Ciao Bruno,
nel 1957, quando Lucchini era forse ancora solo un maestro elementare, sono stato mandato per tre giorni, con altri due giovani periti industriali, nel laminatoio di tondo per cemento armato di Pietra, allora uno dei più moderni. Siamo stati affidati al direttore dello stabilimento che, dopo un discorsetto di un quarto d'ora, ha aperto la porta del suo ufficio, che dava direttamente nel laminatoio. Proprio in quel momento una vergella incandescente ha sbagliato l'imbocco, inarcandosi verso l'alto e, piombando sul pavimento, ha strisciato verso di noi. Terrorizzati, sbiancati in volto, ci siamo appoggiati alla parete (cosa stupida, invece di cercare di tornare in ufficio). Il direttore, che aveva zoccoli di legno, ha sollevato la punta del destro e la vergella è scorsa via sfrigolando sullo zoccolo, con forte odore di bruciato. Saremmo voluti tornare immediatamente a casa, mentre gli operai ridacchiavano. L'ambiente sembrava un vero inferno. Invece, il terzo giorno siamo scesi a turno nella fossa, muniti di zoccoli e guanti, sostituendo gli operai per un'oretta ciascuno a doppiare il tondo. Significa prendere con delle pinze lunghe più di un metro la punta del tondo incandescente, che esce dal laminatoio, girarsi su se stessi di 180 gradi e infilarla nella scanalatura del laminatoio a fianco. Qualche anno dopo hanno inventato i doppiatori automatici. Da quella prima esperienza, ho visitato tutti i laminatoi d'Italia, dal piccolo nel bresciano, gestito da una famiglia che comprava rotaie usate, le scaldava in un fornetto lungo una decina di metri e produceva tondo per cemento armato (erano gli anni del boom edilizio), all'Italsider di Taranto.