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Non c’è peggior censura del conformismo mediatico, tramite la stampa, la televisione e i social,
insomma, tramite tutti i media in generale.

L’arte di eterodirigere l’opinione pubblica e di conseguenza condizionare le masse
non si declina più in modo grossolano e anacronistico con la manifesta e dittatoriale censura,
ma con un’arma ancora più diabolica e subliminale, di raffinata sottigliezza,
ossia il cosiddetto conformismo culturale e comunicativo.

Uno strumento così occulto che coloro che lo subiscono non se ne accorgono,
credendo di pensare e di agire in modo autonomo,
ma in verità indotti da fonti d’informazione manipolate a proposito.


“La verità? La verità è ciò che io dico che sia!”,
sentenzia Charles Foster Kane
nel capolavoro di Orson Welles, Quarto potere (Citizen Kane).
 
Non parliamo di sceneggiature hollywoodiane, ma di denaro pubblico,
di fondi elargiti a giornalisti e redazioni
che dovrebbero essere i “cani da guardia” del potere, non i suoi megafoni.

Secondo un’inchiesta del Berliner Zeitung,
la Commissione europea avrebbe destinato, a partire da novembre 2024,
oltre 600mila euro al network investigativo Organized Crime and Corruption Reporting Project (Occrp),
noto per inchieste di caratura mondiale come i Panama Papers.



Il finanziamento rientra nel progetto Next-Ij,
presentato come iniziativa per “rafforzare il giornalismo investigativo europeo”.

Pertanto, il nodo è sempre lo stesso, ovvero

può esistere un’inchiesta indipendente quando chi paga il conto è un’istituzione politica?
 
A sollevare il caso è stato l’eurodeputato Petr Bystron.

Le domande poste restano legittime sul fatto che “Occrp-Medien come Der Spiegel
hanno ricevuto oltre 600mila euro dall’Ue subito dopo le elezioni europee.

"Proprio questi media hanno manipolato le ultime elezioni con campagne massive",

ha denunciato Bystron, accusando il network di aver deliberatamente screditato i politici euroscettici.

La Commissione, da parte sua, difende la correttezza dei finanziamenti,
affermando che i fondi sono trasparenti e vincolati a rigorosi standard giornalistici.

I critici non vedono garanzie e vedono in questi flussi economici un chiaro tentativo di costruire una
“narrazione ufficiale” strumentale europea, sostenuta con denaro dei contribuenti.



Non è la prima volta che Occrp finisce sotto la lente per la provenienza dei suoi finanziamenti,
i giornalisti del Ndr John Goetz e Armin Ghassim hanno documentato come, in passato,
gran parte dei fondi del network provenisse dall’agenzia statunitense Usaid.

Quindi, non semplici contributi a fondo perduto, ma risorse condizionate,
come è accaduto con i funzionari americani che influenzarono decisioni editoriali e scelte interne di personale.

I numeri parlano chiaro,
11 milioni di dollari sono stati erogati complessivamente da agenzie statunitensi,
di cui ben 5,7 milioni direttamente da Usaid.


Un fiume di denaro che si è interrotto solo durante la presidenza di Donald Trump,
quando la Casa Bianca tagliò i rubinetti all’organizzazione.

Il quadro si inserisce in una cornice ancora più ampia
e nel suo recente studio Brussels’s Media Machine, l’analista Thomas Fazi
ha calcolato che la Commissione e il Parlamento europeo
hanno investito circa 80 milioni di euro l’anno in progetti mediatici,
per un totale di quasi un miliardo nell’ultimo decennio.
 
Per quanto l’obiettivo dichiarato sia quello di promuovere l’integrazione europea e di combattere la disinformazione,
in realtà l’obiettivo reale, secondo i critici,
sarebbe invece quello di finanziare chi scrive bene dell’Ue
e di marginalizzare le voci dissenzienti.


Un modello che riecheggia vecchi schemi propagandistici
,
dove trionfa il conformismo senza avere la necessità di esercitare una palese censura esplicita,
ma solamente limitandosi a premiare dei “giornalisti allineati”.


La verità non viene imposta con decreti o divieti,
ma con bandi di finanziamento e corsi di formazione lautamente retribuiti.


