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sì anche se durerà molto poco, poi al primo governo tecnico si ricomincia con "non c'è democrazia, ma chi lo ha eletto, fatece votà..."

I "capaci di tutto", se nessuno gli acquista il debito, pur di restare in groppa, sono appunto capaci di rispolverare il prestito forzoso.

 
I "capaci di tutto", se nessuno gli acquista il debito, pur di restare in groppa, sono appunto capaci di rispolverare il prestito forzoso.

voglio verdere la fasciopesciarola a chi venderà le trote.
 
e comunque qui non ha imparato niente nessuno



Il Gatto e la Volpe di certo non hanno capito perchè continuano a promettere il "paese dei balocchi".
La meloncina devo ammettere che ha decisamente più i piedi per terra.

 
La meloncina devo ammettere che ha decisamente più i piedi per terra.
In effetti. Ha capito che è finito il tempo di fare la sborona da forum brava a criticare tutto e tutti. Sa che deve governare e non si governa un Paese indebitato come l'Italia con il truce populismo e sovranismo da qualunquista.

Non parla di flat-tax, conferma alleanza Nato ed aggressione senza se e senza ma della Russia. E questo è già un ottimo punto di partenza.
Se:
1) evitasse la buffonata della battaglia navale per gestire i flussi migratori
2) evitasse di provare a riformare la Costituzione in senso Presidenziale (elezione diretta del Capo dello Stato)
3) evitasse, con i debiti (dipendenza) che abbiamo, di dire che vuole ripristinare il primato delle leggi nazionali su quelle della UE
Allora:
Potrei votare Meloni :d:

meloni.jpg
 
Ultima modifica:
Questa è la strada che perseguono i sinistroidi.......la persona ignorante la governi,
la indirizzi, le fai fare quello che vuoi tu. Cina docet.
Ci vogliono invertebrati. Ed agiscono sui giovani......altamente invertebrati.


Secondo un’indagine del Times,
le università inglesi hanno iniziato a rimuovere un numero spropositato di libri dai programmi
per proteggere gli studenti da contenuti considerati “impegnativi”.

Sono oltre mille i testi ritenuti “pericolosi” e quindi oggetto di censura.

Di chi si tratta?

Di alcuni degli autori inglesi più famosi della storia, come William Shakespeare, Geoffrey Chaucer, Jane Austen, Charlotte Brontë, Charles Dickens e Agatha Christie.

Tutti accusati di aver partorito opere “deleterie” per il benessere psicofisico degli studenti.

Sir Trevor Phillips, presidente dell’Indice sulla censura,
ha affermato che ritirare i libri per proteggere gli studenti da contenuti difficili, come la schiavitù,
rientra “in una più ampia ondata di censura nei campus britannici”.


Quella che nessuno si aspettava sarebbe mai arrivata così prepotente.


Razzismo, schiavismo, teoria del gender e islamofobia: tutto dipende da queste quattro coordinate.



Ma che la censura stesse incombendo sui campus di tutto il mondo era un fatto evidente già nel 2016.

In particolare le università britanniche iniziavano ad essere posti un cui gli studenti
possono rifiutarsi di prendere parte ad una lezione su un romanzo dell’Ottocento
perché gli può ricordare le sue disavventure sentimentali, e in cui all’allora sindaco di Londra, Boris Johnson,
veniva ritirato l’invito ad un dibattito alla London School of Economics sulla Brexit
per via di alcune considerazioni “inopportune” sulle origini keniote dell’ex presidente Obama.

Tutto benedetto e richiesto dalla National Union of Students, il NUS, che nel 2016,
eleggeva la ventottenne Bouattia una che chiedeva al governo inglese di iniziare in fretta a “prendere ordini” dai palestinesi “
che stanno attivamente sostenendo la lotta e la resistenza contro l’occupazione” israeliana.

La Bouattia era stata la prima donna nera e islamica a diventare leader del NUS.

