Solo politica (11 lettori)

Val

Torniamo alla LIRA
Sì, il bianco discrimina perché, guarda un po’, non è nero,

unico colore cromaticamente corretto e pure salutista perché sfina.



D’altronde, si sa che il nero va su tutto e questo anche dal punto sociale, politico ed etico.


Eppure questa supposta supremazia bianca,
che è imbrattata dal rosso del sangue del nostro passato razzista
e del nostro presente non inclusivo, non ci convince.

E non ci convince proprio sul piano cromatico.


Il bianco assomma in sé tutti i colori.

Caddero in errore gli lgbtisti quando scelsero per le loro battaglie l’arcobaleno,
perché è solo il bianco a ricomprendere tutti i toni dello spettro elettromagnetico visibile.

Quindi il bianco è il colore perfetto, completo, divino
perché è pienezza della tavolozza del pittore, a lui non manca nessuna nuance, è il colore più inclusivo esistente.


Oppure, se vogliamo lisciare il pelo della vulgata corrente per il verso giusto,
il bianco è il colore più neutro, più pluralista che esista.

È infatti acromatico.

Sul foglio bianco puoi scrivere tutto quello che vuoi.


È quasi diafano il bianco, è il colore che più si avvicina alla trasparenza,

alla tanta desiderata immaterialità di chi non vuole riconoscersi in nessuna identità.

È il colore più liquido che c’è.


Se il bianco è la totalità dei colori, di contro il nero
- e non vorremmo così dicendo gettare nello sconforto i ricercatori norvegesi -
è assenza di colori, è il vuoto cromatico, il niente visivo, l’abisso che inghiotte ogni tinta,
il buco appunto nero che è il sepolcro della luce.


Ed è per questo che il bianco è il colore che si associa alla gioia, alla purezza, al candore.

E il nero invece al lutto, allo sconforto, alle tenebre.


Naturalmente - e lo diciamo a beneficio dei rabdomanti delle eresie contemporanee - stiamo parlando solo dei colori e non dei colori della pelle.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Chiudiamo con una nota,

che non poteva che essere una nota di colore:

la ricerca è stata finanziata con 12 milioni di corone norvegesi,

pari a 1,2 milioni di dollari: un-o vir-go-la du-e mi-li-o-ni di dollari.


Vorrà perdonarci la prof.ssa Halland, ma non possiamo fare a meno di sbiancare in volto.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Eccolo qui un raro esempio di piddiota stellato rincolllionito.


Il Fatto Quotidiano, organo di stampa del partito forcaiolo,
sostiene di aver raccolto circa 140mila firme
per una petizione finalizzata a cacciare dal Governo il ministro della Giustizia, Carlo Nordio.

Una delle cose che proprio non digeriscono i manettari d’Italia
è l’intenzione dell’ex magistrato veneto di ridurre,
nei limiti della ragionevolezza,
l’uso delle intercettazioni,
che in Italia ha raggiunto livelli abnormi.


Basta eseguire un breve confronto con i nostri due più grandi partner europei per rendersene conto.

Infatti, ogni anno in Francia e in Germania vengono realizzate, rispettivamente,

circa 5mila e 22mila intercettazioni telefoniche,

contro le oltre 95mila effettuate nel Belpaese,

che per la cronaca ci costano ben 203 milioni di euro.


Mica bruscolini.
 

Val

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Inoltre, vi è da aggiungere che, nei sistemi in cui vige un sostanziale Stato di diritto,

non si manifesta l’obbrobrio tutto italiano di una continua violazione del segreto istruttorio,

trasformando quest’ultimo in una sorta di segreto di Pulcinella.



Pertanto, così come accade da decenni, attraverso la divulgazione a pioggia di tali intercettazioni
vengono coinvolte tante persone che con le relative indagini non hanno nulla a che vedere,
subendo per questo un grave danno reputazionale.


Ora, agli stessi irriducibili forcaioli capitanati dal loro paladino, Marco Travaglio,

occorrerebbe rivolgere la classica domanda delle 100 pistole.


