SOLITAMENTE SEGUO UNO SCHEMA: (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
"Solo dei completi imbecilli o dei fascisti del pensiero possono pensare che sia giusto ed onesto
costringere i nostri giovani a castrare la loro socialità a tempo indeterminato
solo perché politici senza visione ed esperti senza coraggio non si vogliono assumere la responsabilità
di combattere una malattia non più nuova con interventi mirati ed usando le dovute risorse finanziarie e logistiche".
 
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Val

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"Chiederemo sempre meno chiacchiere, meno epidemiologia difensiva, meno richiami generici alla 'prudenza
ed invece più fatti, più assunzioni di responsabilità, e soprattutto più preparazione e più interventi mirati,
a cui devono essere destinate tutte le risorse necessarie".
 

Val

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Val

Torniamo alla LIRA
Andiamo subito al sodo.

1994: si vota col Mattarellum.
Vittoria elettorale del centrodestra.
Dopo sette mesi di governo Berlusconi, la Lega stacca la spina.
Con un ribaltone, dal gennaio 1995 all’aprile 1996 si insedia a Palazzo Chigi Lamberto Dini
(ex ministro del governo Berlusconi) sostenuto in Parlamento da PDS, Lega e cespugli centristi.
Di contro, Forza Italia e Alleanza Nazionale – che avevano vinto le elezioni – passano all’opposizione.


1996: si vota col Mattarellum.
Vittoria elettorale del centrosinistra, ma il dato tradisce e va esaminato.
Il centrodestra, composto due anni prima dalle tre liste che avevano vinto le elezioni del 1994,
nel 96′ corre senza la Lega, che va da sola nei collegi uninominali.
Ai punti, cioè nel computo complessivo dei voti a livello nazionale, il centrodestra – anche senza la Lega –
ottiene circa due milioni e mezzo di voti in più rispetto al centrosinistra, ma per effetto dei meccanismi previsti dal Mattarellum
– con il partito di Bossi che vince in tantissimi collegi uninominali del Nord NON in coalizione coi vecchi alleati -,
il centrosinistra ottiene la maggioranza dei seggi in Senato.
Alla Camera Prodi ha una maggioranza risicatissima, ma può godere sin da subito dell’appoggio esterno di Rifondazione Comunista
grazie al patto di desistenza tra il professore e Bertinotti nei collegi uninominali alla Camera.

2006: si vota col Porcellum.
Vittoria elettorale del centrosinistra alla Camera con appena 24.000 voti di scarto sul centrodestra, lo 0,08% di differenza.
Al Senato il centrodestra conquista più seggi, ma Prodi ottiene comunque l’incarico di formare il governo
perché gli vanno in soccorso i senatori eletti nella Circoscrizione Estero (5 su 6) e tutti i senatori a vita.
A Palazzo Madama il governo Prodi II si regge su un solo voto in più rispetto alla maggioranza dei componenti.


2013: si vota col Porcellum.
Non vince nessuno.
Alla Camera il centrosinistra ottiene più voti (si fa per dire!) con appena il 29,55% dei consensi (cioè uno scarto dello 0,37% sul centrodestra),
ma ottiene il premio di maggioranza previsto dalla legge elettorale
(premio che attribuisce alla coalizione guidata da Bersani un balzo di seggi mai visto nella storia: dal 29,55% al 54%).
Al Senato nessuno ottiene la maggioranza perché il premio è regionale, quindi dopo diversi mesi di trattative
nasce il governo di coalizione centrosinistra-centrodestra guidato da Enrico Letta.
A gennaio 2014 la Corte costituzionale dichiara l’incostituzionalità del Porcellum
(anche nella parte in cui questo prevedeva l’assegnazione del premio di maggioranza senza prevedere una soglia minima di voti perché il premio potesse scattare),
ma il centrosinistra governa ugualmente il Paese fino alle elezioni politiche del 2018, anche grazie alla spaccatura nel PdL,
con Alfano e Lorenzin che abbandonano Berlusconi e vanno a sostenere i governi Renzi e Gentiloni.
Alle elezioni politiche del 2013 primo partito del Paese è il M5S, che per cinque anni resta fuori dal governo.

