Sarà Vero?
Europa / Finanza
A UN PASSO DAL DISASTRO
di Charles Wyplosz 10.12.2010
Il primo errore è stato il salvataggio della Grecia, per poi proseguire in un crescendo che ha finito per portare l'eurozona sull'orlo del disastro. I leader europei sperano di arginare la situazione rafforzando il Patto di stabilità o imponendo un meccanismo di ristrutturazione del debito sovrano. Entrambi richiedono un nuovo Trattato e dunque una ratifica da parte di cittadini europei, poco propensi a concederla in questo momento. E allora l'unica possibile soluzione è il ripristino della clausola del "no-bailout": a imporre la disciplina fiscale ci penseranno i mercati.
È impressionante vedere i politici europei che dopo aver preso una strada sbagliata all'inizio di quest'anno, perseverano nel sommare errore a errore. Tutto è iniziato con la decisione di non abbandonare la Grecia a se stessa. Per aver proseguito su questa logica, l'eurozona si trova ora sull'orlo di una disastro di proporzioni storiche.
L'INIZIO DEL DISASTRO
Gli storici ci diranno se “salviamo la Grecia” sia stato una sincera dimostrazione di solidarietà o un volgare tentativo dei governi di Francia e Germania di evitare un altro giro di salvataggi di banche finanziato dai contribuenti. In ogni caso, è in quel momento che il disastro ha avuto inizio. Prima si è detto alla Grecia di non ricorrere al Fondo monetario internazionale perché i governi amici europei l'avrebbero aiutata con un generoso prestito di 10 o 20 miliardi di euro. In parte la promessa era volta a impressionare i mercati finanziari perché allentassero la pressione dell'assedio al governo greco. I mercati si sono messi a ridere. La somma stanziata era per la verità ridicola e la promessa un incoraggiamento per un attacco ancora più forte, per ottenere maggiori profitti. La somma è stata via via aumentata finché alla Grecia è stato detto di rivolgersi all'Fmi, ma non da sola. Un'operazione congiunta di soccorso Fondo monetario-Unione Europea ha messo sul piatto 110 miliardi di euro e sono stati raccolti nuovi fondi per niente meno che 750 miliardi, in modo da impressionare davvero i mercati. Peggio ancora, la Banca centrale europea è stata “invitata” ad acquistare debito pubblico, contravvenendo alla sua spesso enunciata politica, secondo la quale mai lo avrebbe fatto. In un colpo solo, la clausola del “no-bailout” è stata cancellata e la Bce ha perso una parte importante della sua credibilità. La ragione? Evitare a tutti i costi un contagio sul debito pubblico di altri paesi e precludere ogni minaccia di bancarotta degli Stati.
Ed eccoci qui: il contagio si fa strada e la ristrutturazione dei debiti è solo questione di tempo. Il fallimento è quasi completo e le risposte politiche diventano sempre peggiori. La Bce sembra ora pronta a elevare massicciamente il suo programma di monetizzazione del debito. Non si tratta ancora di una minaccia diretta alla stabilità dei prezzi grazie al cammino dolorosamente lento della ripresa economica, ma la Bce ha perso ogni diritto di dare lezioni ai governi sul tema fondamentale del rispetto della disciplina fiscale. I mercati saranno felici di questa mossa per qualche ora o per qualche giorno e poi si concentreranno su ulteriori attacchi ad ancora altri debiti pubblici.
Sembra che le autorità politiche, Bce inclusa, decidano le loro mosse di volta in volta: non si accorgono che il loro impegno a salvare tutti i debiti pubblici alimenta la speculazione sui mercati? Sono tantissimi i soldi che si possono fare, per esempio si può avere un ritorno del 10 per cento l'anno su titoli garantiti denominati in euro. Naturalmente, lo spread riflette la convinzione del mercato che i politici alla fine dovranno arrendersi perché il debito pubblico totale dell'area euro ammonta a circa 7.700 miliardi di euro. Ma con la Bce ora apparentemente pronta ad acquistare qualsiasi cosa di cui il mercato voglia liberarsi, la scommessa è relativamente sicura, anzi irresistibile.
LA CLAUSOLA INFRANTA
Non doveva accadere e il disastro incombente non fa parte del progetto originale dell'area euro. La clausola del “no-bailout” era pensata proprio perché fosse chiaro che ogni governo avrebbe affrontato, da solo, le conseguenze dell'indisciplina fiscale. Infrangendo questo elemento centrale della costruzione europea, i politici hanno aperto la strada a una crisi che potrebbe essere letale. La loro speranza è di riuscire a correggere la situazione rafforzando il Patto di stabilità e imponendo un meccanismo di ristrutturazione del debito sovrano (Sdrm), che renda possibili e gestibili default parziali. Il meccanismo Sdrm è una buona idea, ma non può essere imposto a un paese sovrano. Dieci anni fa, l'Fmi ha tentato di delinearne uno simile, che avrebbe dovuto essere attivato quando un paese avesse richiesto un aiuto di emergenza, una estensione dei suoi strumenti di condizionalità. Il piano attuale difeso dalla Germania, apparentemente con il consenso della Francia, prevede che una qualche istituzione europea, ancora da definire, imponga l'adozione di un Sdrm a uno Stato membro dell'area euro che si trovi in difficoltà. Ciò implica un notevole trasferimento di sovranità, quindi richiede un nuovo Trattato, ratificato da tutti gli Stati membri. Chiedete agli irlandesi se voterebbero a favore. Il progetto è condannato in partenza, così come lo è, per la stessa ragione, ogni serio rafforzamento del Patto di stabilità. Quando il piano affonderà, come è quasi certo, l'area euro avrà effettivamente perso ogni strumento per imporre la disciplina fiscale ai suoi membri. Si può sperare che i politici abbiano già preparato un piano B, ma considerato come finora sono apparsi profondamente confusi, rischiamo di rimanere ancora una volta amaramente delusi.
Cosa accadrà allora? L'unione monetaria non riuscirà a garantire la stabilità dei prezzi. Alcuni paesi ne trarranno la conclusione che non è questo che vogliono e vorranno riprendere il controllo della loro politica monetaria. Una possibilità che avevo ritenuto fosse al di là dei peggiori scenari perché pensavo che i politici fossero dotati di buon senso. Oppure i politici riacquisteranno la ragione e riconosceranno di aver profondamente sbagliato.
Si sostiene che la soluzione è una politica fiscale comune: è un'ipotesi destinata a piacere a chi, come me, è a favore di un'Europa federale, ma si tratta solo di uno slogan superficiale. Quali poteri di spesa e di tassazione sono pronti a trasferire a “Bruxelles” i cittadini europei, che pure dovranno essere consultati sul tema? Un'unione monetaria di grande successo potrebbe incoraggiarli a chiedere maggiore integrazione, ma più l'area euro è nello scompiglio, più si assottigliano i ranghi dei federalisti. Allo stesso modo, l'idea di emettere strumenti di debito pubblico collettivamente garantiti è accattivante, ma è anche fuorviante se la disciplina fiscale non è garantita. L'unico passo possibile è dunque ristabilire la clausola del “no-bailout”. Dobbiamo riconoscere che la disciplina fiscale non può essere imposta ai governi sovrani cosicché quella disciplina dovrà essere ottenuta con rigide regole di bilancio a livello nazionale. È brutale, e forse talvolta inefficiente, ma i politici hanno dimostrato in modo spettacolare che non è possibile aver fiducia nella loro capacità di giudizio quando si trovano ad affrontare situazioni difficili.
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