Oggi è presentatrice di un programma televisivo musulmano, ‘Women Like Us’.


Tom Slater, giovane autore di “Unsafe Space” – libro sulla censura nei campus – già all’epoca si lamentava così,
“è una follia che esiste da tempo, ma che da tre anni a questa parte ha preso proporzioni inquietanti.
Qualcosa che prima si applicava ai nazisti, ora a Germaine Greer” – colpevole, per chi se lo fosse perso,
del reato di transfobia per aver detto che Caitlin Jenner “non è una vera donna”.

Slater ripercorreva le “strane alleanze” che si andavano formando nei campus in nome della censura,
“a Goldsmith il gruppo Lgbt si è alleato con la società islamica
che aveva attaccato l’attivista per i diritti umani iraniana, Maryam Namazie, durante una conferenza:
un sacco di censura è influenzata dall’islamismo e dalla paura dell’islamofobia”.


Nel 2016, per Rachael Jolley, direttrice della rivista di Index on Censorship, era
“preoccupante aver visto la crescita nella cultura studentesca britannica di alcune forti lobby di studenti
che pensano che sia meglio mettere a tacere un dibattito” e il diffondersi di “una cultura dell’accusa”
in cui chiunque è in disaccordo è fobico e accecato dall’odio.
Per la Jolley, il NUS aveva “contribuito a promuovere l’idea di silenziare le opinioni contrastanti e il dibattito”.

Stando ad un sondaggio della Bbc, il 63% degli studenti già riteneva nel 2016,
che il “no-platforming” (la pratica di impedire a qualcuno di presenziare ad un convegno per le sue idee o di boicottare siti web) fosse una pratica giusta.



Spiked pubblica ogni anno una classifica degli atenei in base alla loro capacità di promuovere dibattiti liberi.

E se a luglio scorso ha evidenziato come la censura nei college fosse ormai fuori controllo
e che vengono premiate solo le università che adottano politiche più censorie per difendere il politicamente corretto,
era il 2015 quando asseriva che il 90% delle 115 università esaminate avesse censurato qualcosa.

Oxford aveva il bollino rosso per aver “messo al bando e attivamente censurato delle idee nel campus”,

Cambridge quello arancione per aver “bloccato la libertà d’espressione attraverso un intervento”.

Abbastanza inquietante risultava già allora il “Trigger Warning”:
un avvertimento che segnala agli studenti che quello che stanno per leggere li potrebbe sconvolgere.


L’idea che la vita intellettuale debba includere delle sfide

e che possa esistere qualcosa di diverso da quello promosso dall’opinione dominante

collassava già negli anni dieci del 2000 sui verdi prati dei campus americani e britannici,

sostituita dal complesso di vittimismo multiculturale.


Non era difficilmente prevedibile quello a cui assistiamo ora: non dire più niente.



E che l’inchiesta del Times appena pubblicata conferma.


Qualche mese fa Philip Pullman, uno dei più venduti e famosi scrittori inglesi,
si è dimesso dalla carica di presidente della Society of Authors
per il suo sostegno a una collega accusata di stereotipi razzisti.


Un rapporto del mese scorso ha rivelato che il numero di studenti

che sostengono le restrizioni alla libertà di parola nei campus

è aumentato notevolmente negli ultimi sei anni.


Lo studio dell’Higher Education Policy Institute,

ha confrontato le opinioni di mille studenti universitari

con altrettanti mille studenti di circa dieci anni fa:

gli studenti di oggi vogliono essere protetti da punti di vista difficili.
 
L’autorità di regolamentazione dell’Office for Students ha anche riferito che lo scorso anno
ben 193 relatori ed altrettanti eventi sono stati respinti o annullati nelle università inglesi.

Nel 2019/2010 erano stati 94.

Affinché i cosiddetti gruppi minoritari si sentano meglio rappresentati nei campus,
c’è stato un crescente movimento guidato dagli studenti stessi per “decolonizzare” l’istruzione.