Un quesito legato a un fatto di grande risonanza mediatica e che, ovviamente,

non passa loro neppure per l’anticamera del cervello:

pur essendo i campioni delle intercettazioni giudiziarie,

come mai ci abbiamo messo 30 anni per catturare il famigerato Matteo Messina Denaro?


Possibile che in oltre un quarto di secolo nessuna illuminante telefonata,

tale da rilevare il nascondiglio del presunto capo mafioso, se così lo vogliamo definire,

sia mai caduta sotto la percezione dei magistrati inquirenti?




Forse i garantisti di questo disgraziato Paese non hanno tutti i torti

quando sostengono che l’uso disinvolto dello strumento delle intercettazioni

sia stato fin troppo discrezionale.



A pensar male si fa peccato, disse più volte un bau bau della Prima Repubblica, ma spesso ci si azzecca.
 

snapo

the greater the truth, the greater the libel
superciuco mi fai morire dalle risate, tu che vieni a fare la lezioncina a me è la fine del mondo, avinizzato senior. :-D Sarebbe interessante vedere il tuo curriculum vitae invece , perché non lo pubblichi? :d:
facce capi'

ma tu

chi cazz@ saresti lincoli'...

diccelo dai...:rotfl::rotfl::rotfl:

facce vede' er gurrigolo...:d::d::d:
 

superciuk1

La verità e' come voi prima o poi viene a galla
superciuco mi fai morire dalle risate, tu che vieni a fare la lezioncina a me è la fine del mondo, avinizzato senior. :-D Sarebbe interessante vedere il tuo curriculum vitae invece , perché non lo pubblichi? :d:
Perché mai dovrei farlo, non e' una gara.....ormai hai già vinto il premio come miglior citrullo:winner:
 

Val

Torniamo alla LIRA
L’italiana in Algeri” oggi non è la Isabella del melodramma rossiniano ma Giorgia Meloni,
la quale ha scelto l’Algeria come prima tappa del tour che, nei prossimi mesi, la porterà a visitare le principali capitali estere.

Dopo la crisi con la Russia, l’Algeria è diventato il primo fornitore di gas dell’Italia.

Già questo basterebbe a spiegare l’occhio di riguardo avuto dal Governo Meloni
verso una realtà che non è propriamente un faro di civiltà e di democrazia da prendere a esempio.

Tuttavia, la ragion di Stato impone che le cose si facciano nell’esclusivo interesse della nazione, anche turandosi il naso quando serve.

E ora più che mai non possiamo consentirci il lusso di fare gli schifiltosi.

Se si vuole rilanciare il ruolo dell’Italia come potenza industriale globale,
bisogna piegarsi a fare i conti anche con chi non ci piace o con chi non ha nelle proprie corde la libertà degli individui.


É il” Piano Mattei”, dal nome di quel manager formidabile e visionario sotto la cui guida, negli anni Cinquanta,
l’Eni da compagnia petrolifera di Stato divenne una multinazionale del petrolio, con interessi ramificati in Africa e in Medio Oriente.

Enrico Mattei fu una figura controversa e, agli occhi dei giganti del petrolio anglo-statunitensi,
certamente scomoda al punto che molto si è vociferato sulle cause poco accidentali della sua morte.

Mattei fu intrepido ma la stella polare che orientò le sue imprese fu il sostegno allo sviluppo economico della nazione
nel momento della sua conversione da economia arretrata a potenza industriale.

Per le élite del progressismo peloso, che non lo hanno mai amato,

Mattei ha incarnato l’idea di un colonialismo in salsa nostrana:

meno predatore rispetto agli altri modelli colonialisti praticati dalle grandi potenze del Novecento.


Giorgia Meloni va in controtendenza rispetto al politicamente corretto dei progressisti
,
rispolverando l’approccio geopolitico di Enrico Mattei in merito alla questione energetica.

