Questa è la strada che perseguono i sinistroidi.......la persona ignorante la governi,
la indirizzi, le fai fare quello che vuoi tu. Cina docet.
Ci vogliono invertebrati. Ed agiscono sui giovani......altamente invertebrati.
Secondo un’indagine del
Times,
le università inglesi hanno iniziato a rimuovere un numero spropositato di libri dai programmi
per proteggere gli studenti da contenuti considerati “impegnativi”.
Sono oltre mille i testi ritenuti “pericolosi” e quindi oggetto di censura.
Di chi si tratta?
Di alcuni degli autori inglesi più famosi della storia, come William Shakespeare, Geoffrey Chaucer, Jane Austen, Charlotte Brontë, Charles Dickens e Agatha Christie.
Tutti accusati di aver partorito opere “deleterie” per il benessere psicofisico degli studenti.
Sir Trevor Phillips, presidente dell’Indice sulla censura,
ha affermato che ritirare i libri per proteggere gli studenti da contenuti difficili, come la
schiavitù,
rientra “in una più ampia ondata di censura nei campus britannici”.
Quella che nessuno si aspettava sarebbe mai arrivata così prepotente.
Razzismo, schiavismo, teoria del gender e islamofobia: tutto dipende da queste quattro coordinate.
Ma che la censura stesse incombendo sui campus di tutto il mondo era un fatto evidente già nel 2016.
In particolare le università britanniche iniziavano ad essere posti un cui gli studenti
possono rifiutarsi di prendere parte ad una lezione su un romanzo dell’Ottocento
perché gli può ricordare le sue disavventure sentimentali, e in cui all’allora sindaco di Londra, Boris Johnson,
veniva ritirato l’invito ad un dibattito alla
London School of Economics sulla Brexit
per via di
alcune considerazioni “inopportune” sulle origini keniote dell’ex presidente Obama.
Tutto benedetto e richiesto dalla
National Union of Students, il NUS, che nel 2016,
eleggeva la ventottenne Bouattia una che chiedeva al governo inglese di iniziare in fretta a “prendere ordini” dai palestinesi “
che stanno attivamente sostenendo la lotta e la resistenza contro l’occupazione” israeliana.
La Bouattia era stata la prima donna nera e islamica a diventare leader del NUS.
Oggi è presentatrice di un programma televisivo musulmano, ‘Women Like Us’.
Tom Slater, giovane autore di “Unsafe Space” – libro sulla censura nei campus – già all’epoca si lamentava così,
“è una follia che esiste da tempo, ma che da tre anni a questa parte ha preso proporzioni inquietanti.
Qualcosa che prima si applicava ai nazisti, ora a Germaine Greer” – colpevole, per chi se lo fosse perso,
del reato di transfobia per aver detto che Caitlin Jenner “non è una vera donna”.
Slater ripercorreva le “strane alleanze” che si andavano formando nei campus
in nome della censura,
“a Goldsmith il gruppo Lgbt si è alleato con la società islamica
che aveva attaccato l’attivista per i diritti umani iraniana, Maryam Namazie, durante una conferenza:
un sacco di censura è influenzata dall’islamismo e dalla paura dell’islamofobia”.
Nel 2016, per Rachael Jolley, direttrice della rivista di
Index on Censorship, era
“preoccupante aver visto la crescita nella cultura studentesca britannica di alcune forti lobby di studenti
che pensano che sia meglio mettere a tacere un dibattito” e il
diffondersi di “una cultura dell’accusa”
in cui chiunque è in disaccordo è fobico e accecato dall’odio.
Per la Jolley,
il NUS aveva “contribuito a promuovere l’idea di silenziare le opinioni contrastanti e il dibattito”.
Stando ad un sondaggio della Bbc, il 63% degli studenti già riteneva nel 2016,
che il “no-platforming” (la pratica di impedire a qualcuno di presenziare ad un convegno per le sue idee o di boicottare siti web) fosse una pratica giusta.
Spiked pubblica ogni anno una classifica degli atenei in base alla loro capacità di promuovere dibattiti liberi.
E se a luglio scorso ha evidenziato come la censura nei college fosse ormai fuori controllo
e che vengono premiate solo le università che adottano politiche più censorie per difendere il
politicamente corretto,
era il 2015 quando asseriva che il 90% delle 115 università esaminate avesse censurato qualcosa.
Oxford aveva il bollino rosso per aver “messo al bando e attivamente censurato delle idee nel campus”,
Cambridge quello arancione per aver “bloccato la libertà d’espressione attraverso un intervento”.
Abbastanza inquietante risultava già allora il “Trigger Warning”:
un avvertimento che
segnala agli studenti che quello che stanno per leggere li potrebbe sconvolgere.
L’idea che la vita intellettuale debba includere delle sfide
e che possa esistere qualcosa di diverso da quello promosso dall’opinione dominante
collassava già negli anni dieci del 2000 sui verdi prati dei campus americani e britannici,
sostituita dal complesso di vittimismo multiculturale.
Non era difficilmente prevedibile quello a cui assistiamo ora: non dire più niente.
E che l’inchiesta del
Times appena pubblicata conferma.
Qualche mese fa Philip Pullman, uno dei più venduti e famosi scrittori inglesi,
si è dimesso dalla carica di presidente della
Society of Authors
per il suo sostegno a una collega accusata di stereotipi razzisti.
Un rapporto del mese scorso ha rivelato che il numero di studenti
che sostengono le restrizioni alla libertà di parola nei campus
è aumentato notevolmente negli ultimi sei anni.
Lo studio dell’Higher Education Policy Institute,
ha confrontato le opinioni di mille studenti universitari
con altrettanti mille studenti di circa dieci anni fa:
gli studenti di oggi vogliono essere protetti da punti di vista difficili.