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Sul viale del tramonto s’incontrano figure e personaggi che dopo aver conosciuto una vita sotto i riflettori,
non sono in grado di pagare la bolletta della luce.
Un popolo sempre più numeroso composto perlopiù da scrittori, artisti, uomini di spettacolo di diverso calibro e rango,
passati dalla ribalta al ribaltone della loro esistenza.

Il tracollo, l’improvvisa indigenza, la richiesta di carità vengono da lontano
e trovano un loro momento cruciale nella legge Bacchelli, dal nome di quel Riccardo autore de “Il mulino del Po”,
uno dei primi capolavori trapiantati in uno sceneggiato televisivo.

In suo soccorso intervenne nel 1985 il governo Craxi
promulgando una legge che prevede un vitalizio a quei cittadini
che si siano distinti nel mondo della cultura, dell’arte, dello spettacolo e dello sport,
ma che se li rovesci non esce un euro.

E’ semplice immaginare che nel corso degli anni le richieste siano aumentate a dismisura,
a prescindere dal livello dei postulanti, così come va da sé che ciascuna “categoria” sponsorizzi i suoi adepti.

Un po’ quel che capita nei ‘Nicolini’, Ambrogini’ e patroni vari.
Benemerenze dove spesso l’anzianità viene scambiata per gloria.
 
A offrirci lo spunto per questa riflessione è un’intervista a Giampiero Mughini
nella quale ha lamentato di dover vendere alcuni suoi preziosi libri per campare.

Mughini è uno che ha trascorso più tempo nei salotti della tv che nella cucina di casa,
cavaliere senza macchia e senza paura (a suo dire), tonitruante, con quel suo “aborro” assurto a tormentone e a urlo nazionale.

Si è sempre vantato d’aver speso tutti i suoi lauti compensi nell’acquisto di tomi pregiati,
rare prime edizioni, quadri d’autore, oggetti preziosi, abiti vistosi confinanti con il kitsch.

Siciliano autentico, sbarcato a Roma da povero in canna, ha scritto per numerose testate,
probabilmente con rapporti saltuari e da freelance, visto che ora non gode di nessuna pensione.

Non dimentichiamo la sua produzione di libri, non sempre da scartare,
e le sue teatrali invettive che incendiavano di bianconero la tv a colori.

Era sempre lui a dichiarare con vanagloria che lo pagavano molto bene
e avendo bivaccato negli studi di vari emittenti per lustri e lustri vien da chiedersi
se abbia buttato dalla finestra soldi a palate magari per farsi perdonare la sua agiatezza dopo aver militato persino in Lotta Continua.

Non rinuncio, com’è mio costume, a dire la mia e il “caso” non mi fa né caldo, né freddo.
Nè pena, né tenerezza, né compassione.

Affari suoi, visto che con i proventi dell’alienazione di qualche pezzo del suo patrimonio potrebbe campare altri trent’anni.
Ne ha 83.
 
Una definizione dello scrittore e pittore Mino Maccari passata giustamente alla storia:

“Il fascismo si divide in due parti: il fascismo propriamente detto e l’antifascismo.
Tutti e due vogliono un partito autoritario, nessuno vuole la libertà.
Ossia ognuno vuole la sua versione della libertà, che consiste nel sopprimere quella dell’altro”.


È una chiave di lettura dell’antropologia del nostro povero paese talmente perfetta da essere diventata un classico.
Vale sempre.

Soprattutto quando, in un momento così drammatico da un punto di vista geopolitico come l’attuale,
in Italia la tragedia trascolora inesorabilmente nella farsa.

Ora, è del tutto pacifico che il fascismo sia un fenomeno morto e sepolto nel 1945,
che non esiste più e non ha alcuna possibilità di tornare

- a queste scemenze possono credere solo i variegati tromboni che affollano i talk show sinistroidi anti Meloni,
una che non sarebbe in grado di rifondare il fascismo nemmeno nel suo condominio -


ma la mentalità, l’atteggiamento, la postura, la violenza verbale è invece un virus che circola ancora, eccome,
e dà ragione alla tesi del “fascismo eterno” secondo la celebre argomentazione di Umberto Eco.
 
