JOACKIN
joakin
Stiamo bene o stiamo male? Il paradosso della medicina moderna
http://www.mentereale.com/index.php...out=default&page=&option=com_content&Itemid=2http://www.mentereale.com/index.php...sLXBhcmFkb3Nzby1kZWxsYS1tZWRpY2luYS1tb2Rlcm5h
di Stefano Di Ludovico
Uno dei massimi vanti della modernità è il presunto e clamoroso progresso della medicina, grazie a cui possiamo senza ombra di dubbio affermare che l’umanità stia molto meglio di quanto stesse prima, molto più in salute di quanto non stesse nelle epoche passate. Malattie e patologie che una volta portavano irrimediabilmente alla morte o comunque a sofferenze atroci sono oggi debellate o in ogni caso curate in modo tale da non arrecare più quelle sofferenze che l’uomo era prima costretto a sopportare. La vita media si è incredibilmente allungata e, quanto meno nei paesi sviluppati ma tendenzialmente ormai in tutto il globo, medici, medicine e centri di cura sono alla portata di tutti per cui le malattie sembrano non spaventare più nessuno.
Chi potrebbe mettere in discussione tutto ciò? Quale eventuale nostalgico dei bei tempi andati, di quando magari si stava meglio anche se si stava peggio, potrebbe negare anche tale indubbio aspetto dello sviluppo e del progresso della civiltà? Oggi stiamo tutti bene, o comunque stiamo molto meglio: sembra ciò che di più scontato si possa affermare circa il mondo in cui viviamo. Ma ne siamo così sicuri? Davvero non è lecito nutrire alcun dubbio in proposito? Davvero l’umanità gode di uno stato di salute come non mai nella storia? Cerchiamo di vedere più da vicino la questione; ci sia permesso quanto meno di indagare più approfonditamente il problema, che l’indagine e il dubbio non ci portino magari a sfatare qualche incrollabile certezza, qualche granitica verità e risultino per tanto, e inaspettatamente, essi stessi davvero “salutari”.
Innanzi tutto, è il concetto di “salute” che deve essere indagato, analizzato. Che vuol dire “star bene”, essere in “salute”? E cosa significa star meglio di altri, godere di migliore salute rispetto ad altri? Su quali parametri, principi, riferimenti ci basiamo? Ci sembra evidente che il discorso non possa che partire da qui, che tale appare il nocciolo della questione. A guardar bene, il concetto di “salute” - come quello corrispettivo di “malattia” - è un concetto molto relativo, e molto “soggettivo”. Soggettivo nel senso che la “salute” più che uno stato che appartenga all’oggetto – in questo caso quell’oggetto che è il nostro corpo – è una condizione propria del soggetto, quel soggetto che siamo noi in quanto realtà percipienti, sensibili, che avvertono un determinato stato del proprio corpo e più in generale una determinata situazione di vita appunto come “salutari” o, al contrario, come “malati”, ovvero come negativi, perniciosi, o quanto meno insopportabili, intollerabili. Per fare esempi banali: uno può star “male” per un raffreddore, e per ciò chiudersi in casa e imbottirsi di aspirine; un altro non farci nemmeno caso, e continuare a fare tutto quello che normalmente fa, in presenza o meno di quel fenomeno.
Uno può ritenersi “malato” se ha 37 e mezzo di febbre e per tanto mettersi a letto; un altro sentirsi in ottima forma e andare tranquillamente a lavoro o a farsi l’abituale partita di calcetto. Considerando casi più estremi, sempre a titolo esemplificativo: uno può ritenersi malato perché ha perso l’udito, un altro trovare piacevole vivere senza sentire tutti i rumori del mondo (ci sono infatti gruppi di sordi che non si considerano “malati”, ma solo una sorta di “minoranza etnica” e come tali, e non come malati, vogliono essere tutelati dalla legge); fino ad arrivare al caso più emblematico, quello del masochista, che “gode” di tutto ciò che per gli altri sarebbe soltanto dolore, sofferenza, appunto “malattia”.
