I prodromi dell’attuale dissesto monetario e finanziario si collocano nel 1971
quando Richard Nixon e il sottosegretario del Ministero del Tesoro per gli affari monetari internazionali Paul Volcker
dichiararono la fine del gold exchange standard, trasformando magicamente il dollaro in oro.
La fine del modello monetario che aveva sostenuto la ripresa del dopoguerra
finiva con la separazione della stampa della carta moneta da un valore sottostante come l’oro
lanciando la stampa di carta moneta nell’iperuranio della finanza infinita.
I rischi di svalutazione del dollaro portarono alla creazione del petrodollaro
ed a quella del sistema Swift nel 1973, che di fatto furono i presupposti
per dare al dollaro il ruolo di moneta egemone negli scambi internazionali
non essendoci al tempo reali forze in contrapposizione.
Da quel tempo si è avviata la rivoluzione finanziaria che ha finito per destabilizzare il sistema occidentale;
la spinta alla massimizzazione della ricchezza ha giustificato la ricerca esasperata della riduzione dei costi di produzione
che ha portato ad appaltare all’est asiatico il sistema manifatturiero americano che era la loro forza.
Il dato più evidente è il calo della percentuale di addetti alla manifattura,
che è passato dal 40 per cento della fine degli anni Ottanta al 10 per cento attuale.
A favore dei posti nel settore terziario – banche, assicurazioni, finanza e servizi –
che mostra oggi l’estrema finanziarizzazione dell’economia reale.
Tutto è stato fatto per fare crescere i dati del mercato borsistico
e le aspettative di crescita infinita delle quotazioni;
gli stessi principi contabili sono stati stravolti per gonfiare gli indici di borsa.
Infatti era concesso di inserire tra i ricavi, gonfiandoli, anche le aspettative di futuri guadagni.
Quando il vento è girato dopo il fallimento Lehman Brothers e le aspettative sono diventate negative,
il sistema è andato in loop anticipando le aspettative di future perdite.