Ne abbiamo avuto la prova plastica in un episodio agghiacciante avvenuto pochi giorni fa a Reggio Emilia
e che è facilmente reperibile su Google.

Quattro minuti allucinanti.

Quattro minuti pedagogici.

Sembrava l’interrogatorio dell’anarchico da parte delle camicie nere in “Amarcord”,
un pestaggio ambientale e mediatico, un’umiliante manganellata in diretta in un teatro cittadino pieno di sindaci in fascia tricolore,
una bicchierata di olio di ricino psicologico talmente sfrontata da far capire quanto avesse ragione Maccari
a definire in quel modo “fascismo” e “antifascismo”.

Basta sostituirli con “gazismo” e “anti gazismo” e il gioco è fatto.

E quindi se oggi, nell’anno del Signore 2025, esiste ancora il “fascismo”, bene, il “fascismo” è tutto dentro quel video.
 
Ma vediamo cosa è successo.

Il sindaco di centrosinistra di Reggio Emilia, Marco Massari,
stava premiando per chissà quali meriti umanitari la relatrice dell’Onu per il territorio palestinese Francesca Albanese,
personaggio notissimo, visto che ormai da settimane infesta - sempre con la verità in tasca e il ditino alzato -
qualsiasi spazio televisivo da mane a sera,
e nel discorso introduttivo si è permesso di chiedere la fine del genocidio dei palestinesi, ma anche la liberazione degli ostaggi israeliani.

Un discorso di assoluto buon senso e, oltretutto, molto di sinistra.

Apriti cielo.

Urla, fischi, insulti, una gazzarra pro Pal degna delle radiose giornate di maggio,
delle intimidazioni delle squadracce dei tempi d’oro contro il malcapitato che ha osato difendere gli ebrei rapiti.

Ma lo spettacolo vero - le parole sono insufficienti, bisogna proprio guardare il video -
è Francesca Albanese che sbuffa, arriccia il naso, ghigna, fa le faccette, i sorrisetti di compatimento, scuote la testa,
poi se la prende tra le mani e aizza la folla prima di sentenziare, tra ululati degni dell’assalto ai forni:

“Io il sindaco non lo giudico, lo perdono. Però mi deve promettere che questa cosa non la dice più!”.

E il sindaco, un personaggio davvero patetico - a proposito, perché non si è ancora dimesso? -
costretto a chinare la testa e a umiliarsi giusto per evitare di essere appeso metaforicamente per i piedi a un palco del teatro.
 
“Io la perdono”?

Ma chi sei, il Papa?

Il Gran Mufti?

L’Ayatollah della Flotilla?

Il Sacerdote del Ministero della Verità?

Farinacci?

Sai Baba?

Wanna Marchi?

Ma a che titolo questa va in giro a imporre le mani, a separare il grano dal loglio, a guarire gli scrofolosi,
a dare patenti di “gazismo” in purezza a chi ritiene lei con tutti gli scappati di casa dell’antagonismo straccione,
la canaglia, la suburra, che la venerano come la Dea Kali?

Ma dove siamo, nella repubblica delle banane?

Questo sedicente avvocato - alla quale bisogna innanzitutto togliere il fiasco - è riuscita a dire :

che la strage di Charlie Hebdo è stata orchestrata dalla Cia e dal Mossad (lo ha detto davvero),

che i terroristi bisogna capirli (lo ha detto davvero),

che Liliana Segre - che ha contestato il termine “genocidio” nel caso di Gaza - non è lucida e imparziale (lo ha detto davvero)

e che i testimoni della Shoah non hanno titolo per parlare perché se uno ha il cancro non va da un sopravvissuto alla malattia,
ma da un oncologo (lo ha detto davvero),

oltre a un’altra serie di falsità che solo dei giornalistonzoli con l’anello al naso
o dei ragazzini sottoposti al lavaggio del cervello possono bersi impunemente.
 