L’anno scorso, l’Università di Leicester ha annunciato l’intenzione
di interrompere l’insegnamento della letteratura medievale a causa di “un calo della domanda”
e offrire, invece, corsi “decolonizzati” che siano “sufficientemente innovativi”,
con più ore dedicate allo studio di materie come sessualità, razza e diversità.

Gavin Williamson, Segretario di all’istruzione, ha criticato la decisione, dicendo che le università
“non dovrebbero, né per ragioni ideologiche né per conformarsi ai desideri percepiti degli studenti,
fare pressione o costringere il personale docente a depennare autori o testi dai corsi”.

Il mese scorso, racconta l’indagine del Times, è emerso che Danielle Greyman, una neolaureata,
ha citato in giudizio l’Università di Leeds per aver ingiustamente bocciato un saggio che aveva scritto perché “non criticava Israele”,
e la cosa aveva gravemente compromesso la sua carriera post universitaria.

Gli accademici e i rettori delle università inglesi hanno fatto di tutto per fermare l’indagine del Times sulla censura nelle università.

Il colosso della stampa inglese ha richiesto, tramite il Freedom of Information Act, di ottenere informazioni più dettagliate sugli autori e i corsi censurati.


Kim A. Wagner, professore di storia alla Queen Mary, Università di Londra, ha condiviso la foto della richiesta del Times e ha scritto:

“Mentre il mondo brucia lentamente, la destra persegue allegramente la sua guerra culturale autocostruita”.

Coerente con la libertà di espressione e di informazione.

Ma è la guerra alla realtà e alle idee, nei college inglesi – ed americani! – ad essere più feroce che mai.


Il Times scrive della testimonianza di Jack Ross.
Ex studente alla Sussex fino al 2019 e presidente della Conservative Students Society,
ha raccontato al Times che una volta durante una lezione,

“un professore ha spiegato che la guerra in Iraq è avvenuta perché i bianchi volevano uccidere i neri e nessuno è stato in grado di sfidarlo.
Quando un altro professore ha descritto Israele come un aggressore, ho alzato la mano e ho detto che la situazione era più complessa di così e lui ha iniziato a piangere.
Ad un certo punto ho capito che dovevo fingere per ottenere buoni voti e andare avanti”.

La ragazza di Ross all’epoca studiava biologia alla Sussex e il suo insegnante usò una foto di Donald Trump per illustrare una cellula cancerosa.

“Perché la politica dovrebbe entrare nell’insegnamento della biologia? Ho avuto l’impressione di essere oggetto di un lavaggio del cervello costante”.

Alla Nottingham Trent University, agli studenti di francese è stato detto che non devono più leggere e studiare la rivista satirica Charlie Hebdo
perché “razzista, sessista, bigotta, islamofoba”, e poco male se è stata l’obiettivo di un attentato islamico che ha ucciso dodici persone.


Lo stesso accade oltre oceano dove “molti attivisti trans pensano che qualsiasi opinione in disaccordo equivalga a incitare all’odio e cercano di sopprimerla.

Gli accademici che si sono opposti all’‘ideologia di genere’ sono stati tutti rimossi dalle cariche professionali”.

Come Callie Burt, professoressa alla Georgia State University,
licenziata dal comitato editoriale del Feminist school of criminology:
aveva criticato la fusione tra sesso e identità di genere.

O come Kathleen Lowrey, professoressa di Antropologia all’Università dell’Alberta,
rimossa dalla cattedra di un corso di laurea, sempre per aver criticato la teoria del gender.


“Eppure è probabile che l’effetto più preoccupante sia invisibile”, scriveva l’Economist lo scorso anno.

“Un numero imprecisato di dipendenti universitari evita di esprimere la propria opinione per paura.

In che modo un’ideologia che non ammette dissenso si è radicata così tanto nelle istituzioni?

Sarebbe meglio se le università, che devono il loro successo a una tradizione di dissenso e dibattito, difendessero la libertà di parola”.