A rigore, quindi, non è il dato fisiologico che può definirsi oggettivamente malato o meno, ma appunto la nostra particolare percezione di esso. E la percezione non può che variare da soggetto a soggetto, contribuendo alla definizione di essa tutta una serie di fattori sia strettamente individuali – il carattere, la psicologia, lo stato d’animo di quel particolare soggetto – sia ambientali, ovvero tutto ciò che è inerente all’educazione, alla società, alla cultura in cui quel soggetto è cresciuto e vissuto, di modo che certi fenomeni fisiologici possono apparire come “patologie” in un determinato contesto sociale e culturale e invece sintomi di buona “salute” in altri. In poche parole, anche i concetti di “salute” e di “malattia” sono, come tutti i concetti e le nozioni, costrutti mentali, culturalmente e storicamente plasmati e definiti, e che quindi variano a seconda dei contesti e delle situazioni in cui sono stati elaborati e di cui sono espressione.
Visto ciò, cerchiamo di capire in che senso possiamo noi sostenere di star meglio, di godere di miglior salute, rispetto ai nostri avi e che quindi la medicina moderna rappresenti un evidente progresso rispetto a quella di una volta. Proviamo a vedere innanzi tutto come se la passavano i nostri antenati, come vivevano e come si ponevano di fronte ai vari fatti ed eventi che interessavano il loro organismo e la loro vita in genere. Un dato balza subito agli occhi: pare che essi, gli uomini delle civiltà premoderne, ma, senza andare troppo indietro nel tempo, ancora i nostri nonni o bisnonni, vivessero praticamente – o certamente in misura quasi inavvertibile di fronte a ciò che avviene per noi oggi - senza “curarsi”, ovvero senza quasi mai vedere un medico, prendere delle medicine, farsi delle analisi, essere ricoverati in ospedale e cliniche varie; tutte cose che invece accompagnano e scandiscono la nostra vita quasi quotidianamente. Ma allora, se la gente viveva senza ricorrere a dottori e a medicine, non sarebbe già questo un segno di… buona salute?
Pensiamo, per contro, al tempo che ciascuno di noi passa e ha passato – e ai soldi che spende e ha speso – nelle sua vita tra studi medici, farmacie, cliniche e ospedali: ci vengono quasi i brividi! Praticamente, a confronto dei nostri antenati, siamo davvero dei malati cronici! Del resto, se oggi qualcuno ci viene a raccontare di non vedere un dottore, di non prendere una medicina da anni (cosa alquanto rara…), non ci complimentiamo con lui invidiandogli la sua ottima e inconsueta salute? E non era questa la condizione normale in cui vivevano i nostri antenati? E allora come facciamo a dire, a pretendere, che oggi si stia molto meglio di prima? Immaginiamo già la critica a tale nostro argomento, critica che lo vorrebbe far sembrare a dir poco ridicolo: non è che i nostri nonni stessero meglio; semplicemente non si curavano! E non si curavano perché vivevano in epoche sottosviluppate, arretrate, in tempi in cui la medicina non aveva ancora conosciuto i progressi di oggi!
A pensarci bene, è proprio questa critica ad apparire piuttosto ridicola: se così fosse, infatti, perché mai in quelle epoche non si sono dati da fare per “progredire”, per creare e sviluppare la medicina come oggi la conosciamo? La suddetta critica presuppone difatti la convinzione secondo cui i nostri antenati soffrivano di tutti i mali di cui soffriamo noi, solo che, poveretti, non avevano i mezzi per curarsi. Quindi, altro che godere di ottima salute: i nostri avi vivevano in uno stato di perenne sofferenza, dato che erano costretti a convivere con tutte le malattie che noi oggi invece possiamo curare! Di nuovo: ma se davvero vivevano in uno stato di perenne sofferenza, perché mai nessuno si è industriato per creare la medicina “moderna”? Perché mai nelle epoche passate le società, i governi, gli uomini di scienza a tutto pensavano (a organizzare guerre, contese politiche, dispute intellettuali e religiose) tranne che a lenire la sofferenza che, a dir dei nostri detrattori, era sotto gli occhi di tutti e di cui essi stessi… soffrivano? Ecco la loro risposta: pensavano solo a far guerre e non a sviluppare la medicina perché erano ancora incivili!
