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Olè, "il migliore" se n'è andato .


I giornali più draghiani hanno accompagnato il commiato del predecessore di Giorgia Meloni con toni a dir poco altisonanti.

“Bollette più basse. Questo il lascito di Draghi al governo Meloni”, titola Il Foglio.

“Consiglio europeo, raggiunto accordo sul gas: resta nodo price cap. Draghi: ‘Andata bene’”, così riporta un pezzo online di Skytg24.

“Draghi, la conferenza stampa di oggi: ‘Prezzo del gas già sceso grazie all’accordo di questa notte'”, questo l’encomio del Corriere della Sera.

In un video pubblicato sul sito di la Repubblica, il direttore Maurizio Molinari sostiene che l’intervento di Draghi sul gas “è stata la frustata che ha consentito di sforare le ultime resistenze.”


Ora si potrebbe continuare all’infinito in questo lungo elenco di elogi per il presunto,
straordinario risultato ottenuto da super Mario nel suo ultimo appuntamento europeo.

Poi però, approfondendo un tantino la questione,
ci si accorge che non è proprio tutto oro ciò che luccica negli occhi dei tanti adoratori in servizio attivo permanente dell’ex presidente della Bce.



Infatti, da quanto risulta, il grande successo vantato dal premier uscente,
il quale ha dichiarato che tutte le sue proposte sarebbero state accolte,
somiglia moltissimo ad un contentino diplomatico nei riguardi di Draghi.

Tanto è vero che, lungi dall’esser passato il demenziale tetto al prezzo del gas
(possibile da parte di chi acquista solo in regime di monopsonio, ovvero quando esiste un solo acquirente o, in subordine,
un solo consorzio di compratori in grado di forzare la mano al venditore),
i leader comunitari si sono limitati ad accettare un nutrito ventaglio di buone intenzioni,
le quali in politica estera non si negano mai a nessuno,
centrate essenzialmente su tre obiettivi desiderabili:

abbassare i prezzi, garantire l’approvvigionamento della materia prima e ridurre la domanda.”


Questo in soldoni lo “straordinario” risultato che il prestigioso banchiere romano prestato alla politica avrebbe concretamente ottenuto.

Ovvero qualcosa di più di una stretta di mano e di una pacca sulle spalle,
in relazione ad un problema colossale che difficilmente potrà essere affrontato
attraverso una improbabile intesa comune sul sempre più chimerico tetto al prezzo del gas da parte della sempre più piccola Europa.


Quanto poi al calo delle bollette, che la mossa europea di Draghi porterebbe in dote, nutro altrettanti dubbi,
dal momento che è da tempo in atto un prevedibile aggiustamento al ribasso del prezzo di mercato.

Aggiustamento assolutamente fisiologico, visto che è cessato la forsennata corsa agli acquisti di gas di questa estate,
la quale ha consentito ai vari Paesi di riempire in anticipo gli stoccaggi,
ma ha nel contempo fatto lievitare oltre ogni limite il relativo prezzo di mercato.


Insomma, l’ultima impresa vantata da Mario Draghi non sarà proprio una patacca, ma poco ci manca.

E tutto ciò, unito a quanto detto e realizzato durante la pandemia,

non ci farà sicuramente sentire la mancanza di questo ennesimo Cincinnato

chiamato a salvare per la centesima volta la nostra Repubblica delle banane.



Per nostra fortuna abbiamo cambiato pagina con un nuovo governo tutto politico nei confronti del quale,
come è corretto che faccia una stampa libera, sospendiamo il giudizio, in attesa di valutare con attenzione i suoi primi atti concreti.

Da aperturista della prima ora, comunque, spero caldamente che l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni,
proprio sul piano delle misure sanitarie, non segua in nulla la linea rigorista del suo acclamato predecessore.

Linea che ha prodotto danni economici, sociali e psicologici incalcolabili e che,
come ha sostenuto il condirettore de La Verità, Massimo De Manzoni,
contrapposto su Skytg24 ad Antonio Padellaro, draghiano entusiasta,

“sono ancora lungi dall’essere analizzati a fondo”.


Staremo a vedere.
 
Poveri poveri piddioti, messi in disparte da un donna, proprio loro che non sono stti capaci di trovarne una "sana".


È come se all’improvviso si fosse rotto un incantesimo.

Sapevamo che il sentimento comune degli italiani batteva in maggioranza a destra,
ma è come se, almeno da dieci anni a questa parte, tutto cospirasse a che la destra politica non assumesse mai il pieno potere.

E quando, dopo il 25 settembre, finalmente tutte le porte sembravano spianate, divisioni e lotte interne ai vincitori,
sapientemente montate o cavalcate dalla sinistra dei giornali e del deep state, ci avevano per un momento fatto temere il peggio.


Se se ne è usciti e ci si è fatti trovare prontissimi alle consultazioni e alla successiva nomina del Capo dello Stato,
lo si deve in primo luogo alla capacità di leadership dimostrata sul campo da Giorgia Meloni.

Gliene va dato atto!

La quale ha saputo fare di necessità virtù, convertendo l’improvvida uscita del Cavaliere sulla guerra di Ucraina n
ell’opportunità di decidere in perfetta autonomia i nomi dei componenti del suo governo.

E facendolo, fra l’altro, con giustizia e misura anche nei confronti degli alleati.


Inutile dire che chi ne esce sconfitta è la sinistra, la quale è essa sì, divisa e letteralmente allo sbando.

Una sconfitta che è politica e culturale insieme.

La sconfitta della sinistra è ancora più cocente perché questo non ha l’intenzione di essere minimamente un governo che abbia timore reverenziale
o paura di apparire per quello che è, cioè con la propria identità.

Un governo che non rinuncia per accreditarsi alla sua natura di destra e non vuole piacere per forza ai suoi avversari (vedi anche i nomi nuovi e identitari dati a molti ministeri).

Anche se il primo problema da affrontare sarà ora quello dell’incipiente crisi economica, il successo di Meloni e alleati si vedrà già dai primi passi.

Anche se poi il vero obiettivo è collocato sulla lunga distanza.

E starà nella capacità di scalfire una egemonia pluridecennale della sinistra che è culturale prima ancora che politica,
di rifondare su basi più solide e meno improvvisate una destra che deve essere liberale e conservatrice insieme,
di ridisegnare con ciò stesso un sistema politico che è stato fino ad oggi contrassegnato
dalla delegittimazione morale dell’avversario e da un “fascismo” strisciante che si è dato il nome di antifascismo.

Gli italiani hanno dimostrato che la retorica dei diritti ha le armi spuntate,
soprattutto se essa serve per zittire le opinioni divergenti e favorire gli interessi di pochi.


Che a fronte di tanto parlare di femminismo e genere,
la prima donna presidente del consiglio in Italia sia di destra,
non sia stata cooptata da nessuno e non sia il risultato di nessuna quota,
deve ferire non poco la supponenza e l’arroganza della sinistra.

La quale sarebbe opportuno che ora lasciassimo ai suoi destini,
a rosicare e a riflettere (ammesso e non concesso che ne sia capace).
 
Quando la farete finita di farvi seghecon relative eiaculazioni sulla sinistra italiana/e o europea (e aggiungo a ragione) consiglierei di alzare un po gli occhi verso l'alto o meglio alzarvi per vedere meglio i confini dell'orizzonte



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