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Esatto. E sempre a spese dei cittadini.

Ma non solo apple.
Qualsiasi prodotto che noi pensiamo possa essere americano ed invece non lo è nella produzione.

O qualsiasi prodotto che noi compriamo da una società italiana
e poi andiamo a scoprire che l'hanno prodotto altrove.
 
Non è difficile da capire. Ma...........

Qualsiasi prodotto - anche assemblato - che viene prodotto nella nazione,
aumenta il pil e porta lavoro......perchè esiste ancora gente che lavora e che deve lavorare per vivere.

Aumento del pil porta a diminuzione del rapporto di debito.
 
Esatto. E sempre a spese dei cittadini.

Ma non solo apple.
Qualsiasi prodotto che noi pensiamo possa essere americano ed invece non lo è nella produzione.

O qualsiasi prodotto che noi compriamo da una società italiana
e poi andiamo a scoprire che l'hanno prodotto altrove.
Io sono entrato nel software di un componente elettronico. Sulla scatola c'è scritto Made In Italy, anche sul componente ' stampato Made In Italy, pero' dentro si trova il mac address, le prime cifre identificano in modo univoco il produttore e anche la fabbrica nel quale è stato prodotto. E indovina un po'? Viene da Taiwan! E so anche da quale stabilimento viene, indirizzo e tutto.
 
Trump, che è notoriamente ignorante come una capra avra' delle sorprese, anche nei componenti che lui pensa siano americani, e vengono usati in apparecchiature critiche.
 

E poi ci sono questi :

La Moka Bialetti, simbolo del Made in Italy, diventera' cinese ?​


È la Nuo Capital, società del miliardario di Hong Kong Stephen Cheng
che vorrebbe acquisire una quota di controllo della società.
 
Un bell'articolo sulla STORIA che - quasi tutti - non conoscono.


Le operazioni sui dazi del presidente Donald Trump
mostrano con evidenza gli squilibri economici e sociali degli Stati Uniti
e il tentativo di aggredire un debito pubblico quasi fuori controllo
con tagli alla spesa ed entrate fiscali derivanti dai dazi
per contribuire al rallentamento del debito stesso.

Il debito degli Usa ormai si avvicina ai 35mila miliardi di dollari
con una spesa per interessi annua di circa mille miliardi di dollari,
superiore per la prima volta nella loro storia alla spesa per la Difesa che è di 850 miliardi.

Il Pil si attesta verso i 28mila miliardi di dollari con una minore dinamica di crescita del debito.

E la debolezza della situazione si riflette sulla tenuta del dollaro,
l’insieme dei fatti può rendere più difficile la collocazione del debito sui mercati internazionali
che fino ad ora ha consentito agli Usa di vivere sopra i propri mezzi.
 
Questa discesa verso uno squilibrio nei conti
e verso un sistema sociale che mostra sempre più evidenti segni di disgregazione,
con continui fatti esemplificativi di un disagio sociale al limite del controllo,
è iniziata in modo progressivo dopo la caduta del muro di Berlino
che ha fatto credere all’onnipotenza di un modello socioculturale che sembrava non avesse ostacoli.

Per celebrare questo evento storico il politologo Francis Fukuyama scriveva il libro:

La fine della storia

senza capire i tempi e i ritmi della storia e come essa sempre si ripete in modalità diverse ma costanti;

mai profezia tanto celebrata si è rivelata un drammatico inganno.
 
I prodromi dell’attuale dissesto monetario e finanziario si collocano nel 1971
quando Richard Nixon e il sottosegretario del Ministero del Tesoro per gli affari monetari internazionali Paul Volcker
dichiararono la fine del gold exchange standard, trasformando magicamente il dollaro in oro.

La fine del modello monetario che aveva sostenuto la ripresa del dopoguerra
finiva con la separazione della stampa della carta moneta da un valore sottostante come l’oro
lanciando la stampa di carta moneta nell’iperuranio della finanza infinita.

I rischi di svalutazione del dollaro portarono alla creazione del petrodollaro
ed a quella del sistema Swift nel 1973, che di fatto furono i presupposti
per dare al dollaro il ruolo di moneta egemone negli scambi internazionali
non essendoci al tempo reali forze in contrapposizione.


Da quel tempo si è avviata la rivoluzione finanziaria che ha finito per destabilizzare il sistema occidentale;

la spinta alla massimizzazione della ricchezza ha giustificato la ricerca esasperata della riduzione dei costi di produzione
che ha portato ad appaltare all’est asiatico il sistema manifatturiero americano che era la loro forza.

Il dato più evidente è il calo della percentuale di addetti alla manifattura,
che è passato dal 40 per cento della fine degli anni Ottanta al 10 per cento attuale.

A favore dei posti nel settore terziario – banche, assicurazioni, finanza e servizi
che mostra oggi l’estrema finanziarizzazione dell’economia reale.

Tutto è stato fatto per fare crescere i dati del mercato borsistico
e le aspettative di crescita infinita delle quotazioni;
gli stessi principi contabili sono stati stravolti per gonfiare gli indici di borsa.



Infatti era concesso di inserire tra i ricavi, gonfiandoli, anche le aspettative di futuri guadagni.


Quando il vento è girato dopo il fallimento Lehman Brothers e le aspettative sono diventate negative,
il sistema è andato in loop anticipando le aspettative di future perdite.
 
Quindi il taglio dei costi e dell’economia reale
ha finito per erodere la reddittività del sistema
che ha sempre confidato sul ruolo del dollaro come moneta di riferimento globale.

Fino a quando l’ex-terzo mondo è diventato alternativo,
e con i Brics è cominciata la guerra monetaria della dedollarizzazione;

le transazioni internazionali in dollari
sono passate dal 79 per cento al 57 per cento
nel giro degli ultimi cinque anni e la dinamica gioca a loro favore.


Di fronte a questa situazione diventa molto più difficile sostenere il rifinanziamento del debito Usa
tramite la collocazione di un volume crescente di debito sui mercati internazionali,
con il conseguente rischio di un processo di svalutazione del dollaro.
 

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