Messaggero, stanno per avviare dallo stato maggiore del M5S le verifiche individuali sul motivo di queste spese.


Stando a quanto riferito “c’è chi ha pubblicato cifre risibili, come 93 euro o 274 euro e chi ha superato ampiamente i mille euro.
Come ad esempio i 2mila euro di aprile della deputata Elisa Tripodi o i 2mila e 743 euro della sua collega Maria Luisa Faro.
Si distingue anche Nicola Grimaldi con i suoi 4mila e 815 euro. Fa poco meglio Alessandro Melicchio, con 3mila e 11 euro.
Ad entrare nel cerchio, anche la ministra grillina della Pubblica Istruzione Lucia Azzolina che ha speso 3mila e 695 euro.
Cifra rilevante per la senatrice Silvana Giannuzzi, che ha rendicontato 4mila e 738 ad aprile
in missioni non ufficiali, con vitto, alloggio, trasporti e altro.

Tra gli esponenti di governo da segnalare il sottosegretario all’Economia Laura Castelli (1.608 euro a marzo in missioni non ufficiali”).
 
Come si sa, in questi giorni si sta consumando l’ennesimo (vero o presunto) tira e molla
tra il governo italiano e una delle famiglie più ricche e potenti del Paese: i Benetton.

La questione di fondo è legata alla revoca delle concessioni autostradali in seguito alla tragedia del Ponte Morandi
e agli accertamenti che hanno rivelato anni e anni di mancate manutenzioni, pedaggi in crescita e omissioni di documenti.

Però, però…

Mentre il governo si mostra pronto (almeno a parole) a togliere le autostrade alla famiglia Benetton,
emerge che appena 4 mesi dopo il crollo del Morandi gli hanno svenduto un immobile in centro a Roma dove sorgerà un hotel extra-lusso.




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A raccontare il tutto è Alberto Di Majo su Il Tempo.

“Il primo governo guidato da Giuseppe Conte a quattro mesi dal crollo del ponte Morandi ha concesso alla famiglia Benetton un clamoroso affare immobiliare.
Gli ha venduto un pezzo di Roma attraverso un fondo pubblico controllato dal ministero dell’Economia rinunciando alla prelazione dei Beni culturali.
La tragedia di Genova è del 14 agosto 2018. L’11 dicembre dello stesso anno, mentre Palazzo Chigi promette di togliere le concessioni ad Aspi,
la società Edizione Property, sempre dei Benetton, acquista in via preliminare un super immobile nel centro storico di Roma per 150 milioni”.



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Si tratta dell’enorme edificio (22 mila metri quadrati) che si trova tra piazza Augusto Imperatore, via della Frezza, via di Ripetta, via del Corea e via Soderini:

“Il palazzo – scrive Di Majo – è stato costruito tra il 1936 e il 1938 su progetto dell’architetto Vittorio Ballio Morpurgo e si affaccia sull’Ara Pacis e il Mausoleo di Augusto.
Secondo le valutazioni delle principali agenzie immobiliari di Roma a giugno 2020 quel palazzo avrebbe un prezzo oscillante fra 187 e 210 milioni di euro,
ma all’epoca della transazione i valori erano più alti”.

Come mai i Benetton hanno potuto acquistarlo a un prezzo così stracciato?

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L’acquisto effettivo è avvenuto il 20 febbraio 2019 dopo la constatazione del “mancato esercizio della prelazione da parte del ministero dei Beni culturali”.

Chi c’era al ministero in quel frangente? Alberto Bonisoli, allora ministro in quota 5 Stelle.

Ma lui non è stato l’unico a (non) occuparsi della vicenda.

Infatti, “a dicembre 2019 la stessa Edizione Property spa ha comprato un altro immobile (sempre nella stessa piazza) per 120 milioni
e anche allora il ministero dei Beni culturali (stavolta guidato dal PD Franceschini) non ha ritenuto di esercitare il diritto di prelazione”.

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L’immobile principale, un tempo era di proprietà dell’Inps e poi, nel 2005, è finito nel Fondo Immobili Pubblici.

Poi arrivano i Benetton: presentano un’offerta da 150 milioni e pochi mesi dopo l’operazione è conclusa.

Poco tempo dopo, Edizione Property spa decide di dare in affitto il palazzo a Bulgari.

Il canone è di 15 milioni all’anno per dieci anni (rinnovabile per altri dieci): dunque, in tutto, 150 milioni.

Un’operazione con i fiocchi. Un investimento immobiliare ripagato in un decennio.

