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E' la sinistra, gente. E' sempre stato così. Mascherare. Eludere. Negare.

i media, pur essendo a conoscenza del fatto,
hanno disciplinatamente e deliberatamente censurato sia la notizia sia i materiali video dell’omicidio.

Le immagini però sono filtrate su X e da lì si sono diffuse in maniera virale in tutto il mondo
creando uno dei più chiari e profondi cortocircuiti mediatici della storia.

L’uccisione di Iryna rappresenta letteralmente il concentrato inoppugnabile
di tutto ciò che una narrazione di sinistra non può ricodificare:

l’atto bestiale è immotivato, le immagini sono univoche, le persone riconoscibili.
 
Torniamo a bomba.

Un uomo armato fino ai denti è entrato nella chiesa cattolica dell’Annunciazione, a Minneapolis,
mentre i bambini della parrocchia celebravano la prima Messa dell’anno scolastico.

Voleva sterminarli.

Alla fine ha ucciso due piccoli, ferito altri, poi ha rivolto l’arma contro se stesso.

Il suo nome era Robin Westman, un tempo Robert.

Un uomo che si identificava come donna,
intrappolato in un vortice di delirio e psicopatia.

Un copione, purtroppo, che negli Stati Uniti abbiamo già visto troppe volte:
la disperazione si traveste da identitàautentica
e si scarica in un gesto di violenza nichilista.
 
Davanti a questa storia,
il New York Times ha scelto la via dell’ipocrisia.

Ha trattato Westman al femminile,
ha finto di non cogliere alcun legame tra la sua condizione e la strage,
ha parlato di un “mistero” sulle motivazioni.

Mistero?

Solo per chi si ostina a negare la realtà, sacrificandola sull’altare dell’ideologia.
 
Negli ultimi dieci anni,
la sinistra americana ha costruito un’architettura culturale intorno a concetti
come “cura affermativa di genere”, “gioia trans” e “identità autentica”.

Ha colonizzato istituzioni,
imposto linguaggi,
promesso premi a chi si adegua
e condanne a chi dissente.

Ma tutto poggia su una menzogna:

un uomo non può diventare donna.
Non bastano un nome nuovo, ormoni e bisturi per trovare compimento.
 
I diari e i video lasciati da Westman sono una confessione tragica.

Ammetteva di essere “stanco di essere trans”
e di essersi lasciato “plagiare dal movimento”.

Arrivava a dire:
“So di non essere una donna, ma non mi sento nemmeno un uomo”.

In quel frammento di lucidità, perfino nella follia,
vedeva più chiaro dei direttori del Times.

Dobbiamo piangere i bambini innocenti dell’Annunciazione.

Ma anche i giovani che, in tutta America, hanno perso salute, dignità e sanità mentale,
trascinati in una ideologia che promette amore e autenticità e invece consegna alienazione e dolore.


(accade lo stesso in Italia)
 
Un dato, più di ogni altro, fotografa una trasformazione sociale profonda e forse irreversibile:
come nota BZ in ben 26 scuole della capitale tedesca,
oltre
il 90% degli alunni ha una “madrelingua non tedesca” (NDH, nicht deutsche Herkunftssprache).

Non si tratta di un’iperbole, ma di una statistica cruda
che svela come il sistema scolastico berlinese si trovi di fronte a una sfida epocale:
insegnare a una popolazione studentesca che, a casa, il tedesco non lo parla quasi mai.

L’amministrazione scolastica ha cercato di minimizzare,​

rifiutandosi di commentare i dati richiesti dal politico dell’AfD Tommy Tabor,​

ma le cifre sono ostinate.​

Negli ultimi cinque anni, la percentuale di alunni “nDH”​

è in costante e significativa crescita in ogni ordine e grado:​


  • Scuole elementari: passata dal 45% al 48,4%.
  • Scuole secondarie: aumentata dal 42,6% al 45,5%.
  • Licei (Gymnasien): cresciuta dal 28% al 30,3%.

Quasi un bambino su due alle elementari, dunque,
inizia il suo percorso formativo senza una solida base nella lingua del paese in cui vive.

Il problema assume contorni drammatici in quartieri come Mitte, Neukölln e Kreuzberg.
 
I casi limite sono emblematici di un sistema al collasso:

  • Alla scuola elementare Jens Nydahl, 301 alunni su 303 non parlano tedesco a casa (una quota del 99,3%).
  • Ci sono scuole in Turchia con percentuali di madrelingua tedesca migliori.
  • Alla Sonnen-Schule di Neukölln, la percentuale è del 98,2% (322 su 328 bambini).
Questa situazione non è un astratto problema sociologico,
ma un macigno che pesa sul futuro della capitale e dell’intera Germania.

Quando mancano i “modelli linguistici” di riferimento,
perché quasi nessun compagno di classe parla correntemente il tedesco,
l’apprendimento diventa un’impresa titanica.

L’aneddoto, quasi surreale, di insegnanti costretti a spiegare a bambini di prima elementare il significato della parola “Kreis” (cerchio)
come se stessero insegnando una lingua straniera, la dice lunga.


Le conseguenze sono già misurabili.

Il recente “Education Monitor” classifica gli studenti berlinesi
tra i peggiori in Germania per le competenze di base in tedesco e matematica.

Non a caso, la città registra anche un tasso di abbandono scolastico (7,8%) superiore alla media nazionale.

Stiamo parlando della futura forza lavoro,
del futuro tessuto produttivo e sociale di una delle principali economie europee.

 

Di fronte a questa emergenza, la politica, come spesso accade, appare inadeguata.

Da un lato, c’è il rifiuto dell’amministrazione di commentare.

Dall’altro, il ricordo del tentativo del precedente Senato rosso-verde-rosso
di eliminare del tutto la designazione “nDH” dalle statistiche scolastiche,
bollandola come “stigmatizzante”.


Un classico esempio di come si cerchi di risolvere un problema semplicemente smettendo di misurarlo.

Un parere del servizio scientifico della Camera dei Rappresentanti,
però, ha bloccato questo tentativo, riaffermando il diritto all’accesso ai dati.


Mentre la politica discute, le scuole tentano soluzioni pragmatiche, quasi artigianali.

A Neukölln, ad esempio, gli alunni vengono divisi in piccoli gruppi di apprendimento
per imparare parole di base come “fienile” o “tetto”.

Si arriva a contattare nonni, zii o amici di famiglia di lingua tedesca
per chiedere loro di leggere un libro al bambino.

Come ha affermato l’ex senatrice all’istruzione Astrid-Sabine Busse,
“le scuole possono fare molto, ma non possono fare magie”.

Senza la collaborazione delle famiglie, ogni sforzo rischia di essere vano.
 
La questione di Berlino è un monito per molte capitali europee.

La gestione, o la mancata gestione, dei flussi migratori e dell’integrazione
presenta un conto salatissimo al sistema formativo.

Un conto che, se non saldato, rischia di tradursi in decenni di problemi sociali
e di debolezza economica.
 
Cosi finalmente quello seduto sulla riva si può alzare e fare il bagno…immaginatevi la scena 🤣


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