E già, chiediamo a questo punto noi: e perché mai sarebbero stati incivili? Perché appunto pensavano solo a farsi la guerra anziché curarsi, rispondono loro! Ma può esservi un circolo più vizioso di questo? Non è più semplice – e onesto – riconoscere che in quelle epoche gli uomini amavano pensare ad altro, avevano cioè altri valori, altri riferimenti, altre visioni del mondo rispetto ai nostri? Non è più semplice dire che se noi riteniamo primo dovere della società e dello Stato guarire la più semplice delle influenze come il più banale dei raffreddori in epoche passate si riteneva più giusto impegnare gran parte delle risorse a disposizione in guerre e dispute metafisiche? E quindi che noi stiamo “male” solo al pensiero di dover convivere con un raffreddore mentre i nostri avi stavano “benissimo” a farsi la guerra e di tutte quelle che per noi oggi sono insopportabili patologie loro non si “curavano” e manco sapevano che esistessero? Allora di nuovo: chi è che sta meglio in salute, chi sviene solo alla vista di una goccia di sangue o chi con tutto ciò che oggi è considerato “dolore”, “malattia”, “infermità” sapeva conviverci senza troppi problemi?
In fondo, come sopra accennato, i nostri antenati non si “curavano” perché di tutte quelle che noi consideriamo e abbiamo classificato come “malattie” neanche conoscevano l’esistenza. Dunque, non avevano nulla di cui “soffrire”. Essere “malati”, star “male”, significa infatti avere delle “malattie”. Quante malattie ha o ha avuto nel corso della sua vita ciascuno di noi? Un’infinità. Dunque tutti noi stiamo o siamo stati più volte “male”. Se invece i nostri avi di tutto ciò non hanno visto neanche l’ombra, tutt’al più qualche sintomo di cui non si “curavano” più di tanto, non vuol dire che stavano “bene”? Anche qui i nostri detrattori credono di avere buon gioco sostenendo che a quel tempo non si trattava di star bene, ma di ignoranza: non conoscevano le patologie che avevano, dunque non sapevano come curarle, quindi stavano malissimo, altro che! Ma di nuovo: se stavano così male, perché non si sono industriati per scoprirle queste benedette malattie? Cosa lo impediva loro? L’arretratezza scientifica, l’arretratezza tecnica?
Ancora: ma perché mai allora non si sono dati da fare per farle sviluppare la scienza, la tecnica, invece di trastullarsi in altro? Si può mai pensare che uno stia male ma non faccia niente per alleviare il suo dolore? O vogliamo arrivare a dire che magari stavano male ma… non se n’erano manco accorti? Se pure così fosse, allora sarebbe confermata la nostra tesi: se uno sta male e non se ne accorge, vuol dire che alla fine sta “bene”, no?! Ed è proprio quello che stiamo sostenendo: il concetto di “male”, di “malattia”, è soggettivo; noi non stiamo dicendo che le patologie che ci affliggono oggi una volta non esistevano (parliamo in generale: è chiaro poi che anche le patologie hanno una loro storia e ogni epoca ha le sue), ma che appunto non venivano sentite come “malattie” e che ci si sapeva convivere benissimo; quindi alla fine si stava “bene”.
Sembrerebbe quindi, già da queste semplici considerazioni, che se c’è qualcuno che sta davvero “male” questo è proprio l’uomo delle nostra epoca. Del resto basta guardarsi intorno: le sale d’aspetto dei medici sono sempre piene; le farmacie fanno affari d’oro; i tempi d’attesa per farsi qualsiasi esame biblici; gli ospedali super affollati che i malati li devono mettere per i corridoi; in televisione, sui giornali e ovunque non si fa altro che parlare di malattie, cure e medicamenti vari. Ma in quale altra epoca della storia si è mai vista una cosa simile? Ma che penserebbe un uomo di un’epoca passata che, catapultato per assurdo nella nostra società, si ritrovasse di fronte ad un simile spettacolo? “Resterebbe estasiato dal progresso e dal benessere di cui tutto ciò - ovvero la più avanzata ricerca, gli ultimi ritrovati farmacologici, le più moderne ed attrezzate cliniche - è testimonianza!” direbbero gli entusiasti apologeti della civiltà moderna! Progresso? Benessere? “Dio mio, ma cos’è successo – esclamerebbe invece scioccato il povero malcapitato a parer nostro – che state tutti così male?!”