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Scrive Di Majo:

“Nell’edificio che una volta era di proprietà dello Stato, Bulgari costruirà un albergo di lusso che aprirà nel 2022.
E ora in molti si chiedono: come fa un palazzone di quel genere, nel centro di Roma, pieno di vincoli,
a ottenere il cambio di destinazione d’uso per diventare un hotel? "

La risposta è “semplice”. Spiega Di Majo:

“L’immobile è stato venduto già con le autorizzazioni necessarie. Un affare, non c’è che dire”.

E quindi la domanda finale che pone legittimamente Di Majo è:

Perché il Fondo che doveva gestirlo non lo ha messo a reddito dandolo in affitto e mantenendone la proprietà
invece che venderlo alla società del gruppo Benetton facendogli, di fatto, un regalo senza pari?
 
Povero povero povero berlusca. Come sei ridotto male.

Salvare il governo Conte.

A qualsiasi costo, come il soldato Ryan della celebre pellicola diretta da Steven Spielberg.

Con la differenza che mentre il militare americano andava difeso a tutti i costi in quanto diventato, a sua insaputa,
simbolo di speranza in un Paese in ginocchio,

qui da proteggere ci sono più volgarmente poltrone e interessi personali.

E allora via alle grandi manovre per evitare che l’esperienza giallorossa, nonostante i mille tentennamenti, possa chiudersi in anticipo.

Il ruolo chiave spetta a lui, Gianni Letta, l’uomo chiamato a fare da ponte tra Forza Italia, al momento ancora all’opposizione, e l’esecutivo.




[IMG alt="Conte non deve cadere: così Berlusconi e 5S si preparano (incredibilmente) a convivere
"]https://www.ilparagone.it/wp-content/uploads/2020/07/se.png[/IMG]


Letta ha già incontrato in queste ore Luigi Di Maio, uno che un tempo scendeva in piazza a gridare contro lo “psiconano” di grillina memoria
e che ora, invece, siede agevolmente al tavolo di quella casta politica da abbattere a ogni costo.

Un faccia a faccia servito a preparare ulteriormente il terreno e a ragionare sulle modalità,
in modo da evitare che la figuraccia sia ancora più grande per i Cinque Stelle:

il Movimento è storicamente avversario di Berlusconi e un suo ingresso nella compagine giallorossa sarebbe impossibile da far digerire a quei pochi elettori rimasti.
E così la soluzione al vaglio è quella di un Cavaliere defilato che si limita a benedire l’appoggio a Conte dei moderati azzurri.



[IMG alt="Conte non deve cadere: così Berlusconi e 5S si preparano (incredibilmente) a convivere
"]https://www.ilparagone.it/wp-content/uploads/2020/07/se1.jpg[/IMG]


Un piano che piace, e non poco, al premier, che vede la sua permanenza a Palazzo Chigi
messa pericolosamente in discussione dagli ultimi, ennesimi scossoni tra Italia Viva, Pd e M5S.

Mes e revoca delle concessioni sono soltanto due degli scogli che si stagliano pericolosamente all’orizzonte,
con la nave giallorossa già parecchio ammaccata e che non reggerebbe un ulteriore colpo.

Berlusconi arriverebbe così proprio al momento giusto per iniziare le operazione di salvataggio.

Magari in due tempi, con un primo rimpasto (invocato in questi giorni anche da molti esponenti dem) propedeutico a un successivo allargamento della maggioranza.

[IMG alt="Conte non deve cadere: così Berlusconi e 5S si preparano (incredibilmente) a convivere
"]https://www.ilparagone.it/wp-content/uploads/2020/07/se2.jpg[/IMG]


L’idea stuzzica non poco lo stesso Berlusconi, che in questo modo potrebbe proseguire l’ormai avviato tentativo di riabilitazione:

oggi il Cavaliere, accantonato un passato burrascoso e ancora pieno di passaggi oscuri, si propone come leader moderato, responsabile, con un forte senso delle istituzioni.

Una narrativa che fa storcere il naso a qualcuno, sì, ma che tutto sommato i Cinque Stelle non sembrano osteggiare più di tanto.

In ballo, d’altronde, ci sono pur sempre le loro poltrone.
 
Come si sa, in questi giorni si sta consumando l’ennesimo (vero o presunto) tira e molla
tra il governo italiano e una delle famiglie più ricche e potenti del Paese: i Benetton.

La questione di fondo è legata alla revoca delle concessioni autostradali in seguito alla tragedia del Ponte Morandi
e agli accertamenti che hanno rivelato anni e anni di mancate manutenzioni, pedaggi in crescita e omissioni di documenti.

