La campagna elettorale appena iniziata,
al di là dei temi più prettamente ideologici e identitari,
si giocherà anche sulla crisi energetica e sulla cosiddetta “transizione green”.
Enrico Letta scalda i motori e delinea – con la destra al governo –
un futuro “nero” dove a dominare saranno di nuovo i combustibili fossili.
Ora, serve una buona dose di disonestà intellettuale
per non capire che la guerra tra Russia e Ucraina ha sconfessato ogni paradigma green.
Prima del conflitto, le élite europee escludevano dalla tassonomia green il gas e il nucleare,
costruivano un Recovery Fund tutto sbilanciato su solare ed eolico
e scoraggiavano investimenti nel fossile,
anche su campi onshore e offshore già coltivati e/o con ottime prospettive.
Ora, invece, la realtà ha imposto la sua di narrazione,
con i Paesi europei che senza distinguo alcuno
hanno sguinzagliato i propri campioni energetici nazionali
(sia privati che pubblici) alla ricerca di idrocarburi in giro per il mondo,
in particolare in Africa.
Il gas naturale e il nucleare oggi rientrano nella tassonomia green dell’Ue,
stando a significare che i finanziamenti per progetti di quel genere
saranno a tassi meno onerosi poiché verrà escluso il rischio ambientale.
La Germania, il Paese che più aveva scommesso sulle rinnovabili,
ora punta sul carbone in sostituzione del nucleare
e sta con il fiato sospeso ogni qualvolta i russi si muovono sul fronte Nord Stream.
C’è la corsa ai rigassificatori, sia da affittare che da acquistare ed impiantare sulle coste,
al fine di ricevere il gas naturale liquido dalle navi gasiere qatarine o statunitensi.
La Commissione europea parla senza problemi di raddoppio del TAP – inteso come opera strategica –
per aumentare l’import di gas naturale dall’Azerbaijan, un Paese tutt’altro che democratico
e con un passato bellicoso con l’Armenia.
Infine, riprendono un po’ ovunque nel mondo le esplorazioni per il greggio, primi tra tutti negli Stati africani come il Congo.
Dunque pensare che ci sia in atto un complotto per distruggere il pianeta sembra un’idea abbastanza campata in aria.
La realtà è che le nostre economie moderne
ancora sono affamate di energia rapidamente disponibile e possibilmente a basso costo.
I critici potranno dire che in questo momento, il gas non sia così economico, vero.
Tuttavia, la realtà è che il prezzo in questo momento è alle stelle proprio a causa della crisi dell’offerta
indotta dalla transizione green e dalla iper regolazione che strangola i progetti fossili
(vedi la pipeline petrolifera in America stoppata da Biden, che avrebbe dovuto trasportare il petrolio dell’Alberta fino ai porti del Texas).
Il sistema petrolifero globale prima o poi si adeguerà al terremoto russo,
come già successo in passato per altre crisi petrolifere, come quella del Kippur.
L’unico ostacolo sono le regolamentazioni costruite ad hoc negli ultimi anni:
il PITESAI in Italia – nato già morto –
nella realtà di oggi dovrebbe consentire la ricerca e l’esplorazione
in molte più aree (le cosiddette “aree idonee”) rispetto a quelle previste nell’attuale piano.
Altro tabù, come rapidamente menzionato in precedenza, riguarda l’energia nucleare.
Ora, che l’ENI stia sviluppando un reattore a fusione nucleare è un gran passo,
ma sarà disponibile solo tra decenni ed ai fini dell’emergenza odierna servirà a ben poco.
Al momento abbiamo la tecnologia della fissione,
che andrebbe sfruttata perché sicura,
con reattori di terza generazione già disponibili
e quelli di quarta in rapida dirittura d’arrivo, ancora più sicuri ed efficienti.