Perchè la stella cometa che indica la strada, è sempre quella. Il Quirinale.
La figura di Mario Draghi si sta sciogliendo come neve al Sole.
Non ho mai condiviso la politica del Quantitative easing
che ha inondato l’Europa di centinaia di miliardi di euro “artificiali” creando,
come da manuale, la quota iniziale di inflazione che, poi, la guerra e la scarsità di energia
hanno ulteriormente accentuato (bisogna leggere qualche volta Milton Friedman e non solo John Maynard Keynes).
Era ovvio, semplicemente ovvio che, nel breve periodo, la droga monetaria avrebbe avuto successo.
Ma ora il momento del redde rationem è arrivato e la stessa Christine Lagarde si trova in pasticci,
non certo creati da lei, da cui temo non saprà uscire se non cedendo alla pressione di chi, ancora una volta,
vorrebbe salvare l’economia europea attraverso una nuova dose di droga.
Naturalmente, vasti settori dell’economia finanziaria, forse un po’ meno dell’economia reale,
erano e sarebbero ampiamente soddisfatti da una rinnovata politica monetaria espansiva nel breve
ma, purtroppo, inflattiva e poi recessiva nel medio e nel lungo periodo.
Sta di fatto che Draghi ha condotto la Banca centrale europea in questo modo.
E per questo si è guadagnato un’enorme stima mondiale perché, per sua natura,
il mondo finanziario vive nel breve periodo ignorando che, invece,
l’economia reale ha bisogno di stabilità e di equilibri, anche monetari, di lungo periodo.
Sta comunque di fatto che il suo nome ha assunto, fino a ieri, un valore indiscutibile
anche se, a mio parere, effimero e caduco come la politica monetaria da lui interpretata e attuata.
Perché mai, allora, di fronte a pressioni collettive, interne e internazionali, tanto vaste,
il Nostro non è riuscito a tenere assieme la maggioranza che sostiene il Governo nella piccola “provincia” italiana
ed a continuare l’azione di un Esecutivo che, buono o cattivo, dava comunque qualche provvisoria fiducia ai mercati ed agli altri Paesi?
La risposta non può che essere una:
Draghi,
un po’ come Silvio Berlusconi ai tempi dei suoi governi,
non è un uomo politico.
Ambedue, in effetti, hanno sempre dato l’impressione di accedere al massimo livello politico
con la stessa pretesa decisionale senza ostacoli che l’uno esercitava in Bce e l’altro in Mediaset.
Tuttavia, Draghi sta mostrando i propri limiti in tempi molto più rapidi che non Berlusconi.
I suoi discorsi di ieri al Senato hanno effettivamente mostrato, come osservato da più parti,
un uomo irritato e nervoso, per nulla capace di affrontare la realtà, pur certamente non encomiabile,
dei partiti italiani dai quali, ad ogni modo, dipendeva il suo Governo.
La sua dogmatica contrarietà, per esempio, a una maggioranza senza i Cinque Stelle non credo sia stata capita da alcuno,
se non in chiave di relativa dipendenza dalle scelte del Partito Democratico.
Fra l’altro, se egli intendeva dire che la maggioranza non doveva essere deformata rispetto a quella affidatagli da Sergio Mattarella,
allora dovrebbe spiegare perché non ha fatto obiezioni all’ingresso – perché di questo si tratta – di un nuovo partito,
ossia Insieme per il futuro di Luigi Di Maio, in una maggioranza che prima non lo comprendeva visto che nemmeno esisteva.
Sorge il sospetto che Draghi, nell’accettare l’incarico che Mattarella gli ha proposto,
avesse un doppio fine, uno politico e l’altro personale.
Da un lato, cercare di sistemare le cose finanziarie ed economiche italiane,
capitalizzando il proprio effettivo credito internazionale, ancorché di breve periodo.
Ma, dall’altro, fare politica davvero sulla scorta di idee che, peraltro,
non ha mai dichiarato ma che pure deve avere come ognuno di noi,
puntando a rimanere a capo di un Governo fino alla prossima tornata elettorale per il Quirinale,
mantenendo intatta la fiducia da parte dei partiti a lui più graditi, che certamente non si trovano nel centrodestra.
Con le mie orecchie tempo fa l’ho sentito affermare, con una certa dose di presunzione,
che in fondo, nella propria vita, aveva accettato molte sfide e, alla fine, ne era sempre uscito vincitore.
È probabile che l’irritazione di ieri derivasse proprio dall’attuale fallimento di un’autostima che,
pur indispensabile per fare politica,
è destinata ad afflosciarsi quando non tiene conto, umilmente, di un contesto che non conosce.