Si comincia con l’Algeria dove, peraltro, la figura di Enrico Mattei viene ricordata da una stele
e dall’intestazione di un giardino pubblico della capitale perché ha avuto un ruolo nella storia di quel Paese,
avendo sostenuto le forze rivoluzionarie nella guerra d’indipendenza dalla Francia.

L’Algeria, dunque, è diventato il nostro primo fornitore di gas naturale,
passando da una copertura del 22 per cento all’attuale 40 per cento del fabbisogno energetico nazionale.


Da parte algerina, l’interesse a sostenere il progetto di fare dell’Italia l’hub energetico europeo è altissimo.

Al riguardo, non è secondaria la circostanza che l’unico gasdotto che dalla costa algerina
trasferisce il prodotto in Europa sia il TransMed che raggiunge la Sicilia, passando per la Tunisia.

Con gli accordi siglati l’altro giorno, riprende vigore il progetto di costruzione di un secondo metanodotto, che dall’Algeria approderà in Sardegna.

In sostituzione del vecchio progetto del GalsiGasdotto Algeria Sardegna Italia
è prevista la costruzione di un’infrastruttura speciale che trasporterà, oltre al gas, idrogeno, ammoniaca ed elettricità.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Questa volta gli algerini ci credono.

E' lecito chiedersi quanto siano sostenibili nel tempo accordi presi con i rappresentanti di un regime sostanzialmente autocratico e antidemocratico.

In Italia, pur nella consapevolezza che il nostro apparato produttivo non avrebbe potuto fare a meno del gas russo per alimentarsi,

è stato montato un teatrino infinito sul fatto che non si sarebbero dovuti avere rapporti economici, ancorché strategici,

con la Federazione Russa perché potenza negatrice dei valori liberali e democratici, propri della civiltà occidentale.

Dovrebbe valere lo stesso principio anche riguardo al Governo algerino.


Eppure, la presenza ad Algeri del presidente di Confindustria, Carlo Bonomi,
per la stipula di accordi con l’omologa organizzazione di rappresentanza degli industriali algerini
in funzione dell’incremento dell’interscambio commerciale tra i due Paesi, va nella direzione tracciata con l’implementazione del “Piano Mattei”.


Domanda:

è pronta l’Italia a sostenere senza riserve l’oligarchia algerina in caso di crisi interna al Paese nordafricano,

evitando di ripetere l’errore compiuto in Libia nel 2011, con l’abbandono del leader Muammar Gheddafi al suo tragico destino?
 

Val

Torniamo alla LIRA
A proposito di Libia, oggi la politica estera del gigante Eni
spinge il Governo di centrodestra a battere la pista algerina
e quella dei nuovi partenariati africani, invece di dare priorità alla riapertura del dossier libico.

La scellerata politica estera italiana degli ultimi undici anni

ha determinato la totale perdita d’influenza italiana

nel processo negoziale di stabilizzazione del Paese nordafricano.



In Tripolitania la tradizionale funzione tutoriale svolta dall’Italia è stata assunta dalla Turchia,

mentre Francia e Russia si contendono il controllo della Cirenaica e del Fezzan.


Anche in Libia c’è un gasdotto che collega la costa nordafricana all’Italia.

È il GreenStream, che trasporta gas naturale dalla Centrale di compressione gas di Mellitah (Mgcs, Mellitah gas compression station)
situata a circa 80 chilometri da Tripoli fino al Terminale di ricevimento gas di Gela, in Sicilia.

Il GreenStream è gestito dall’italiana Eni e dalla libica Noc (National oil corporation).

Secondo i dati del Mise, nel 2019 attraverso l’impianto sottomarino sono stati trasferiti in Italia oltre 5,7 milioni di metri cubi standard di gas naturale.


Tuttavia, l’import italiano dalla Libia negli ultimi anni

– da quando Ankara ha imposto la sua influenza nelle scelte geopolitiche di Tripoli –

ha subito un vistoso ridimensionamento nonostante il fatto che per il Mellitah oil & Gas Bv

il potenziale produttivo del sito sia di circa 28 milioni di metri cubi standard di gas naturale e di circa 31mila barili di condensato al giorno.
 

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