Ma la cosa più grave è come la sinistra si sia consegnata mani e piedi a un soggetto del genere,
che fa del fanatismo, del radicalismo, della polizia del pensiero, dell’arroganza talebana, della sicumera autoritaria
la sua cifra grazie alla quale srotola comizi senza contraddittorio in televisione
(e se qualcuno osa smentirla, si alza e se ne va),
riceve le chiavi della città da sindaconzoli tremebondi
e si sta costruendo un carrierone come segretario del Pd
o parlamentare di Avs o presentatrice del Festival di Sanremo
o, chissà, tronista a “Uomini e donne” al posto di Tina Cipollari.


Ai tempi del Pci, che in tutta la sua storia si è sempre tenuto alla larga dal settarismo cialtrone,
una come l’Albanese l’avrebbero messa alla porta a pedate nel sedere

e infatti i pochi che a sinistra non hanno ancora portato il cervello all’ammasso
(Pasquino, Mentana, Mieli, Gramellini, Serra, Augias)
hanno duramente condannato gli sproloqui della giurista e la deriva demenziale che ha preso l’opposizione,
alla disperata ricerca di un altro feticcio - o di un altro caso umano

- che dopo Mimmo Lucano, Soumahoro, Greta Thunberg e Ilaria Salis -

la porti, prima, a giocare allegramente con il mito infantile della “spallata” al regime
e, poi, ancora più allegramente a straperdere per l’ennesima volta le elezioni.


Giorgia Meloni è proprio una donna fortunata:
è tre anni che non fa niente (anche se lo fa benissimo),
ma con questi fascistelli rossi da quattro soldi governerà per altri venti.
 
gli interessi economici dietro alla guerra

Il tempo stringe, la guerra con la Russia non può aspettare​

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di Luciano Lago

Il momento che stiamo vivendo in questa fase nello scenario internazionale è drammatico e potremmo trovarci alla vigilia di un cataclisma nucleare. In pochi ne sono consapevoli mentre si continua ad ignorare quale sia la realtà dietro la facciata patinata di istituzioni, trattati e discorsi ben calibrati che vengono tenuti dagli esponenti politici dei paesi occidentali.
Nella realtà dietro questi discorsi si nasconde un sistema opaco, cinico e metodico che governa il mondo attraverso la paura, il debito e il caos.

Di fatto i discorsi ufficiali dei politici europei, afflitti da russofobia acuta, continuano ad alimentare la psicosi della “minaccia russa”. I falsi allarmi, gli avvistamenti di droni rivelatisi poi una bufala, oltre alle provocazioni sotto le frontiere russe, non si contano più.

L’escalation verso la guerra con la Russia è ormai partita, i decisori di Washington alzano la posta e stabiliscono il livello di armi da consegnare ai governanti ucraini, missili Tomahawk a lungo raggio, nuovi sistemi radar, droni marittimi, artiglierie di nuovo tipo, ecc… Il tutto per colpire, dietro istruzioni anglo americane, obiettivi sensibili in profondità del territorio russo, raffinerie di petrolio, centrali elettriche e nucleari, strutture civili per far “sanguinare” la Russia.
Rispetto a prima non c’è più alcun limite nel colpire all’ìnterno del territorio russo e si approfitta di quella che è stata definita la “pazienza strategica” di Putin che ha tollerato fino ad oggi il superamento di tutte le linee rosse tracciate senza reagire in modo drastico. Trump ha cambiato faccia e sempre di più si è “bidenizzato”, sotto pressione dei neocons di Washingron, animati da russofobia.

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Trump con Rubio, il più russofobo del suo entourage

Tuttavia la pazienza sta per finire e gli ultimi avvertimenti di Putin sulle conseguenze di una eventule consegna dei missili Tomhahwk all’Ucraina, anche questa volta sono stati ignorati.