2019: le elezioni politiche del 4 marzo 2018 (si vota col Rosatellum)
le vince la coalizione di centrodestra (col 37% dei voti), ma non ottiene la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento, bensì quella relativa (circa il 42%).
Il centrosinistra (con a capo il PD) arriva ultimo (circa il 22,8% dei voti), con un distacco di quasi 15 punti percentuali dal centrodestra.
Il M5S è il primo partito col 32,7%.
Dopo quindici mesi di governo giallo-verde (M5S-Lega), nasce un nuovo governo con lo stesso Presidente del Consiglio (Giuseppe Conte)
ma con maggioranza opposta (giallo-rossa, cioè M5S-PD).
Nessuna delle liste della coalizione che alle elezioni aveva invece ottenuto la maggioranza relativa dei voti e dei seggi (il centrodestra), fa parte dell’attuale governo.

Nel 2013 l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, visto che la legge elettorale prevedeva anche le coalizioni tra liste,
nella formazione dei governi favorì il dato delle coalizioni e non quello delle liste.

Di contro, sia nel 2018 che nel 2019, nonostante anche l’attuale legge elettorale preveda le coalizioni tra liste,
Sergio Mattarella ha invece favorito la formazione dei governi tenendo conto dei voti di lista e non delle coalizioni.


Un peso, due misure?

Eppure, se le coalizioni tra liste sono previste dalla legge elettorale, come può il Presidente della Repubblica non tenere conto del loro risultato elettorale?

E non mi si venga a parlare di “forma di governo parlamentare”: è vero che le maggioranze si formano in Parlamento, questo è indubbio,
ma nessun governo può tenere fuori dalla sua composizione chi ha ottenuto nelle urne la maggioranza relativa dei voti e dei seggi.

Si chiama “principio democratico”.

Oggi, come sopra evidenziato, nessuna delle liste della coalizione che aveva ottenuto più voti nelle urne fa parte dell’esecutivo.


Come che sia, tutte le volte che negli ultimi 25 anni il centrosinistra è andato al governo del Paese,
lo ha fatto sempre senza godere di un inequivocabile consenso elettorale.

La maggioranza del popolo italiano ha sempre voluto una maggioranza parlamentare – e quindi un governo – che NON fosse di centrosinistra.

Ma spesso la volontà popolare è stata tradita.

Questi i dati e i fatti.
 

Val

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Ahahahahahah poveri fessi.
Questi non fanno manutenzione. Cade il ponte. Cadono le volte delle gallerie.
Ci sono una quarantina e più di di morti.
Ed invece che mandarli in galera, che fanno ?
Gli pagano pure le azioni......
così i fessi e mazziati siamo noi.


L’accordo governo ed Atlantia per il passaggio del controllo di Autostrade per l’Italia dalla mano privata a quella pubblica è concluso, almeno nei suoi tratti principali.

Ora Attendiamo di conoscere i particolari che, evidentemente, non sono sfavorevoli alla società controllata dalla famiglia Benetton,
visto il salto del + 24% avvenuto ieri nelle quotazioni di borsa.

Per questa azienda possiamo dire che si chiude l’incubo di una causa infinita, con la prospettiva di pagare risarcimenti miliardari,
mentre si apre la certezza di avere il pagamento di un prezzo per le proprie azioni sicuro,
ed evidentemente non eccessivamente penalizzante, da parte di cassa depositi e prestiti.


Però qualcosa è successo nelle quotazioni di Atlantia tra la fine della scorsa settimana e ieri
tale per cui la Consob probabilmente sta già indagando.