Intanto nelle università britanniche,

gli insegnati avvertono gli studenti che studiare la Bibbia può essere pericoloso

per via di “scioccanti violenze sessuali” in essa contenute.
 
Questa la teoria .........veramente assurda. Demenziale.
Diminuisci il lavoro ed aumenti i sussidi......che picchi fuori dal muro ahahahahahahahah


“La decrescita felice non ha come faro direzionale la ricerca della produttività, ma altri valori.

È prima di tutto una critica ragionata e ragionevole alle assurdità di un’economia fondata sulla crescita della produzione di merci,
e si caratterizza come un’alternativa radicale al suo sistema di valori.

Nasce in ambito economico, lo stesso ambito in cui è stata arbitrariamente caricata di una connotazione positiva la parola crescita,
ma travalica subito in ambito culturale.

Non accetta la riduzione della quantità alla qualità, per esempio,
non ritiene che la crescita del cibo che si butta,
della benzina che si spreca in code automobilistiche,
del consumo di medicine magari per problemi derivanti da inquinamento,
comporti una crescita del benessere, e li ritiene peggioramento della qualità della vita.


Dunque

“Non è riduzione quantitativa del Pil, non è recessione, e non è neppure riduzione volontaria dei consumi per ragioni etiche, perché non è rinuncia.

Rinuncia implica valutazione positiva di ciò cui si rinuncia.

È rifiuto invece di ciò che non serve, di quello di cui non si sa che farsene, dell’effimero, il di più, l’inutile.

Non so cosa farmene, in realtà poco di nuovo mi serve, e non voglio spendere una parte della mia vita per guadagnare per comprarlo”.


La decrescita si propone di ridurre il consumo delle merci che non soddisfano nessun bisogno

(per esempio: gli sprechi di energia in edifici mal coibentati),

ma non il consumo dei beni che si possono avere soltanto sotto forma di merci perché richiedono una tecnologia complessa

(per esempio: la risonanza magnetica, il computer, ma anche un paio di scarpe),

i quali però dovrebbero essere acquistati il più localmente possibile.


Si propone di ridurre il consumo delle merci che si possono sostituire con beni autoprodotti ogni qual volta ciò comporti
un miglioramento qualitativo e una riduzione dell’inquinamento, del consumo di risorse, dei rifiuti e dei costi (per esempio: il pane fatto in casa).

Il suo obbiettivo non è il meno, ma il meno quando è meglio.

È una rivoluzione dolce finalizzata a sviluppare le innovazioni tecnologiche che diminuiscono
il consumo di energia e risorse, l’inquinamento e le quantità di rifiuti per unità di prodotto;
a instaurare rapporti umani che privilegino la collaborazione sulla competizione;
a definire un sistema di valori in cui le relazioni affettive prevalgono sul possesso di cose;
a promuovere una politica che valorizzi i beni comuni e la partecipazione delle persone alla gestione della cosa pubblica.


La decrescita è elogio della lentezza e della durata; rispetto del passato;
consapevolezza che non c’è progresso senza conservazione;
indifferenza alle mode e all’effimero;
attingere al sapere della tradizione; non identificare il nuovo col meglio, il vecchio col sorpassato,
il progresso con una sequenza di cesure, la conservazione con la chiusura mentale;
non chiamare consumatori gli acquirenti, perché lo scopo dell’acquistare non è il consumo ma l’uso.
 
Guardate che anche il buon draghetto senza il deficit al 5,3% di quest'anno, agli avanzi di debito dello scorso anno ereditati dal governo Conte non avrebbe potuto fare nulla.
Mettiamoci pure che 700 miliardi di debito sono in mano alla BCE.
Ergo se domani a questi la Meloni non piace e oltre a mettere paletti più stringenti sul nuovo debito non rinnovano quello a scadenza siamo per carità.

Comunque con tutte ste finte promesse, alleanze non alleanze il miglior politico che potremmo votare c'ha la rogna e la voglia di non votare è tanta.
 

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