La politica internazionale sembra un teatro dove attori e comprimari recitano delle parti a copione utilizzando un diluvio di chiacchiere ed espedienti con cui nascondere le vere cause della crisi, quelle che sono dietro ai conflitti ed alle contrapposizioni in corso tra le grandi potenze. La guerra non è più un tabù ma piuttosto una occasione di business per tutto l’apparato industriale militare che con la guerra accresce enormemente i suoi profitti e per la possibilità di prendere il controllo delle risorse di altri paesi. Risorse sempre più necessarie per avere il dominio economico e tecnologico che sta sfuggendo di mano ai grandi dominatori di ieri. Questi sono i veri interessi enormi collegati ad un potenziale grande conflitto con la Russia.
Questo occultamento voluto degli interessi collegati all’espansione del conflitto, è un tipico strumento stesso del potere, quello che conta per intenderci, non quello apparente. Le centrali di potere non rivelano i veri burattinai, coloro che non compaiono mai nei notiziari, ma la cui ombra aleggia su ogni guerra, ogni crollo finanziario, ogni elezione truccata e ogni trattato costellato di clausole ingiuste.
La mente dei cittadini viene manipolata con i sistemi di controllo e di manipolazione che sono sempre più sofisticati e che consentono di dirottare l’attenzione dalle questioni chiave che farebbero aprire gli occhi a molta gente (chi beneficia della guerra, chi incassa i colossali profitti della corsa agli armamenti, chi si giova e specula dei flussi energetici stabiliti dai governi, chi viene pregiudicato dai tagli alle spese sociali, pensioni, sanità, ecc..).
Non si deve sapere e lo avevano detto apertamente i tecnocrati: “la democrazia non si applica in stato di crisi. Le scelte le fa il governo per il vostro bene”.

I tecnocrati non hanno bisogno di essere eletti, perché sono loro a controllare chi lo è. Non votano le leggi; le dettano da dietro le quinte.
Bisogna varare il piano di riarmo
e, se non ci sono risorse, si ricorrerà al credito. Si farà altro debito con le grandi banche internazionali.
Ecco appunto, bisogna liberarsi dalle illusioni infantili che gli Stati governino il mondo. Gli Stati non sono altro che facciate, simulacri di potere al servizio di interessi privati. I veri padroni sono coloro che detengono il debito delle nazioni. Perché un Paese indebitato è un Paese sottomesso.
Le grandi banche creano il denaro, lo stampano o lo emettono dai loro PC e lo prestano ai governi, rinnovano periodicamente il credito, creando interessi perpetui, suggeriscono piani di austerità ai governi per soddisfare i creditori, loro stessi determinano l’affidabilità dello Stato mediante i meccanismi del rating e dell’affidabilità. Quando l’affidabilità viene meno sono sempre le grandi banche a intervenire con le operazioni di “salvataggio”. Uno sciacallaggio di fatto che permette alle grandi multinazionali ed alle banche collegate di prendere possesso dei beni messi in liquidazione a prezzi di saldo. Un sistema ormai brevettato da manuale.

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Questo in parola povere il meccanismo neoliberista che sottrae qualsiasi sovranità agli stati nazionali.
Il motivo di fondo che guida le azioni delle elite di potere anglostatunitensi è quello di fermare il processo di un mondo multipolare che ormai è partito e si dimostra irreversibile, affossando la vecchia egemonia unipolare degli USA ed il loro Impero fondato sulla grande finanza, sulla speculazione, oltre che sulla violenza e sulla menzogna.

Quello che guida le decisioni dei componenti della élite di guerrafondai di Washington è sostanzialmente la paura del potere crescente nei mercati mondiali e il potere geostrategico della Cina. Con questo si paventa il rischio di perdere i colossali profitti che i grandi gruppi finanziari, banche e corporations, riescono a ottenere con lo sfruttamento delle risorse degli altri paesi e con il sistema delle guerre perpetue che alimentano il colossale apparato militare/industriale/finanziario che si trova al vertice del sistema anglosassone.
Per questo hanno fretta di coinvolgere la Russia nel conflitto, di provocare una escalation della guerra, quale che sia, e di impedire che si formi quell’asse Russia- Cina -India nel contesto Euroasiarico che minerebbe il potere dominante degli USA.



 
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