Però, però…

Mentre il governo si mostra pronto (almeno a parole) a togliere le autostrade alla famiglia Benetton,
emerge che appena 4 mesi dopo il crollo del Morandi gli hanno svenduto un immobile in centro a Roma dove sorgerà un hotel extra-lusso.




Benetton-palazzo-Roma.jpg



A raccontare il tutto è Alberto Di Majo su Il Tempo.

“Il primo governo guidato da Giuseppe Conte a quattro mesi dal crollo del ponte Morandi ha concesso alla famiglia Benetton un clamoroso affare immobiliare.
Gli ha venduto un pezzo di Roma attraverso un fondo pubblico controllato dal ministero dell’Economia rinunciando alla prelazione dei Beni culturali.
La tragedia di Genova è del 14 agosto 2018. L’11 dicembre dello stesso anno, mentre Palazzo Chigi promette di togliere le concessioni ad Aspi,
la società Edizione Property, sempre dei Benetton, acquista in via preliminare un super immobile nel centro storico di Roma per 150 milioni”.



1484052383.jpg



Si tratta dell’enorme edificio (22 mila metri quadrati) che si trova tra piazza Augusto Imperatore, via della Frezza, via di Ripetta, via del Corea e via Soderini:

“Il palazzo – scrive Di Majo – è stato costruito tra il 1936 e il 1938 su progetto dell’architetto Vittorio Ballio Morpurgo e si affaccia sull’Ara Pacis e il Mausoleo di Augusto.
Secondo le valutazioni delle principali agenzie immobiliari di Roma a giugno 2020 quel palazzo avrebbe un prezzo oscillante fra 187 e 210 milioni di euro,
ma all’epoca della transazione i valori erano più alti”.

Come mai i Benetton hanno potuto acquistarlo a un prezzo così stracciato?

Morandi-Benetton.jpg



L’acquisto effettivo è avvenuto il 20 febbraio 2019 dopo la constatazione del “mancato esercizio della prelazione da parte del ministero dei Beni culturali”.

Chi c’era al ministero in quel frangente? Alberto Bonisoli, allora ministro in quota 5 Stelle.

Ma lui non è stato l’unico a (non) occuparsi della vicenda.

Infatti, “a dicembre 2019 la stessa Edizione Property spa ha comprato un altro immobile (sempre nella stessa piazza) per 120 milioni
e anche allora il ministero dei Beni culturali (stavolta guidato dal PD Franceschini) non ha ritenuto di esercitare il diritto di prelazione”.

benetton-atlatnia.jpg

L’immobile principale, un tempo era di proprietà dell’Inps e poi, nel 2005, è finito nel Fondo Immobili Pubblici.

Poi arrivano i Benetton: presentano un’offerta da 150 milioni e pochi mesi dopo l’operazione è conclusa.

Poco tempo dopo, Edizione Property spa decide di dare in affitto il palazzo a Bulgari.

Il canone è di 15 milioni all’anno per dieci anni (rinnovabile per altri dieci): dunque, in tutto, 150 milioni.

Un’operazione con i fiocchi. Un investimento immobiliare ripagato in un decennio.

5000186_1242_dario_franceschini.jpg

Scrive Di Majo:

“Nell’edificio che una volta era di proprietà dello Stato, Bulgari costruirà un albergo di lusso che aprirà nel 2022.
E ora in molti si chiedono: come fa un palazzone di quel genere, nel centro di Roma, pieno di vincoli,
a ottenere il cambio di destinazione d’uso per diventare un hotel? "

La risposta è “semplice”. Spiega Di Majo:

“L’immobile è stato venduto già con le autorizzazioni necessarie. Un affare, non c’è che dire”.

E quindi la domanda finale che pone legittimamente Di Majo è:

Perché il Fondo che doveva gestirlo non lo ha messo a reddito dandolo in affitto e mantenendone la proprietà
invece che venderlo alla società del gruppo Benetton facendogli, di fatto, un regalo senza pari?

questi affari qui me ne avevano parlato anche anni con la "svendita" di immobili pubblici....
Ovvero venivano venduti a 100 dallo stato per fare cassa salvo poi pagarci 10 di affitto all'anno ( sedi INPS e via discorrendo ).
E chissà perchè a prenderli erano sempre i "ricchioni" di turno.
 
Come era largamente prevedibile, Luca Palamara, per difendersi davanti alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura,
nell’udienza fissata per il prossimo 21 luglio, ha indicato ben 133 testimoni a discolpa.