Mostriamo un semplice grafico


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Venerdì la prospettiva di una cancellazione delle concessioni autostradali aveva fatto precipitare il titolo Atlantia,
ieri questo è salito alle stelle quando si è diffusa la notizia di un accordo comunque favorevole,
che comportava una permanenza nell’azionariato e un pagamento delle azioni.

È evidente che tra venerdì e lunedì pochi informati hanno avuto la possibilità di speculare sulla caduta nella quotazione del titolo.

Qualcuno sicuramente ha operato con informazioni privilegiate partecipando alla tosatura dei piccoli azionisti
che, sfiduciati dall’andamento dei titoli, hanno venduto nel corso della scorsa settimana.

Siamo sicuri che Consob, seguendo le tracce di acquisti e vendite in questo periodo saprà tracciare questi speculatori,
magari seguendone le tracce fino a chi ha fornito le informazioni.
 

Val

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«L’emergenza è il governo, non la pandemia che sta regredendo e che comunque, se anche dovesse risvegliarsi – Dio non voglia –
troverebbe comunque difese farmacologiche e cliniche assai migliori di quelle di quattro mesi fa.
L’emergenza sono alcuni ministri politicamente analfabeti e tecnicamente sprovveduti. L’emergenza è un Parlamento esautorato».

Così Sergio Luciano liquida il tentativo di Conte di prorogare lo stato d’emergenza fino al 31 gennaio.

Mai come stavolta si potrebbe dar ragione al premier, scrive Luciano,

«se solo avesse – anzi, avesse avuto – l’onestà intellettuale di attribuire l’emergenza non già alla pandemia ma alla giustizia civile e penale che non funziona,
alla lotta all’evasione che fa ridere, al codice degli appalti che li blocca, alla scuola che viene tenuta chiusa mentre si riaprono discoteche e spiagge,
al ponte Morandi che va assegnato in gestione ad Autostrade altrimenti non riapre, ai fondi di liquidità e alla cassa integrazione che ancora non sono arrivati ai destinatari»,

e insomma a tutti gli argomenti di stringente attualità «sui quali il governo, da quel drammatico weekend dell’8 e 9 marzo ad oggi, in quattro mesi, ha fatto solo chiacchiere».


Il tutto, aggiunge Luciano (già caporedattore economico a “La Stampa”, “Repubblica” e “Sole 24 Ore”),
è avvenuto «contro Salvini e grazie a Salvini», perché è da quando l’ex Capitano ha tentato, undici mesi fa, di far saltare il banco
e ottenere leelezioni anticipate «fidandosi dell’imbelle Zingaretti e finendo contro un muro», che il governo Conte-bis «ingrassa, sventolando lo spauracchio della vittoria della Lega».

Sostiene Luciano: «Il movimentismo salviniano –

“così non si può andare avanti, si torni al voto” – è stato il miglior alibi per il governo più pazzo del mondo e di sempre,
ossia per questo esecutivo attaccato con lo sputo che ci guida».

Adesso, l’ultima trovata è la proroga dello stato d’emergenza fino al 31 dicembre,
«a 20 giorni dalla scadenza di quello vigente (31 luglio) e senza argomentazioni»,
in attesa del voto delle Camere, che il 14 luglio ascolteranno e si esprimeranno sulle comunicazioni del ministro Roberto Speranza sul nuovo Dpcm,
destinato a prorogare le norme anti-contagio in scadenza il 14 luglio.

Unica voce di protesta, per ora, quella di Elisabetta Casellati, presidente del Senato, contro il “decretismo” di Conte:

«Mi auguro che sia l’inizio di una democrazia compiuta», ha detto, riferendosi al voto assembleare sulle comunicazioni di Speranza,
«perché alla Camera e al Senato siamo ormai gli invisibili della Costituzione».


Luciano parla di "democrazia simulata", messa in scena dall’ennesimo governo «guidato da un premier mai eletto dal popolo».

Un esecutivo che «stava trascinandosi su un piano di precarietà quotidianamente più grave
quando la pandemia è intervenuta inducendo comprensibilmente tutti gli italiani a pendere dalle labbra di Palazzo Chigi».