http://www.mentereale.com/index.php...out=default&page=&option=com_content&Itemid=2http://www.mentereale.com/index.php...sLXBhcmFkb3Nzby1kZWxsYS1tZWRpY2luYS1tb2Rlcm5h
Uno dei massimi vanti della modernità è il presunto e clamoroso progresso della medicina, grazie a cui possiamo senza ombra di dubbio affermare che l’umanità stia molto meglio di quanto stesse prima, molto più in salute di quanto non stesse nelle epoche passate. Malattie e patologie che una volta portavano irrimediabilmente alla morte o comunque a sofferenze atroci sono oggi debellate o in ogni caso curate in modo tale da non arrecare più quelle sofferenze che l’uomo era prima costretto a sopportare. La vita media si è incredibilmente allungata e, quanto meno nei paesi sviluppati ma tendenzialmente ormai in tutto il globo, medici, medicine e centri di cura sono alla portata di tutti per cui le malattie sembrano non spaventare più nessuno.
Chi potrebbe mettere in discussione tutto ciò? Quale eventuale nostalgico dei bei tempi andati, di quando magari si stava meglio anche se si stava peggio, potrebbe negare anche tale indubbio aspetto dello sviluppo e del progresso della civiltà? Oggi stiamo tutti bene, o comunque stiamo molto meglio: sembra ciò che di più scontato si possa affermare circa il mondo in cui viviamo. Ma ne siamo così sicuri? Davvero non è lecito nutrire alcun dubbio in proposito? Davvero l’umanità gode di uno stato di salute come non mai nella storia? Cerchiamo di vedere più da vicino la questione; ci sia permesso quanto meno di indagare più approfonditamente il problema, che l’indagine e il dubbio non ci portino magari a sfatare qualche incrollabile certezza, qualche granitica verità e risultino per tanto, e inaspettatamente, essi stessi davvero “salutari”.
Innanzi tutto, è il concetto di “salute” che deve essere indagato, analizzato. Che vuol dire “star bene”, essere in “salute”? E cosa significa star meglio di altri, godere di migliore salute rispetto ad altri? Su quali parametri, principi, riferimenti ci basiamo? Ci sembra evidente che il discorso non possa che partire da qui, che tale appare il nocciolo della questione. A guardar bene, il concetto di “salute” - come quello corrispettivo di “malattia” - è un concetto molto relativo, e molto “soggettivo”. Soggettivo nel senso che la “salute” più che uno stato che appartenga all’oggetto – in questo caso quell’oggetto che è il nostro corpo – è una condizione propria del soggetto, quel soggetto che siamo noi in quanto realtà percipienti, sensibili, che avvertono un determinato stato del proprio corpo e più in generale una determinata situazione di vita appunto come “salutari” o, al contrario, come “malati”, ovvero come negativi, perniciosi, o quanto meno insopportabili, intollerabili. Per fare esempi banali: uno può star “male” per un raffreddore, e per ciò chiudersi in casa e imbottirsi di aspirine; un altro non farci nemmeno caso, e continuare a fare tutto quello che normalmente fa, in presenza o meno di quel fenomeno.
Uno può ritenersi “malato” se ha 37 e mezzo di febbre e per tanto mettersi a letto; un altro sentirsi in ottima forma e andare tranquillamente a lavoro o a farsi l’abituale partita di calcetto. Considerando casi più estremi, sempre a titolo esemplificativo: uno può ritenersi malato perché ha perso l’udito, un altro trovare piacevole vivere senza sentire tutti i rumori del mondo (ci sono infatti gruppi di sordi che non si considerano “malati”, ma solo una sorta di “minoranza etnica” e come tali, e non come malati, vogliono essere tutelati dalla legge); fino ad arrivare al caso più emblematico, quello del masochista, che “gode” di tutto ciò che per gli altri sarebbe soltanto dolore, sofferenza, appunto “malattia”.