Il nodo politico e culturale è evidente, ossia :

può un giornalismo che dipende dai fondi di Bruxelles mantenere quella distanza critica indispensabile a vigilare sul potere?

O non finisce, piuttosto, per trasformarsi in un’estensione delle istituzioni che dovrebbe controllare?
 
La libertà di stampa non si misura solo nell’assenza di censura diretta,
ma anche nella capacità di non dipendere economicamente da chi governa.

Perché altrimenti, come ammoniva Orson Welles,
la verità rischia davvero di diventare soltanto
“ciò che il potere dice che sia”.


“Chiunque voglia sopprimere la libertà di stampa è il primo a volerci rendere schiavi” (Benjamin Franklin)
 
Ahahahahahahah

E’ costato solo 61mila euro alla Lmdv Capital di Leonardo Maria Del Vecchio
prendere il controllo del 100% di Boem srl, azienda produttrice di bevande
che ha finora fatto fatica a decollare, e liquidare i soci presenti nell’azionariato fin dall’inizio,
la Zedef della famiglia di Federico Leonardo Lucia (in arte “Fedez”),
Giulio Camillo Bernabei
e il rapper Jacopo Lazzarini, in arte “Lazza”.

Sono resi chiari dall’atto di cessione delle quote, appena depositato e firmato dallo stesso Del Vecchio per Lmdv Capital,
Bernabei per la Happy Seltz srl (partecipata al 50% ciascuna dalla Zedef e dalla Rome & More srl di Bernabei)
e Francesca Lisetto, madre di Lazza, per la loro J Project srl.

Ebbene l’atto rivela che le rispettive quote del 43,5% per Happy Seltz e del 3% per J Project
sono state pagate da Del Vecchio solo al loro valore nominale sul capitale di 131mila euro di Boem:
quindi i Fedez e Bernabei hanno incassato 57mila euro e Lazza 3.930 euro.


Lmdv Capital non ha quindi liquidato i soci con un sovrapprezzo

perché i numeri di Boem sono sempre stati negativi fin dall’avvio dell’azienda nel 2023
e il bilancio del 2024 s’è chiuso con una perdita di oltre 3 milioni a fronte di ricavi per soli 240mila euro.
 
I media mainstream, soprattutto televisivi in Italia,
sono colmi di richiami alla “Global Sumud Flotilla“,
la missione marittima organizzata dalla Freedom Flotilla Coalition (FFC),
una coalizione non gerarchica di campagne di solidarietà globali.


L’obiettivo dichiarato, e teorico, della missione
sarebbe trasportare aiuti umanitari essenziali come cibo, acqua e medicine ai civili di Gaza.

Tuttavia, il nome stesso della missione, “Sumud”, che in arabo significa “fermezza” o “resilienza”,
lega esplicitamente l’iniziativa a un’ideologia politica di resistenza e perseveranza palestinese
e si pone come una missione critica, se non avversa, allo stato d’Israele.

Questa iniziativa è stata definita la “più grande di sempre”,
composta da decine di imbarcazioni partite da vari porti europei,
tra cui Barcellona e Genova, e trasporta qualche tonnellata di aiuti.

L’essenza della missione risiede in una tensione intrinseca tra i suoi obiettivi umanitari
e i suoi espliciti scopi politici, e questo non è un bene:

gli aiuti sono già stati inviati da vari paesi per via aerea,
molto più efficiente ed in quantità molto più abbondate,
proprio perché non c’era un fine politico esplicito
.

Ad esempio gli Emirati Arabi Uniti hanno inviato 500 tonnellate d’aiuti per via aerea,
l’Italia 100 tonnellate e sono arrivati proprio perché privi di finalità politiche,
ma solo umanitarie.
 
Per gli organizzatori della Flotilla,
la politica e la visibilità sono obiettivi prioritari.

Sotto questo punto di vista, vale il “Tanto peggio, tanto meglio”:
un evento cruento darebbe una grande visibilità alla missione.


Al contrario, se tutto si esaurisse con il fermo della flottiglia
e l’espulsione dei partecipanti,
sarebbe un flop colossale per gli organizzatori,
dal punto di vista della comunicazione.

In questa lotta politica,
il benessere dei profughi passa totalmente in secondo piano.


MA CHI GLIELO SPIEGA AL POPOLO BUE ???
 

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