In altre parole: il traballante Conte “salvato” dal coronavirus:

«Mai tanta visibilità e notorietà è stata data a un premier, per lo meno da quando Berlusconi ha perso quel ruolo».

Quando il Covid-19 ha costretto il governo a prendere le decisioni d’emergenza (lockdown, mascherine, distanziamento),
la tenuta dell’esecutivo è parsa a tutti rafforzarsi:

«La figura del premier Conte è diventata improvvisamente popolarissima, con quel suo tono pacato e quasi scivolato di ratificare l’ovvio».

Poi, però, «sono sopravvenuti i decreti dettati da quest’emergenza e una parte di quella fiducia è sfumata,
per l’enorme gap che gli italiani hanno in qualche caso drammaticamente misurato con la propria pelle,
per esempio non ottenendo gli aiuti per la liquidità o la cassa integrazione per i dipendenti».


Infine, il declino sostanziale della pandemia «ha incastrato Conte e il ministro Speranza nel ruolo di uccelli del malaugurio»,
nell’evocare «i rischi ancora presenti in circolazione e le pessime prospettive di una seconda ondata autunnale».

I prossimi pochi giorni saranno di fuoco, avverte Luciano:

perché non aspettare il 20 luglio prima di dichiarare la proroga dell’emergenza?

E perché prolungarla addirittura di sei mesi, anziché fermarsi a tre?

Il Pd e i renziani chiedono comunque un passaggio preliminare in aula,
mentre i 5 Stelle declassano il problema a «questione prettamente tecnica»,
e il centrodestra ribadisce la sua contrarietà alla proroga, perché «lo stato di emergenza blocca l’Italia», sottolinea Anna Maria Bernini.

Sergio Luciano non vede spiragli: «Come sempre: buoni a nulla e indecisi a tutto, ma anche capaci di tutto».
 

Val

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Seppellire l’ascia di guerra almeno per un po’, come era usanza tra le tribù dei nativi americani.

Il tempo di spartirsi un numero cospicuo di poltrone e poi l’esecutivo giallorosso potrà tornare a farsi la guerra.

La posta in palio, d’altronde, è di quelle che farebbero gola anche alla meno coesa delle compagini di governo:

365 nomine ancora da ratificare tra consigli di amministrazione, amministratori unici,
collegi sindacali delle partecipate più piccole del ministero dell’Economia, di quello dei Trasporti, di Cassa Depositi e Prestiti e di Ferrovie dello Stato.


Un elenco ricchissimo al quale si aggiungono le varie Agcom, Garante della Privacy e presidenze delle commissioni parlamentari.

Abbastanza per spingere tutti ad alzare bandiera bianca.


Probabile che il governo aspetti l’estate per cercare di sbrogliare l’imponente matassa.

Servirà pazienza per trovare un accordo in grado di soddisfare da un lato il blocco di centrosinistra
e dall’altro un Movimento Cinque Stelle che tenta di sparare le ultime cartucce,
mentre i sondaggi lo inchiodano a un ruolo sempre più marginale.

Una partita complicata nella quale un ruolo chiave spetta al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri
e per la quale in molti casi si andrà verso riconferme capaci di accontentare tutti.


Come anticipato da La Verità, per Consip e Consap i nomi che si fanno sono tutti di peso.

Il commissario straordinario Domenico Arcuri, ancora molto inviso a Palazzo Chigi nonostante le recenti polemiche che hanno interessato il suo operato
(e che in alternativa potrebbe finire a Cassa Depositi e Prestiti).

Andrea Peruzy, attuale numero uno di Acquirente Unico, controllata dal Gestore Servizi Energetici.

E Salvatore Barca, nato e cresciuto non lontano da Pomigliano D’Arco e per questo fortunato
come quasi tutti quelli che hanno condiviso l’adolescenza con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.