A rigore, quindi, non è il dato fisiologico che può definirsi oggettivamente malato o meno, ma appunto la nostra particolare percezione di esso. E la percezione non può che variare da soggetto a soggetto, contribuendo alla definizione di essa tutta una serie di fattori sia strettamente individuali – il carattere, la psicologia, lo stato d’animo di quel particolare soggetto – sia ambientali, ovvero tutto ciò che è inerente all’educazione, alla società, alla cultura in cui quel soggetto è cresciuto e vissuto, di modo che certi fenomeni fisiologici possono apparire come “patologie” in un determinato contesto sociale e culturale e invece sintomi di buona “salute” in altri. In poche parole, anche i concetti di “salute” e di “malattia” sono, come tutti i concetti e le nozioni, costrutti mentali, culturalmente e storicamente plasmati e definiti, e che quindi variano a seconda dei contesti e delle situazioni in cui sono stati elaborati e di cui sono espressione.
Visto ciò, cerchiamo di capire in che senso possiamo noi sostenere di star meglio, di godere di miglior salute, rispetto ai nostri avi e che quindi la medicina moderna rappresenti un evidente progresso rispetto a quella di una volta. Proviamo a vedere innanzi tutto come se la passavano i nostri antenati, come vivevano e come si ponevano di fronte ai vari fatti ed eventi che interessavano il loro organismo e la loro vita in genere. Un dato balza subito agli occhi: pare che essi, gli uomini delle civiltà premoderne, ma, senza andare troppo indietro nel tempo, ancora i nostri nonni o bisnonni, vivessero praticamente – o certamente in misura quasi inavvertibile di fronte a ciò che avviene per noi oggi - senza “curarsi”, ovvero senza quasi mai vedere un medico, prendere delle medicine, farsi delle analisi, essere ricoverati in ospedale e cliniche varie; tutte cose che invece accompagnano e scandiscono la nostra vita quasi quotidianamente. Ma allora, se la gente viveva senza ricorrere a dottori e a medicine, non sarebbe già questo un segno di… buona salute?
Pensiamo, per contro, al tempo che ciascuno di noi passa e ha passato – e ai soldi che spende e ha speso – nelle sua vita tra studi medici, farmacie, cliniche e ospedali: ci vengono quasi i brividi! Praticamente, a confronto dei nostri antenati, siamo davvero dei malati cronici! Del resto, se oggi qualcuno ci viene a raccontare di non vedere un dottore, di non prendere una medicina da anni (cosa alquanto rara…), non ci complimentiamo con lui invidiandogli la sua ottima e inconsueta salute? E non era questa la condizione normale in cui vivevano i nostri antenati? E allora come facciamo a dire, a pretendere, che oggi si stia molto meglio di prima? Immaginiamo già la critica a tale nostro argomento, critica che lo vorrebbe far sembrare a dir poco ridicolo: non è che i nostri nonni stessero meglio; semplicemente non si curavano! E non si curavano perché vivevano in epoche sottosviluppate, arretrate, in tempi in cui la medicina non aveva ancora conosciuto i progressi di oggi!
A pensarci bene, è proprio questa critica ad apparire piuttosto ridicola: se così fosse, infatti, perché mai in quelle epoche non si sono dati da fare per “progredire”, per creare e sviluppare la medicina come oggi la conosciamo? La suddetta critica presuppone difatti la convinzione secondo cui i nostri antenati soffrivano di tutti i mali di cui soffriamo noi, solo che, poveretti, non avevano i mezzi per curarsi. Quindi, altro che godere di ottima salute: i nostri avi vivevano in uno stato di perenne sofferenza, dato che erano costretti a convivere con tutte le malattie che noi oggi invece possiamo curare! Di nuovo: ma se davvero vivevano in uno stato di perenne sofferenza, perché mai nessuno si è industriato per creare la medicina “moderna”? Perché mai nelle epoche passate le società, i governi, gli uomini di scienza a tutto pensavano (a organizzare guerre, contese politiche, dispute intellettuali e religiose) tranne che a lenire la sofferenza che, a dir dei nostri detrattori, era sotto gli occhi di tutti e di cui essi stessi… soffrivano? Ecco la loro risposta: pensavano solo a far guerre e non a sviluppare la medicina perché erano ancora incivili!