Dico subito cosa accadrà, senza bisogno di attendere il 21 di luglio:

la sezione disciplinare non ne ammetterà neppure uno.

E ora dico perché.

Perché ammetterli vorrebbe dire fare il gioco di Palamara, offrendogli una via difensiva molto suggestiva e convincente.

Infatti, Palamara, per difendersi, ha scelto una strada obbligata e che io stesso da queste colonne non avevo avuto difficoltà ad individuare oltre un anno fa,
quando la vicenda divenne di pubblico dominio:

quella di far vedere, attraverso le testimonianze di costoro, che prima di lui, accanto a lui e dopo di lui, tutti, ma proprio tutti,
facevano come lui, le medesime cose che oggi a lui vengono imputate.
Insomma, come è evidente, se tutti sono colpevoli, nessuno lo è davvero: neppure lui.


Questa è la
pura verità.

E lo sanno benissimo tutti, perché tutti hanno vissuto in prima persona le stesse manovre,
i medesimi accordi correntizi, le risapute dispute per l’assegnazione di posti direttivi e semidirettivi.

Perfino i consiglieri giuridici del Quirinale lo sapevano, come dimostra il fatto che Palamara ne ha citati un paio come testi,
per dimostrare probabilmente che la stessa presidenza della Repubblica non era del tutto insensibile a certe nomine,

all’occupazione di certe poltrone invece che di altre.

È chiaro come questa prospettiva di fondo metta enorme trepidazione in tutti quelli che potrebbero essere chiamati in causa
e come perciò sia interesse di tutti costoro mobilitarsi per dimostrare il contrario delle tesi di Palamara, cioè una cosa non vera:

e precisamente che quello di Palamara è soltanto un caso isolato, che forse riguarda pochi altri magistrati,
in un numero comunque trascurabile, perché, al contrario, la gran parte di coloro che hanno ottenuto una nomina ad un posto direttivo o semidirettivo,
ci sarebbero riusciti in base al merito proprio e non ad una appartenenza correntizia.


In attesa che a coloro che affermano queste amenità cresca il naso lungo come quello di Pinocchio,
mi limito ad osservare come questa paura che Palamara, attraverso le indicate testimonianze, possa scoprire gli altarini,
veda solidali tutti i magistrati italiani – tranne ovviamente qualcuno che però non fa testo – e, di conseguenza,
anche coloro che siedono al Consiglio superiore.

Ne viene perciò che dobbiamo registrare una evenienza assai singolare e tuttavia molto significativa,
vale a dire il fatto che i componenti del Consiglio superiore nutrono in cuore la medesima speranza – o forse la medesima aspettativa –
dei 133 testi indicati da Palamara, e cioè che nessuno di essi sia mai sentito quale testimone
:

come infatti accadrà.

E tuttavia, per impedire che questi 133 testi vengano chiamati a deporre, non è possibile pubblicamente dire la verità
e cioè che le loro deposizioni sortirebbero esiti pericolosi e devastanti per il potere delle correnti – che ancora si mantiene intatto –
occorrendo invece dire altro, capace di persuadere l’opinione pubblica della inopportunità di quelle così numerose testimonianze.


Tuttavia, non si dimentichi che Peithò – dea della persuasione – si lasciava cogliere dagli antichi greci,
i quali in proposito la sapevano lunga, quale divinità malvagia ed ingannevole.

Per questa ragione, nell’ottica della persuasione, si dirà che sentire 133 testimoni sarebbe difficile, quasi impossibile,
del tutto incompatibile poi con la natura della giustizia disciplinare che esige una cognizione rapida
e per forza di cose non completa come invece potrebbe essere quella di un dibattimento penale,
ove invece i testimoni si possono sentire tutti e per bene, anche se numerosi.

Si aggiungerà poi che bisogna far presto perché gli italiani hanno bisogno di credere nella magistratura,
perché non si può attendere troppo, non si può perpetuare uno stato di grave incertezza relativa al buon funzionamento delle istituzioni,
tutte esigenze che sconsigliano i tempi lunghi che sarebbero necessari per sentire 133 testimoni.



Né – cosi si proseguirà – si può decidere di sentirne solo alcuni, perché la selezione rischierebbe di essere giuridicamente immotivata
e potrebbe dare l’impressione che si voglia orientare l’indagine e la raccolta probatoria in una direzione invece che in un’altra.

