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Questo per farVi capire a quale livello di demenza siamo arrivati.

Sarà inaugurato sabato 18 ottobre alle 10 nel parco di Villa Guzzi, in via allo Zucco 6, il nuovo gattile comunale di Lecco.

I lavori, iniziati a marzo dello scorso anno e terminati a marzo 2025
sono stati realizzati dalla società cooperativa Itinera di Cesano Maderno (direzione lavori dell'architetto Andrea Gerosa)
e hanno previsto la ristrutturazione dell'edificio rustico presente all'interno del parco
e della rispettiva area di pertinenza per un costo complessivo di 356.023,80 euro.

Nell’oasi potranno essere ospitati i gatti, provenienti dalle colonie feline,
non più in grado di vivere in libertà per motivi di salute o di sicurezza, fino a un massimo di 50 esemplari.

Le oasi feline sono spazi protetti e attrezzati dove gli animali
che non possono più vivere autonomamente possono trovare rifugio, assistenza veterinaria e cure quotidiane.

Nel gattile, invece, verranno accolti i gatti abbandonati e adottabili, per una capienza massima di 12 animali.

I gattili svolgono un ruolo fondamentale nella tutela del benessere animale: offrono un ricovero temporaneo agli animali in difficoltà, garantendo cure, alimentazione e percorsi di socializzazione in attesa di una nuova adozione.


Renata Zuffi: “Un progetto contro il randagismo,​

realizzato insieme a soprintendenza e Ats”​

"Si tratta di un intervento di grande valore per la città,
perché coniuga la tutela del benessere animale con la riqualifica di un'area pubblica,
restituendo alla comunità uno spazio che promuove rispetto, sensibilità e responsabilità verso gli animali".

Questi hanno speso - praticamente - 5.740 euro ad animale.​

UNA PAZZIA e ci sono persone - NON ANIMALI - che cercano la carità per mangiare.
 
Bella roba. Fantastico.

Secondo quanto ricostruito da La Repubblica,
i componenti principali della “squadra” di Venditti erano:

Antonio Scoppetta: ex maresciallo, già condannato a 4 anni e 6 mesi per corruzione,
noto per il suo stile di vita lussuoso, la disponibilità di contanti e il debole per il gioco.

Silvio Sapone: luogotenente, considerato il capo operativo
e ricordato per aver minimizzato l’importanza delle intercettazioni su Andrea Sempio nel caso Garlasco.

Maurizio Pappalardo: ex maggiore, presenza fissa nello “stanzone” pur senza averne titolo ufficiale,
con accesso ai fascicoli e riunioni quotidiane con Venditti.

Cristiano D’Arena: titolare della Esitel, società incaricata dei servizi di ascolto, e della CrService,
che gestiva in esclusiva il noleggio auto per le indagini.

Il fratello di D’Arena era proprietario del ristorante dove la “squadra” si ritrovava abitualmente per lauti pranzi.

Secondo la procura di Brescia, si trattava di un sistema di relazioni anomale e privilegi, consolidato e strutturato.

I decreti notificati all’ex capo della procura di Pavia, Venditti, e al pubblico ministero Pietro Paolo Mazza (oggi in servizio a Milano),
contengono contestazioni identiche: corruzione e peculato in concorso per una cifra di 750 mila euro
e l’utilizzo di almeno una decina di auto di lusso.
 
C’eravamo quasi.

A meno di due giorni da un barlume di cessate il fuoco
– quel tipo di tregua che puzza di temporaneo e sa di ipocrisia –
e già la giostra della morte ricomincia a girare.

Solo che stavolta non c’è nemmeno bisogno degli F-16 israeliani per far piovere sangue:

ci pensa Hamas, in casa propria, come una madre ubriaca che pesta i figli dopo la veglia funebre.


Il copione è vecchio ma fa sempre audience:

pubbliche esecuzioni con più coreografia che prove,
regolamenti di conti tra clan,
delazioni inventate
e colpi alla nuca dietro i vicoli spezzati di Gaza.


Nessun tribunale, solo mitra e bandane nere. La legge del Kalashnikov. Amen.
 
E mentre i morti si accumulano e i civili si piegano, l’Occidente
– la moralissima sinistra da iPhone, le top model militanti e gli attivisti con la kefiah stirata – tace.

Tace come un predicatore beccato in un bordello.

Dove cazzo sono finiti tutti?
Bella Hadid, sparita.
Greta, distratta dal clima.
Guterres, intento a scrivere un’altra dichiarazione “preoccupata” mentre sorseggia caffè a Ginevra.

Tutti muti.

Zitti come statue rotte, adesso che non ci sono israeliani da odiare ma solo palestinesi che massacrano altri palestinesi.


Hamas – chiamarla “resistenza” è come chiamare Jack lo Squartatore un chirurgo
si sta scavando la fossa con le unghie, ma prima vuole portare giù con sé chiunque osi fiatare.

Dissidenti, parenti scomodi, chi ha salutato male un comandante o chi ha cliccato “like” alla pagina sbagliata: carne da plotone.

La nuova Palestina è un reality distopico girato con l’obiettivo sporco di sangue.


E voi, pro-Pal, che fine avete fatto?
Quelli col megafono sempre in mano, gli studenti con l’orgoglio woke e le lacrime selettive?

Non si sente una parola.

Forse perché la realtà fa schifo e non si può filtrare in una storia da 15 secondi.

O forse perché, sotto sotto, ve ne fregava solo di sentirvi eroi da tastiera contro l’imperialismo, a costo zero.


Chi difende davvero i palestinesi, oggi, deve parlare anche contro Hamas.

Perché giustificare il carnefice con la scusa della causa è vigliaccheria in salsa ideologica. Ed è complicità. Punto.


E sì, magari Ben Gvir è un fanatico, uno con l’odore del napalm in tasca.

Ma quando chiama “terroristi” quelli che si comportano da terroristi… beh, forse una volta tanto non sta delirando.


Il guaio è che ormai, nel grande Circo dell’indignazione globale, la coerenza è l’unico numero che non va mai in scena.
 
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