E già, chiediamo a questo punto noi: e perché mai sarebbero stati incivili? Perché appunto pensavano solo a farsi la guerra anziché curarsi, rispondono loro! Ma può esservi un circolo più vizioso di questo? Non è più semplice – e onesto – riconoscere che in quelle epoche gli uomini amavano pensare ad altro, avevano cioè altri valori, altri riferimenti, altre visioni del mondo rispetto ai nostri? Non è più semplice dire che se noi riteniamo primo dovere della società e dello Stato guarire la più semplice delle influenze come il più banale dei raffreddori in epoche passate si riteneva più giusto impegnare gran parte delle risorse a disposizione in guerre e dispute metafisiche? E quindi che noi stiamo “male” solo al pensiero di dover convivere con un raffreddore mentre i nostri avi stavano “benissimo” a farsi la guerra e di tutte quelle che per noi oggi sono insopportabili patologie loro non si “curavano” e manco sapevano che esistessero? Allora di nuovo: chi è che sta meglio in salute, chi sviene solo alla vista di una goccia di sangue o chi con tutto ciò che oggi è considerato “dolore”, “malattia”, “infermità” sapeva conviverci senza troppi problemi?
In fondo, come sopra accennato, i nostri antenati non si “curavano” perché di tutte quelle che noi consideriamo e abbiamo classificato come “malattie” neanche conoscevano l’esistenza. Dunque, non avevano nulla di cui “soffrire”. Essere “malati”, star “male”, significa infatti avere delle “malattie”. Quante malattie ha o ha avuto nel corso della sua vita ciascuno di noi? Un’infinità. Dunque tutti noi stiamo o siamo stati più volte “male”. Se invece i nostri avi di tutto ciò non hanno visto neanche l’ombra, tutt’al più qualche sintomo di cui non si “curavano” più di tanto, non vuol dire che stavano “bene”? Anche qui i nostri detrattori credono di avere buon gioco sostenendo che a quel tempo non si trattava di star bene, ma di ignoranza: non conoscevano le patologie che avevano, dunque non sapevano come curarle, quindi stavano malissimo, altro che! Ma di nuovo: se stavano così male, perché non si sono industriati per scoprirle queste benedette malattie? Cosa lo impediva loro? L’arretratezza scientifica, l’arretratezza tecnica?
Ancora: ma perché mai allora non si sono dati da fare per farle sviluppare la scienza, la tecnica, invece di trastullarsi in altro? Si può mai pensare che uno stia male ma non faccia niente per alleviare il suo dolore? O vogliamo arrivare a dire che magari stavano male ma… non se n’erano manco accorti? Se pure così fosse, allora sarebbe confermata la nostra tesi: se uno sta male e non se ne accorge, vuol dire che alla fine sta “bene”, no?! Ed è proprio quello che stiamo sostenendo: il concetto di “male”, di “malattia”, è soggettivo; noi non stiamo dicendo che le patologie che ci affliggono oggi una volta non esistevano (parliamo in generale: è chiaro poi che anche le patologie hanno una loro storia e ogni epoca ha le sue), ma che appunto non venivano sentite come “malattie” e che ci si sapeva convivere benissimo; quindi alla fine si stava “bene”.
Sembrerebbe quindi, già da queste semplici considerazioni, che se c’è qualcuno che sta davvero “male” questo è proprio l’uomo delle nostra epoca. Del resto basta guardarsi intorno: le sale d’aspetto dei medici sono sempre piene; le farmacie fanno affari d’oro; i tempi d’attesa per farsi qualsiasi esame biblici; gli ospedali super affollati che i malati li devono mettere per i corridoi; in televisione, sui giornali e ovunque non si fa altro che parlare di malattie, cure e medicamenti vari. Ma in quale altra epoca della storia si è mai vista una cosa simile? Ma che penserebbe un uomo di un’epoca passata che, catapultato per assurdo nella nostra società, si ritrovasse di fronte ad un simile spettacolo? “Resterebbe estasiato dal progresso e dal benessere di cui tutto ciò - ovvero la più avanzata ricerca, gli ultimi ritrovati farmacologici, le più moderne ed attrezzate cliniche - è testimonianza!” direbbero gli entusiasti apologeti della civiltà moderna! Progresso? Benessere? “Dio mio, ma cos’è successo – esclamerebbe invece scioccato il povero malcapitato a parer nostro – che state tutti così male?!”