Uno dei capitoli più difficili per il governo sarà quello che riguarda il settore ferroviario.

Nonostante un lavoro apprezzato, Orazio Iacono potrebbe essere sostituito (per volontà grillina) da Emanuele Spoto.

Nel gestore della rete Rfi potrebbe invece sbarcare Ugo Dibennardo al posto di Maurizio Gentile.

Un nome da molti indicato anche come possibile nuovo commissario di Autostrade per l’Italia,
ovvero l’ennesimo fronte aperto tra le anime del governo che, però, è bene rientri.

Almeno per un po’.
 

Val

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Con una formula simile a quella di certi reality show di successo, esiste una netta cesura
tra quello che del governo vediamo all’interno del piccolo schermo e quello che avviene invece fuori, nella vita reale.

Promesse, rassicurazioni e impegni severi si limitano, purtroppo, al primo dei due mondi in cui Conte e i suoi si muovono.

Nell’altro, di tutto questo ci sono poche tracce, rarefatte.

Ennesima prova, dopo i tanti aiuti rimasti su carta mentre l’Italia colpita dal coronavirus si ritrova in ginocchio,
arriva dalle tanto sbandierate semplificazioni, che negli slogan televisivi dovrebbero contribuire a rilanciare il Paese a gran velocità.


La Pubblica Amministrazione e l’Agenzia delle Entrate, in particolare, dovrebbero trasformarsi secondo Conte
in un aiuto prezioso per i cittadini e non più in ostacoli pronti da un momento all’altro a creare grattacapi.

Un sogno a occhi aperti.

Destinato, appunto, a rimanere tale.

Neanche il tempo di annunciare la rivoluzione, infatti, che ecco comparire all’orizzonte la circolare del Fisco dedicata alla prossima dichiarazione dei redditi.

La “Guida per la dichiarazione dei redditi delle persone fisiche” edizione 2020 è un tomo talmente voluminoso
da far invidia a certe opere fantasy da cui sono state tratte trilogie su trilogie di film:

411 pagine, in aumento rispetto alle 360 dell’anno scorso e alle 324 del 2017.


Non bastasse la crescita costante di fogli che, anno dopo anno, si fanno sempre più spessi, ci sono anche le tempistiche a far discutere.

Attraverso le colonne de Il Giornale, il presidente dell’Unione nazionale giovani dottori commercialisti ed esperti contabili Matteo De Lise
ha infatti segnalato come la guida sia stata pubblicata l’8 giugno 2020:

“Peccato che la prima scadenza di versamento per le persone fisiche sia fissata per il 30 giugno”.

Neanche un mese di tempo, dunque, per tenersi informati su procedure che non sono state affatto snellite.


“Hanno fatto tutto tranne che semplificare – ha aggiunto De Lise – hanno creato confusione, facendo annunci ai quali non sono seguite leggi.
Così si crea una distonia comunicativa che danneggia tutti”.

Con chiaro riferimento a quel superbonus al 110% entrato teoricamente in vigore
ma senza norme che lo rendano esecutivo e che richiede, in realtà, una procedura tutt’altro che semplice
per migliorare la propria residenza in ottica anti-terremoto o per migliorarne le classi energetiche.

Richiesta,
asseverazione di un tecnico,
attestato di prestazione energetica,
certificazione del fornitore delle valvole termostatiche (ove necessario),
delibera assembleare,
informativa all’Ente Nazionale per l’Energia.

Questi i passaggi richiesti, il tutto entro 90 giorni.

Alla faccia delle semplificazioni.
 

Coramina

out of this world

Buongiorno

questa è solo una faccia della medaglia, la più ipocrita. Non dimentichiamoci che il fascismo è nato sostenuto dagli imprenditori (Agnelli in primis) e dalla fascia di persone più benestanti, perchè andava bene tutto per contrastare il socialismo.
Il comunismo è fatto per illudere la povera gente e per permettere ai potenti (tendenzialmente fascisti) di speculare.
 

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