Infine, si porrà il sigillo finale sulla questione, affermando che dopo tutto, i fatti addebitati a Palamara sono abbastanza circoscritti
e tali da poter essere provati o smentiti senza l’ausilio di un numero così elevato di testi
e che perciò sentirli davvero provocherebbe una sorta di annacquamento della prospettiva disciplinare che invece è da evitare in sommo grado.

Ciance.

Soltanto ciance.

Ma scommetto che prevarranno sulla verità.

Cioè sui 133 testi.
 
È ora di fare una riflessione seria sull’indipendenza della magistratura
e di apportare qualche correzione ad un principio costituzionale da sempre ritenuto intangibile.

Intendiamoci.

Io non dico che occorrerebbe cancellare un principio mai posto in discussione.

Affermo, piuttosto, che quel principio, nelle intenzioni dei costituenti, rappresentava una garanzia per i cittadini,
non un privilegio dei magistrati, come, invece, accade da molto tempo.

Le sentenze emesse prima del giudizio fanno il paio con lo scandalo Palamara:

sono la tragica rappresentazione della lettura eversiva di una norma che, alla prova dei fatti, si è rivelata un manifesto, non un vincolo inderogabile.

La soggezione esclusiva alla legge, nei fatti, ha prodotto (nell’ordine) irresponsabilità, ostilità ad ogni riforma sgradita,
controllo assoluto dei criteri di progressione in carriera e, tristemente, manipolazione della legge stessa.


Parlare dei magistrati è come avvicinarsi ai fili dell’alta tensione:

ci si imbatte nel cartello recante la scritta: “Chi tocca muore”.


Dalla magistratura militante degli anni Sessanta-Settanta, siamo passati, prima, allo scrutinio di legalità e, infine, al controllo del sistema.

Palamara non è un arraffone nato dal nulla, ma un cinico calcolatore consapevole del fatto che chi controlla le procure più importanti, condiziona l’intero sistema.

Gli altri si sono adeguati e, ora, in nome di un’efficienza da sbandierare nelle statistiche lette durante la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario,
si sono portati avanti col lavoro: fanno prima le sentenze e, poi, i processi.


I moniti che esortano i difensori alla sintesi, in questa prospettiva, suonano come il sinistro avvertimento lanciato a chi si ostina a non capire che la decisione è già stata presa.

Da ultimo, il peggio: la nomofilachia è diventata normogenesi.

Il percorso è compiuto.

La legge non è il testo pubblicato, ma il prodotto della elaborazione giurisprudenziale, che non ammette letture alternative.

Chiunque mi conosca, sa che queste cose le dico da anni: le ho ripetute fino alla noia, le ho scritte fino ad essere deriso come un visionario.

Ora le sapete anche voi.

Ma è tardi.
 
Il governo, nel pieno del suo coraggio ovino, ha deciso di modificare il decreto sicurezza relativo all’immigrazione
riducendo le sanzioni per le ONG che decidano di sbarcare in Italia gli immigrati senza preventivo permesso.

La multa passa dai 250 mila fino a un milione decisi dal ministro Salvini a ben €560.


Se guidate un’auto senza l’assicurazione obbligatoria di responsabilità civile rischiate una sanzione da 849 a 3396 euro, oltre al sequestro del mezzo.

Quindi commerciare immigrati con l’Italia e meno rischioso che circolare per strada senza assicurazione.

Inoltre poi i migranti dobbiamo mantenerli noi


Con questa misura assistiamo alla Vittoria dell’ipocrisia più pura.

Queste sanzioni sono talmente ridicole che avrebbe avuto più senso cancellare completamente la normativa
e rendere gli sbarchi ancora perfettamente liberi e legittimi.

Invece si prendono in giro gli italiani, facendo finta che gli sbarchi siano vietati,
ma applicando una sanzione che più o meno corrisponde a consumo di carburante di una di queste navi pirata per un’ora.



Carola Rakete ha vinto, le ONG hanno vinto, l’Italia e gli italiani sono sconfitti.

Ormai non siamo più un paese democratico e indipendente, ma una specie di Colonia della sinistra Europea fa quello che vuole,
in fischiando se dei cittadini italiani e pure dei rischi relativi al ritorno del Covid-19:

infatti proprio ieri il governatore della Sicilia Musumeci protestava perché molti migranti clandestini sono positivi al Covid
e costituiscono un pericolo per la salute pubblica dei siciliani.

Il nostro governo permette invece la vittoria della prepotenza e dell’illegalità.

Ma cosa possiamo aspettarci di diverso da un governo di servi?
 

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